Renato Guttuso, foto di Melo Minnella. Dalla prima pagina de L’Ora del 19 gennaio 1987

(Gaetano Perricone). Trent’anni fa , il 18 gennaio del 1987, moriva a Roma Renato Guttuso, grande siciliano di Bagheria, genio immortale della pittura e protagonista assoluto dell’arte e della cultura del secolo scorso. Ho sentito di ricordarlo in modo semplice e speciale, rispolverando dal mio piccolo, ma prezioso archivio personale la copia di lunedì 19 gennaio (domenica 18, come tutte le domeniche, il giornale non era in edicola) del glorioso quotidiano palermitano  L’Ora, parte fondamentale della mia vita, nella cui redazione ho avuto la fortuna e il privilegio di crescere come giornalista e come uomo e dove mi trovavo al lavoro in quella tristissima giornata. Sfogliando con grande nostalgia e altrettanta emozione le pagine di quel giornale, dedicato in tutta la sua prima parte con splendidi e appassionati articoli alla scomparsa dell’artista (con i ricordi, tra gli altri, di Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Marcello Carapezza, Lia Pasqualino Noto), ho deciso di riproporre ai lettori del Vulcanico il memorabile editoriale di Mario Farinella, grande e indimenticabile maestro di giornalismo e penna sublime, dal bellissimo titolo “Quel pennello intinto nel sole”. Nel digitarlo su questo blog, ho sentito vibrare le corde del cuore per l’affascinante testimonianza di Mario – grandissimo giornalista, scrittore e poeta di Caltanissetta, morto nel 1993, che ho ancora … davanti ai miei occhi seduto nella sua scrivania al giornale mentre batte nervosamente i tasti della sua macchina da scrivere – sugli incontri con l’immenso pittore. Spero che nel leggerlo proverete le mie stesse emozioni …

Quel pennello intinto nel sole

(L’Ora, lunedì 19 gennaio 1987)

1 GUTTUSO

di Mario Farinella

C’era il rosso, c’era il verde, c’erano il giallo e l’azzurro – e tutti fusi al loro punto più incandescente – nella tavolozza di Guttuso. Solo in questi ultimi anni vi si era aggiunto un filo di nero, ma restava come soverchiato dalla prepotenza degli altri colori; e a volte sbiancava e si faceva pasta grigia, mescolato alla cenere dell’eterna sigaretta che pendeva dalla labbra dell’artista quando dipingeva. Ora, morto, è come se quel turbinio di colori improvvisamente s’acquietasse, rientrando nel buio dei suoi occhi chiusi per sempre.

L’ultima volta che l’ho visto mi disse: faccio i conti con me stesso; mi sembra di avvertire strani passi felpati ogni sera; è la “visitatrice” che viene. Qualche mese dopo, quella presenza misteriosa e impalpabile prendeva forma in uno dei suoi quadri più inquietanti e icastici: la tigre striata di nero che si aggira nello spento giardino della sua casa romana, la “visitatrice della sera”, appunto. La morte.

Ma i conti con se stesso, Guttuso li aveva cominciati a fare da tempo immemorabile, da quando – si può dire – imparò l’arte di macinare i colori tra spranghe e sponde di carretti, nelle botteghe artigiane della sua Bagheria. “Mi piaceva sostare nella bottega di Murdolo – mi raccontava in una delle tante conversazioni – vederlo lavorare. Io ho cercato sempre una pittura molto comunicativa, tinte forti perché in Sicilia la luce è così forte che brucia i colori. Se li vuoi far vedere li devi rinforzare. La terra gialla dell’Aspra, la terra rossa, il giallo dei limoni, ecco i colori che mi sono rimasti nel sangue. A Bagheria il colore è particolarmente duro, la terra accesa, le ombre nere. E il mare di Aspra: è diverso da ogni altro, con quella sua striatura violetta e bianca … Il mare, dovunque lo dipingo, è sempre quel mare; l’albero, per quanto diversa, lontana sia la campagna che te lo offre, è sempre quell’albero. Sì, non faccio altro che dipingere la Sicilia”.

E, in altra occasione, così si gloriava : “Ieri sono stato a Bagheria con tre amici del nord, i quali, a un certo momento, mentre viaggiavamo in auto, hanno esclamato: ‘qui finalmente abbiamo capito i tuoi quadri’. Questa scoperta, questa constatazione mi hanno molto commosso. E’ stata una prova, una verifica dell’emozione che ho provato tornando al mio paese: una specie di siero della verità”.

La Vucciria
La Vucciria (1974)

La Sicilia come pietra angolare della sua arte, come riferimento perenne dell’ampio dispiegarsi delle sue immagini, ovunque percepite, ovunque realizzate. La Sicilia di questi nostri anni, con la sua dolcezza e con la sua violenza, con i suoi eroismi e le sue viltà, con le sue enfasi e con le sue sconfitte, con la sua convulsa bellezza e le sue durezze: quasi un lungo raccontare verghiano scandito e sopraffatto dall’imminenza del dramma.

Era una giornata chiara e densa di aromi autunnali quando m’incontrai per la prima volta col pittore. Ed erano giorni di fame, di miseria e di sanguinose lotte operaie, e noi eravamo scesi nel fondo di una zolfara. I minatori ci guidavano attraverso i cunicoli e le gallerie di quell’inferno giallo e nero: ascoltavamo la loro voce che si ribellava, i colpi rabbiosi del piccone che aggredivano la roccia, lo stridore delle perforatrici, il rombo della morte sempre presente tra le impalcature e i veleni del “grisou”, ma i volti di quegli schiavi ignudi non riuscivamo a intravvederli se non a sbalzi, a momenti, ondeggianti sulle fiammelle delle acetilene. Da quel viaggio sotterraneo, da quell’emozionante incontro con la gente più sfruttata del mondo doveva nascere, poi, la mirabile serie dei quadri di Guttuso sulla zolfara e sugli zolfatari siciliani. Così come balzarono, poi, dalla terribile realtà della Sicilia di allora, i dipinti sull’epopea contadina e i tanti in dimenticabili volti di carrettieri, zappatori, braccianti-eroi di una Sicilia fermata per sempre nella gloriosa e tragica pittura di Guttuso.

Ora il grande pittore torna da noi per essere sepolto nella terra rossa del suo paese. La Sicilia si riprende il suo figlio innamorato e i colori che gli ha prestato. Vinto lo sgomento della sua morte, tra i suoi colori non sarà certo il nero a prevalere, ma lo sfolgorio tempestoso dei suoi gialli, dei rossi, dei verdi e degli azzurri: vale a dire i colori della vita.

In homepage: Fuga dall’Etna, 1940

Gaetano Perricone

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