di Claudia Palazzo

CLAUDIA PALAZZO NUOVA

Presto, nel mio Paese, ci saranno le elezioni. Io, seduta su un divano extra UE, amareggiata dal non poter esercitare il mio diritto/dovere, mi tenevo informata e mi consolavo leggendo questo articolo: https://voxeurop.eu/it/2019/elezioni-europei-ed-expat-5123076?fbclid=IwAR2FCjz2IHf6aed0m77QfOG5U5W0IdNfUQWPGL3CHmUjQexwngS0OOrFzp4

Questo tratta di quei migranti di origine europea che si muovono all’interno dell’Unione (jumping the queue, “saltando la fila” come disse la May) e ritrovandosi così nel paradosso di vivere all’interno del’Unione, ma non potendo facilmente votare. Contenta che l’idea venisse finalmente discussa, indugiavo, però, in alcune riflessioni ulteriori. Dopo averle vomitate su FB, il nostro amico Vulcanico ha voluto condividerle con i suoi lettori.

  1. 1. La retorica dell'”Espatriato“, considerazioni sociolinguistiche. L’espatriato è colui che, inseguendo i propri interessi lavorativi, intellettuali, personali, lascia (almeno fisicamente) la propria patria, stabilendosi in un luogo diverso da essa. Se l’espatriato si muove da un Paese del “primo mondo” a un Paese di condizione meno agiata dal punto di vista economico o diplomatico, lì spende la sua valuta forte, siede in caffè per “expat” dove i menu sono scritti in quella oscena neolingua che è l’inglese-lingua franca, disserta di politica locale, elargisce consigli ai primitivi autoctoni, e vive – insomma – il sogno di essere qualcuno, quando magari, a casa sua, non è nessuno. Questa figura viene servilmente chiamata, e chiama se stessa, “expat“, espatriato. Come ovvio, il focus del termine cade sull’origine del soggetto, sulla sua provenienza, sul Paese dal quale “espatria”. Al contrario, chi compie la propria mobilità agli stessi fini ma in direzione opposta, viene chiamato “immigrato” – con focus sulla destinazione, il Paese “ricco”, anziché sull’origine – o semplicemente “negro”/”negro di merda”/”sporco negro” – (perchè di solito quelli che vanno via dai paesi poveri sono di colore marrone).

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  1. L’immigrato e l’expat, considerazioni antropologiche. Eradicati dal contesto originale, alienati, spaventati, forse non pronti ad aprirsi alla diversità dell’approdo, gli immigrati e gli expat attuano delle strategie di conservazione del sé pre-partenza, che spesso risultano in goffe manifestazioni del tutto stridenti col contesto. Si sbronzano, sbroccano durante una partita dei mondiali (quando la loro abbandonata Patria, dalla quale sono fuggiti a gambe levate, non segna quel benedetto punto su rigore, costringendoli a sentirsi, in linea con codesta, dei falliti), molestano le donne del luogo – salvo coltellate dei cugini. La differenza fra expat e immigrato, che mi provo a enucleare a beneficio dei giornalisti intelligenti e moralmente superiori alla massa incolta, consiste forse nella capacità, ipotetica, potenziale o attuale, di salvarsi le bianche o nere chiappe qualora la polizia locale li dovesse acciuffare.

 

  1. Ma gli “expat” non sono tutti uguali! O, apologia del cittadino del mondo. Si, gli expat non sono tutti bianchi con le facce aragosta scottate dal sole del luogo, con le camicie di lino pezzate di sudore e le manichette arrotolate, i capelli unti e opinioni non informate sulla politica del luogo. Non tutti hanno bisogno di vivere nei ghetti per expat, o di preservare l’integrità del sé rendendosi impermeabili alle pericolose contaminazioni con la cultura locale. Molti expat non vanno a cercare di essere qualcuno mentre a casa loro non sono nessuno. Molti expat sono qualcuno. Quel qualcuno che fa della conoscenza la propria ragione di vita; o quel qualcuno che è un patriota, e la sua patria è il mondo; o quel qualcuno che fa della crescita intellettuale e sociale, propria e degli altri, il proprio stile di vita; o quel qualcuno che dove va “lassa ciavuru” (lascia profumo, n.d.r.), come si dice in siciliano – la lingua più bella del mondo, ve lo dice, non senza campanilismo becero, ma con una buona dose di cognizione di causa, un’expat che ne ha studiate svariate, di lingue. Questi expat hanno preso e hanno dato al proprio (politicamente parlando) Paese d’origine. Hanno preso borse di studio, cultura giuridica, protezione dei diritti individuali, sanità … e siccome questa cosa gli è piaciuta, sono andati altrove, a vedere come si vive dove non è certo che queste cose ci siano. Ci sono quelli che vanno in Paesi difficili, dove c’è la guerra, ci sono quelli che vanno in posti più facili – almeno per loro – dove c’è il sole e il cibo è buono. Tutti questi sono ambasciatori di un ideale che hanno contribuito a creare o a mantenere in vita semplicemente esistendo così come sono, qui o lì. Queste persone sono fuori dal proprio limes – e non possono votare. Ciò è palesemente sbagliato.

 

Con il titolo: Illo: Fada. https://www.instagram.com/fadafull/?fbclid=IwAR2ZjuxJiOnTZynhEIeE1vcP1E0fcFn8UMN1QYBlqfFBPHOwQU4XlGzyrZk

 

 

 

 

 

 

Claudia Palazzo

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