di Gaetano Perricone

ECCOMI QUA

La storia della domenica è un brano del mio libro “La mia Etna. Dialogo con la Muntagna. Luoghi, storie, personaggi” (Giuseppe Maimone Editore, Catania, dicembre 2004 pagine 37-40), che racconta, attraverso l’appassionata e struggente testimonianza di chi lo fece per tanti anni, come si svolgeva in altri tempi un mestiere  fondamentale per consentire il privilegio di conoscere da vicino il più alto vulcano attivo d’Europa, dal 21 giugno 2013 Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ai non molti fortunati che allora  se lo potevano permettere. La dedico alla memoria del protagonista della storia, il Capo Mulattiere Antonino Carbonaro e alle Guide Alpine e Vulcanologiche dell’Etna dei versanti sud e nord del vulcano, con il loro prezioso, anzi indispensabile impegno quotidiano per la conoscenza, la fruizione, la sicurezza di un luogo unico al mondo, di “eccezionale valore universale”.

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Tra i miei sempre interessanti incontri con le guide più anziane, che tante volte mi hanno lasciato a bocca aperta come un bambino nell’ascoltare i loro racconti, ho avuto la fortuna di incontrare forse l’ultimo dei mulattieri ancora vivente. Sicuramente non tutti sanno, mia carissima Muntagna, che un tempo era davvero difficile, quasi una impresa per pochi fortunati, riuscire a conoscerti da vicino; sui tuoi ripidi fianchi si ascendeva a piedi oppure sul dorso di un mulo, altro che funivia e “jeepponi” fuoristrada. E i mulattieri erano appunto quei personaggi, un po’ uomini di fatica e un po’ guide, che organizzavano le cordate degli animali e accompagnavano tutti quegli appassionati, generalmente facoltosi, che avevano voglia di un incontro ravvicinato con te e con i tuoi crateri terminali.

Naturalmente questi mulattieri, oltre a una grande resistenza alla fatica ed una fortissima capacità di adattamento alle condizioni climatiche più cangianti e avverse, erano profondi conoscitori del tuo territorio e di molti dei tuoi segreti, sapevano orientarsi con estrema bravura anche negli anfratti più nascosti dell’Etna.

E’ stato bellissimo, dicevo, l’incontro con un personaggio che può essere probabilmente – le guide del gruppo di Nicolosi ne sono certe – considerato l’ultimo testimone di una delle attività tra le più fascinose e significative nell’ambito di quelle che hanno avuto a che fare con a Muntagna. Un piccolo uomo tracagnotto di ottantotto anni, con un paio di occhi straordinariamente espressivi piantati nel centro di una bellissima faccia rugosa, segnata dalla immane fatica di una vita fatta di chilometri e chilometri sulla sciara, ma anche dal gratificante marchio dell’infinito amore per l’Etna: è questo il ritratto, che porterò indelebilmente scolpito nella mia memoria, di Nino Carbonaro (voglio fare un altro strappo alla regola che mi sono imposto e citarlo, addirittura con nome e cognome; è una soddisfazione meritata che intendo regalare ai suoi amorevolissimi familiari, visto che purtroppo ci ha lasciati un po’ di tempo dopo il nostro incontro), l’ultimo dei mulattieri.

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Ricordo, cara Muntagna, che uscii davvero commosso dalla sede di Nicolosi delle guide alpine, dove il piccolo-grande uomo fu accompagnato per incontrarmi. Nonostante la immensa, disarmante semplicità e la palpabile emozione del mio interlocutore, quell’incontro fu estremamente toccante per la mia esperienza di giornalista di vecchio mestiere, ancora fortemente interessato a raccogliere queste testimonianze di particolare importanza storica; ma fu toccante anche e soprattutto per la mia molto più giovane esperienza di cittadino dell’Etna, di tuo convivente. La chiacchierata con il vecchio, dolcissimo signor Nino fu infatti illuminante, mia Muntagna, per aiutarmi a comprendere come tu sia riuscita a diventare, e ci riesci tuttora, parte così integrante e condizionante, nel bene e nel male, della vita delle tue genti, del loro modo di essere e di comportarsi.

Quasi incredulo, dall’alto della sua umiltà, che qualcuno avesse voglia di ascoltare la sua storia, l’ultimo dei mulattieri riuscì – nel suo fascinoso dialetto, tra un detto popolare e l’altro ed una serie di coloratissimi soprannomi per i protagonisti della storia, compreso quello che gli avevano affibbiato, nato ca cura, nato con la coda, come i tanti muli che ha guidato nella sua lunga carriera – a tracciarmi in modo ancora sufficientemente lucido il quadro della sua antica e lunga attività (quarant’anni di lavoro al servizio dell’Etna) e lo scenario unico, tu e le tue incomparabili bellezze, nel quale si svolgeva.

Mi parlò dei gruppi di muli, da un minimo di un paio fino a una quindicina, con l’impegno di una ventina di mulattieri – alcuni dei quali portavano il cibo degli animali – che partivano in cordata dai Monti Rossi sopra Nicolosi e, in circa tre ore, se le condizioni del tempo lo permettevano, arrivavano fino alla zona dell’Osservatorio, ai piedi dei crateri terminali; poi c’era l’ultimo tratto, quello dell’ascesa finale, il più ripido e faticoso, che aveva bisogno di almeno altre quattro ore. C’era, poi, la discesa dall’altra parte: Montagnola, Schiena dell’Asino, Monte Calanna, Val Calanna, Zafferana Etnea. La tariffa professionale era di venti lire al giorno, una bella cifra per i tempi, ma sicuramente sudata.

Mi parlò anche, a lungo e con evidente orgoglio, dei tanti clienti da lui accompagnati nelle ascese al cratere. Molti erano studiosi, scienziati che avevano la necessità di approfondire la tua conoscenza, mia Muntagna, e quindi si facevano guidare dai mulattieri, della cui esperienza si fidavano ciecamente. Numerosi erano gli appassionati dell’Etna, quasi sempre personaggi illustri, visto che non tutti potevano permettersi il lusso dell’accompagnamento; tra i maggiori frequentatori, il Duca di Misterbianco. E poi c’erano gli stranieri, gente di tutto il mondo che, come è sempre accaduto, voleva visitare il più grande vulcano d’Europa: in particolare americani, inglesi, francesi, parecchi belgi e tanti russi, a detta del signor Nino i più pricchi (tirchi, in puro dialetto catanese).

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Qui e sopra due foto storiche – le prime guide con gli escursionisti – tratte dalla galleria del sito del Gruppo Guide Alpine Etna Sud (www.etnaguide.eu)

Mi raccontò anche, l’ultimo dei mulattieri, con gli occhioni attenti solcati dalle lacrime, la struggente e leggendaria storia di Umberto Cagni, una delle più famose e in fondo rare vittime dell’Etna, scomparso improvvisamente il 28 febbraio del 1956 durante una troppo audace ascesa verso l’Osservatorio Etneo, mentre era in corso una violenta tempesta di vento. Le ricerche furono intense e sempre più angosciose: intervennero perfino i militari, ma Cagni fu trovato morto, dopo novanta giorni, in una zona nei pressi di Bronte. Capii subito, cara Muntagna, dalla tristissima espressione del signor Nino, quanto questo doloroso evento, del quale peraltro non fu diretto protagonista, lo avesse turbato: era molto difficile per lui, che ti ha amato tanto, accettare l’idea che al tuo nome rimanesse per sempre legata una storia luttuosa.

Gli chiesi, alla fine dell’intervista, di dirmi in tutta sincerità com’era stato il suo rapporto con te, cosa poteva dirmi di questa avvincente e intensa convivenza. La sua risposta su semplice e toccante: “Forse qualche volta l’ho pure odiata, ho faticato tanto e le ho dato tutto me stesso: ma Lei con me è stata buona, è stata davvero tutta la vita”. Una bellissima dichiarazione d’amore vero per te, dal piccolo-grande uomo. Ecco perché l’incontro con l’ultimo dei mulattieri mi resterà sempre nel cuore.

La foto storica con il titolo, sbiadita e sgranata, mi fu data molti anni fa in occasione della chiacchierata-intervista a cui si riferisce il brano de “La mia Etna”. E’ un vecchio ritaglio, che ho conservato accuratamente, con questa didascalia a penna: Monte Etna, Piano del Lago, 1957, Capo Mulattieri Antonino Carbonaro.

www.etnaguide.eu; www.guidetnanord.com

 

Gaetano Perricone

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