storie Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/storie/ Il Blog di Gaetano Perricone Fri, 27 Jun 2025 15:47:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.1 Etna, cosa pensi di noi umani? Lo sapremo al Festival Vulcani 2025, dal 27 al 29 giugno a Trecastagni, alla scoperta di terre indimenticabili https://ilvulcanico.it/etna-cosa-pensi-di-noi-umani-lo-sapremo-al-festival-vulcani-2025-dal-27-al-29-giugno-a-trecastagni-alla-scoperta-di-terre-indimenticabili/ Wed, 25 Jun 2025 04:39:03 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25721 di Giuseppe Riggio* Siamo arrivati alla terza edizione continuando a seguire la stessa ispirazione: donare all’Etna un Festival che racconti il mondo dei vulcani. Siamo gli unici in Italia ad avere inventato una manifestazione con questo filo conduttore. E del resto dove farla se non sull’Etna, su uno dei vulcani più attivi al mondo? Quest’anno […]

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di Giuseppe Riggio*

Siamo arrivati alla terza edizione continuando a seguire la stessa ispirazione: donare all’Etna un Festival che racconti il mondo dei vulcani. Siamo gli unici in Italia ad avere inventato una manifestazione con questo filo conduttore. E del resto dove farla se non sull’Etna, su uno dei vulcani più attivi al mondo?

Quest’anno proviamo a comunicare agli spettatori che ci troviamo di fronte a “terre indimenticabili”, che per altre ragioni abbiamo già definito “in movimento”, ma anche “straordinarie”. Chi è ammaliato da crateri e colate sa di cosa stiamo parlando. Per la terza edizione del Festival Vulcani – organizzato dalla Fondazione Trecastagni Patrimonio dell’Etna, presieduta da Giovanni Barbagallo dal 27 al 29 giugno a Trecastagni– abbiamo provato a immaginare anche una intervista all’Etna, per dare la parola alla sua anima femminile e chiederle cosa ne pensa di noi umani che ne abitiamo le pendici, delle nostre ossessioni e delle nostre paure.

Il programma del Festival Vulcani 2025

Ci saranno, ovviamente, nel corso della manifestazione momenti di alta divulgazione scientifica curati da INGV (il suo direttore Stefano Branca insieme al professor Luigi Ingaliso presenteranno una nuova e lussuosa edizione di una storica opera di Sartorius Von Walterhausen, mentre Eugenio Privitera spiegherà i sistemi di allertamento precoce di Etna e Stromboli), da parte sua Marco Viccaro, docente universitario e presidente dell’Associazione Italiana di Vulcanologia, coordinerà per la prima volta un corso di introduzione al vulcanismo che si terrà nella sede della Fondazione organizzatrice, rivolto innanzitutto ai giovani.

Dalla prima edizione del Festival, nel 2023

Come di consueto, verrà aperta una finestra sul mondo degli “altri” territori segnati dalla lava. Quest’anno sarà la volta di Pantelleria, che verrà raccontata da Antonietta Valenza, Francesco Ciancitto e da Marco Marcialis, wine ambassador di Cantine Nicosia. Del resto, sono molteplici le strategie di avvicinamento ai “camini della Terra”. Ognuno può scoprire una chiave per scoprirne originalità e caratteri distintivi. Maria Teresa Moscato indagherà ad esempio le tematiche del mito, che da sempre ha avuto un riferimento privilegiato con i luoghi “infernali”.  Daniele Musumeci offrirà le sue competenze di biografo di Alfred Rittmann, uno dei più grandi vulcanologi del Novecento di origine svizzera, ma venuto a morire in Sicilia, dopo avervi lungamente abitato. Rosario Fichera, giornalista e divulgatore, racconterà il suo viaggio a piedi e in bicicletta dalle Dolomiti all’Etna in nome dell’inclusione, unendo due siti Unesco e due luoghi fondamentali della sua vita.

Nella prima edizione, uno spazio fu dedicato anche a questo nostro blog

Siamo convinti che ancora una volta le terre vulcaniche non mancheranno di stupire. Il programma del Festival Vulcani 2025 si rivolge innanzitutto a chi abita sull’Etna, per aiutare gli etnei ad avere consapevolezza delle caratteristiche naturali e antropologiche di questa parte di universo, ma intende ovviamente rivolgersi anche ai turisti desiderosi di scoprire la vera essenza del luogo che vengono a visitare. Nei tre giorni della manifestazione, quest’anno ospitata nell’elegante centro storico di Trecastagni, ci sarà spazio anche per citare Franco Battiato, nella proposta della brava Rita Botto. Solo qualche brano per richiamare il suo modo di abitare il vulcano, la speciale sensibilità verso la terrà da cui Battiato partì e dove poi decise di ritornare.

*Direttore Festival Vulcani 

Con il titolo: eruzione dal cratere di Sud Est, 19 giugno 2025  (la bellissima foto di Giovinsky Aetnensis) 

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E il vulcano nacque in un giardino! https://ilvulcanico.it/e-il-vulcano-nacque-in-un-giardino/ Sun, 22 Jun 2025 05:19:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25681 di Santo Scalia Le aree vulcaniche, si sa, sono soggette a rischi di vario genere, quali le manifestazioni sismiche, le invasioni laviche, le abbondanti ricadute di piroclastiti, i flussi piroclastici e l’apertura di nuove fratture; a volte, però, un altro pericolo si aggiunge a quelli già indicati: la nascita di un nuovo cratere o di […]

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di Santo Scalia

Le aree vulcaniche, si sa, sono soggette a rischi di vario genere, quali le manifestazioni sismiche, le invasioni laviche, le abbondanti ricadute di piroclastiti, i flussi piroclastici e l’apertura di nuove fratture; a volte, però, un altro pericolo si aggiunge a quelli già indicati: la nascita di un nuovo cratere o di un nuovo vulcano.

La nascita di un nuovo cono eruttivo è avvenuta, ad esempio, nell’area vulcanica campana dei Campi Flegrei (nel 1538), o, più recentemente, nel Messico (nel 1943).

Sull’Etna non è mai avvenuto che un nuovo cratere nascesse là dove si trovasse un preesistente insediamento urbano, ma, come vedremo, molto vicino!

Monte Nuovo, nato tra le case del paese medievale di Tripergole (foto Jean-Claude Tanguy)

1538 – Nasce il Monte Nuovo, nell’abitato di Tripergole ai Campi Flegrei

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: nei due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi, le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua.

Incisione da Dell’incendio di Pozzuolo di Marco Antonio Delli Falconi, 1938

Come già descritto in un precedente articolo su ilvulcanico.it «[…] la gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri. Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio

La popolazione riuscì a fuggire dal paese prima che l’eruzione cominciasse, senonché, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate!

 

 

1669 – Nasce il Monte della Ruina, presso Nicolosi, sull’Etna

L’11 marzo del 1669 a poche centinaia di metri dal paese di Nicolosi, nel versante meridionale del vulcano, una lunga frattura si aprì da quota 2800 m. circa (presso Monte Frumento) fino a quota 600 m., in prossimità dell’abitato.

Brano da Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669, di Tommaso Tedeschi Paternò

Tommaso Tedeschi Paternò, autore dell’opera Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669, avendo vissuto in prima persona i funesti eventi di quell’anno, così descrive la nascita del nuovo cratere, a pochissima distanza dall’abitato del paese di Nicolosi: «[…] non da una, ma da cinque horride fauci venne à sboccare con tal empito, e vehemenza, che sempre, qual Briareo d’inferno in nuove, e nuove braccia, e scagliando tuttavia in aria tanto gran copia d’infuocati petroni, che cadendo poi in giù si ammontarono in due altissime montagne, la di cui altezza un mezzo miglio oltrepassa».

Il cratere non si aprì tra le case del paese, ma poco distante, comunque lì dove i nicolositi svolgevano le proprie attività dedicandosi alle coltivazioni e alla pastorizia. In ogni caso l’intensa attività sismica che precedette l’eruzione e la ricaduta di arena e lapilli sui tetti delle abitazioni causarono ingenti danni all’abitato.

1943 – Nasce il Paricutin, in un campo di granturco

Nel febbraio del 1943, a partire dal giorno 5, una serie di scosse sismiche mise in agitazione gli abitanti di due paesini del Messico, Paricutìn e Parangaricutiro che contavano circa 4000 anime, dedite principalmente alla pastorizia e all’all’agricoltura.

Il campo di Dionisio Pulido (collezione personale)

Il 20 di febbraio Dionisio Pulido, come ogni mattina, era andato al suo podere e stava badando alle sue pecore quando vide apparire due piccoli getti di fumo bianco, che presto si trasformarono, secondo le sue stesse parole, in “grandi colonne di fumo e grandi fiamme“. Contemporaneamente, brontolii sotterranei e scosse sismiche sempre più violente si moltiplicarono; poi, nello stesso giorno, si udirono ripetute esplosioni, e infine un’alta e possente colonna di vapore che trasportava pietre e polvere eruttò dal terreno.

Ai primi segni di questa attività sotterranea, il testimone corse a casa e poi, con la moglie, si recò dalle autorità comunali per riferire ciò che aveva appena visto, mentre dal villaggio si sentiva già il rumore di violente esplosioni.

La mattina del giorno dopo, sul presto, parecchie persone si avvicinarono al luogo in cui si era verificato il fenomeno e poterono vedere che si era già formato un cumulo alto circa 30 metri. Nel campo di Dionisio Pulido era sorto un nuovo vulcano!

Solo due giorni dopo, il 23, il nuovo cono aveva raddoppiato la sua altezza e misurava già circa 60 metri. La crescita del nuovo vulcano continuò a causa dell’accumulo di pietre, bombe, scorie, sabbia e ceneri costantemente scagliate verso l’alto dal fondo del cratere, fino a raggiunge un’altezza di 424 metri rispetto al terreno coltivato in cui era nato, raggiungendo un diametro di circa 1.350 metri alla base, con una forma leggermente ellittica.

L’eruzione si protrasse per 9 anni e 12 giorni; del campo di Pulido non rimase nulla, se non un cono vulcanico e un’arida distesa di lava.

Resti della chiesa di Paricutin (collezione personale)

Quando terminò l’eruzione, nel 1952, i due centri abitati Paricutín e San Juan Viejo Parangaricutiro erano scomparsi. Per la precisione, di San Juan Viejo restò visibile – e lo è tutt’ora – solo la torre campanaria sinistra della chiesa, parte della facciata e la parete posteriore con l’altare. Non ci furono vittime.

L’area dello stato di Michoacàn, dove era sorto il vulcano denominato proprio Paricutin, non era però nuova ad eventi del genere: solo 184 anni prima, nel settembre del 1759, un altro vulcano, molto simile al Paricutin, il Jorullo”, era apparso in mezzo a un campo di canna da zucchero, 80 km a sud-est della posizione di Paricutin.

Considerazioni finali

Nell’area del vulcano Etna sono numerosi i coni piroclastici sorti a quote oggi intensamente urbanizzate ma, per fortuna, disabitate all’epoca della formazione degli stessi.

L’intensa urbanizzazione del versante meridionale dell’Etna (foto S. Scalia)

Così si trovano oggi in contesti intensamente urbanizzati i crateri denominati Monte Serra (ad appena 5,5 chilometri da Acireale, ma a poche centinaia di metri da altri agglomerati); Monte Troina (presso Pedara); Mompileri e Monti Rossi, presso Nicolosi; Tremonti, Monpeloso, Monte Rosso (presso l’omonimo abitato di Monterosso) ed altri ancora.

E lì dove in un passato, anche remoto, si è verificato l’evento dell’apertura di un nuovo cratere, non si può certamente escludere che l’evento non si riproponga, anche in un futuro lontano.

Se vi è capitato di effettuare un’escursione sulla cima dei Monti Rossi di Nicolosi, o anche a quote più elevate, per esempio alla Montagnola (2600 m.ca.), avrete avuto modo di verificare come tutto il territorio che si estende da Nicolosi fino alla città di Catania sia un continuum di case, ville e paesi; praticamente senza soluzione di continuità!

E, senza voler aggiungere altro, lascio a ciascuno dei lettori le considerazioni del caso.

Per chi volesse approfondire gli argomenti trattati ecco alcuni riferimenti bibliografici:

Delli Falconi Marco Antonio – Dell’incendio di Pozzuolo – 1538

Boccardi Vincenzo – Monte Nuovo – storia di un ambiente vulcanico – 1997

Boccardi Vincenzo – L’eruzione del Monte Nuovo nei Campi Flegrei -1538 – 2018

 Tomaso Tedeschi – Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669

Borelli Alfonsus – Historia et meteorologia incendii Aetnae – 1670

 Ordoñez Ezequiel   – Un nouveau volcan mexicain : le Paricutìn – 1945

Luhr James F. – Parìcutin, the volcano born in a Mexican cornfield – 1993

 Con il titolo: il campo di Dionisio Pulido (collezione personale Santo Scalia)

 

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Flussi piroclastici nel mondo … e sull’Etna https://ilvulcanico.it/flussi-piroclastici-nel-mondo-e-anche-sulletna/ Wed, 04 Jun 2025 16:00:53 +0000 http://ilvulcanico.it/?p=18820 di Santo Scalia La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre. Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione […]

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di Santo Scalia

La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre.

Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.

Cosa sono i flussi piroclastici? L’aggettivo piroclàstico [composto di piro– e clastico] è attribuito a “quei materiali che devono la loro genesi alle fasi esplosive del vulcanismo” [Treccani]. Cercando di essere più chiari, un prodotto piroclastico è quindi qualcosa che deve la sua formazione all’azione congiunta del fuoco (dal gr. πῦρ πυρός, «fuoco») e della frammentazione (dal greco κλαστός, «spezzato, sminuzzato», dal verbo κλάζω). Di questo fenomeno si è già parlato su questo blog (ilVulcanco.it), ma qui voglio ricordare alcuni aspetti legati alla storia del nostro vulcano, l’Etna.

Una colata piroclastica, detta anche flusso piroclastico o nube ardente, è formata dal letale miscuglio di gas ad alta temperatura, granuli di lava, ceneri vulcaniche e massi di varie dimensioni che rotola giù lungo i pendii del vulcano, con un enorme potere distruttivo nella sua discesa dato dall’energia cinetica acquistata per azione gravitazionale e dall’alta temperatura dei suoi componenti.

L’Etna spesso viene visto come un vulcano dalle abitudini prevalentemente effusive. Ma analizzando l’attività, anche remota, della nostra montagna vediamo che sull’Etna si sono verificati episodi di attività esplosiva particolarmente intensi, e che flussi piroclastici sono scesi anche lungo i suoi fianchi. E ciò non solo in epoche remote, ma anche in tempi recentissimi!

Proprio qualche giorno fa, nella mattinata del 2 giugno, nel corso del quattordicesimo episodio eruttivo avvenuto nell’anno in corso, il crollo di una parte del cono del Cratere di Sud-Est ha dato origine ad una valanga piroclastica che è scesa velocemente in direzione della Valle del Leone nella quale si è inoltrata per più di tre chilometri.

Il web pullula di immagini spettacolari e preoccupanti che mostrano l’enorme nuvola scura che si espande sulle pendici nord-orientali del vulcano, mentre numerosi turisti ed escursionisti osservano, affascinati e/o terrorizzati, l’evoluzione del fenomeno.

Un’idea di quanto accaduto si può avere guardando il video realizzato dal sito Etna 4 Seasons ( www.etna4seasons.it ) che ringraziamo per averne gentilmente concesso la riproduzione:

https://www.facebook.com/share/v/1AHUYpdfZB/

Fortunatamente non ci sono state vittime! Così non sarebbe stato se il crollo di parte del Cratere fosse stato più esteso; se il vento non avesse indirizzato, proprio in quei minuti, il flusso in direzione della Valle del Leone e non verso luoghi vicini, quali Pizzi Deneri e Piano delle Concazze; se, anziché la parte settentrionale, a crollare fosse stata quella meridionale, cosa che avrebbe indirizzato il mortale flusso in direzione del frequentatissimo Piano del Lago.

Ci si può porre una domanda: in passato erano già accaduti eventi del genere?

All’incirca 15.000 anni fa «durante un’intensa fase esplosiva caratterizzata da una serie di eruzioni pliniane, che hanno causato la formazione di una caldera» fu prodotta «una serie di depositi piroclastici ampiamente distribuiti sui fianchi dell’Etna» (dal blog IlVulcanico, 5 gennaio 2020).

Flusso piroclastico del 2006 (credits M.D.V. Etna Walk)

Ma anche nel passato recente si sono verificati flussi piroclastici lungo i pendii etnei: alcuni erano già stati osservati sull’Etna nel 2006 – come di seguito documentato dalla foto gentilmente concessa da Giuseppe Distefano (EtnaWalk) – nel 2012 (grazie alla impressionante testimonianza dell’amico Saro Barbagallo (vedi filmato) e nel 2013, foto realizzata dall’Autore

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

«Nel mattino del 11 febbraio 2014, alle ore 06:07 GMT (=ore locali -1), dal basso versante orientale del cono del Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC) dell’Etna, si è staccato un volume di roccia instabile e parzialmente calda, formando una sorta di frana o valanga dall’aspetto molto simile ad un flusso piroclastico, che in circa un minuto è scesa sulla ripida parete occidentale della Valle del Bove, arrestandosi sul terreno più pianeggiante sul fondo della Valle […] Il flusso si è rapidamente allargato mentre avanzava sul campo lavico del 2008-2009, ricoprendolo quasi per intero, e raggiungendo il fondo della Valle del Bove con un fronte largo circa 1 km.». Così veniva descritto l’evento in un “aggiornamento” emesso dall’Ingv alle ore 08:20 di quel giorno.

 

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

Il video della registrazione dell’evento dell’11 febbraio 2014 (ripreso dalla telecamera termica dell’INGV-Osservatorio Etneo posta a Monte Cagliato, sul fianco orientale dell’Etna) si può ammirare sul canale internet Youtube.

In seguito a questo episodio, che in altre situazioni avrebbe potuto anche avere conseguenze tragiche, la Prefettura di Catania vietò le escursioni, oltre che alle alte quote, anche nella parte alta della Valle del Bove. L’accesso alla Valle rimase vietato fino all’agosto dello stesso anno.

Flusso piroclastico del 2015 (immagine gentilmente concessa da G. Distefano – Etna Walk)

Nel 2015 nuovamente un episodio sull’Etna, documentato ancora una volta da Giuseppe Distefano (Etna Walk) e reperibile su Youtube.

Dal Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 pubblicato dall’INGV-OE di Catania

E ancora nella notte tra il 13 ed il 14 dicembre 2020, in concomitanza con un’intensa attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, non uno, ma tre flussi piroclastici si sono distesi nell’alta area meridionale del vulcano; è stato sempre l’INGV (Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 – pagina 2) a darcene notizia: «[…] alle 22:15 si osservava un piccolo flusso piroclastico che si propagava dal fianco Sud-Ovest del SEC in direzione SSO. Alle 22:16, questo flusso si era già fermato e se ne generava un successivo più energetico, che ricalcando lo stesso percorso si espandeva per circa 2 km di distanza dal SEC in un tempo di ~40 sec (~50 m s-1), superando abbondantemente ad Ovest M.te Frumento Supino. Alle 22:30, si osservava un terzo flusso piroclastico di minore entità che si espandeva sempre in direzione SSO».

La didascalia allegata all’immagine chiarisce le varie fasi: “(a) fontana di lava e primo flusso piroclastico dal SEC osservati dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020. (b-k) sequenza della messa in posto del secondo flusso piroclastico dal SEC ripresa dalla telecamera termica di Nicolosi in 13 dicembre 2020 (Sud); (d) espansione del terzo flusso piroclastico dal SEC registrata dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020”.

Ma non è finita: nel corso dell’attività esplosiva ed effusiva del Cratere di Sud-Est (16 febbraio 2021) si è verificato un ulteriore flusso piroclastico, anche se di modesta entità. In rete si può vedere il filmato dell’evento, realizzato dall’Ingv, e quelle qui accanto sono alcune foto realizzate dal vulcanologo Boris Behncke.

 

Per completare l’informazione aggiungiamo alla lista anche un piccolo flusso, originato dal crollo parziale dell’orlo craterico del Sud-Est avvenuto in concomitanza con il 6° parossismo, quello del 24 febbraio.

Forse dobbiamo rivedere il nostro modo di avvicinarci alle quote più alte dell’Etna: fenomeni che credevamo non appartenessero al nostro vulcano, o che fossero soltanto dei ricordi di fasi evolutive molto lontane nel tempo, sono invece più frequenti di quanto non ci aspettassimo. Trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, può risultare fatale.

E nel resto del mondo?

Particolare dalla carta dell’isola di Martinica di Juan Lopez (1781)

La storia degli eventi vulcanici avvenuti in epoca recente ci porta a ricordare una delle più note e catastrofiche colate piroclastiche accaduta nell’isola della Martinica: nella primavera del 1902 il vulcano chiamato la Montagna Pelée cominciò a dare segni di irrequietezza che sfociarono, l’8 maggio, in una catastrofica eruzione che distrusse completamente la città di Saint-Pierre, fiorente porto commerciale posto lungo la costa sud-occidentale, e uccise in pochi istanti i suoi più di 28.000 abitanti.

Frontespizio dell’opera di Lacroix (biblioteca personale)
Nuée ardente ( foto A. Lacroix – collezione personale)

Nel 1904 il vulcanologo Alfred Lacroix pubblicò un’opera imponente (in due volumi), descrivendo minuziosamente l’eruzione della Pelée in tutti i suoi espetti; in quell’occasione coniò il termine nuée ardente (cioè nube ardente), che ben rende l’idea del fenomeno che si era verificato, e che venne osservato e fotografato ancora il 16 dicembre ed il 25 gennaio dello stesso anno.

L’opera, dal titolo La Montagne Pelée et ses éruptions, è oggi disponibile oltre che come ristampa anastatica dei due volumi originali, anche in edizione digitale e resa fruibile gratuitamente al link della Bibliothèque numerique en histoire des sciences dell’Université de Lille, qui di seguito indicato :  IRIS.

 

La città di Sain-Pierre dopo la distruzione (cartolina postale – collezione personale)

La città di Sain-Pierre, come già detto, fu completamente rasa al suolo: rimasero in piedi solo alcuni dei muri orientati nella stessa direzione del flusso piroclastico e… la prigione, con dentro uno dei due soli sopravvissuti nella città: un detenuto, Auguste Ciparis – riportato spesso come Ludger Sylbaris – che, benché ustionato, si salvò grazie agli spessissimi muri della cella e alla posizione della finestra, rivolta dalla parte opposta al flusso.

Auguste Ciparis, in una cartolina d’epoca (collezione personale)
Manifesto del Circo Barnum & Baile – il sopravvissuto nella “silent city of death”

L’altro scampato alla morte, Léon Compère-Léandre, si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite. Contrariamente a Ciparis che, liberato ed ottenuta la grazia, divenne una star internazionale grazie al Circo Barnum & Baile che lo portò in giro per il modo come attrazione mirabile, l’uomo sopravvissuto al giorno del giudizio”, Léon fu presto dimenticato.

Lo spettacolo che si presentò ai soccorritori fu tremendo, cadaveri o parti di essi erano sparsi un po’ dovunque. Si calcolò che la nube ardente avesse raggiunto la città in circa due minuti, alle 7:52, avendo viaggiato a circa 150 chilometri orari!

Purtroppo la Montagna Pelée non è il solo vulcano, oltre al Vesuvio, sul quale si verificano tali fenomeni. Oltre che dal collasso gravitazionale della colonna eruttiva non più sostentata dalla forza dei gas nel corso di una eruzione di tipo pliniano, tali valanghe si generano anche in seguito al crollo di parte dell’apparato vulcanico sommitale.

Nello stesso arcipelago di isole caraibiche, le Piccole Antille, anche un altro vulcano ha dato origine a flussi piroclastici, il vulcano Soufrière Hills nell’isola di Montserrat; il vulcano è tornato in attività nel 1995 dopo un lungo periodo di quiescenza, ha distrutto completamente la capitale dell’isola, Plymouth. Inoltre tanti altri vulcani della cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica presentano manifestazioni di questo tipo: a titolo di esempio ricordiamo il Monte Sinabung (in Indonesia, Gunung Sinabung nella lingua locale), il vulcano filippino Mayon (sull’isola di Luzon, nelle Filippine), Il Pinatubo, sempre nelle Filippine, il vulcano Merapi (nell’isola di Giava in Indonesia) che nell’ottobre-novembre 2010 ha generato flussi piroclastici che hanno determinato la morte di 353 persone.

il Monte Unzen  (Unzendake, in Giappone, ad est di Nagasaki, nell’isola di Kyushu) è anche tristemente noto per aver causato, nel 1991 e sempre a causa di nubi ardenti, la morte dei noti coniugi vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, oltre che di una quarantina di giornalisti e reporters.

In Italia non solo il Vesuvio (che ha generato modesti flussi piroclastici anche nel corso della sua ultima eruzione, quella del 1944) ma anche lo Stromboli nel 1930, e più recentemente nel corso delle cosiddette esplosioni maggiori del 3 luglio e del 28 agosto 2019, ha generato dei flussi piroclastici.

Per saperne di più sui vulcani di cui si è parlato, ma anche di tanti altri, può essere interessante consultare il Dictionaire des Volcans scritto dal vulcanologo Jean-Claude Tanguy e dal geologo Dominique Decobeq – redattore della  Revue de L.A.V.E (L’Association Volcanologique Européenne) – e pubblicato nel 2009 dalle Editions Jean-Paul Gisserot.

Con il titolo: Etna, il flusso piroclastico del 2 giugno 2025 (Foto Salvatore Lo Giudice)

 

 

 

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Flussi piroclastici sull’Etna e nel mondo https://ilvulcanico.it/flussi-piroclastici-sulletna-e-nel-mondo/ Wed, 04 Jun 2025 15:07:53 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25672 di Santo Scalia La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre. Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione […]

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di Santo Scalia

La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre.

Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.

Cosa sono i flussi piroclastici? L’aggettivo piroclàstico [composto di piro– e clastico] è attribuito a “quei materiali che devono la loro genesi alle fasi esplosive del vulcanismo” [Treccani]. Cercando di essere più chiari, un prodotto piroclastico è quindi qualcosa che deve la sua formazione all’azione congiunta del fuoco (dal gr. πῦρ πυρός, «fuoco») e della frammentazione (dal greco κλαστός, «spezzato, sminuzzato», dal verbo κλάζω). Di questo fenomeno si è già parlato su questo blog (ilVulcanco.it), ma qui voglio ricordare alcuni aspetti legati alla storia del nostro vulcano, l’Etna.

Una colata piroclastica, detta anche flusso piroclastico o nube ardente, è formata dal letale miscuglio di gas ad alta temperatura, granuli di lava, ceneri vulcaniche e massi di varie dimensioni che rotola giù lungo i pendii del vulcano, con un enorme potere distruttivo nella sua discesa dato dall’energia cinetica acquistata per azione gravitazionale e dall’alta temperatura dei suoi componenti.

L’Etna spesso viene visto come un vulcano dalle abitudini prevalentemente effusive. Ma analizzando l’attività, anche remota, della nostra montagna vediamo che sull’Etna si sono verificati episodi di attività esplosiva particolarmente intensi, e che flussi piroclastici sono scesi anche lungo i suoi fianchi. E ciò non solo in epoche remote, ma anche in tempi recentissimi!

Proprio qualche giorno fa, nella mattinata del 2 giugno 2025, nel corso del quattordicesimo episodio eruttivo avvenuto nell’anno in corso, il crollo di una parte del cono del Cratere di Sud-Est ha dato origine ad una valanga piroclastica che è scesa velocemente in direzione della Valle del Leone nella quale si è inoltrata per più di tre chilometri.

Il web pullula di immagini spettacolari e preoccupanti che mostrano l’enorme nuvola scura che si espande sulle pendici nord-orientali del vulcano, mentre numerosi turisti ed escursionisti osservano, affascinati e/o terrorizzati, l’evoluzione del fenomeno.

Un’idea di quanto accaduto si può avere guardando il video realizzato dal sito Etna 4 Seasons ( www.etna4seasons.it ) che ringraziamo per averne gentilmente concesso la riproduzione:

https://www.facebook.com/share/v/1AHUYpdfZB/

Fortunatamente non ci sono state vittime! Così non sarebbe stato se il crollo di parte del Cratere fosse stato più esteso; se il vento non avesse indirizzato, proprio in quei minuti, il flusso in direzione della Valle del Leone e non verso luoghi vicini, quali Pizzi Deneri e Piano delle Concazze; se, anziché la parte settentrionale, a crollare fosse stata quella meridionale, cosa che avrebbe indirizzato il mortale flusso in direzione del frequentatissimo Piano del Lago.

Ci si può porre una domanda: in passato erano già accaduti eventi del genere?

All’incirca 15.000 anni fa «durante un’intensa fase esplosiva caratterizzata da una serie di eruzioni pliniane, che hanno causato la formazione di una caldera» fu prodotta «una serie di depositi piroclastici ampiamente distribuiti sui fianchi dell’Etna» (dal blog IlVulcanico, 5 gennaio 2020).

Flusso piroclastico del 2006 (credits M.D.V. Etna Walk)

Ma anche nel passato recente si sono verificati flussi piroclastici lungo i pendii etnei: alcuni erano già stati osservati sull’Etna nel 2006 – come di seguito documentato dalla foto gentilmente concessa da Giuseppe Distefano (EtnaWalk) – nel 2012 (grazie alla impressionante testimonianza dell’amico Saro Barbagallo (vedi filmato) e nel 2013, foto realizzata dall’Autore

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

«Nel mattino del 11 febbraio 2014, alle ore 06:07 GMT (=ore locali -1), dal basso versante orientale del cono del Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC) dell’Etna, si è staccato un volume di roccia instabile e parzialmente calda, formando una sorta di frana o valanga dall’aspetto molto simile ad un flusso piroclastico, che in circa un minuto è scesa sulla ripida parete occidentale della Valle del Bove, arrestandosi sul terreno più pianeggiante sul fondo della Valle […] Il flusso si è rapidamente allargato mentre avanzava sul campo lavico del 2008-2009, ricoprendolo quasi per intero, e raggiungendo il fondo della Valle del Bove con un fronte largo circa 1 km.». Così veniva descritto l’evento in un “aggiornamento” emesso dall’Ingv alle ore 08:20 di quel giorno.

 

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

Il video della registrazione dell’evento dell’11 febbraio 2014 (ripreso dalla telecamera termica dell’INGV-Osservatorio Etneo posta a Monte Cagliato, sul fianco orientale dell’Etna) si può ammirare sul canale internet Youtube.

In seguito a questo episodio, che in altre situazioni avrebbe potuto anche avere conseguenze tragiche, la Prefettura di Catania vietò le escursioni, oltre che alle alte quote, anche nella parte alta della Valle del Bove. L’accesso alla Valle rimase vietato fino all’agosto dello stesso anno.

Flusso piroclastico del 2015 (immagine gentilmente concessa da G. Distefano – Etna Walk)

Nel 2015 nuovamente un episodio sull’Etna, documentato ancora una volta da Giuseppe Distefano (Etna Walk) e reperibile su Youtube.

Dal Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 pubblicato dall’INGV-OE di Catania

E ancora nella notte tra il 13 ed il 14 dicembre 2020, in concomitanza con un’intensa attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, non uno, ma tre flussi piroclastici si sono distesi nell’alta area meridionale del vulcano; è stato sempre l’INGV (Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 – pagina 2) a darcene notizia: «[…] alle 22:15 si osservava un piccolo flusso piroclastico che si propagava dal fianco Sud-Ovest del SEC in direzione SSO. Alle 22:16, questo flusso si era già fermato e se ne generava un successivo più energetico, che ricalcando lo stesso percorso si espandeva per circa 2 km di distanza dal SEC in un tempo di ~40 sec (~50 m s-1), superando abbondantemente ad Ovest M.te Frumento Supino. Alle 22:30, si osservava un terzo flusso piroclastico di minore entità che si espandeva sempre in direzione SSO».

La didascalia allegata all’immagine chiarisce le varie fasi: “(a) fontana di lava e primo flusso piroclastico dal SEC osservati dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020. (b-k) sequenza della messa in posto del secondo flusso piroclastico dal SEC ripresa dalla telecamera termica di Nicolosi in 13 dicembre 2020 (Sud); (d) espansione del terzo flusso piroclastico dal SEC registrata dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020”.

Ma non è finita: nel corso dell’attività esplosiva ed effusiva del Cratere di Sud-Est (16 febbraio 2021) si è verificato un ulteriore flusso piroclastico, anche se di modesta entità. In rete si può vedere il filmato dell’evento, realizzato dall’Ingv, e quelle qui accanto sono alcune foto realizzate dal vulcanologo Boris Behncke.

 

Per completare l’informazione aggiungiamo alla lista anche un piccolo flusso, originato dal crollo parziale dell’orlo craterico del Sud-Est avvenuto in concomitanza con il 6° parossismo, quello del 24 febbraio.

Forse dobbiamo rivedere il nostro modo di avvicinarci alle quote più alte dell’Etna: fenomeni che credevamo non appartenessero al nostro vulcano, o che fossero soltanto dei ricordi di fasi evolutive molto lontane nel tempo, sono invece più frequenti di quanto non ci aspettassimo. Trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, può risultare fatale.

E nel resto del mondo?

Particolare dalla carta dell’isola di Martinica di Juan Lopez (1781)

La storia degli eventi vulcanici avvenuti in epoca recente ci porta a ricordare una delle più note e catastrofiche colate piroclastiche accaduta nell’isola della Martinica: nella primavera del 1902 il vulcano chiamato la Montagna Pelée cominciò a dare segni di irrequietezza che sfociarono, l’8 maggio, in una catastrofica eruzione che distrusse completamente la città di Saint-Pierre, fiorente porto commerciale posto lungo la costa sud-occidentale, e uccise in pochi istanti i suoi più di 28.000 abitanti.

Frontespizio dell’opera di Lacroix (biblioteca personale)
Nuée ardente ( foto A. Lacroix – collezione personale)

Nel 1904 il vulcanologo Alfred Lacroix pubblicò un’opera imponente (in due volumi), descrivendo minuziosamente l’eruzione della Pelée in tutti i suoi espetti; in quell’occasione coniò il termine nuée ardente (cioè nube ardente), che ben rende l’idea del fenomeno che si era verificato, e che venne osservato e fotografato ancora il 16 dicembre ed il 25 gennaio dello stesso anno.

L’opera, dal titolo La Montagne Pelée et ses éruptions, è oggi disponibile oltre che come ristampa anastatica dei due volumi originali, anche in edizione digitale e resa fruibile gratuitamente al link della Bibliothèque numerique en histoire des sciences dell’Université de Lille, qui di seguito indicato :  IRIS.

 

La città di Sain-Pierre dopo la distruzione (cartolina postale – collezione personale)

La città di Sain-Pierre, come già detto, fu completamente rasa al suolo: rimasero in piedi solo alcuni dei muri orientati nella stessa direzione del flusso piroclastico e… la prigione, con dentro uno dei due soli sopravvissuti nella città: un detenuto, Auguste Ciparis – riportato spesso come Ludger Sylbaris – che, benché ustionato, si salvò grazie agli spessissimi muri della cella e alla posizione della finestra, rivolta dalla parte opposta al flusso.

Auguste Ciparis, in una cartolina d’epoca (collezione personale)
Manifesto del Circo Barnum & Baile – il sopravvissuto nella “silent city of death”

L’altro scampato alla morte, Léon Compère-Léandre, si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite. Contrariamente a Ciparis che, liberato ed ottenuta la grazia, divenne una star internazionale grazie al Circo Barnum & Baile che lo portò in giro per il modo come attrazione mirabile, l’uomo sopravvissuto al giorno del giudizio”, Léon fu presto dimenticato.

Lo spettacolo che si presentò ai soccorritori fu tremendo, cadaveri o parti di essi erano sparsi un po’ dovunque. Si calcolò che la nube ardente avesse raggiunto la città in circa due minuti, alle 7:52, avendo viaggiato a circa 150 chilometri orari!

Purtroppo la Montagna Pelée non è il solo vulcano, oltre al Vesuvio, sul quale si verificano tali fenomeni. Oltre che dal collasso gravitazionale della colonna eruttiva non più sostentata dalla forza dei gas nel corso di una eruzione di tipo pliniano, tali valanghe si generano anche in seguito al crollo di parte dell’apparato vulcanico sommitale.

Nello stesso arcipelago di isole caraibiche, le Piccole Antille, anche un altro vulcano ha dato origine a flussi piroclastici, il vulcano Soufrière Hills nell’isola di Montserrat; il vulcano è tornato in attività nel 1995 dopo un lungo periodo di quiescenza, ha distrutto completamente la capitale dell’isola, Plymouth. Inoltre tanti altri vulcani della cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica presentano manifestazioni di questo tipo: a titolo di esempio ricordiamo il Monte Sinabung (in Indonesia, Gunung Sinabung nella lingua locale), il vulcano filippino Mayon (sull’isola di Luzon, nelle Filippine), Il Pinatubo, sempre nelle Filippine, il vulcano Merapi (nell’isola di Giava in Indonesia) che nell’ottobre-novembre 2010 ha generato flussi piroclastici che hanno determinato la morte di 353 persone.

il Monte Unzen  (Unzendake, in Giappone, ad est di Nagasaki, nell’isola di Kyushu) è anche tristemente noto per aver causato, nel 1991 e sempre a causa di nubi ardenti, la morte dei noti coniugi vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, oltre che di una quarantina di giornalisti e reporters.

In Italia non solo il Vesuvio (che ha generato modesti flussi piroclastici anche nel corso della sua ultima eruzione, quella del 1944) ma anche lo Stromboli nel 1930, e più recentemente nel corso delle cosiddette esplosioni maggiori del 3 luglio e del 28 agosto 2019, ha generato dei flussi piroclastici.

Per saperne di più sui vulcani di cui si è parlato, ma anche di tanti altri, può essere interessante consultare il Dictionaire des Volcans scritto dal vulcanologo Jean-Claude Tanguy e dal geologo Dominique Decobeq – redattore della  Revue de L.A.V.E (L’Association Volcanologique Européenne) – e pubblicato nel 2009 dalle Editions Jean-Paul Gisserot.

Con il titolo: Etna, il flusso piroclastico del 2 giugno 2025 (Foto Salvatore Lo Giudice)

 

 

 

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DANTE, 2500 anni di eruzioni dell’Etna https://ilvulcanico.it/dante-2500-anni-di-eruzioni-delletna/ Tue, 15 Apr 2025 15:38:12 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25519 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Il progetto raccoglie in un’unica piattaforma i principali cataloghi relativi alle eruzioni storiche del vulcano siciliano e li integra con i dati del monitoraggio vulcanologico realizzato dall’Osservatorio Etneo L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato DANTE, il database che raccoglie e sistematizza oltre 2500 anni di storia eruttiva dell’Etna, uno dei vulcani più attivi […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Il progetto raccoglie in un’unica piattaforma i principali cataloghi relativi alle eruzioni storiche del vulcano siciliano e li integra con i dati del monitoraggio vulcanologico realizzato dall’Osservatorio Etneo

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato DANTE, il database che raccoglie e sistematizza oltre 2500 anni di storia eruttiva dell’Etna, uno dei vulcani più attivi al mondo.

DANTE (Database of Etna’s historical eruptions), realizzato dalle Sezioni INGV di Catania – Osservatorio Etneo e di Pisa, è il risultato di una revisione critica dei principali cataloghi già pubblicati in precedenza, integrati e aggiornati con i dati del monitoraggio vulcanologico che svolge l’Osservatorio Etneo. “Il nuovo database rappresenta una risorsa unica e accessibile, che riunisce in un’unica piattaforma informazioni fino ad oggi sparse in diverse pubblicazioni scientifiche, molte delle quali di difficile accesso per il pubblico non specializzato”, spiega Stefano Branca, Direttore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV e co-autore della piattaforma. “Il progetto è pensato per essere dinamico: sarà infatti aperto a nuovi contributi e aggiornamenti basati su fonti storiche, geologiche e scientifiche future”.

Etna, attività 11 aprile 2025 (foto di Giovinsky Aetnensis)

Poiché la tipologia e la qualità delle informazioni disponibili per la compilazione sono significativamente differenti, DANTE è suddiviso in due intervalli temporalidal VI secolo a.C. al XVI secolo d.C., e dal XVII secolo a oggi. Mentre il primo intervallo è basato su dati geologici, stratigrafici, tefrostratigrafici e geocronologici derivati dalla carta geologica dell’Etna del 2011 e dai suoi successivi aggiornamenti, l’intervallo che arriva fino ai giorni nostri si basa su dati estratti dalle numerose documentazioni scientifiche disponibili in letteratura, integrati con i dati del monitoraggio vulcanologico degli ultimi 50 anni.

Con questa pubblicazione, l’INGV conferma il proprio impegno nella documentazione, nello studio e nella divulgazione dell’attività vulcanica dell’Etna volto ad accrescere la consapevolezza e le conoscenze sulla pericolosità vulcanica.

Clicca qui per scaricare DANTE (Database of Etna’s historical eruptions)

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

INGV – Osservatorio Etneo

INGV – Sezione di Pisa

 

 

 

 

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Etna, l’eruzione di 160 anni fa: così nacquero i Monti Sartorius https://ilvulcanico.it/etna-leruzione-di-160-anni-fa-cosi-nacquero-i-monti-sartorius/ Thu, 30 Jan 2025 06:15:41 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25349 di Santo Scalia  Centosessanta anni fa, il 30 gennaio 1865, sull’Etna cominciò un’eruzione che si protrasse per 150 giorni, terminando il 28 giugno. Nel versante nord-orientale, lungo una estesa frattura eruttiva allungata in direzione ENE-WSW, tra quota 1825 e 1625 m, si ebbe la formazione di una serie di coni di scorie, denominati successivamente Monti […]

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di Santo Scalia

 Centosessanta anni fa, il 30 gennaio 1865, sull’Etna cominciò un’eruzione che si protrasse per 150 giorni, terminando il 28 giugno. Nel versante nord-orientale, lungo una estesa frattura eruttiva allungata in direzione ENE-WSW, tra quota 1825 e 1625 m, si ebbe la formazione di una serie di coni di scorie, denominati successivamente Monti Sartorius in onore dello studioso tedesco barone Von Waltershausen.

L’area interessata dall’eruzione del 1865, e le successive colate del 1928 e 1971 (da Bull. Volcanolog. 2011 [4])
«I primi sintomi di un’incipiente eruzione si manifestarono alle 14,30 di sabato 28 gennaio 1865: gli abitanti di alcuni villaggi ubicati sul versante orientale dell’Etna osservarono nuvole di fumo sollevarsi da Monte Frumento delle Concazze; durante la notte successiva si udirono rombi sotterranei e furono avvertiti tremori del terreno. Il giorno dopo, 29 gennaio, la frequenza e l’intensità delle scosse sismiche, accompagnate da rombi sotterranei, aumentarono; il sisma più forte, avvenuto intorno alle 23 e avvertito fino ad Acireale, spinse gli abitanti di San Giovanni, di Sant’Alfio e della zona dei Monti Arsi ad uscire dalle loro case in preda al panico» (1).

È il vulcanologo Orazio Silvestri, testimone oculare degli avvenimenti di quegli anni, che descrive le fasi salienti dell’inizio dell’evento, il 30 gennaio: «[…] Alle dieci e mezzo una scossa più forte delle altre si fece sentire e poco dopo una vivissima luce rischiarò la base di un punto culminante di questo banco, la base del Monte Frumento. […] Il comparire di quella luce vivissima accompagnata dalla forte scossa di suolo, fu per ognuno un segnale indubitabile di una eruzione ed infatti dopo quel momento dalla base del monte Frumento per lunga fenditura di suolo ivi avvenuta, impetuosamente sgorgava tra nuvoli di denso fumo, con proiezioni a grande distanza di arene, scorie, e blocchi voluminosi di materia fusa con detonazioni spaventose un fiume di infuocata lava […]» (3).

Silvestri aggiunge ancora: «Ecco il gridoA Muntagna scassau ddà banna e jetta focusi propaga per tutte le popolazioni etnicole e le mette in apprensione per gli effetti imprevedibili nella loro specialità, ma pur troppo quasi sempre funesti di cui può esser causa l’ignivomo Monte» (3).

“Illustrated London News” del 15 aprile 1865

Nei giorni seguenti, lungo la frattura eruttiva, si generarono circa sette coni piroclastici la cui attività spettacolare impressionò non poco la stampa straniera: l’Illustrated London News del 15 aprile 1865 dedicò loro un’incisione, nella quale venivano evidenziati anche i notevoli danni apportati all’area boschiva nella quale si era aperta la frattura.

 

Anche la stampa transalpina si occupò dell’eruzione: tra le tante testate giornalistiche, la parigina Le Monde Illustré (N. 420 del 29 aprile 1865) pubblicò due splendide incisioni dell’attività eruttiva in corso sull’Etna, una delle quali è stata presentata in apertura.

 

 

Orazio Silvestri, nella sua relazione presentata all’Accademia Gioenia di Catania, produsse anche delle interessanti foto del teatro eruttivo. Queste tre da Memorie dell’Accademia Gioenia di Catania – 1867 – Orazio Silvestri.

Alcune di queste fotografie, insieme a tante altre, furono realizzate da Paul-Marcellin Berthier che visitò la Sicilia insieme al vulcanologo Ferdinand Fouqué ed ebbe modo di fotografare l’Etna in eruzione

Paul-Marcellin Berthier – Senza titolo. 1865Alcune di queste fotografie, insieme a tante altre, furono realizzate da Paul-Marcellin Berthier che visitò la
Paul-Marcellin Berthier – Alberi carbonizzati. 1865 (fonte MutualArt)

Le colate di lava dell’eruzione si estesero per circa 7,5 Km, raggiungendo quota 770 m s.l.m.

Cosa rimane oggi dell’eruzione del 1865? Oltre al vasto campo lavico e all’insieme dei coni piroclastici facilmente raggiungibili attraverso il sentiero natura Monti Sartorius (una facile escursione dalla lunghezza di 4 chilometri con un dislivello 100 metri), lungo la strada provinciale 59 Milo-Linguaglossa, nel tratto Fornazzo-Bivio Vena (la SP 59iii), si può osservare un altarino votivo che ricorda l’arresto (miracoloso?) della colata che stava per ricoprire quelle ubertose terre. Una lapide, posta nel 1936, riporta le seguenti parole: «Qui in loro difesa con fiducia ricondotta dai figli di chi prodigiosamente liberasti dalla minacciosa lava antistante 6 – febbr. – 1865»

Altarino votivo lungo la strada provinciale 59 Milo-Linguaglossa (Foto S. Scalia)

Riferimenti Bibliografici:

  • – Giovanni Tringali – Oronimi, toponimi e speleonimi etnei – Accademia Gioenia di Catania – 2012
  • – Orazio Silvestri – Sulla eruzione dell’Etna nel 1865; studi geologici e chimici – Il Nuovo cimento – 1865-66
  • – Orazio Silvestri – I fenomeni vulcanici presentati dall’Etna nel 1863-64-65-66 –Memorie dell’Accademia Gioenia di Catania – 1867
  • – P.Carveni, G.Mele, S.Benfatto, S.Imposa, M.Salleo Puntillo – Chronicle of the 1865, NE flank eruption of Mt. Etna and geomorphologic survey of the Mts. Sartorius area – Bull Volcanol 2011
  • Le Mont Etna et l’eruption de 1865 – Revue des deux mondes 1865/07-1865/08.
  • – Mariano Grassi – Relazione storica ed osservazioni sulla eruzione etnea del 1865 – Catania 1865
  • – M. Fouqué – Rapport sur l’éruption de l’Etna en 1865 – Archives des missions scientifiques et littéraries – 1865

Con il titolo: Le Monde Illustré (N. 420 del 29 aprile 1865)

 

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Gino Menza, caduto sull’Etna un secolo fa https://ilvulcanico.it/gino-menza-caduto-sulletna-un-secolo-fa/ Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25324 di Santo Scalia Gino Menza, chi si ricorda di lui? Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa. Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni […]

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di Santo Scalia

Gino Menza, chi si ricorda di lui?

Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa.

La Valle del Bove, nel corso delle prime fasi dell’eruzione 1991-93 (foto S. Scalia)

Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni nella Valle del Bove: infatti, a Gino Menza erano dedicati un rifugio (distrutto poi definitivamente, dopo anni di abbandono, nel corso dell’eruzione del 1991-93) e una Croce di ferro posta ai piedi del Monte Zoccolaro, scomparsa anch’essa nel corso della stessa eruzione.

Per i più giovani, invece, il nome di Menza probabilmente non dice nulla, essendo scomparso il suo ricordo anche dalle carte topografiche.  È quindi un nostro impegno quello di tramandare conoscenze e ricordi che altrimenti andrebbero perduti.

Gino Menza era un attivo socio della sezione catanese del Club Alpino Italiano, il C.A.I. Il 18 gennaio del 1925 mentre era impegnato in una attività alpinistica sulla parete del Monte Zoccolaro, nella bassa Valle del Bove, perse la vita cadendo insieme ad altri due suoi compagni, Umberto Sapienza e Filippo Perciabosco. Gino morì in seguito alla caduta, mentre i due suoi amici si salvarono.

“Sciagura di escursionisti sull’Etna”, così titolava il quotidiano La Stampa di Torino del 20 gennaio di quell’anno, riportando la tragica notizia: «I giovani Menza, Perciaboschi Flippo e Sapienza Umberto erano ieri mattina partiti in automobile per Zafferana, donde avrebbero dovuto iniziare l’ascensione del monte Pomiciara [sic!], posto sulle falde orientali dell’Etna. I giovani, dopo una faticosa ascensione, raggiunsero felicemente la vetta. Quindi si accingevano alla discesa lungo il primo canalone che conduce alla profonda valle del Bove. Il canalone era completamente ghiacciato. I tre giovani si tenevano accordati, ma uno di essi, il Sapienza, prima che gli altri fossero pronti, si lasciò andare per la pericolosa discesa, tirandosi dietro i compagni. I tre ruzzolarono per 300 metri precipitando fino al fondo del burrone. Il Perciaboschi riportò fortunatamente contusioni non molto gravi e, visti i compagni in grave stato, si diede a gridare chiamando aiuto. Un’altra comitiva di gitanti, che si trovava in fondo alla valle del Bove, e colla quale era il prof. Beccari, immediatamente accorso sul posto recando aiuto. Il Menza era moribondo, mentre il Sapienza era irriconoscibile per le numerose lesioni riportate al viso ed agli arti. Il Perciaboschi venne subito trasportato a dorso di mulo, mentre il Sapienza venne portato in barella. Sul posto si recarono le autorità per le necessarie constatazioni di legge e per disporre la rimozione del cadavere del povero Menza».

Altre fonti, però, precisano che i tre «[…] in cordata, arrampicano lungo un canalone ghiacciato della Serra del Salifizio all’interno della Valle [del Bove, n.d.A.]» (da una delle pagine web della sezione C.A.I. di Catania).

Un po’ di confusione rimane, in merito all’esatta dinamica dell’incidente: dallo stesso sito, in una pagina successiva, apprendiamo che «[…] Gino Menza, […] aveva perso la vita nel 1925 durante una discesa della parete della Serra del Salifizio, mentre si trovava in cordata con altri due escursionisti».

Allora, si trattava di un’arrampicata o di una discesa? Poco importa, rimane il tragico esito dell’escursione, col decesso del solo Menza e il ferimento degli altri due compagni di avventura.

Altre testimonianze verbali, da me raccolte nel tempo, confermerebbero la seconda tesi: sembra infatti che durante la discesa i tre fossero legati in cordata e che aprisse la discesa Umberto Sapienza, che scavava i gradini; seguiva Perciabosco e in ultimo, Gino Menza. Ma all’improvviso Sapienza iniziò a scivolare trascinando nella rovinosa caduta i compagni di cordata, e tutti e tre, dopo un salto spaventoso, andarono a sbattere contro un masso alla base del Trifoglietto. Vennero raccolti dai compagni di gita che avevano invece seguito un percorso più sicuro. Sapienza e Perciabosco erano feriti ma il giovane Menza era morto.

Accanto Alla Croce Menza, agosto 1981

Sul luogo dell’incidente, per iniziativa sella Sezione catanese del CAI, venne in seguito collocata una Croce metallica, che rimarrà nella valle fino al 1992: la più lunga eruzione del XX secolo, quella del 1991-93, la farà sparire per sempre.

La distruzione del Rifugio Menza, da un frame di un servizio televisivo della RAI (realizzato da Giovanni Tomarchio)

Al nome di Menza è legata anche la realizzazione, nei primi anni degli anni trenta del secolo scorso, di un rifugio a quota 1680, circa 300 m ad est del cosiddetto Castello del Trifoglietto. Anche il rifugio, comunque da tempo in stato di abbandono, è stato sepolto completamente dalle lave della stessa eruzione.

Quella del Rifugio Menza è però un’altra storia, che si può leggere nell’ottimo articolo di  Grazia Musumeci.

Con il titolo: particolare della Croce Menza in Valle del Bove, non più esistente (foto S. Scalia)

 

(Gaetano Perricone). Voglio aggiungerle due mie parole. Questo bellissimo, emozionante articolo è memoria collettiva di tutti i figli dell’Etna, nativi e acquisiti, che hanno imparato a considerare il Rifugio Menza una vera leggenda del nostro vulcano Patrimonio dell’umanità. E dunque facciomo ancora una volta i complimenti di vero cuore al grandissimo Santo Scalia, che rende viva e palpitante questa memoria con il suo straordinario archivio e la sua appassionata penna o tastiera come oggi si deve dire, ma siamo anche molto contenti di ospitare sul Vulcanico.it l’eccellente articolo sulla storia del Rifugio dell’amica Grazie Musumeci, anima etnea davvero speciale 

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L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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Polifemo, millenario tra gli ulivi, con il suo olio della pace https://ilvulcanico.it/polifemo-millenario-tra-gli-ulivi-con-il-suo-olio-della-pace/ Sun, 17 Nov 2024 06:13:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25210 di Pippo Raiti  Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco […]

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di Pippo Raiti 
Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco distante dalla Cuba Bizantina e dal fiume Alcantara, “vive” proprio uno di quei grandi ulivi secolari, il cui nome è Polifemo (secondo una datazione presunta, sembra che la sua età si aggiri intorno ai 1200 anni). Nome mitologico dovuto all’imponenza del suo tronco, alle sue salde e pronunciate radici che lo legano indissolubilmente alla terra da cui trae il suo nutrimento. Le sue estese fronde, come braccia tese verso l’Etna, sembrano volerla ringraziare per il prezioso dono.
Per la sua veneranda età esso rappresenta esso rappresenta la memoria storia di vite di un tempo lontano e di un tempo più o meno recente: ogni suo nodo, ogni sua contorsione, rappresenta una voce narrante e i suoi racconti sono preziosi insegnamenti. Chissà quante genti hanno raccolto e goduto dei suoi frutti. Quante storie, quante leggende, quanti misteri sono racchiusi tra quei nodi, quante mani hanno raccolto le sue drupe e quanti canti di donne chine hanno hanno ascoltato le sue fronde.
Chissà quale soddisfazione sta provando quell’umile contadino che oltre mille anni fa mise a dimora un ramoscello di ulivo, chissà le storie che avrà sentito, le gioie, i lamenti di chi puntualmente ogni anno si apprestava alla raccolta delle sue drupe. Chissà quante lingue diverse, quanti popoli diversi si sono avvicendati e chissà quante leggende sono state narrate all’ombra delle sue fronde.
Sono tutti questi quesiti che, chissà fin da bambino, mi ponevo nella mente quando accompagnavo  mio padre in campagna e proprio lì, seduto all’ombra dell’ulivo fantasticavo di storie lontane. Man mano crescevo e, attraverso gli studi, quei chissà trovarono spiegazioni storiche e anche lo studio dei miti greci mi fecero scoprire della leggenda della nascita della pianta di ulivo e di come ad esso venne riconosciuto il simbolo di pace.
Ecco che, come spesso accade da adulto, si verifica un ritorno agli studi passati, dettato dal desiderio di voler rendere omaggio a quell’ulivo  che, come un anziano merita di essere raccontato, affinché divenga memoria di un tempo lontano e, attraverso la sua leggenda, divenga memoria contemporanea di un mondo sempre più in bilico tra guerra e pace.
Da qui nasce l’idea dell’olio della pace, prodotto esclusivamente dalla raccolta delle sue olive,  cosicché il perdurare di quest’ulivo secolare diventi metafora dei valori che devono insistere e resistere come le radici profonde di Polifemo.

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Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

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“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

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