storie Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/storie/ Il Blog di Gaetano Perricone Wed, 04 Jun 2025 16:27:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.1 Flussi piroclastici nel mondo … e sull’Etna https://ilvulcanico.it/flussi-piroclastici-nel-mondo-e-anche-sulletna/ Wed, 04 Jun 2025 16:00:53 +0000 http://ilvulcanico.it/?p=18820 di Santo Scalia La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre. Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione […]

L'articolo Flussi piroclastici nel mondo … e sull’Etna proviene da Il Vulcanico.

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di Santo Scalia

La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre.

Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.

Cosa sono i flussi piroclastici? L’aggettivo piroclàstico [composto di piro– e clastico] è attribuito a “quei materiali che devono la loro genesi alle fasi esplosive del vulcanismo” [Treccani]. Cercando di essere più chiari, un prodotto piroclastico è quindi qualcosa che deve la sua formazione all’azione congiunta del fuoco (dal gr. πῦρ πυρός, «fuoco») e della frammentazione (dal greco κλαστός, «spezzato, sminuzzato», dal verbo κλάζω). Di questo fenomeno si è già parlato su questo blog (ilVulcanco.it), ma qui voglio ricordare alcuni aspetti legati alla storia del nostro vulcano, l’Etna.

Una colata piroclastica, detta anche flusso piroclastico o nube ardente, è formata dal letale miscuglio di gas ad alta temperatura, granuli di lava, ceneri vulcaniche e massi di varie dimensioni che rotola giù lungo i pendii del vulcano, con un enorme potere distruttivo nella sua discesa dato dall’energia cinetica acquistata per azione gravitazionale e dall’alta temperatura dei suoi componenti.

L’Etna spesso viene visto come un vulcano dalle abitudini prevalentemente effusive. Ma analizzando l’attività, anche remota, della nostra montagna vediamo che sull’Etna si sono verificati episodi di attività esplosiva particolarmente intensi, e che flussi piroclastici sono scesi anche lungo i suoi fianchi. E ciò non solo in epoche remote, ma anche in tempi recentissimi!

Proprio qualche giorno fa, nella mattinata del 2 giugno, nel corso del quattordicesimo episodio eruttivo avvenuto nell’anno in corso, il crollo di una parte del cono del Cratere di Sud-Est ha dato origine ad una valanga piroclastica che è scesa velocemente in direzione della Valle del Leone nella quale si è inoltrata per più di tre chilometri.

Il web pullula di immagini spettacolari e preoccupanti che mostrano l’enorme nuvola scura che si espande sulle pendici nord-orientali del vulcano, mentre numerosi turisti ed escursionisti osservano, affascinati e/o terrorizzati, l’evoluzione del fenomeno.

Un’idea di quanto accaduto si può avere guardando il video realizzato dal sito Etna 4 Seasons ( www.etna4seasons.it ) che ringraziamo per averne gentilmente concesso la riproduzione:

https://www.facebook.com/share/v/1AHUYpdfZB/

Fortunatamente non ci sono state vittime! Così non sarebbe stato se il crollo di parte del Cratere fosse stato più esteso; se il vento non avesse indirizzato, proprio in quei minuti, il flusso in direzione della Valle del Leone e non verso luoghi vicini, quali Pizzi Deneri e Piano delle Concazze; se, anziché la parte settentrionale, a crollare fosse stata quella meridionale, cosa che avrebbe indirizzato il mortale flusso in direzione del frequentatissimo Piano del Lago.

Ci si può porre una domanda: in passato erano già accaduti eventi del genere?

All’incirca 15.000 anni fa «durante un’intensa fase esplosiva caratterizzata da una serie di eruzioni pliniane, che hanno causato la formazione di una caldera» fu prodotta «una serie di depositi piroclastici ampiamente distribuiti sui fianchi dell’Etna» (dal blog IlVulcanico, 5 gennaio 2020).

Flusso piroclastico del 2006 (credits M.D.V. Etna Walk)

Ma anche nel passato recente si sono verificati flussi piroclastici lungo i pendii etnei: alcuni erano già stati osservati sull’Etna nel 2006 – come di seguito documentato dalla foto gentilmente concessa da Giuseppe Distefano (EtnaWalk) – nel 2012 (grazie alla impressionante testimonianza dell’amico Saro Barbagallo (vedi filmato) e nel 2013, foto realizzata dall’Autore

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

«Nel mattino del 11 febbraio 2014, alle ore 06:07 GMT (=ore locali -1), dal basso versante orientale del cono del Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC) dell’Etna, si è staccato un volume di roccia instabile e parzialmente calda, formando una sorta di frana o valanga dall’aspetto molto simile ad un flusso piroclastico, che in circa un minuto è scesa sulla ripida parete occidentale della Valle del Bove, arrestandosi sul terreno più pianeggiante sul fondo della Valle […] Il flusso si è rapidamente allargato mentre avanzava sul campo lavico del 2008-2009, ricoprendolo quasi per intero, e raggiungendo il fondo della Valle del Bove con un fronte largo circa 1 km.». Così veniva descritto l’evento in un “aggiornamento” emesso dall’Ingv alle ore 08:20 di quel giorno.

 

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

Il video della registrazione dell’evento dell’11 febbraio 2014 (ripreso dalla telecamera termica dell’INGV-Osservatorio Etneo posta a Monte Cagliato, sul fianco orientale dell’Etna) si può ammirare sul canale internet Youtube.

In seguito a questo episodio, che in altre situazioni avrebbe potuto anche avere conseguenze tragiche, la Prefettura di Catania vietò le escursioni, oltre che alle alte quote, anche nella parte alta della Valle del Bove. L’accesso alla Valle rimase vietato fino all’agosto dello stesso anno.

Flusso piroclastico del 2015 (immagine gentilmente concessa da G. Distefano – Etna Walk)

Nel 2015 nuovamente un episodio sull’Etna, documentato ancora una volta da Giuseppe Distefano (Etna Walk) e reperibile su Youtube.

Dal Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 pubblicato dall’INGV-OE di Catania

E ancora nella notte tra il 13 ed il 14 dicembre 2020, in concomitanza con un’intensa attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, non uno, ma tre flussi piroclastici si sono distesi nell’alta area meridionale del vulcano; è stato sempre l’INGV (Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 – pagina 2) a darcene notizia: «[…] alle 22:15 si osservava un piccolo flusso piroclastico che si propagava dal fianco Sud-Ovest del SEC in direzione SSO. Alle 22:16, questo flusso si era già fermato e se ne generava un successivo più energetico, che ricalcando lo stesso percorso si espandeva per circa 2 km di distanza dal SEC in un tempo di ~40 sec (~50 m s-1), superando abbondantemente ad Ovest M.te Frumento Supino. Alle 22:30, si osservava un terzo flusso piroclastico di minore entità che si espandeva sempre in direzione SSO».

La didascalia allegata all’immagine chiarisce le varie fasi: “(a) fontana di lava e primo flusso piroclastico dal SEC osservati dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020. (b-k) sequenza della messa in posto del secondo flusso piroclastico dal SEC ripresa dalla telecamera termica di Nicolosi in 13 dicembre 2020 (Sud); (d) espansione del terzo flusso piroclastico dal SEC registrata dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020”.

Ma non è finita: nel corso dell’attività esplosiva ed effusiva del Cratere di Sud-Est (16 febbraio 2021) si è verificato un ulteriore flusso piroclastico, anche se di modesta entità. In rete si può vedere il filmato dell’evento, realizzato dall’Ingv, e quelle qui accanto sono alcune foto realizzate dal vulcanologo Boris Behncke.

 

Per completare l’informazione aggiungiamo alla lista anche un piccolo flusso, originato dal crollo parziale dell’orlo craterico del Sud-Est avvenuto in concomitanza con il 6° parossismo, quello del 24 febbraio.

Forse dobbiamo rivedere il nostro modo di avvicinarci alle quote più alte dell’Etna: fenomeni che credevamo non appartenessero al nostro vulcano, o che fossero soltanto dei ricordi di fasi evolutive molto lontane nel tempo, sono invece più frequenti di quanto non ci aspettassimo. Trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, può risultare fatale.

E nel resto del mondo?

Particolare dalla carta dell’isola di Martinica di Juan Lopez (1781)

La storia degli eventi vulcanici avvenuti in epoca recente ci porta a ricordare una delle più note e catastrofiche colate piroclastiche accaduta nell’isola della Martinica: nella primavera del 1902 il vulcano chiamato la Montagna Pelée cominciò a dare segni di irrequietezza che sfociarono, l’8 maggio, in una catastrofica eruzione che distrusse completamente la città di Saint-Pierre, fiorente porto commerciale posto lungo la costa sud-occidentale, e uccise in pochi istanti i suoi più di 28.000 abitanti.

Frontespizio dell’opera di Lacroix (biblioteca personale)
Nuée ardente ( foto A. Lacroix – collezione personale)

Nel 1904 il vulcanologo Alfred Lacroix pubblicò un’opera imponente (in due volumi), descrivendo minuziosamente l’eruzione della Pelée in tutti i suoi espetti; in quell’occasione coniò il termine nuée ardente (cioè nube ardente), che ben rende l’idea del fenomeno che si era verificato, e che venne osservato e fotografato ancora il 16 dicembre ed il 25 gennaio dello stesso anno.

L’opera, dal titolo La Montagne Pelée et ses éruptions, è oggi disponibile oltre che come ristampa anastatica dei due volumi originali, anche in edizione digitale e resa fruibile gratuitamente al link della Bibliothèque numerique en histoire des sciences dell’Université de Lille, qui di seguito indicato :  IRIS.

 

La città di Sain-Pierre dopo la distruzione (cartolina postale – collezione personale)

La città di Sain-Pierre, come già detto, fu completamente rasa al suolo: rimasero in piedi solo alcuni dei muri orientati nella stessa direzione del flusso piroclastico e… la prigione, con dentro uno dei due soli sopravvissuti nella città: un detenuto, Auguste Ciparis – riportato spesso come Ludger Sylbaris – che, benché ustionato, si salvò grazie agli spessissimi muri della cella e alla posizione della finestra, rivolta dalla parte opposta al flusso.

Auguste Ciparis, in una cartolina d’epoca (collezione personale)
Manifesto del Circo Barnum & Baile – il sopravvissuto nella “silent city of death”

L’altro scampato alla morte, Léon Compère-Léandre, si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite. Contrariamente a Ciparis che, liberato ed ottenuta la grazia, divenne una star internazionale grazie al Circo Barnum & Baile che lo portò in giro per il modo come attrazione mirabile, l’uomo sopravvissuto al giorno del giudizio”, Léon fu presto dimenticato.

Lo spettacolo che si presentò ai soccorritori fu tremendo, cadaveri o parti di essi erano sparsi un po’ dovunque. Si calcolò che la nube ardente avesse raggiunto la città in circa due minuti, alle 7:52, avendo viaggiato a circa 150 chilometri orari!

Purtroppo la Montagna Pelée non è il solo vulcano, oltre al Vesuvio, sul quale si verificano tali fenomeni. Oltre che dal collasso gravitazionale della colonna eruttiva non più sostentata dalla forza dei gas nel corso di una eruzione di tipo pliniano, tali valanghe si generano anche in seguito al crollo di parte dell’apparato vulcanico sommitale.

Nello stesso arcipelago di isole caraibiche, le Piccole Antille, anche un altro vulcano ha dato origine a flussi piroclastici, il vulcano Soufrière Hills nell’isola di Montserrat; il vulcano è tornato in attività nel 1995 dopo un lungo periodo di quiescenza, ha distrutto completamente la capitale dell’isola, Plymouth. Inoltre tanti altri vulcani della cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica presentano manifestazioni di questo tipo: a titolo di esempio ricordiamo il Monte Sinabung (in Indonesia, Gunung Sinabung nella lingua locale), il vulcano filippino Mayon (sull’isola di Luzon, nelle Filippine), Il Pinatubo, sempre nelle Filippine, il vulcano Merapi (nell’isola di Giava in Indonesia) che nell’ottobre-novembre 2010 ha generato flussi piroclastici che hanno determinato la morte di 353 persone.

il Monte Unzen  (Unzendake, in Giappone, ad est di Nagasaki, nell’isola di Kyushu) è anche tristemente noto per aver causato, nel 1991 e sempre a causa di nubi ardenti, la morte dei noti coniugi vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, oltre che di una quarantina di giornalisti e reporters.

In Italia non solo il Vesuvio (che ha generato modesti flussi piroclastici anche nel corso della sua ultima eruzione, quella del 1944) ma anche lo Stromboli nel 1930, e più recentemente nel corso delle cosiddette esplosioni maggiori del 3 luglio e del 28 agosto 2019, ha generato dei flussi piroclastici.

Per saperne di più sui vulcani di cui si è parlato, ma anche di tanti altri, può essere interessante consultare il Dictionaire des Volcans scritto dal vulcanologo Jean-Claude Tanguy e dal geologo Dominique Decobeq – redattore della  Revue de L.A.V.E (L’Association Volcanologique Européenne) – e pubblicato nel 2009 dalle Editions Jean-Paul Gisserot.

Con il titolo: Etna, il flusso piroclastico del 2 giugno 2025 (Foto Salvatore Lo Giudice)

 

 

 

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Flussi piroclastici sull’Etna e nel mondo https://ilvulcanico.it/flussi-piroclastici-sulletna-e-nel-mondo/ Wed, 04 Jun 2025 15:07:53 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25672 di Santo Scalia La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre. Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione […]

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di Santo Scalia

La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre.

Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.

Cosa sono i flussi piroclastici? L’aggettivo piroclàstico [composto di piro– e clastico] è attribuito a “quei materiali che devono la loro genesi alle fasi esplosive del vulcanismo” [Treccani]. Cercando di essere più chiari, un prodotto piroclastico è quindi qualcosa che deve la sua formazione all’azione congiunta del fuoco (dal gr. πῦρ πυρός, «fuoco») e della frammentazione (dal greco κλαστός, «spezzato, sminuzzato», dal verbo κλάζω). Di questo fenomeno si è già parlato su questo blog (ilVulcanco.it), ma qui voglio ricordare alcuni aspetti legati alla storia del nostro vulcano, l’Etna.

Una colata piroclastica, detta anche flusso piroclastico o nube ardente, è formata dal letale miscuglio di gas ad alta temperatura, granuli di lava, ceneri vulcaniche e massi di varie dimensioni che rotola giù lungo i pendii del vulcano, con un enorme potere distruttivo nella sua discesa dato dall’energia cinetica acquistata per azione gravitazionale e dall’alta temperatura dei suoi componenti.

L’Etna spesso viene visto come un vulcano dalle abitudini prevalentemente effusive. Ma analizzando l’attività, anche remota, della nostra montagna vediamo che sull’Etna si sono verificati episodi di attività esplosiva particolarmente intensi, e che flussi piroclastici sono scesi anche lungo i suoi fianchi. E ciò non solo in epoche remote, ma anche in tempi recentissimi!

Proprio qualche giorno fa, nella mattinata del 2 giugno 2025, nel corso del quattordicesimo episodio eruttivo avvenuto nell’anno in corso, il crollo di una parte del cono del Cratere di Sud-Est ha dato origine ad una valanga piroclastica che è scesa velocemente in direzione della Valle del Leone nella quale si è inoltrata per più di tre chilometri.

Il web pullula di immagini spettacolari e preoccupanti che mostrano l’enorme nuvola scura che si espande sulle pendici nord-orientali del vulcano, mentre numerosi turisti ed escursionisti osservano, affascinati e/o terrorizzati, l’evoluzione del fenomeno.

Un’idea di quanto accaduto si può avere guardando il video realizzato dal sito Etna 4 Seasons ( www.etna4seasons.it ) che ringraziamo per averne gentilmente concesso la riproduzione:

https://www.facebook.com/share/v/1AHUYpdfZB/

Fortunatamente non ci sono state vittime! Così non sarebbe stato se il crollo di parte del Cratere fosse stato più esteso; se il vento non avesse indirizzato, proprio in quei minuti, il flusso in direzione della Valle del Leone e non verso luoghi vicini, quali Pizzi Deneri e Piano delle Concazze; se, anziché la parte settentrionale, a crollare fosse stata quella meridionale, cosa che avrebbe indirizzato il mortale flusso in direzione del frequentatissimo Piano del Lago.

Ci si può porre una domanda: in passato erano già accaduti eventi del genere?

All’incirca 15.000 anni fa «durante un’intensa fase esplosiva caratterizzata da una serie di eruzioni pliniane, che hanno causato la formazione di una caldera» fu prodotta «una serie di depositi piroclastici ampiamente distribuiti sui fianchi dell’Etna» (dal blog IlVulcanico, 5 gennaio 2020).

Flusso piroclastico del 2006 (credits M.D.V. Etna Walk)

Ma anche nel passato recente si sono verificati flussi piroclastici lungo i pendii etnei: alcuni erano già stati osservati sull’Etna nel 2006 – come di seguito documentato dalla foto gentilmente concessa da Giuseppe Distefano (EtnaWalk) – nel 2012 (grazie alla impressionante testimonianza dell’amico Saro Barbagallo (vedi filmato) e nel 2013, foto realizzata dall’Autore

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

«Nel mattino del 11 febbraio 2014, alle ore 06:07 GMT (=ore locali -1), dal basso versante orientale del cono del Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC) dell’Etna, si è staccato un volume di roccia instabile e parzialmente calda, formando una sorta di frana o valanga dall’aspetto molto simile ad un flusso piroclastico, che in circa un minuto è scesa sulla ripida parete occidentale della Valle del Bove, arrestandosi sul terreno più pianeggiante sul fondo della Valle […] Il flusso si è rapidamente allargato mentre avanzava sul campo lavico del 2008-2009, ricoprendolo quasi per intero, e raggiungendo il fondo della Valle del Bove con un fronte largo circa 1 km.». Così veniva descritto l’evento in un “aggiornamento” emesso dall’Ingv alle ore 08:20 di quel giorno.

 

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

Il video della registrazione dell’evento dell’11 febbraio 2014 (ripreso dalla telecamera termica dell’INGV-Osservatorio Etneo posta a Monte Cagliato, sul fianco orientale dell’Etna) si può ammirare sul canale internet Youtube.

In seguito a questo episodio, che in altre situazioni avrebbe potuto anche avere conseguenze tragiche, la Prefettura di Catania vietò le escursioni, oltre che alle alte quote, anche nella parte alta della Valle del Bove. L’accesso alla Valle rimase vietato fino all’agosto dello stesso anno.

Flusso piroclastico del 2015 (immagine gentilmente concessa da G. Distefano – Etna Walk)

Nel 2015 nuovamente un episodio sull’Etna, documentato ancora una volta da Giuseppe Distefano (Etna Walk) e reperibile su Youtube.

Dal Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 pubblicato dall’INGV-OE di Catania

E ancora nella notte tra il 13 ed il 14 dicembre 2020, in concomitanza con un’intensa attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, non uno, ma tre flussi piroclastici si sono distesi nell’alta area meridionale del vulcano; è stato sempre l’INGV (Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 – pagina 2) a darcene notizia: «[…] alle 22:15 si osservava un piccolo flusso piroclastico che si propagava dal fianco Sud-Ovest del SEC in direzione SSO. Alle 22:16, questo flusso si era già fermato e se ne generava un successivo più energetico, che ricalcando lo stesso percorso si espandeva per circa 2 km di distanza dal SEC in un tempo di ~40 sec (~50 m s-1), superando abbondantemente ad Ovest M.te Frumento Supino. Alle 22:30, si osservava un terzo flusso piroclastico di minore entità che si espandeva sempre in direzione SSO».

La didascalia allegata all’immagine chiarisce le varie fasi: “(a) fontana di lava e primo flusso piroclastico dal SEC osservati dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020. (b-k) sequenza della messa in posto del secondo flusso piroclastico dal SEC ripresa dalla telecamera termica di Nicolosi in 13 dicembre 2020 (Sud); (d) espansione del terzo flusso piroclastico dal SEC registrata dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020”.

Ma non è finita: nel corso dell’attività esplosiva ed effusiva del Cratere di Sud-Est (16 febbraio 2021) si è verificato un ulteriore flusso piroclastico, anche se di modesta entità. In rete si può vedere il filmato dell’evento, realizzato dall’Ingv, e quelle qui accanto sono alcune foto realizzate dal vulcanologo Boris Behncke.

 

Per completare l’informazione aggiungiamo alla lista anche un piccolo flusso, originato dal crollo parziale dell’orlo craterico del Sud-Est avvenuto in concomitanza con il 6° parossismo, quello del 24 febbraio.

Forse dobbiamo rivedere il nostro modo di avvicinarci alle quote più alte dell’Etna: fenomeni che credevamo non appartenessero al nostro vulcano, o che fossero soltanto dei ricordi di fasi evolutive molto lontane nel tempo, sono invece più frequenti di quanto non ci aspettassimo. Trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, può risultare fatale.

E nel resto del mondo?

Particolare dalla carta dell’isola di Martinica di Juan Lopez (1781)

La storia degli eventi vulcanici avvenuti in epoca recente ci porta a ricordare una delle più note e catastrofiche colate piroclastiche accaduta nell’isola della Martinica: nella primavera del 1902 il vulcano chiamato la Montagna Pelée cominciò a dare segni di irrequietezza che sfociarono, l’8 maggio, in una catastrofica eruzione che distrusse completamente la città di Saint-Pierre, fiorente porto commerciale posto lungo la costa sud-occidentale, e uccise in pochi istanti i suoi più di 28.000 abitanti.

Frontespizio dell’opera di Lacroix (biblioteca personale)
Nuée ardente ( foto A. Lacroix – collezione personale)

Nel 1904 il vulcanologo Alfred Lacroix pubblicò un’opera imponente (in due volumi), descrivendo minuziosamente l’eruzione della Pelée in tutti i suoi espetti; in quell’occasione coniò il termine nuée ardente (cioè nube ardente), che ben rende l’idea del fenomeno che si era verificato, e che venne osservato e fotografato ancora il 16 dicembre ed il 25 gennaio dello stesso anno.

L’opera, dal titolo La Montagne Pelée et ses éruptions, è oggi disponibile oltre che come ristampa anastatica dei due volumi originali, anche in edizione digitale e resa fruibile gratuitamente al link della Bibliothèque numerique en histoire des sciences dell’Université de Lille, qui di seguito indicato :  IRIS.

 

La città di Sain-Pierre dopo la distruzione (cartolina postale – collezione personale)

La città di Sain-Pierre, come già detto, fu completamente rasa al suolo: rimasero in piedi solo alcuni dei muri orientati nella stessa direzione del flusso piroclastico e… la prigione, con dentro uno dei due soli sopravvissuti nella città: un detenuto, Auguste Ciparis – riportato spesso come Ludger Sylbaris – che, benché ustionato, si salvò grazie agli spessissimi muri della cella e alla posizione della finestra, rivolta dalla parte opposta al flusso.

Auguste Ciparis, in una cartolina d’epoca (collezione personale)
Manifesto del Circo Barnum & Baile – il sopravvissuto nella “silent city of death”

L’altro scampato alla morte, Léon Compère-Léandre, si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite. Contrariamente a Ciparis che, liberato ed ottenuta la grazia, divenne una star internazionale grazie al Circo Barnum & Baile che lo portò in giro per il modo come attrazione mirabile, l’uomo sopravvissuto al giorno del giudizio”, Léon fu presto dimenticato.

Lo spettacolo che si presentò ai soccorritori fu tremendo, cadaveri o parti di essi erano sparsi un po’ dovunque. Si calcolò che la nube ardente avesse raggiunto la città in circa due minuti, alle 7:52, avendo viaggiato a circa 150 chilometri orari!

Purtroppo la Montagna Pelée non è il solo vulcano, oltre al Vesuvio, sul quale si verificano tali fenomeni. Oltre che dal collasso gravitazionale della colonna eruttiva non più sostentata dalla forza dei gas nel corso di una eruzione di tipo pliniano, tali valanghe si generano anche in seguito al crollo di parte dell’apparato vulcanico sommitale.

Nello stesso arcipelago di isole caraibiche, le Piccole Antille, anche un altro vulcano ha dato origine a flussi piroclastici, il vulcano Soufrière Hills nell’isola di Montserrat; il vulcano è tornato in attività nel 1995 dopo un lungo periodo di quiescenza, ha distrutto completamente la capitale dell’isola, Plymouth. Inoltre tanti altri vulcani della cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica presentano manifestazioni di questo tipo: a titolo di esempio ricordiamo il Monte Sinabung (in Indonesia, Gunung Sinabung nella lingua locale), il vulcano filippino Mayon (sull’isola di Luzon, nelle Filippine), Il Pinatubo, sempre nelle Filippine, il vulcano Merapi (nell’isola di Giava in Indonesia) che nell’ottobre-novembre 2010 ha generato flussi piroclastici che hanno determinato la morte di 353 persone.

il Monte Unzen  (Unzendake, in Giappone, ad est di Nagasaki, nell’isola di Kyushu) è anche tristemente noto per aver causato, nel 1991 e sempre a causa di nubi ardenti, la morte dei noti coniugi vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, oltre che di una quarantina di giornalisti e reporters.

In Italia non solo il Vesuvio (che ha generato modesti flussi piroclastici anche nel corso della sua ultima eruzione, quella del 1944) ma anche lo Stromboli nel 1930, e più recentemente nel corso delle cosiddette esplosioni maggiori del 3 luglio e del 28 agosto 2019, ha generato dei flussi piroclastici.

Per saperne di più sui vulcani di cui si è parlato, ma anche di tanti altri, può essere interessante consultare il Dictionaire des Volcans scritto dal vulcanologo Jean-Claude Tanguy e dal geologo Dominique Decobeq – redattore della  Revue de L.A.V.E (L’Association Volcanologique Européenne) – e pubblicato nel 2009 dalle Editions Jean-Paul Gisserot.

Con il titolo: Etna, il flusso piroclastico del 2 giugno 2025 (Foto Salvatore Lo Giudice)

 

 

 

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DANTE, 2500 anni di eruzioni dell’Etna https://ilvulcanico.it/dante-2500-anni-di-eruzioni-delletna/ Tue, 15 Apr 2025 15:38:12 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25519 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Il progetto raccoglie in un’unica piattaforma i principali cataloghi relativi alle eruzioni storiche del vulcano siciliano e li integra con i dati del monitoraggio vulcanologico realizzato dall’Osservatorio Etneo L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato DANTE, il database che raccoglie e sistematizza oltre 2500 anni di storia eruttiva dell’Etna, uno dei vulcani più attivi […]

L'articolo DANTE, 2500 anni di eruzioni dell’Etna proviene da Il Vulcanico.

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Il progetto raccoglie in un’unica piattaforma i principali cataloghi relativi alle eruzioni storiche del vulcano siciliano e li integra con i dati del monitoraggio vulcanologico realizzato dall’Osservatorio Etneo

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato DANTE, il database che raccoglie e sistematizza oltre 2500 anni di storia eruttiva dell’Etna, uno dei vulcani più attivi al mondo.

DANTE (Database of Etna’s historical eruptions), realizzato dalle Sezioni INGV di Catania – Osservatorio Etneo e di Pisa, è il risultato di una revisione critica dei principali cataloghi già pubblicati in precedenza, integrati e aggiornati con i dati del monitoraggio vulcanologico che svolge l’Osservatorio Etneo. “Il nuovo database rappresenta una risorsa unica e accessibile, che riunisce in un’unica piattaforma informazioni fino ad oggi sparse in diverse pubblicazioni scientifiche, molte delle quali di difficile accesso per il pubblico non specializzato”, spiega Stefano Branca, Direttore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV e co-autore della piattaforma. “Il progetto è pensato per essere dinamico: sarà infatti aperto a nuovi contributi e aggiornamenti basati su fonti storiche, geologiche e scientifiche future”.

Etna, attività 11 aprile 2025 (foto di Giovinsky Aetnensis)

Poiché la tipologia e la qualità delle informazioni disponibili per la compilazione sono significativamente differenti, DANTE è suddiviso in due intervalli temporalidal VI secolo a.C. al XVI secolo d.C., e dal XVII secolo a oggi. Mentre il primo intervallo è basato su dati geologici, stratigrafici, tefrostratigrafici e geocronologici derivati dalla carta geologica dell’Etna del 2011 e dai suoi successivi aggiornamenti, l’intervallo che arriva fino ai giorni nostri si basa su dati estratti dalle numerose documentazioni scientifiche disponibili in letteratura, integrati con i dati del monitoraggio vulcanologico degli ultimi 50 anni.

Con questa pubblicazione, l’INGV conferma il proprio impegno nella documentazione, nello studio e nella divulgazione dell’attività vulcanica dell’Etna volto ad accrescere la consapevolezza e le conoscenze sulla pericolosità vulcanica.

Clicca qui per scaricare DANTE (Database of Etna’s historical eruptions)

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

INGV – Osservatorio Etneo

INGV – Sezione di Pisa

 

 

 

 

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Etna, l’eruzione di 160 anni fa: così nacquero i Monti Sartorius https://ilvulcanico.it/etna-leruzione-di-160-anni-fa-cosi-nacquero-i-monti-sartorius/ Thu, 30 Jan 2025 06:15:41 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25349 di Santo Scalia  Centosessanta anni fa, il 30 gennaio 1865, sull’Etna cominciò un’eruzione che si protrasse per 150 giorni, terminando il 28 giugno. Nel versante nord-orientale, lungo una estesa frattura eruttiva allungata in direzione ENE-WSW, tra quota 1825 e 1625 m, si ebbe la formazione di una serie di coni di scorie, denominati successivamente Monti […]

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di Santo Scalia

 Centosessanta anni fa, il 30 gennaio 1865, sull’Etna cominciò un’eruzione che si protrasse per 150 giorni, terminando il 28 giugno. Nel versante nord-orientale, lungo una estesa frattura eruttiva allungata in direzione ENE-WSW, tra quota 1825 e 1625 m, si ebbe la formazione di una serie di coni di scorie, denominati successivamente Monti Sartorius in onore dello studioso tedesco barone Von Waltershausen.

L’area interessata dall’eruzione del 1865, e le successive colate del 1928 e 1971 (da Bull. Volcanolog. 2011 [4])
«I primi sintomi di un’incipiente eruzione si manifestarono alle 14,30 di sabato 28 gennaio 1865: gli abitanti di alcuni villaggi ubicati sul versante orientale dell’Etna osservarono nuvole di fumo sollevarsi da Monte Frumento delle Concazze; durante la notte successiva si udirono rombi sotterranei e furono avvertiti tremori del terreno. Il giorno dopo, 29 gennaio, la frequenza e l’intensità delle scosse sismiche, accompagnate da rombi sotterranei, aumentarono; il sisma più forte, avvenuto intorno alle 23 e avvertito fino ad Acireale, spinse gli abitanti di San Giovanni, di Sant’Alfio e della zona dei Monti Arsi ad uscire dalle loro case in preda al panico» (1).

È il vulcanologo Orazio Silvestri, testimone oculare degli avvenimenti di quegli anni, che descrive le fasi salienti dell’inizio dell’evento, il 30 gennaio: «[…] Alle dieci e mezzo una scossa più forte delle altre si fece sentire e poco dopo una vivissima luce rischiarò la base di un punto culminante di questo banco, la base del Monte Frumento. […] Il comparire di quella luce vivissima accompagnata dalla forte scossa di suolo, fu per ognuno un segnale indubitabile di una eruzione ed infatti dopo quel momento dalla base del monte Frumento per lunga fenditura di suolo ivi avvenuta, impetuosamente sgorgava tra nuvoli di denso fumo, con proiezioni a grande distanza di arene, scorie, e blocchi voluminosi di materia fusa con detonazioni spaventose un fiume di infuocata lava […]» (3).

Silvestri aggiunge ancora: «Ecco il gridoA Muntagna scassau ddà banna e jetta focusi propaga per tutte le popolazioni etnicole e le mette in apprensione per gli effetti imprevedibili nella loro specialità, ma pur troppo quasi sempre funesti di cui può esser causa l’ignivomo Monte» (3).

“Illustrated London News” del 15 aprile 1865

Nei giorni seguenti, lungo la frattura eruttiva, si generarono circa sette coni piroclastici la cui attività spettacolare impressionò non poco la stampa straniera: l’Illustrated London News del 15 aprile 1865 dedicò loro un’incisione, nella quale venivano evidenziati anche i notevoli danni apportati all’area boschiva nella quale si era aperta la frattura.

 

Anche la stampa transalpina si occupò dell’eruzione: tra le tante testate giornalistiche, la parigina Le Monde Illustré (N. 420 del 29 aprile 1865) pubblicò due splendide incisioni dell’attività eruttiva in corso sull’Etna, una delle quali è stata presentata in apertura.

 

 

Orazio Silvestri, nella sua relazione presentata all’Accademia Gioenia di Catania, produsse anche delle interessanti foto del teatro eruttivo. Queste tre da Memorie dell’Accademia Gioenia di Catania – 1867 – Orazio Silvestri.

Alcune di queste fotografie, insieme a tante altre, furono realizzate da Paul-Marcellin Berthier che visitò la Sicilia insieme al vulcanologo Ferdinand Fouqué ed ebbe modo di fotografare l’Etna in eruzione

Paul-Marcellin Berthier – Senza titolo. 1865Alcune di queste fotografie, insieme a tante altre, furono realizzate da Paul-Marcellin Berthier che visitò la
Paul-Marcellin Berthier – Alberi carbonizzati. 1865 (fonte MutualArt)

Le colate di lava dell’eruzione si estesero per circa 7,5 Km, raggiungendo quota 770 m s.l.m.

Cosa rimane oggi dell’eruzione del 1865? Oltre al vasto campo lavico e all’insieme dei coni piroclastici facilmente raggiungibili attraverso il sentiero natura Monti Sartorius (una facile escursione dalla lunghezza di 4 chilometri con un dislivello 100 metri), lungo la strada provinciale 59 Milo-Linguaglossa, nel tratto Fornazzo-Bivio Vena (la SP 59iii), si può osservare un altarino votivo che ricorda l’arresto (miracoloso?) della colata che stava per ricoprire quelle ubertose terre. Una lapide, posta nel 1936, riporta le seguenti parole: «Qui in loro difesa con fiducia ricondotta dai figli di chi prodigiosamente liberasti dalla minacciosa lava antistante 6 – febbr. – 1865»

Altarino votivo lungo la strada provinciale 59 Milo-Linguaglossa (Foto S. Scalia)

Riferimenti Bibliografici:

  • – Giovanni Tringali – Oronimi, toponimi e speleonimi etnei – Accademia Gioenia di Catania – 2012
  • – Orazio Silvestri – Sulla eruzione dell’Etna nel 1865; studi geologici e chimici – Il Nuovo cimento – 1865-66
  • – Orazio Silvestri – I fenomeni vulcanici presentati dall’Etna nel 1863-64-65-66 –Memorie dell’Accademia Gioenia di Catania – 1867
  • – P.Carveni, G.Mele, S.Benfatto, S.Imposa, M.Salleo Puntillo – Chronicle of the 1865, NE flank eruption of Mt. Etna and geomorphologic survey of the Mts. Sartorius area – Bull Volcanol 2011
  • Le Mont Etna et l’eruption de 1865 – Revue des deux mondes 1865/07-1865/08.
  • – Mariano Grassi – Relazione storica ed osservazioni sulla eruzione etnea del 1865 – Catania 1865
  • – M. Fouqué – Rapport sur l’éruption de l’Etna en 1865 – Archives des missions scientifiques et littéraries – 1865

Con il titolo: Le Monde Illustré (N. 420 del 29 aprile 1865)

 

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Gino Menza, caduto sull’Etna un secolo fa https://ilvulcanico.it/gino-menza-caduto-sulletna-un-secolo-fa/ Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25324 di Santo Scalia Gino Menza, chi si ricorda di lui? Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa. Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni […]

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di Santo Scalia

Gino Menza, chi si ricorda di lui?

Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa.

La Valle del Bove, nel corso delle prime fasi dell’eruzione 1991-93 (foto S. Scalia)

Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni nella Valle del Bove: infatti, a Gino Menza erano dedicati un rifugio (distrutto poi definitivamente, dopo anni di abbandono, nel corso dell’eruzione del 1991-93) e una Croce di ferro posta ai piedi del Monte Zoccolaro, scomparsa anch’essa nel corso della stessa eruzione.

Per i più giovani, invece, il nome di Menza probabilmente non dice nulla, essendo scomparso il suo ricordo anche dalle carte topografiche.  È quindi un nostro impegno quello di tramandare conoscenze e ricordi che altrimenti andrebbero perduti.

Gino Menza era un attivo socio della sezione catanese del Club Alpino Italiano, il C.A.I. Il 18 gennaio del 1925 mentre era impegnato in una attività alpinistica sulla parete del Monte Zoccolaro, nella bassa Valle del Bove, perse la vita cadendo insieme ad altri due suoi compagni, Umberto Sapienza e Filippo Perciabosco. Gino morì in seguito alla caduta, mentre i due suoi amici si salvarono.

“Sciagura di escursionisti sull’Etna”, così titolava il quotidiano La Stampa di Torino del 20 gennaio di quell’anno, riportando la tragica notizia: «I giovani Menza, Perciaboschi Flippo e Sapienza Umberto erano ieri mattina partiti in automobile per Zafferana, donde avrebbero dovuto iniziare l’ascensione del monte Pomiciara [sic!], posto sulle falde orientali dell’Etna. I giovani, dopo una faticosa ascensione, raggiunsero felicemente la vetta. Quindi si accingevano alla discesa lungo il primo canalone che conduce alla profonda valle del Bove. Il canalone era completamente ghiacciato. I tre giovani si tenevano accordati, ma uno di essi, il Sapienza, prima che gli altri fossero pronti, si lasciò andare per la pericolosa discesa, tirandosi dietro i compagni. I tre ruzzolarono per 300 metri precipitando fino al fondo del burrone. Il Perciaboschi riportò fortunatamente contusioni non molto gravi e, visti i compagni in grave stato, si diede a gridare chiamando aiuto. Un’altra comitiva di gitanti, che si trovava in fondo alla valle del Bove, e colla quale era il prof. Beccari, immediatamente accorso sul posto recando aiuto. Il Menza era moribondo, mentre il Sapienza era irriconoscibile per le numerose lesioni riportate al viso ed agli arti. Il Perciaboschi venne subito trasportato a dorso di mulo, mentre il Sapienza venne portato in barella. Sul posto si recarono le autorità per le necessarie constatazioni di legge e per disporre la rimozione del cadavere del povero Menza».

Altre fonti, però, precisano che i tre «[…] in cordata, arrampicano lungo un canalone ghiacciato della Serra del Salifizio all’interno della Valle [del Bove, n.d.A.]» (da una delle pagine web della sezione C.A.I. di Catania).

Un po’ di confusione rimane, in merito all’esatta dinamica dell’incidente: dallo stesso sito, in una pagina successiva, apprendiamo che «[…] Gino Menza, […] aveva perso la vita nel 1925 durante una discesa della parete della Serra del Salifizio, mentre si trovava in cordata con altri due escursionisti».

Allora, si trattava di un’arrampicata o di una discesa? Poco importa, rimane il tragico esito dell’escursione, col decesso del solo Menza e il ferimento degli altri due compagni di avventura.

Altre testimonianze verbali, da me raccolte nel tempo, confermerebbero la seconda tesi: sembra infatti che durante la discesa i tre fossero legati in cordata e che aprisse la discesa Umberto Sapienza, che scavava i gradini; seguiva Perciabosco e in ultimo, Gino Menza. Ma all’improvviso Sapienza iniziò a scivolare trascinando nella rovinosa caduta i compagni di cordata, e tutti e tre, dopo un salto spaventoso, andarono a sbattere contro un masso alla base del Trifoglietto. Vennero raccolti dai compagni di gita che avevano invece seguito un percorso più sicuro. Sapienza e Perciabosco erano feriti ma il giovane Menza era morto.

Accanto Alla Croce Menza, agosto 1981

Sul luogo dell’incidente, per iniziativa sella Sezione catanese del CAI, venne in seguito collocata una Croce metallica, che rimarrà nella valle fino al 1992: la più lunga eruzione del XX secolo, quella del 1991-93, la farà sparire per sempre.

La distruzione del Rifugio Menza, da un frame di un servizio televisivo della RAI (realizzato da Giovanni Tomarchio)

Al nome di Menza è legata anche la realizzazione, nei primi anni degli anni trenta del secolo scorso, di un rifugio a quota 1680, circa 300 m ad est del cosiddetto Castello del Trifoglietto. Anche il rifugio, comunque da tempo in stato di abbandono, è stato sepolto completamente dalle lave della stessa eruzione.

Quella del Rifugio Menza è però un’altra storia, che si può leggere nell’ottimo articolo di  Grazia Musumeci.

Con il titolo: particolare della Croce Menza in Valle del Bove, non più esistente (foto S. Scalia)

 

(Gaetano Perricone). Voglio aggiungerle due mie parole. Questo bellissimo, emozionante articolo è memoria collettiva di tutti i figli dell’Etna, nativi e acquisiti, che hanno imparato a considerare il Rifugio Menza una vera leggenda del nostro vulcano Patrimonio dell’umanità. E dunque facciomo ancora una volta i complimenti di vero cuore al grandissimo Santo Scalia, che rende viva e palpitante questa memoria con il suo straordinario archivio e la sua appassionata penna o tastiera come oggi si deve dire, ma siamo anche molto contenti di ospitare sul Vulcanico.it l’eccellente articolo sulla storia del Rifugio dell’amica Grazie Musumeci, anima etnea davvero speciale 

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L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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di Pippo Raiti 
Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco distante dalla Cuba Bizantina e dal fiume Alcantara, “vive” proprio uno di quei grandi ulivi secolari, il cui nome è Polifemo (secondo una datazione presunta, sembra che la sua età si aggiri intorno ai 1200 anni). Nome mitologico dovuto all’imponenza del suo tronco, alle sue salde e pronunciate radici che lo legano indissolubilmente alla terra da cui trae il suo nutrimento. Le sue estese fronde, come braccia tese verso l’Etna, sembrano volerla ringraziare per il prezioso dono.
Per la sua veneranda età esso rappresenta esso rappresenta la memoria storia di vite di un tempo lontano e di un tempo più o meno recente: ogni suo nodo, ogni sua contorsione, rappresenta una voce narrante e i suoi racconti sono preziosi insegnamenti. Chissà quante genti hanno raccolto e goduto dei suoi frutti. Quante storie, quante leggende, quanti misteri sono racchiusi tra quei nodi, quante mani hanno raccolto le sue drupe e quanti canti di donne chine hanno hanno ascoltato le sue fronde.
Chissà quale soddisfazione sta provando quell’umile contadino che oltre mille anni fa mise a dimora un ramoscello di ulivo, chissà le storie che avrà sentito, le gioie, i lamenti di chi puntualmente ogni anno si apprestava alla raccolta delle sue drupe. Chissà quante lingue diverse, quanti popoli diversi si sono avvicendati e chissà quante leggende sono state narrate all’ombra delle sue fronde.
Sono tutti questi quesiti che, chissà fin da bambino, mi ponevo nella mente quando accompagnavo  mio padre in campagna e proprio lì, seduto all’ombra dell’ulivo fantasticavo di storie lontane. Man mano crescevo e, attraverso gli studi, quei chissà trovarono spiegazioni storiche e anche lo studio dei miti greci mi fecero scoprire della leggenda della nascita della pianta di ulivo e di come ad esso venne riconosciuto il simbolo di pace.
Ecco che, come spesso accade da adulto, si verifica un ritorno agli studi passati, dettato dal desiderio di voler rendere omaggio a quell’ulivo  che, come un anziano merita di essere raccontato, affinché divenga memoria di un tempo lontano e, attraverso la sua leggenda, divenga memoria contemporanea di un mondo sempre più in bilico tra guerra e pace.
Da qui nasce l’idea dell’olio della pace, prodotto esclusivamente dalla raccolta delle sue olive,  cosicché il perdurare di quest’ulivo secolare diventi metafora dei valori che devono insistere e resistere come le radici profonde di Polifemo.

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Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

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“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

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I vulcani del mondo e il clima, tra scienza e storia https://ilvulcanico.it/i-vulcani-del-mondo-e-il-clima-tra-scienza-e-storia/ Thu, 01 Aug 2024 04:42:55 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25122 di Salvo Caffo L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero […]

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di Salvo Caffo

Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna

L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero gigantesche quantità di ceneri nella stratosfera.

Il Laki (fonte National Geographic)

Già nel 1783 e ancora nel 1784, in piena estate su tutta l’Europa e l’America settentrionale calò una nebbia asciutta e costante, la terra era quasi gelata e la neve non si scioglieva anzi tendeva ad aumentare. L’inverno che ne seguì fu il più rigido registrato da molto tempo. L’eruzione del Laki iniziata nel giugno del 1783 e terminata nel febbraio del 1784, emise anche acido solforico e fluoro che ebbero effetti catastrofici in Islanda, contaminando i pascoli e uccidendo più del 50% del bestiame presente sull’isola e causando una carestia che decimò oltre 20 mila abitanti. Questi gas vulcanici, formarono sull’Europa quella che fu chiamata la foschia del Laki e cioé una nebbiolina tossica, di colore azzurro, che rimase in sospensione nei cieli per mesi e mesi. Le vittime totali causate dall’aerosol vulcanico furono, secondo alcune stime, ventitremila. L’inverno successivo di conseguenza fu estremamente rigido, nell’Europa centrale vi furono abbondanti nevicate, e nella sola Gran Bretagna il grande freddo fece registrare oltre otto mila vittime. In Francia si alternarono periodi di siccità, inverni rigidi ed estati pessime. Furono anni difficili, caratterizzati da particolari condizioni meteorologiche che contribuirono a rendere la popolazione sempre più povera e affamata. Carestie e povertà furono fattori che innescarono la Rivoluzione francese del 1789.

Il vulcano Agung

Specifici studi del fisico Humphreys nel 1940, dimostrarono la correlazione esistente tra i cambiamenti climatici e le attività vulcaniche, per cui le particelle di ceneri vulcaniche in stratosfera riflettono e disperdono la luce solare, comportandosi quindi come uno schermo che impedisce al calore di raggiungere la superficie terrestre. Le ceneri possono rimanere in sospensione per diversi anni e occorre molto tempo prima che cessino gli effetti climatici. Nel 1970 Mitchell dimostrò che le particelle solide derivanti dall’attività vulcanica del Vulcano Agung a Bali in Indonesia nel 1963 erano state 10 volte superiori alle polveri emesse in seguito a tutte le attività umane sino ad allora emesse, sull’intero pianeta.

Un altro anno estremamente freddo, con temperature nei mesi estivi di 3 gradi inferiori alle medie locali fu il 1816 con precipitazioni ininterrotte da maggio ad ottobre in Irlanda, Inghilterra sino al Baltico e nel New England (settore nord-orientale degli USA). Il 1816 venne definito anno senza estate, in realtà furono più anni, e portò alla non maturazione dei raccolti con gravissime carestie e carenze di cibo nel Galles e in Irlanda. Migliaia di persone furono costrette a lasciare tutto e partire in cerca di fortuna. Queste furono soltanto alcune delle conseguenze avutesi in seguito all’ eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa, arco della Sonda, che nel 1815 portò alla devastazione delle isole Indonesiane con la morte di decine di migliaia di persone. Gli effetti climatici innescati dall’eruzione causarono gravi danni ai raccolti in America settentrionale e in gran parte dell’Europa, già stremata dalle guerre napoleoniche che si chiusero a Waterloo due mesi dopo l’eruzione, il 18 giugno 1815. Napoleone perse la guerra anche per le difficoltà logistiche derivanti dalle incessanti piogge.

La caldera del vulcano Tambora, Sumbawa, Indonesia (Fonte Ingv Vulcani)

L’eruzione del vulcano Tambora ha cambiato la Storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta. Alla fine di febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte fuggì dall’isola d’Elba, dov’era stato esiliato dopo la sconfitta di Lipsia e l’abdicazione. Il 20 marzo, alla testa di un nuovo esercito, rientrava trionfalmente a Parigi. Le grandi potenze erano però determinate a impedire ogni ipotesi di una nuova espansione della Francia, anche se in realtà Napoleone chiese un trattato di pace. La battaglia decisiva, a conclusione dei cosiddetti Cento Giorni, si svolse nelle campagne del Belgio, vicino a Waterloo, tra il 16 e il 18 giugno del 1815: da una parte i 400.000 francesi al comando di Napoleone, dall’altra un milione di uomini tra olandesi, inglesi e prussiani, guidati da Lord Wellington. Napoleone era uno stratega formidabile e all’inizio sembrò avere la meglio, ma nella notte precedente allo scontro che si rivelò definitivo, tra il 17 e il 18 giugno, si scatenarono fortissimi temporali. Il terreno si trasformò in un acquitrino fangoso e in una trappola per l’artiglieria e la cavalleria dell’imperatore, e questo contribuì alla sconfitta dei francesi.

Gli effetti dell’anno senza estate, con un’atmosfera cupa e piogge continue, è evidente nei versi di George Byron, che scrive Darkness (Oscurità) nel 1816, e nell’incipit di Frankenstein, il romanzo di Mary Shelley pubblicato poco dopo (1818). Già nell’estate del 1815 l’aerosol di gas e ceneri generò a Londra tramonti e crepuscoli spettacolari, dai colori accesi. Queste tonalità insolite hanno ispirato molti pittori. Gli effetti climatici dell’eruzione emergono da documenti e lettere di ogni parte del mondo. Un funzionario di Lhasa descrive le nevicate del giugno 1816; a Bologna, il marchese Tommaso de’ Buoi annota nel suo diario il 2 luglio 1816 che dal 25 maggio non vi fosse giorno che non piovesse, e a causa del freddo molti portavano il tabarro (mantello). Una moria straordinaria di cavalli, il principale mezzo di trasporto del tempo, ispirò Karla Drais (1785-1851) a trovare un veicolo alternativo e nel 1817 inventò il “velocipede” il cosiddetto “cavallo da passeggio” antenato della bicicletta.

Il Krakatoa

Fenomeni atmosferici analoghi si verificarono nel 1884-85 in conseguenza dell’eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa nel 1883. Il vulcano Krakatoa, localizzato su una piccola isola tra Giava e Sumatra in lndonesia, durante l’eruzione del 1883 lanciò circa 4.000.000 di metri cubi di materiali piroclastici fino ad un’altezza di 27 km, e la cenere, trasportata dalle correnti aeree, compì diversi giri intorno alla Terra. Dopo tre giorni questa cenere cadde in quantità sul ponte di un vascello distante circa 2500 km. II lucente scintillio del cielo prima del sorgere del Sole e dopo il tramonto, causato dalla riflessione dei raggi del sole da parte delle particelle di ceneri vulcaniche, attirò l’attenzione del mondo intero, il fenomeno si manifestò improvvisamente nella settimana seguente l’eruzione ed interessò una fascia compresa tra le latitudini 15° N 15° S; successivamente si diffuse fino a coprire tutta la Terra.

La distribuzione su tutta la Terra delle ceneri prodotte dall’eruzione del Krakatoa, fornì importanti informazioni sulla circolazione negli strati superiori dell’atmosfera. Lo scintillio fu visto per la prima volta negli Stati Uniti a Yuma, in Arizona, il 19 ottobre (l’eruzione del Krakatoa si verificò il 26 agosto) e il 30 ottobre fu osservato negli Stati Uniti orientali. Nella notte del 30 ottobre il fenomeno fu particolarmente intenso e «a Poughkeepsie (New York) e a New Haven (Connecticut) si ricorse alle pompe antincendio per spegnere il cielo in fiamme». II fenomeno continuò a manifestarsi, con lucentezza di diversa intensità per mesi, presentandosi notevolmente più marcato durante i periodi secchi.

La nube ardente dell’eruzione del Mont Pelèe (collezione personale Santo Scalia)

Considerevoli abbassamenti delle temperature planetarie (Global cooling) si sono registrate nel 1888-90 in seguito all’eruzione del Bandai San, di Vulcano e di Bogjslof. Nel 1902 in seguito all’esplosione del Mt. Pelèe e de la Soufriere in Martinica e nell’isola di St. Vincent o nel 1912 in seguito all’eruzione del Katmai in Alaska, del Bezymiami (1956). Il clima rispecchia la media delle condizioni atmosferiche su una scala temporale vastissima, quindi, nonostante le imprecisioni con cui possiamo conoscere il comportamento dell’atmosfera, possiamo comprendere il clima studiando lunghe serie di osservazioni.

Siamo soliti pensare che il clima sia relativamente costante ma non occorre risalire molto indietro nel tempo per constatare che il clima che ha accompagnato la storia umana era molto diverso. Tra il 200 a.C. e 400 d.C. (ovvero per 600 anni) c’è stato il cosiddetto periodo caldo Romano, particolarmente caldo e umido in Europa e nel Mediterraneo. Secondo alcuni storici avrebbe addirittura favorito l’espansione di Roma. In Europa, il XIV, il XVII e il XVIII secolo sono stati molto più freddi del nostro clima. Tra il 1650 e il 1850 si è avuta una cosiddetta piccola glaciazione, che comportò grandi ripercussioni economiche e sociali a livello europeo con interi raccolti perduti e conseguenti carestie, che spesso portarono a guerre che hanno contrassegnato la storia europea.

Il Clima del pianeta Terra è una complessa macchina termodinamica il cui motore è dato dal calore del Sole. Parti fondamentali di questa “macchina” sono: la Terraferma, i mari e gli Oceani nonché l’Atmosfera e l’attività dei Vulcani. Parte del calore prodotto dall’attività termonucleare della nostra Stella, viene riflesso nello spazio dalle nubi, dalle masse nevose e dai ghiacciai nonché dalla presenza di ceneri vulcaniche sospese in atmosfera. Le grandi eruzioni vulcaniche che immettono enormi quantità di ceneri nella stratosfera contribuiscono a far abbassare la temperatura planetaria anche per anni. Anche attività umane come gli incendi delle grandi foreste presenti sui continenti nonché di diverse attività umane, che producono polveri che comunque, pur non raggiungendo la stratosfera, concorrono alle variazioni climatiche. Anche l’Anidride Carbonica lascia filtrare la radiazione solare incidente e blocca il calore riflesso dalla superficie del pianeta attraverso radiazione infrarossa con lunghezza d’onda minore della luce visibile e che viene assorbita dalla CO2.

Il vulcanologo Salvo Caffo accanto al cartello che illustra un esperimento sull’Etna dell’Agenzia Spaziale Tedesca

Dal XIX secolo ad oggi, la CO2 si è prevalentemente disciolta negli oceani, ma ha comunque contribuito, data la sua enorme presenza in atmosfera, a concorrere allo scioglimento dei ghiacciai polari con conseguenti aumenti dei livelli degli oceani e dei mari. La ricostruzione del clima del recente passato si basa su numerose fonti documentate: giornali di bordo compilati da ufficiali della marina britannica e conservati per secoli; registrazioni delle date e delle vendemmie conservati nei monasteri francesi; lo studio dello spessore e della sequenza e colore degli anelli di accrescimento degli alberi, solo per citarne alcune. Se avessimo potuto osservare il nostro pianeta dallo spazio, diciamo 20.000 anni fa, avremmo visto un’enorme massa di ghiaccio estesa su gran parte dell’Europa e del Nord America nonché ghiacciai che contornavano diverse montagne tropicali; un’immagine, molto differente dall’attuale. L’enorme massa d’acqua, sottratta agli oceani, ci avrebbe consentito di osservare aree che, oggi, si trovano a molte decine di metri (fino a 110), sotto il livello medio del mare.

Etna

Molte decine di volte, i ghiacciai, hanno coperto i continenti settentrionali e, presto o tardi, accadrà nuovamente. Il mondo ha conosciuto episodi glaciali, con periodi di freddo intenso ed estesi ghiacciai alternati a episodi interglaciali con clima come l’attuale. Lo studio dei depositi dei ghiacciai (Morene) ha consentito di ricostruire le diverse glaciazioni susseguitesi ciclicamente sulla Terra. Nel 1787, il geologo svizzero Kuhn, interpretò gli accumuli di detriti lasciati dal fronte di fusione dei ghiacciai, definiti morene, originatisi in seguito all’accumulo delle enormi masse rocciose erose per abrasione e trasportate dai ghiacciai e presenti sulle Alpi in luoghi molto distanti dai fronti dei ghiacciai, come prova che, nel passato remoto, le masse di ghiaccio fossero state molto più estese di quelle presenti nel XVIII secolo. Nel XIX secolo, vennero identificati simili depositi morenici in molti altri luoghi e nel XX secolo, furono descritte dai geologi, quattro glaciazioni alpine: Gunz, Mindel, Riss e Wurm, dai nomi dei luoghi dove per la prima volta erano state identificate le morene glaciali frontali. Poi furono identificate tracce di glaciazioni precedenti alle quattro descritte. Tralasciando le principali glaciazioni: la Proterozoica (2.3-2.7 miliardi di anni fa); Precambriana (600-800 milioni di anni fa); l’Ordoviciana (430-460milioni di anni fa); la Carbonifero-Permiana (260-360 milioni di anni fa); la Pleistocenica con punte nell’Olocene (3-40 milioni di anni); le glaciazioni più recenti sono state: la Günz (da circa 680 000 a 620 000 anni fa), la Mindel (da circa 455 000 a 300 000 anni fa), la Riss (da circa 200 000 a 130 000 anni fa) e la Würm (da circa 110 000 a 12 000 anni fa), separate da tre fasi interglaciali: (rispettivamente chiamate Günz-Mindel, Mindel-Riss e Riss-Würm) intercalate tra le quattro glaciazioni e, quindi, il periodo attuale è definito “postWürmiano“.

Diversi sono stati i periodi di avanzata e ritiro dei ghiacci, come risultato di oscillazioni di temperature dipendenti da variazioni della radiazione solare o dalla variazione della trasparenza dello spazio ai raggi solari. Questo può verificarsi per maggiore o minore presenza di polveri cosmiche o vulcaniche o per variazioni della distribuzione dell’intensità delle precipitazioni o per variazioni del comportamento termico dell’atmosfera, causata da mutamenti della sua composizione e per variabile contenuto di anidride carbonica e conseguente effetto serra o per fenomeni astronomici o geologici. Dalla fine dell’ultimo periodo glaciale ad oggi, i ghiacciai dell’Alaska, delle Alpi, della Scandinavia, delle montagne del Nord e Sud America, si sono ritirati e avanzati varie volte lungo le loro valli, lasciando una ricca documentazione geomorfologica e ambientale come gli alberi abbattuti durante le fasi di avanzata e i depositi morenici durante quelli di ritiro.

Due immagini 3 D del vulcano Empedocle

Nel Mar Mediterraneo e precisamente nel canale di Sicilia si sviluppa una regione vulcanica sottomarina situata tra la costa italiana e quella tunisina che comprende vulcani sottomarini: (Anfitrite; Cimotoe; Galatea; Madrepore; Banco Nerita; Banco di Pantelleria; Pinne; Banco Smyt I; Banco Smyt II, Banco terribile e Tetide). Il più famoso, l’Empedocle, è emerso per l’ultima volta nel 1863, dando vita per un breve periodo all’isola Ferdinandea. Dalla fine dell’eruzione, l’isola è stata erosa e oggi si trova a circa otto metri sotto il livello del mare (punto più alto dei cosiddetti Campi Flegrei della Sicilia). Tutte le eruzioni dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia sono avvenute sott’acqua, con l’eccezione di alcune di quelle di Empedocle: quelle del 1701, del 1831 e del 1863 sono state visibili sopra la superficie del mare. La prima eruzione documentata dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia risale alla prima guerra punica (253 a.C.) quando i vulcani Empedocle e Pinne divennero attivi. La prima guerra punica fu decisa dalla battaglia delle Isole Egadi, il 10 marzo 241 a.C., vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo anche in seguito agli effetti che si determinarono in seguito all’attività del vulcani sottomarini del canale di Sicilia.

(Gaetano Perricone). Aggiungo solo pochissime parole a quelle che, spero, abbiate avuto la pazienza e il piacere di leggere in questo meraviglioso ed esemplare racconto, all’insegna della passione, della competenza, della multidisciplinarietà: lo faccio per ringraziare il mio carissimo amico e grande vulcanologo Salvo Caffo per questo splendido regalo al mio blog e ai suoi lettori, certamente super appassionati di vulcani.  Una vera e propria “lectio magistralis” ricca di riferimenti storici, oltre che di illuminanti spiegazioni scientifiche, su un argomento di estremo interesse e attualità, ma anche affascinantissimo

Con il titolo: Etnatomica, 4 dicembre 2015, la premiatissima foto di Giuseppe Famiani

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Sua Altezza l’Etna! Storia delle vette regine del vulcano Patrimonio dell’umanità https://ilvulcanico.it/sua-altezza-letna-storia-delle-vette-regine-del-vulcano-patrimonio-dellumanita/ Thu, 11 Jul 2024 04:32:29 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25043 di Santo Scalia “Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record. Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di […]

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di Santo Scalia

Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record.

Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di tre anni, infatti, all’interno del cratere denominato La Voragine è cominciata una moderata attività di spattering; un conetto di scorie ha iniziato a manifestare una allegra attività di lancio di scorie incandescenti che è andata intensificandosi nel corso delle successive settimane.

L’accumulo di scorie ha generato un piccolo cono piroclastico che ha raggiunto alcune decine di metri di altezza. L’attività eruttiva, che ha prodotto anche una colata di lava che si è riversata all’interno del vicino cratere Bocca Nuova, è cresciuta fino a raggiungere lo stato di parossismo, con altissime fontane di lava ed una colonna eruttiva di parecchi chilometri di altezza.

Grafico del tremore vulcanico registrato alla stazione Cratere del Piano (ECPN) dall’Ingv

Un nuovo episodio parossistico si è manifestato la mattina del 7 luglio: a riattivarsi è stato lo stesso cratere all’interno della Voragine. Al termine dell’attività, i depositi piroclastici aggiuntisi a quelli del parossismo precedente, hanno fatto sì che il nuovo valore dell’altezza del vulcano abbia raggiunto i 3.369 metri s.l.m. (3). Va detto però che tale valore è stato ottenuto «secondo i rilievi effettuati da drone […]. Le classiche tecniche topografiche, in particolare quelle più accurate, non sono utilizzabili in ambienti pericolosi come l’area craterica sommitale etnea di questi giorni, dovendo ridurre al minimo il tempo di permanenza in alta quota del personale. I droni riescono a superare queste difficoltà, poiché possono essere pilotati da zone relativamente sicure e permettono il rilievo di aree anche molto ampie».

Il Cratere di Sud-Est (a sinistra) ed il Cratere di Nord-Est (a destra). La seconda e la terza cima sull’Etna (Foto S. Scalia)

In precedenza il punto più alto dell’intero vulcano era rappresentato dal Cratere di Sud-Est (o SEC), il più giovane dei crateri terminali etnei: nato nel 1971 come uno sprofondamento, si è clonato creando un nuovo cono parallelo (per anni denominato Nuovo Cratere di Sud-Est o NSEC), ha generato parecchie nuove bocche (quella orientale e quella detta della Sella), e si è ricompattato in un unico cono ed è cresciuto fino a raggiungere l’altezza di 3.357 metri. Ha impiegato quasi di mezzo secolo, ma è stato il più alto di tutti per quasi tre anni.

Ancor prima, il Nord-Est, (nato il 27 maggio 1911) – di 60 anni più anziano del Sud-Est (nato il 18 maggio 1971) – ha detenuto il record di altezza a partire dal 1978, con i 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate dallo stesso cratere tra il 1977 ed il 1978.

Ma andiamo un po’ indietro nel tempo: per i greci l’Etna era tanto alto da raggiungere il cielo, anzi, era una “colonna del cielo” (cfr. Pindaro, Ode Pitica Ia, 518 – 438 a.C).

Nel 1558 il monaco domenicano Tommaso Fazello, nella sua opera De rebus siculis decades duæ scriveva: «Celsior est cæteris, qui sunt in Siciliæ, montibus. […] Est enim altitudinis p.m. supra 30 […]», la cui traduzione rileviamo dall’edizione palermitana del 1830: «Egli è più alto di tutti gli altri monti che sono in Sicilia. […] È d’altezza più di trenta miglia […]», valore confermato anche da Don Pietro Carrera nel suo Il Mongibello descritto in libri tre del 1636.

«Ascensum triginta circiter millia passuum ad plus habet» è la stima secondo Filoteo degli Omodei nell’Ætnæ topographia, incendiorumque Ætnæorum historia del 1591. Qualche secolo dopo, nel 1793, l’abate Francesco Ferrara, nell’opera Storia generale dell’Etna ci informa del valore dell’altezza del monte, pari a «[…] circa 1610 tese sulla superficie del mare vicino».

Una misura più “scientifica” l’abbiamo nel 1815 dal canonico Giuseppe Recupero che dedica un paragrafo alla «Altezza assoluta di Mongibello determinata col Quadrante geometrico»: «secondo la nostra canna d’architettura due mila duecento ottantacinque canne e sei palmi, che ridotte in tese parigine vengono a fare due mila trecento venti sei  tese, e quattro piedi» (vedi Storia naturale e generale dell’Etna, cap. IV).

Carta volcanologica e topografica dell’Etna di Émile Chaix – 1892 (dalla BNF)

Nel 1892 il geografo Émile Chaix (1856 – 1924) realizzò una Carta volcanologica e topografica dell’Etna nella quale il punto più alto dell’Etna viene posto al Gran Cratere (allora ce n’era solo uno!) ad una altezza di 3313 metri, valore riportato uguale l’anno dopo nella carta di Wagner & Debes.

Carta IGM in scala 1:50.000 (1895)

Nel 1895 l’Istituto Geografico Militare italiano – IGM – nella carta in scala 1:50.000 indica un valore di 40 metri inferiore, pari a 3273 metri.

Il valore rimane praticamente invariato nella carta del 1919 edita dal Touring Club Italiano (3274 metri) mentre scende a 3263 nella carta IGM in scala 1:25000 del 1932.

il Cratere di Nord-Est, il punto più alto dell’Etna dal 1978 al 2021 (foto S. Scalia)

Il 1964 è un anno di grande fermento per la sommità dell’Etna: nel corso degli episodi eruttivi di aprile e luglio si genera un nuovo cratere, il cosiddetto Cratere del ’64, che diviene il nuovo punto di massima altezza con 3323 metri. Tale misura verrà indicata  invariata nelle carte topografiche dell’ IGM 1:25.000 del 1969 e 1:50.000 (a colori) del 1983, oltre che nella carta del Touring Club Italiano del 1984. Queste ultime due non avevano ancora recepito il nuovo valore raggiunto dal Cratere di Nord-Est, che già, a partire dal 1978, era divenuto il punto più alto dell’Etna, con i suoi 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate tra il 1977 ed il 1978.

Successivamente, in seguito a vari crolli avvenuti lungo gli orli del cratere di Nord-Est, il valore dell’altezza era man mano divenuto inferiore, fino a raggiungere i 3326 nel 2018 e infine 3320 metri nel 2019.

Riferimenti:

  • Etna: il ritorno in scena della Voragine (A.I.V. 2 luglio 2024)
  • Quando La Voragine fa sul serio: gli episodi parossistici del 4-5 e 7 luglio 2024 (A.I.V. 8 luglio)
  • La Voragine fa la voce grossa … e diventa la nuova vetta dell’Etna! (INGV vulcani 10 luglio 2024)

Con il titolo: la nuova cima dell’Etna: 3.369 metri (attenzione: la prospettiva inganna…)

 

 

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