L'articolo Metti una sera a Belpasso, agli “Otto Cavalli”. Chiudi gli occhi e ascolti l’immenso Fabrizio. Anzi, Ninè … proviene da Il Vulcanico.
]]>di Gaetano Perricone
Non posso fare a meno di scrivere di Ninè sul mio blog. Non posso limitarmi a un post su feisbuc, pure molto caloroso come quello che ho scritto stanotte, di getto e di “pelle”, dopo l’entusiasmante serata musicale di Belpasso.
Non ne posso e non ne voglio fare a meno perché mi sento ancora fortemente ispirato. Non può non esserlo un infinitamente appassionato, un cultore assoluto di Fabrizio De Andrè come lo sono io, 62enne giornalista anzianotto cresciuto con le canzoni, con le poesia, con le idee, con lo spirito libero del meraviglioso poeta genovese, a “pane e De Andrè“, come mi piace dire ogni tanto. Uno come me che ancora oggi, ancora ieri sera, si sente accarezzare il cuore quando le ascolta e le canta a squarciagola.
Ecco, ieri sera mi è successo di chiudere gli occhi … e ascoltare, come mi accadde l’ultima volta dal vivo tanti anni fa al Teatro Biondo di Palermo in un Suo magistrale concerto, la voce, calda e profonda, autentica di Fabrizio De André. È successo a me e, credo di non sbagliare, ai tantissimi che hanno strariempito lo storico pub “Height Horses” di Belpasso, ascoltando per più di due ore le magistrali esecuzioni del talentuosissimo Ninè Ingiulla, il trentatreenne protagonista della serata-tributo al grande Fabrizio, originario di Biancavilla e residente a Brescia.
Un crescendo di brividi e, come ho detto, di carezze per l’anima. Cominciate con Hotel Supramonte e finite con Il Pescatore, secondo tradizione cantata con tutto il pubblico, passando per Amico fragile, Se ti tagliassero a pezzetti, Il giudice nano, Rimini, Canzone dell’amore perduto, Il testamento di Tito, Creuza de Ma e altri straordinari capolavori del cantautore genovese.
E quella voce, la calda voce di Ninè Ingiulla. Finora più simile a quella di Fabrizio De André che io abbia mai ascoltato, credetemi. Azzardo, consapevole di non azzardare troppo: perfino più simile di quella del figlio Cristiano. “De Andrè va eseguito, non interpretato”, mi ha correttamente puntualizzato questo simpatico ragazzone, siciliano al nord come tanti suoi coetanei, quando sono andato a salutarlo per conoscerlo e complimentarmi. Mi ha raccontato che la scintilla che lo ha fatto diventare cantore deandreiano è scoppiata quando aveva 14 anni, ascoltando la bellissima Disamistade ; da allora è stato un continuo lavoro di approfondimento e perfezionamento, sui pezzi e della voce, che oggi lo porta davvero ad essere considerato uno dei migliori, forse il migliore “esecutore” di De Andrè sulla piazza, al punto che, come racconta il nostro eroe con un pizzico di orgoglio, è stato di recente contattato dalla Rai per prendere parte a un documentario sul cantautore-poeta. Riporto qui, con estremo piacere e perché aiuta a capire ancora meglio chi non ha avuto la fortuna di esserci, il commento social del mio amico Yuri Furnari, eccellente direttore d’orchestra, uno che di musica se ne intende assai e che ieri non è voluto mancare all’appuntamento con Ninè: “Questo è uno dei pochi casi che lo vedi e non ci credi. Ieri ho fatto fatica ad associare quella voce, a me troppo familiare, a quel volto. Impressionante”.
Quasi inutile sottolineare che per me, “deandreiano” di ferro, è stata una serata davvero magica e piena di emozioni sentite e cantate. Il modo migliore, più bello e caloroso, per ricordare il carissimo, indimenticabile Turi Piana, amico e persona speciale, che di Fabrizio era anche lui grande ammiratore e che fu il “papà” di “Otto cavalli” a Belpasso, questo bellissimo e suggestivo locale – un pub dove mangi e bevi, ma soprattutto dove stai benissimo -che ebbi il piacere di conoscere aperto da poco vent’anni fa, all’inizio della mia esperienza lavorativa sull’Etna e che oggi è portato avanti in modo molto brillante, con infinito impegno e passione, dalle figlie di Turi, Francesca e Sara e da un eccellente staff.
Per la cronaca, Ninè Ingiulla ha continuato a stupirci a sorpresa con altre formidabili “esecuzioni” di pezzi storici di grandissimi artisti, come L’uomo in frac di Domenico Modugno e Rimmel di Francesco De Gregori. Per me è un fuoriclasse completo, con una voce sublime, che merita grandi palcoscenici. Sono felicissimo di averlo ascoltato e conosciuto e sono certo che sentiremo parlare di lui, ancora è molto giovane. Glielo auguro di vero cuore, ad maiora Ninè !
Nelle foto che ho scattato ieri sera nell’atmosfera calda e suggestiva di “The Eight Horses”, alcuni momenti di quello che è stato un vero e proprio, splendido concerto di Nine’ Ingiulla, con un enorme grazie al protagonista e alla carissima Francesca Piana, con la quale ci siamo riabbracciati commossi, nel ricordo del grande Turi Piana. Le sono estremamente grato, insieme alla sorella Sara, per avermi regalato una serata davvero memorabile … e l’ultimo, gustosissimo bicchierino di Spinamara, il mitico amaro al ficodindia, arancia rossa e cardo selvatico nato da una idea delle sorelle Piana, di cui Turi andava fiero e che da solo vale una visita agli “Otto Cavalli”.
L'articolo Metti una sera a Belpasso, agli “Otto Cavalli”. Chiudi gli occhi e ascolti l’immenso Fabrizio. Anzi, Ninè … proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Due sorelle e un’antica ricetta per effetti … speciali. Ecco “Spinamara”, il digestivo naturale dai sapori etnei proviene da Il Vulcanico.
]]>“Spinamara” nato a Belpasso, l’antica Malpasso, grosso centro e Comune del Parco tra i più rilevanti alla pendici dell’Etna con spiccata propensione all’agricoltura, è un prodotto, unico e innovativo, nato dall’idea di due sorelle, Sara e Francesca, studentessa universitaria la prima e imprenditore agricolo e della ristorazione la seconda. Già la terra siciliana in sé si presenta agli occhi dei suoi innamorati piena di frutti, colori e sapori, unici nel suo genere, come le coltivazioni dei ficodindia, i cosiddetti “bastardoni” o gli stessi agrumeti che ci accompagnano tra le vie siciliane.
Sara e Francesca hanno dato il via ad un progetto, tutto “Made in Sicily”, creando il primo digestivo naturale di ficodindia, arancia e cardo selvatico accompagnato da un mix di erbe aromatiche che regalano un sapore inconfondibile e genuino.
L’idea nasce da un antico scritto ritrovato su alcune usanze dei monaci che risiedevano nel monastero di San Vito sull’Etna, uno dei primi cenobi benedettini edificati in Sicilia, nel XV secolo.. “Correva l’anno 1612…..e nel convento alle pendici del Mongibello … Ove dei grassi monaci come ogni giorno a pranzo , godevano di piatti, manicaretti e intrugli vari, il massaio capo che soleva ingraziarsi i monaci ..per interesse, offrì a fine pasto un liquore a base di ficodindia, frutti di arancio amaro, e miscelanza di foglie di cardo e erbe aromatiche , ..tali da rendere leggero il riposo pomeridiano…. Liquore che si meritò anche da illustri visitatori lodi e meraviglie. Piace ricordare che i benedettini come riferisce Alessandro Dumas (padre) godevano la reputazione (…) de posseder la Meilleur Cusiner De Toute La Sicilie”.
Raccontano Sara e Francesca: “Ci siamo ritrovate incuriosite da questa miscela, dal potenziale sapore e dagli effetti speciali. Abbiamo ripreso l’antica ricetta – raccontano Sara e Francesca – e, attraverso un’indagine di mercato e consigli di alcuni esperti, abbiamo cercato di riadattarla nel migliore dei modi, così da avere un amaro piacevole, dal triplice gusto: dolce all’impatto, moderno e fresco al palato ma dal buon sapore amaro, ma piacevole in linea con le tendenze di oggi, ma che fosse di memoria lunga nel pensiero di chi lo ha gustato”
Idea e innovazione, dunque, senza mai dimenticare le proprie origini e la propria terra. “Volevamo un prodotto legato al territorio etneo che è il solo che produce i frutti necessari per la realizzazione – concludono Sara e Francesca -, così dal prossimo mese, SpinaAmara diverrà il nuovo amaro siculo”.
Secondo il parere di molti addetti ai lavori, il nuovo prodotto darà vita ad un trend nel settore amaro siculo. Per sapore, prima di tutto, perché racchiude l’intensità dei prodotti siciliani, e per profumi tra ficodindia e note agrumate, in particolare di arancia amara appena raccolta, ma anche note erbe che ben si bilanciano con la parte alcolica dell’amaro, rendendolo piacevole e gustoso al primo…. e anche al secondo assaggio.
“Puntura d’aroma”, si legge sull’etichetta: dalla particolarità dell’amaro al fico d’india, che sottende un sapore intenso tanto da divenire metafora per le papille gustative, pungolate (Puntura) appunto dalla sua unicità.
Fonte: Azienda Agricola Giusafra s.a.s. di Francesca Piana
www.giusafra.it
L'articolo Due sorelle e un’antica ricetta per effetti … speciali. Ecco “Spinamara”, il digestivo naturale dai sapori etnei proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Biodiversità e qualità della vita, dentro l’anima etnea. L’eccellenza dei “Monaci delle terre nere” proviene da Il Vulcanico.
]]>Cerchiamo le “eccellenze” dell’accoglienza e della ristorazione in posti lontani e ce le ritroviamo a un palmo dal nostro naso. Di bellezza e raffinatezza assoluta, con un legame profondo e intenso con un territorio davvero speciale e unico come quello per il quale proviamo sempre un emozionante senso d’appartenenza: l’Etna Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
E allora, quando ci si imbatte in una di queste eccellenze, come il meraviglioso relais “Monaci delle Terre Nere” di Zafferana Etnea, vale la pena di raccontarla un po’. Il Vulcanico non ha mai fatto finora nulla del genere, ma stavolta lo fa con particolare piacere: non solo per l’ammaliante fascino del posto, ma anche e soprattutto perché questo straordinario agriturismo … è Vulcanico nel senso letterale del termine. Perché incarna e riesce a interpretare autenticamente, mettendola con molta eleganza in vetrina per gli ospiti, l'”anima migliore” (sono parole dell’appassionato founder, il fondatore Guido Alessandro Coffa), del più alto Vulcano attivo d’Europa, della magnifica Muntagna, con la sua aria, i suoi profumi, i suoi colori, i suoi silenzi, la sua storia e la sua cultura, le sue bellissime peculiarità naturali e la sua incredible biodiversity, incredibile biodiversità. Un boutique hotel, piccolo hotel di lusso, come si legge nel sito web, che in realtà è un vero e proprio luogo dell’anima. Di quell’anima etnea che riesce rapidamente a catturare, in molti casi a ipnotizzare, chi la incontra per la prima volta.
Con il founder e proprietario dei “Monaci delle Terre Nere” Guido Coffa, un distinto, colto e più che giovanile signore cinquantenne originario di Trecastagni ma con un lungo pezzo di vita lontano dalla Sicilia, abbiamo chiacchierato piacevolmente, condividendo in pieno non soltanto i principi ispiratori della sua attività, ma anche molte idee sulla cultura e sulla promozione del territorio. Ci ha raccontato la sua storia interessante e bellissima, che parte da un mondo completamente diverso (un importante impegno imprenditoriale nel settore metalmeccanico), si sviluppa in terre lontane – gli Stati Uniti e il nord Italia -, fino al ritorno in Sicilia e alla nascita dell’attuale progetto.
Mi piace riportare integralmente, perché estremamente illuminanti e incisive, le sue parole dal curatissimo sito web: “Un giorno, nel 2007, per caso, arrivai in questo luogo, me ne innamorai e decisi di dedicare la mia vita alla sua resurrezione. Riportare questo posto, precedentemente scelto dai monaci dell’ordine di S. Anna per la sua energia e le straordinarie caratteristiche, alla vita. La tenuta Monaci delle Terre Nere è ubicata alle pendici del monte Etna, il vulcano più grande d’Europa, ai confini dell’omonimo Parco Regionale, ad un’altitudine di 500 mt. Il mio desiderio è stato quello di conservare l’identità storica e territoriale, più che un Boutique Hotel è una casa e spero ne conservi l’intimità. Ha l’anima di un rifugio discreto e senza pretese, lontano dal trambusto della vita cittadina, in un luogo di straordinaria energia”.
La splendida casa nobiliare, risalente al 1800, è annoverata tra gli edifici di importanza storica. Poi ci sono vari edifici indipendenti, che accolgono gli ospiti all’interno della tenuta di 16 ettari, dove l’architettura tradizionale siciliana si fonde con l’arte contemporanea. Per il restauro dell’edificio sono stati applicati i principi della bioarchitettura, una parte dell’energia è recuperata da fonti rinnovabili.
Sostenibilità, rispetto profondo e valorizzazione dei luoghi, dell’ambiente naturale e delle sue migliori caratteristiche, sono dunque principi fondanti della filosofia dei “Monaci delle Terre Nere”, una delle pochissimi realtà ricettive della Sicilia certificate come Eco-Bio. Te ne accorgi effettuando la bellissima passeggiata, quasi un’escursione naturalistica, nel percorso ad anello all’intero della tenuta, nel cui ambito incontri piante e alberi tipici del territorio etneo, ma anche vigneti con i vitigni autoctoni, con produzione di ottimo vino.
E poi c’è un altro aspetto speciale, che è un fiore all’occhiello di questo luogo incantato: l’agricoltura biologica, “pietra miliare” come viene definita nel sito della ristorazione, con il menu e la cucina tradizionale che si basano interamente sui prodotti freschi e a km 0 dell’azienda biologica. Raccontando di sé e della storia di questo affascinante agriturismo, Guido Coffa sottolinea i primi anni trascorsi nella tenuta a fare l’agricoltore: “Ho imparato con molta passione tutto quello che si doveva imparare sulla biodiversità del territorio, sull’agricoltura biologica, sulle eccellenze di questa terra bellissima”. E tiene anche a raccontare dei suoi istruttivi contatti con il Parco dell’Etna, delle sue visite conoscitive al campo collezioni della Banca del Germoplasma Etneo, adiacente alla sede del Parco a Nicolosi, che conserva tutta la biodiversità vegetale del territorio.
Così, come spiega bene il sito, il recupero di specie antiche e autoctone ha permesso la coltivazione di alberi da frutto, verdure ed erbe aromatiche, che costituiscono gli ingredienti della cucina. Di eccellenza anche le specie coltivate: il Ciliegio Mastrantonio DOP, le Pesche tabacchiere e Sbergia, il Pero Coscia e Baccibedda, il Melo Cola, l’Albicocco Damaschino, il Fico Vinnignola, il Susino Muscateddu. Vengono coltivate anche verdure selvatiche tradizionali: Cannatedda, Caliceddi, Caccialepre, Coscivecchi.
www.monacidelleterrenere.it
L'articolo Biodiversità e qualità della vita, dentro l’anima etnea. L’eccellenza dei “Monaci delle terre nere” proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Cibo e alimentazione, come informare correttamente. Tre giorni intensi a Torino, tra dibattiti e fornelli … proviene da Il Vulcanico.
]]>Chiude con un bilancio positivo la seconda edizione del Festival del giornalismo alimentare, che a Torino ha visto confrontarsi per tre giorni sull’argomento “cibo” numerosi esperti ed ha registrato la partecipazione di giornalisti, blogger ma anche semplici appassionati, tutti animati da un unico interesse: la corretta comunicazione alimentare.
Dalle campagne contro gli sprechi all’informazione sui benefici di una corretta refezione scolastica ma anche sulle etichette dei prodotti alimentari, primo strumento di informazione dei consumatori. Spazio anche al rischio di pubblicità occulta, pericolo purtroppo in agguato quando si parla di determinati prodotti ed il conseguente approfondimento sulla questione deontologica nell’era del giornalismo che si sta reinventando, che vive proprio una nuova dimensione anche grazie ai social ed ai tanti programmi (forse anche troppi) dedicati alla cucina ed alla spesa.
Adesso il rapporto col cibo è cambiato e si avverte l’esigenza non solo di cucinare – e bene … – ma anche di comunicare correttamente e di informare i consumatori. L’esigenza crescente è quella di essere informati sul tema dell’alimentazione e su di un settore che purtroppo attira anche affari poco puliti sia per i reati alimentari ed il fenomeno delle agromafie, che per l’ “Italian sounding”, ovvero la strumentalizzazione ed il richiamo di note località geografiche italiane o di colori della nostra Nazione per veicolare prodotti che nulla hanno a che fare con il nostro Paese, come ha ricordato Giancarlo Caselli, Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema alimentare.
Emerge così la necessità di scrivere norme a favore del territorio, per tutelare il settore, perché non c’è nessuna differenza tra il patrimonio artistico italiano e quello agroalimentare: entrambi sono meritevoli della stessa attenzione e la richiesta del prodotto “Italia” è sempre crescente. Di fatto aumentano le occasioni di occupazione grazie al cibo, anche inventando un lavoro grazie alla semplice esperienza quotidiana come nel caso dei c.d. “home restaurant”. Si pranza (o si cena) fuori casa, ma tra le mura domestiche di una famiglia sconosciuta che si diletta ai fornelli e che ha deciso di trasformarsi in ristorante anche se per pochi intimi e dietro prenotazioni garantite. I social hanno contribuito alla creazione di queste nuove forme di economia.
Il Festival ha inoltre permesso – tra i tanti appuntamenti in calendario – non solo uno scambio professionale con i convegni, ma anche eventi dedicati al riuso degli scarti alimentari. Grazie alla collaborazione con l’Associazione degli Insegnanti di Cucina Italiana, ecco così una cena con una ricca vellutata di cavolfiore e salsa alle acciughe, preparata utilizzando foglie e “trunzu” (così mi faccio perdonare dal Vulcanico per l’abbondanza di termini stranieri…), seguita da squisite bucce di patate fritte e, per concludere, un budino di pane raffermo. Giusto per ricordarci che ridurre lo spreco di cibo contribuisce anche a salvare il Pianeta e forse, per avvicinarci anche alle nostre tradizioni: nelle famiglie di una volta il cibo non si buttava di sicuro.
Conclusione alla Città del Gusto di Torino – Gambero Rosso, dove l’Associazione Agape e la Chef Roxana Rondan hanno proposto un simpatico laboratorio dedicato alla scoperta dei sapori e delle ricette della cucina peruviana. Si tratta di una cucina che unisce i sapori di diversi continenti e che risente dell’eredità di popolazioni diverse, che si sono avvicendate nel corso del tempo e che hanno lasciato un’impronta nella cucina locale.
L'articolo Cibo e alimentazione, come informare correttamente. Tre giorni intensi a Torino, tra dibattiti e fornelli … proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Andy Luotto gran cerimoniere, tra prelibatezze e “piatti di recupero” proviene da Il Vulcanico.
]]>Ha chiuso i battenti domenica scorsa con un buon successo la terza edizione di “Expo Food & wine”, iniziativa dedicata al buon cibo e al buon vino, tenutasi a Catania presso Le Ciminiere.
Non solo una manifestazione dedicata alla promozione del made in Italy agroalimentare ma un vero e proprio viaggio alla scoperta di sapori e tradizioni, che hanno fatto conoscere la Sicilia nel mondo e che rendono la nostra cucina un mezzo di espressione culturale. Un modo per fare squadra e confrontarsi, per creare nuove occasioni di lavoro e per aumentare la professionalità degli addetti del settore.
Tre giorni dedicati ad eventi, con convegni e seminari per fare il punto della situazione del comparto, tra tradizione e innovazione ma anche a show cooking per assaporare la Sicilia, mettendo in mostra piatti d’autore e la professionalità dei diversi chef presenti alla terza edizione.
Presentati da Andy Luotto, cuoco “prestato” alla TV con Renzo Arbore e poi ritornato all’antico amore per la cucina, gli appuntamenti sul palco diventano l’occasione per parlare di creatività. Luotto, popolare attore e conduttore televisivo, è divenuto ufficialmente cuoco nel 1981, con uno specifico diploma all’Istituto alberghiero di Civita Castellana e ha parlato della propria esperienza esortando i giovani a studiare per migliorare la propria preparazione ed offrire il meglio dei prodotti siciliani. “Un pizzico di estro e l’invito a consumare i prodotti locali offrono la Sicilia migliore”, commenta Luotto tra un appuntamento e l’altro dal palco della manifestazione, ricordando che la semplicità in cucina permette ampia valorizzazione del patrimonio agroalimentare e si rivela un’arma vincente.
Tra gli eventi in programma, spazio al teatro della cucina che ha registrato, tra gli altri, la presenza dell’Associazione Provinciale Cuochi Etnei: proposto, per l’occasione, un menù che ha valorizzato sia i prodotti dell’entroterra che il pescato siciliano.
Presentato anche un capolavoro della pasticceria conventuale della nostra regione, purtroppo oggi caduto in disuso e riproposto con l’intento di valorizzare l’antica arte pasticcera siciliana. “Il Trionfo di gola”, questo il nome del dolce a base di ricotta, pan di Spagna e pasta frolla composta di arance amare candite e conserva di cedro, preparata dal maestro pasticcere Vincenzo Monaco risulta citato nelle pagine de Il Gattopardo, nel celebre banchetto servito in occasione del Gran ballo.
Spazio anche per le proposte dedicate ad una corretta alimentazione ed ai suggerimenti per eliminare gli sprechi alimentari. Ecco così idee per i “piatti di recupero” ovvero con l’utilizzo degli avanzi di cucina, come la grandiosa cassata salata presentata dal Prefetto dell’Accademia Italiana di gastronomia storica Anna Martano che, in chiave salata per l’appunto, ha proposto una gigantesca preparazione di circa 80 kg. Utilizzando gli avanzi e che ha riscosso l’apprezzamento del pubblico in sala come idea per le prossime festività natalizie.
Nella foto con la cassata salata, da sinistra i maestri chef e pasticceri: Andrea Venturella, Massimo Giambelluca, Gaetano Mineo e Antonino Mineo, con Anna Martano, al termine della preparazione.
L'articolo Andy Luotto gran cerimoniere, tra prelibatezze e “piatti di recupero” proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Salute e lunga vita per i vini in alta quota proviene da Il Vulcanico.
]]>Il progetto sperimentale nasce dalla collaborazione tra INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, e l’azienda Calcagno. All’interno dell’Osservatorio di Pizzi Deneri (Linguaglossa, Ct), all’altitudine di 2813 m, longitudine 15.0167897, latitudine 37.7658466, è stato allestito un corner dedicato all’affinamento di un lotto di bottiglie dei vini dell’azienda Calcagno, posizionati in casse di legno, per un periodo di circa 12 mesi. Il progetto, di natura sperimentale, è il primo nel suo genere e si basa sulle teorie di Pasteur (1822-1895), chimico, biologo e microbiologo francese, il quale sosteneva che “l’aria in alta quota è priva di germi ed è migliore per la conservazione di un prodotto fermentato come il vino”. Inoltre, secondo lo studioso “l’aria più rarefatta, con meno ossigeno, mantiene i vini più giovani”.
In base a ciò, la sperimentazione nasce dall’idea di osservare che i fattori considerati da Pasteur, insieme all’esclusivo microclima, il profondo silenzio, l’assoluta assenza di luce e la bassa concentrazione di ossigeno, presenti a quota 2.813, favoriscano il “rallentamento” del processo di maturazione del vino e, quindi, la longevità dello stesso; evolvendosi sia dal punto di vista organolettico, che da quello riguardante la tonalità del colore. A conclusione del primo anno di affinamento, i vini sono stati sottoposti a controllo per poter stabilire l’effettiva salute dei prodotti.
La fase finale della sperimentazione, consistente nel recupero delle bottiglie presso la zona dell’Osservatorio, prevederà, oltre alla presentazione del lavoro alla stampa locale e nazionale, una degustazione analitica da parte di una commissione di esperti del settore (enologi,giornalisti, sommelier). La scelta della presentazione del progetto presso la sede dell’osservatorio, vuole poter essere un valore aggiunto per i presenti in termini di sensazioni ed emozioni derivanti dalla sperimentazione.
Fonte: Ufficio stampa INGV
L'articolo Salute e lunga vita per i vini in alta quota proviene da Il Vulcanico.
]]>