L'articolo “1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso”: da oggi a Palazzo Bufali una mostra documentale proviene da Il Vulcanico.
]]>Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia Moncada, che era stato costruito 24 anni prima a seguito dell’eruzione dell’Etna del 1669 che aveva distrutto Malpasso e la costruzione dell’attuale centro abitato di Belpasso.
Alla manifestazione hanno aderito: la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, l’INGV Catania, l’Università degli Studi di Catania, l’Archivio di Stato di Catania, l’Archivio di Stato di Palermo, il Comune di Belpasso, la Curia Arcivescovile di Catania. Con la loro collaborazione hanno permesso di accedere a preziosi documenti che hanno consentito di esaminare con esattezza le vicende e gli avvenimenti che caratterizzarono quegli anni. Buona parte della documentazione originale si trova presso gli archivi della Fondazione Bufali. Il documento più antico è datato 1456.
LA FAMIGLIA BUFALI
La famiglia Bufali è fortemente legata alla storia di Belpasso, in quanto ne ha condiviso sempre i momenti storici più importanti. Impegnata nel settore della seta, arrivò con Don Antonio Bufali, dottore in medicina, che si trasferì dalla città di Catania nel territorio dello scomparso paese di Malpasso attorno al 1640. Visse qui il difficile momento della terribile eruzione dell’Etna del 1669, che distrusse l’agglomerato principale del paese e tutti i suoi casali. Dopo l’eruzione i Bufali assieme ai Malpassoti e ad altri abitanti dei casali dell’Etna, approfittando delle dilazioni e benefici concessi ai “novi habitatori” si trasferirono nel nuovo centro costruito in località Grammena al quale fu dato il nome di Fenicia Moncada, in omaggio al Duca di Mont’Alto Luigi Guglielmo che aveva riunito, sposando Caterina Moncada de Castro i due rami della casata Moncada (di Sicilia e di Aragona di Spagna). Questo toponimo esprimeva l’esaltazione del proprio lignaggio come anche per quello di Stella Aragona. Il progetto del nuovo paese fu redatto dall’architetto degli “Stati” del Principe di Paternò Carlo Manosanta, capomastro della città di Palermo, uniformandosi alle regole progettuali tipiche delle città di nuova fondazione con un piano urbanistico quanto mai simmetrico e regolare, a maglia ortogonale ed con isolati di uguale dimensione.
L’11 gennaio 1693 il terremoto che distrusse Catania e la Sicilia orientale colpì anche il nuovo centro portando rovina e morte. Lorenzo Bufali, figlio di Antonio, fu nominato dal principe di Paternò “Segreto”, per le terre di Fenicia Moncada, di Stella Aragona e di Nicolosi ed incaricato dal Principe di Campofiorito, governatore degli stati del Duca di Montalto e da Don Francesco Notarbartolo governatore della città di Caltanissetta di provvedere come deputato e direttore ai lavori di ricostruzione di una nuova città erede di Malpasso e di Fenicia Moncada, che prese il nome beneaugurante di Belpasso. Per i suoi meriti gli fu assegnato il titolo di Barone di Santa Lucia. Il piano regolatore del nuovo centro fu redatto dal capomastro della città di Caltanissetta Michele Cazzetta, rifacendosi al concetto di “città ideale” già sviluppato nell’edificazione di Fenicia Moncada. Esso è visto come un modello di perfezione, ideato a “scacchiera” in cui le strade intersecandosi tra di loro danno vita ad una struttura urbanistica fatta di spazi ordinati, regolari secondo canoni di assoluta perfezione e criteri di funzionalità e razionalità.
Ma la famiglia Bufali non cessò la sua opera a sostegno della nuova comunità: ha sostenuto la nascita di due importanti Istituti di credito locale; ha contribuito allo sviluppo dell’economia locale, concedendo in affitto, a canoni non esosi, quote del proprio patrimonio agrario; ha devoluto nel 1902, con la Baronessa Margherita Bufali, l’ultima erede, l’intero patrimonio per la fondazione di un orfanotrofio che si sarebbe chiamato “Pio Orfanotrofio Bufali”, oggi “Fondazione Margherita Bufali” Ets.
A completare la Manifestazione, il maestro Barbaro Messina esporrà alcune due opere in pietra lavica ceramizzata prelevate dalla sua collezione del ciclo “Etna madre”. Anche il nostro blog sarà presente alla mostra con due pannelli, curati come sempre in modo minuzioso da Santo Scalia, che raccontano una preziosa ricerca sulle affascinanti epigrafi storiche che rappresentarono nella città di Catania il terremoto del 1693. (https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/)
Con il titolo e nella gallery, alcuni dei documenti della mostra e una serie di immagini di Palazzo Bufali a Belpasso (grazie per le informazioni e le foto a Luciano Signorello)
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]]>L'articolo Gli auguri di Salvo Caffo: in tre minuti e mezzo una piccola “lectio magistralis” sui valori autentici dei vulcani proviene da Il Vulcanico.
]]>(Gaetano Perricone). Miglior augurio di buon Natale e felice 2024 a tutti gli amici del Vulcanico.it, grandi appassionati dell’Etna e in generale di queste formidabili macchine geologiche, non potrebbe esserci: in questo video di circa tre minuti e mezzo, tratto dalla pagina Facebook “L’Ora edizione straordinaria”, il mio carissimo amico Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna e di recente nominato – dal presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Associato di Ricerca dell’Osservatorio Etneo dell’INGV, riesce a sintetizzare in modo straordinario i valori autentici non soltanto scientifici dei vulcani, la loro enorme importanza per la natura e la vita dell’uomo, nonostante siano tirati in ballo solo quando svolgendo il proprio lavoro minacciano luoghi abitati.
Insomma, un vera e propria piccola “lectio magistralis”, una chicca per tutti gli appassionati etnei e non solo: da ascoltare con attenzione questa bellissima riflessione di Salvo Caffo, per trarne gli opportuni insegnamenti. Aggiungo soltanto, mi sembra interessante e opportuno in questo contesto, un commento del nostro amico esimio vulcanologo a proposito di immagini dell’Etna e di altri vulcani, costruite con l’Intelligenza Artificiale, che girano sui social network: “Nessuna cosiddetta impropriamente “AI” è in grado di eguagliare la straordinaria bellezza, l’unicità e la complessità di questo complesso vulcanico poligenico. L’unica intelligenza è quella della Natura”. Siamo assolutamente d’accordo e queste parole molto significative e quelle di questo prezioso video insieme a Salvo Caffo auguriamo a tutti voi e famiglie un Natale sereno e un 2024 ricco di soddisfazioni.
Con il titolo: Etna, 23 dicembre 2023 (foto di Gaetano Perricone)
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]]>L'articolo Gli ottant’anni di Bonimba: il suo ricordo della “partita della lattina” proviene da Il Vulcanico.
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]]>L'articolo E dopo l’Etna, Giulia e Sofia conquistarono il Rifugio Sapienza. Se si vuole, si può! proviene da Il Vulcanico.
]]>Ridono, ridono felici ma anche si commuovono, non stanno nella pelle dalla gioia le mie giovani e carissime amiche Giulia Drago e Sofia Bauchensky, due formidabili “vulcanesse” trentaduenni padovane con sindrome di down piene di energia e gioia di vivere. Ne hanno ottimi motivi: dopo avere portato a termine il 7 settembre 2019 sull’Etna quella che in un mio libro ho definito La scalata della vita, arrivando insieme con altri sette compagni d’avventura con identica disabilità ai 3300 metri di altezza del bordo del cratere della Bocca Nuova – impresa memorabile, da record mondiale, voglio ricordarlo in un mondo che va perdendo ogni giorno di più la memoria -, stanno compiendo in questi giorni un altro passo avanti nel loro brillantissimo percorso di inclusione nella vita vera e attiva, concetto che sottolineano sempre con entusiasmo, con uno stage lavorativo nel ristorante di una delle strutture storiche del vulcano Patrimonio dell’Umanità. Dopo avere conquistato la cima della leggendaria Muntagna, hanno adesso conquistato anche il mitico Rifugio Sapienza, storico luogo simbolo dell’Etna, tutto il personale e soprattutto i tantissimi clienti provenienti da tanti Paesi del mondo. Lo slogan motivazionale è sempre quello che ho usato come sottotitolo per il mio libro, lo stesso per ogni atto dello loro vita: se si vuole si può!
Dal 2 settembre e per due settimane, fino a sabato 16, si sta dunque vivendo presso il Rifugio un’esperienza unica di inclusione e solidarietà, di altissimo valore sociale, culturale, educativo, simbolico per un paio di ragioni precise: la prima è che il lavoro che Giulia e Sofia stanno facendo, consolidando quelli precedenti del genere nella loro Padova – la prima è addetta alle colazioni in un hotel e prima lo è stata in un altro, la seconda è aiuto cuoca in una scuola – , può servire da modello e da esempio da seguire per un percorso di crescita e inclusione per altri soggetti con sindrome di Down; la seconda è che si rafforza il bellissimo legame ideale tra Padova e l’Etna, nato quattro anni fa con la fantastica scalata, mai interrotto nonostante il dramma del Covid e adesso ravvivato da questa nuova, brillantissima iniziativa ideata dal grande Giacomo Drago, papà oltre che di Giulia anche del progetto MontagnAmo, portato avanti dall’associazione Sport 21 di Padova, che si occupa di ragazzi con sindrome di Down e disabilità intellettiva, ed è “parte integrante di un più ampio progetto di vita attiva che mira a rendere le persone più autonome possibile, anche attraverso l’esperienza della montagna”, spiega Giacomo. Il quale, va sottolineato, è ormai un habitué dell’Etna, che dal settembre 2019, quando incontrò il vulcano Patrimonio dell’Umanità guidando il gruppo dei ragazzi che effettuarono l’ascesa alla Bocca Nuova, ha visitato parecchie volte e naturalmente, con la sua formidabile esperienza di montanaro e trekker, oggi si può dire che la conosca molto meglio di tanti etnei.
Giulia e Sofia, le protagoniste di questa nuova, straordinaria storia “insieme sulla strada dell’inclusione”, come recita la locandina del progetto, hanno dunque iniziato una settimana fa il loro lavoro presso il ristorante del Rifugio Sapienza, apprendendo le sfumature dell’accoglienza, del servizio ai tavoli e della preparazione del caffè. Sono motivatissime ed entusiaste: lavorare è per loro, per il progetto di autonomia che perseguono con grande determinazione, un aspetto fondamentale, decisivo nel percorso di inclusione. “Siamo felicissime, stiamo facendo un’esperienza straordinaria, stiamo conoscendo tanti segreti del lavoro in un ristorante che ci serviranno molto. Ringraziamo tutti per quello che stanno facendo per noi“, hanno detto in coro durante la calorosa serata di presentazione dell’iniziativa, raccontando anche come si svolge la loro vita a Padova e commuovendo i tanti ascoltatori e chi è intervenuto, ricordando la magnifica esperienza della scalata della vita fatta accanto ai ragazzi padovani (Umberto Marino, Enzo Agliata, Giuseppe Priolo per il CAI sezione dell’Etna, la guida Nino Longo, naturalmente Giacomo Drago e i padroni di casa, chi scrive).
Ma l’insegnamento più grande è per i gestori del Rifugio Sapienza, Domenico Moschetto e Salvo Caruso e il loro team, i quali hanno scoperto in Giulia e Sofia una fonte inesauribile di gioia, entusiasmo e affetto. Domenico e Salvo hanno subito aderito con entusiasmo alla proposta di Giacomo Drago per lo stage lavorativo delle due ragazze: si deve innanzitutto allo loro generosità e disponibilità se il progetto è diventato concreto e operativo nel giro di pochissimo tempo. “Dal momento in cui Giulia e Sofia sono arrivate, il nostro ristorante è cambiato in meglio – raccontano Domenico e Salvo – Sono sempre sorridenti, entusiaste e affettuose. I clienti le chiamano per nome, i colleghi le seguono nelle loro mansioni, e Massimo, il loro ‘maestro di sala’, afferma che sono velocissime ad apprendere, sempre gentili, e che danno alla squadra una marcia in più. Il Rifugio Sapienza è così diventato un luogo di apprendimento reciproco, dove l’ospitalità si fonde con l’inclusione sociale. Questa esperienza dimostra quanto sia preziosa e arricchente l’interazione reciproca tra persone con disabilità e il mondo del lavoro”.
E allora avanti tutta, magnifiche Giulia Drago e Sofia Bauchensky, buon lavoro e ad maiora!
Con il titolo: Giulia e Sofia al lavoro al Rifugio Sapienza. Per le foto ringraziamo Giacomo Drago e Alessandra Famoso
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]]>L'articolo Ceneri, lapilli, affascinanti opere d’arte. Il genio di Giusy, pitto-scultrice dell’Etna proviene da Il Vulcanico.
]]>“Io sono siciliana, la mia terra mi nutre. Le mie opere d’arte sono fatte con la cenere lavica del vulcano Etna. Io sono come il magma in continua trasformazione”
Si presenta così, con queste parole semplici e forti, Giusy Mintendi, 54 anni, acese d’adozione, artista, da 23 anni pitto-scultrice per vocazione, passione, professione. La pittoscultura è un neologismo: per definizione è una “tecnica artistica in cui le esperienze di pittura e scultura sono fuse, ad esempio inglobando oggetti in un dipinto”. Pitto-scultori in circolazione ce ne sono parecchi, ma la peculiarità, l’assoluta e affascinantissima originalità e genialità di almeno un centinaio delle opere di Giusy è che sono appunto realizzate con l’uso della cenere e dei lapilli – derivanti da quella che in termini scientifici si chiama tefra, l’insieme dei materiali piroclastici prodotti durante le eruzioni – dell’Etna, il più alto vulcano attivo del continente europeo, dal 21 giugno 2013 sito naturale della World Heritage List dell’Unesco.
In estrema sintesi, Giusy Mintendi, che ha studiato all’Istituto d’arte di Catania e ha fatto esperienza nelle botteghe dei maestri di scultura, con la sua tecnica speciale riesce a trasformare in opere d’arte di grande e particolare bellezza quello che il nostro vulcano tira fuori dalle sue viscere nel corso delle sue attività, del suo “lavoro” di formidabile macchina geologica. Ho fatto qualche ricerca su Internet e, a parte le sculture di un artista americano e un quadro di uno italiano, mi sembra di potere dire con quasi certezza che le geniali pitto-sculture in cenere vulcanica della signora Mintendi abbiano davvero un valore di unicità assoluta.
Visitare lo studio di Giusy ad Acireale è un’esperienza emozionante e piena di suggestioni, un prezioso arricchimento per chi ama l’Etna in ogni suo aspetto: tra prove d’autore, quadri, colori, tele, pittosculture, sacchi e contenitori grandi e piccoli pieni di cenere e lapilli di vario spessore e dimensioni, è una vera e propria full-immersion nell’anima del vulcano, che l’artista ha fatto sua, riempiendosi il cuore e la mente, alimentando la sua creatività, motivando e spingendo le sue sapienti mani a una produzione ampia e di qualità progressivamente crescente, come potrete apprezzare nella fotogallery con i miei scatti.
Tutto ha avuto inizio nel 2000, come tutte le cose belle e importanti della vita da un episodio imprevisto. “Lo ricordo come fosse oggi. Eravamo saliti sull’Etna in 12, a vedere l’eruzione in corso, con una giovane guida, bravo ma forse un po’ inesperto – racconta Giusy Mintendi – Il ragazzo non è riuscito a trovare il sentiero per rientrare e siamo rimasti bloccati per tutta la notte lassù. In quelle ore e in quella strana situazione, dentro di me è cominciato un dialogo con il vulcano che non si è mai interrotto, che resta sempre aperto, io mi sento in perfetta sintonia con lei che mi regala se stessa e il mio lavoro è un omaggio a questa meraviglia della natura, cerco la sua bellezza per offrirla a tutti. Tornando a quella notte, raccolsi un pochino di cenere e decisi di intraprendere una sperimentazione per un nuovo percorso artistico, con una tecnica complessa, che ha richiesto e richiede impegno e sacrificio, passione e determinazione, molta costanza, ma mi ha regalato soddisfazioni enormi”.
Tra le sue opere, che ci mostra con legittimo orgoglio, tra i colori, le ceneri e i lapilli, Giusy ci racconta gli esordi e l’evoluzione della sua tecnica: “Dopo quell’avventura per fortuna a lieto fine sul vulcano, riportai le mie sensazioni e impressioni, immagini e suoni in una serie di 35 tele che fanno parte di una serie che ho chiamato Ante, anagramma di Etna, mi è venuto di chiamarla così. Poi ho cominciato, con opere che avevano come tema le farfalle, le prove della nuova tecnica con la pittoscultura. In un primo momento centellinavo la cenere del vulcano amalgamandola con la pittura; successivamente predisponevo sulla tela un foglio di cenere vulcanica e ci dipingevo di sopra, attaccando alla fine i lapilli più grossi; poi, man mano che la tecnica si perfezionava e la qualità delle opere migliorava, non mi sono più accontentata e ho cominciato ad amalgamare la cenere con la vernice, i lapilli e negli ultimi tempi anche altre pietre. E’ un percorso artistico che dura da oltre vent’anni e l’inizio non è stato per niente facile – sottolinea Mintendi – Le prime tele si bucavano sotto il peso della cenere, ho dovuto fare e faccio ancora prove su prove per arrivare alla qualità migliore dell’opera. Il mio primo lavoro creato con la cenere del vulcano risale al 2001 e ancora oggi la complessità di questa tecnica richiede tenace impegno e tempo, tanto: per realizzare L’Etna è femmina, opera che considero tra le più belle e riuscite, ci sono stata due anni. Oggi, nonostante il grande scetticismo, talvolta la volgare derisione, con cui ho dovuto confrontarmi in questi lunghi anni di crescita artistica, credo che il senso di tridimensionalità che danno i miei lavori risponda in pieno ai criteri che hanno ispirato la mia pittoscultura”.
Domanda d’obbligo: come si rifornisce di cenere e lapilli, il suo materiale fondamentale per i lavori?. Giusy risponde sorridendo: “Ne ho raccolta tanta negli anni dei parossismi, da casa e dal giardino, ma ho anche chiesto e continuo a chiedere a tuti i miei amici che negli anni me ne hanno portato sacchi pieni. L’ho divisa tra quella finissima e quella un poco più spessa, che costituiscono parti diverse del progetto – mi spiega mostrandomela -, mentre per i lapilli vado sul vulcano, con il quale, lo ripeto, il dialogo è meravigliosamente e costantemente aperto”.
Mi soffermo ad ammirare e a fotografare le opere, davvero splendide, fascinose, suggestive. Ci sono le bocche, le colate, la lava e la neve, grotte e ingrottamenti, la sommità e la Valle del Bove: una rappresentazione artistica e culturale, di grande potenza evocativa, estremamente originale e a 360 gradi del mondo dell’Etna, del suo eccezionale valore universale riconosciuto dall’Unesco, difficile smettere di guardare e apprezzare per chi come me il vulcano lo ama profondamente.
Sono ormai tante negli anni e e diffuse nel territorio etneo le occasioni in cui il pubblico ha potuto vedere i suoi lavori, che l’artista promuove con una incessante attività e con varie iniziative sui social network (ultima bella iniziativa il progetto Arte e Fitness). Cito le più importanti per sua giusta soddisfazione: Taormina: Palazzo Duchi di Santo Stefano, Fondazione Mazzullo; Catania: Palazzo Biscari; Biblioteca Comunale Vincenzo Bellini; Villa Manganelli; Grand Hotel Excelsior Acitrezza: Trezzarte; Zafferana Etnea: Sala Consiliare, in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri; Gravina di Catania: Anfiteatro Villa Comunale; Acireale: Palazzo Di Città Antisala Consiliare, Sala degli Zelanti; Aci Sant’Antonio: Palazzo Cantarella; Aci Bonaccorsi: Palazzo Cutore; Aci Castello: President Park Hotel. Presentazione dei progetti artistici ideati dall’artista: ARTE IN POESIA e DIPINTI SONORI Piazza comunale Dei Due Mari, Capopassero; Piazza del Duomo, Acireale; Castello Normanno, Aci Castello; Villa Fortuna Acitrezza; Biblioteca comunale (Palazzo Riggio) Acicatena; Evento wine Palmento 700 Cantine Scudero; per ultimo il Festival Vulcani -Etna a Trecastagni, sala Bianchi, dove le sue installazioni hanno suscitato curiosità e interesse.
Il suo desiderio è una grande mostra con tutte le pittosculture in cenere vulcanica sull’Etna, che avrebbe sicuramente un notevole impatto; il sogno, che questa donna piena di energia mi esprime con semplicità ed entusiasmo, è “un posto per le mie opere nel Museo dell’Etna a Catania”, che dovrebbe nascere nei locali dell’ex Ospedale Vittorio Emanuele. Dopo avere avuto la gioia e il privilegio di una lunga visita personale, ricca di sensazioni speciali, ai suoi lavori davvero unici e speciali, non posso che augurarle di cuore, da parte mia e del Vulcanico.it, tutto il meglio: ad maiora bravissima Giusy, spero che i tuoi sogno possa avverarsi.
L'articolo Ceneri, lapilli, affascinanti opere d’arte. Il genio di Giusy, pitto-scultrice dell’Etna proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo L’Etna nell’Unesco, dieci anni dopo: storia di una grande conquista e di un successo di squadra proviene da Il Vulcanico.
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di Gaetano Perricone
E’ la storia, anzi la cronaca, di una grande conquista, che è stata anche una meravigliosa avventura: il percorso che ha portato all’iscrizione dell’Etna, il Mount Etna, la nostra magica Muntagna, nella lista dei siti naturali della World Heritage List, il Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. Una conquista che vale la pena raccontare nei dettagli, in occasione del decennale della conquista.
E’ una cronaca intensa e appassionata di una storia appassionante, durata circa due anni con un rigoroso rispetto delle procedure previste dall’Unesco, che ho vissuto in prima persona come componente dello staff del Parco che ha portato avanti l’iter e che ho raccontato al mondo passo dopo passo.
In tempi in cui si parla tanto, talvolta senza una adeguata conoscenza dei fatti, di questo fondamentale riconoscimento per l’Etna e il suo territorio, mi piace molto raccontarla a voi, amici del Vulcanico, questa gran bella storia, riprendendola quasi interamente dal testo che ho scritto per il volume celebrativo “Etna Vulcano del Mondo” (AA.VV., Villaggio Maori Edizioni, 2014), che vi invito a leggere perché è una preziosa e straordinaria testimonianza collettiva, da trasmettere alle future generazioni, dei componenti dello staff Unesco del Parco di un percorso professionale e umano di grandissimo spessore.
Storia di una grande conquista
21 giugno 2013, ore 11,45. Nell’antica sede del Parco dell’Etna, l’ex Monastero Benedettino di San Nicolò La Rena a Nicolosi, arriva dalla lontanissima Cambogia, che viaggia con 5 ore avanti, la notizia più attesa: l’Etna, “a Muntagna”, entra a vele spiegate nella World Heritage List, la lista del Patrimonio dell’Unesco. Il Comitato del Patrimonio Mondiale, riunito a Phnom Penh, ha emesso con un consenso pieno ed entusiasta, salutato con grande applauso collettivo, il suo verdetto sulla iscrizione del più alto vulcano attivo d’Europa. Si materializza un sogno.
Nel giorno del solstizio d’estate, dunque, l’Etna diventa finalmente Patrimonio dell’Umanità, si realizza un ambizioso progetto pensato vent’anni prima. E’ il quarto sito naturale italiano (dopo le Dolomiti, le Isole Eolie e il Monte San Giorgio) a fregiarsi dello straordinario riconoscimento.
Dal mio computer di allora responsabile dell’ufficio stampa del Parco, parte subito una brevissima nota, carica di emozioni, rivolta ai colleghi giornalisti: “Etna approvata !!!”, ci siamo, è il trionfo. E’ la prima, vuole esserlo, notizia in assoluto sul traguardo felicemente raggiunto. Ho voluto, abbiamo voluto essere i primi a informare il mondo: ci toccava, essendo stati noi a proporre all’inizio del 2011 e a portare avanti la candidatura della nostra cara Muntagna. Da questo momento, comincia uno straordinario, inarrestabile, per noi ubriacante diluvio mediatico. Il Parco dell’Etna non è presente con propri esponenti in Cambogia, alla riunione del Comitato, per una precisa scelta di sobrietà, legata alle difficoltà economiche generali per la crisi e alla limitatezza delle risorse dell’Ente.
Il vice primo ministro cambogiano Sok An, presidente della sessione del Comitato, si congratula con l’Italia per l’ iscrizione del vulcano siciliano nella Lista del Patrimonio Mondiale. “I ricercatori sono affascinati dal Monte Etna da migliaia di anni – commenta a sua volta Tim Badman, direttore del programma del Patrimonio Mondiale IUCN – I suoi valori scientifici, culturali ed educativi sono di importanza globale. Speriamo che questo status prestigioso porti con sé una maggiore protezione del sito”.
L’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), agenzia incaricata di esaminare l’inserimento dei siti naturali nella World Heritage List, aveva proposto l’iscrizione del Monte Etna insieme ad altri quattro luoghi di grande interesse in altre zone del mondo (l’area del Xinjanìg Tianshan in Cina; El Pinacate e il Gran deserto in Messico; il Mare Salato della Namibia; il Parco nazionale del Tajik, con le Montagne del Pamirs, in Tagikistan). Adesso fanno tutti parte del Patrimonio dell’Umanità.
La motivazione ufficiale. E’ straordinaria e ancora oggi, dopo dieci anni, emoziona parecchio leggerla: “Il sito “Mount Etna” comprende 19,237 ettari del Parco dell’Etna,. Con un’altezza di 3,335 m sul livello del mare, l’Etna è la montagna più elevata d’Italia al sud delle Alpi, la più alta dell’area centro-mediterranea e di qualsiasi isola mediterranea. Il sito candidato copre la zona più elevata dell’Etna che non è abitata. L’Etna è il vulcano più attivo al mondo in termini di frequenza eruttiva. È il vulcano più alto d’Europa e il più grande vulcano basaltico composito e copre un’area di 1,178 km2 sul livello del mare, raggiungendo un’altezza di oltre 3,300 m. Il vulcano è caratterizzato da un’attività vulcanica quasi incessante nei crateri sommitali e da frequenti colate laviche da crateri e fessure laterali. Quest’attività vulcanica è documentata da almeno 2700 anni. La documentazione scientifica relativa all’Etna risale al XVII secolo. Nel XIX secolo, famosi scienziati europei, quali Charles Lyell e Sartorius von Waltershausen, hanno condotto studi sistematici e la mappa di Waltershausen, della prima metà del XIX secolo rappresenta la prima mappa geologica di un vulcano di grandi dimensioni. Da quel momento l’Etna è diventato il vulcano più studiato e monitorato al mondo. È considerato un laboratorio naturale per vulcanologi, geofisici e altre discipline delle scienze della terra.
L’Etna allo stato attuale è il risultato di una complessa storia eruttiva che può farsi risalire a oltre 500.000 anni fa. L’attività vulcanica centrale nella regione etnea ha avuto inizio oltre 100.000 anni fa. Circa 57.000 anni fa un’intensa attività vulcanica ha dato origine al vulcano Ellittico alto oltre 3.600 m, mentre circa 15.000 anni fa, l’attività principalmente effusiva ha formato il più recente Mongibello, le cui 357 colate coprono l’88% dell’intera superficie dell’Etna. La più grande eruzione esplosiva del Mongibello si è verificata nel 122 AC, causando enormi danni alla città di Catania, città costiera che ha subito anche un’eruzione laterale a bassa quota nel 1669. La più recente mappa geologica dell’Etna indica 122 colate laviche nel periodo storico che va dal 122 AC ad oggi. Attualmente l’Etna conta quattro crateri sommitali e una dozzina di coni di cenere vulcanica. Tuttavia la caratteristica morfologica predominante dell’Etna è la Valle del Bove, una grande depressione sul versante orientale del vulcano creata da un fianco collassato migliaia di anni fa e che adesso rappresenta una finestra sulla storia del vulcano”.
Tutte le tappe del percorso. Torniamo molto indietro nel tempo. Ha origine lontane il significativo rapporto tra il Parco dell’Etna e la UICN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura. Era il 1992, quinto anno di vita dell’allora giovanissima area protetta attorno al più alto vulcano attivo d’Europa: tra il 16 e il 19 ottobre il Parco ospitò nella sua sede a Nicolosi un importante convegno dei membri del Nord Africa e del Medio Oriente della più prestigiosa istituzione mondiale in materia di protezione della natura, esperti di 13 Paesi dell’area mediterranea.
Non si parlò ufficialmente di inserimento dell’Etna nel patrimonio mondiale dell’umanità, ma furono compiuti allora, in termini di concrete relazioni internazionali, i primi passi del complesso, ma affascinante percorso concluso con l’esaltante risultato dell’iscrizione del vulcano tra i siti naturali della World Heritage List. Ed è ancora incredibilmente attuale un passaggio contenuto nel messaggio di saluto agli illustri ospiti di Bino Li Calsi, il compianto presidente e padre nobile del Parco dell’Etna e del sistema dei Parchi italiani ed europei, che così descrive l’area protetta intorno all’Etna. “ … un Parco nel quale si può camminare tra i secoli della storia, come se il tempo fosse uno spazio. Un Parco che ha alcune somiglianze con altri Parchi, ma soprattutto grandi diversità per essere un vulcano attivo al centro del Mediterraneo, con alcuni aspetti che gli conferiscono una specificità universalmente riconosciuta … Nel nostro Parco, la storia degli elementi naturali e la storia dell’uomo si fondono e si confondono …”.
Per arrivare al successivo passaggio rilevante bisogna fare un salto nel tempo fino al 2000, quando si cominciò a parlare di candidatura dell’Etna e del suo territorio per la World Heritage List dei siti culturali. Organizzato dal Parco dell’Etna e dal Comune di Catania, si svolse dall’8 all’11 marzo a Catania un Seminario mondiale dell’Unesco per la definizione dei paesaggi culturali. Obiettivo del prestigioso meeting fu la presentazione e la discussione di problematiche e iniziative relative alle politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale e la individuazione delle caratteristiche per l’inserimento dei paesaggi culturali nel patrimonio Unesco. Parteciparono ai lavori 21 membri del Comitato mondiale, insieme a osservatori ed agli esperti indicati dall’organizzazione internazionale.
La candidatura dell’Etna rimase in standby per otto anni e, a parte alcune iniziative sporadiche e certamente un sotterraneo lavoro diplomatico di personaggi e istituzioni siciliane, su di essa calò il silenzio fino al rilancio in grande stile all’inizio del 2008. L’allora presidente della Provincia Regionale di Catania Raffaele Lombardo ebbe un incontro con Mounir Bouchenaki, direttore generale dell’ICCROM (il Centro Internazionale per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali), prefigurando alcune iniziative internazionali sull’Etna, per rafforzarne la candidatura al riconoscimento Unesco.
Dopo una serie di incontri sul tema organizzati dai “club services”, in particolare del Club Unesco di Catania guidato dall’attiva, anche lei compianta Elisa Brischetto, dunque con il coinvolgimento e la pressione della società civile, si arriva al 2009, quando il Parco dell’Etna avvia l’iter per promuovere la candidatura del vulcano come patrimonio culturale dell’Unesco. E’ il 23 gennaio e la notizia viene annunciata da Ettore Foti, Commissario Straordinario, nel corso di una conferenza nel suggestivo scenario di Villa Manganelli a Zafferana Etnea, alla presenza di due autorevolissime personalità in ambito Unesco: ancora una volta Mounir Bouchenaki, Direttore Generale dell’ICCROM e Ray Bondin, Segretario dell’ICOMOS (il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei siti). Proprio il vulcano e la sua candidatura a Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO furono il tema dominante della conferenza: l’inscindibilità delle sue componenti antropiche e naturalistiche, che ne fanno un paesaggio culturale unico, fu sottolineata dagli interventi dei due responsabili delle agenzie dell’UNESCO.
Il decisivo cambiamento di rotta e la forte accelerazione nel lungo iter della candidatura dell’Etna arriva nel 2010. Il Parco dell’Etna, la Sovrintendendenza ai Beni Culturali e ambientali di Catania, l’associazione Legambiente, la Fondazione Unesco Sicilia e l’Azienda Regionale Foreste Demaniali propongono un percorso comune per rilanciare e accelerare l’iter di inserimento dell’Etna e del suo territorio nella lista questa volta dei siti naturali del Patrimonio mondiale dell’Unesco, che avrebbe formidabili ricadute in termini di promozione e di fruizione turistica. Viene sottolineata la paradossale situazione di un sito come l’Etna, simbolo dell’Italia nel mondo e straordinaria attrazione turistica per le sue peculiarità naturalistiche e culturali, di fatto da sempre patrimonio dell’umanità, ancora fuori dalla World Heritage List Unesco.
Seguì quindi la proposta ufficiale del Parco dell’Etna al Ministero dell’Ambiente, l’inserimento del vulcano nella lista propositiva dei siti naturalistici Patrimonio dell’Umanità e, il 26 gennaio del 2011, l’iscrizione del sito Monte Etna nella suddetta Lista (la “tentative list”) da parte della Delegazione permanente italiana presso l’Unesco. Poi la fortissima accelerazione dell’iter di candidatura, con la rapida preparazione del “dossier di nomination” da parte dello staff interno del Parco dell’Etna, istituito appositamente dal Commissario Straordinario Foti e l’accettazione della candidatura da parte del Centro del Patrimonio Mondiale di Parigi, all’inizio del 2012. E poi ancora la determinante visita ispettiva sul campo del valutatore tedesco dell’IUCN Bastian Bertzky all’inizio di ottobre, l’esame delle Commissioni internazionali di esperti preposte, fino all’annuncio ufficiale del 5 maggio 2013 dell’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, che volle personalmente comunicare la notizia della proposta ufficiale dell’IUCN per l’inserimento dell’Etna tra i siti naturali della World Heritage List. “E’ un traguardo significativo per l’Italia – fu il commento in una nota di Orlando – Il riconoscimento Unesco, come è già avvenuto recentemente con le Dolomiti, è un’opportunità per il nostro Paese per coniugare la tutela dell’ambiente con la valorizzazione del territorio, investendo così nello sviluppo sostenibile, la strada che dobbiamo percorrere”. E infine, il 21 giugno di dieci anni fa, la memorabile proclamazione nella riunione in Cambogia.
Mi piace e mi sembra doveroso, in occasione di questo decennale del riconoscimento del nostro vulcano e soprattutto in tempi in cui si tende a dimenticare storie e persone, ricordare e sottolineare che l’iscrizione dell’Etna tra i siti naturali della World Heritage List dell’Unesco, formalizzato dal Comitato del Patrimonio Mondiale il 21 giugno 2013 a Pnhom Penh, capitale della Cambogia, è il successo di una “grande squadra”, di uno staff interno all’Ente Parco dell’Etna che, con enorme passione e impegno, con alcuni fondamentali contributi esterni e a costo praticamente zero, ha raggiunto l’obiettivo nei tempi e nei modi previsti dal complesso iter previsto dall’Unesco. Nessun uomo solo al comando, nessun divo, nessuna stella che ha oscurato i comprimari.
E dunque, per finire in bellezza, a ciascuno il suo, unicuique suum tribuere. Della grande squadra, voglio citare uno per uno, con nome e cognome e senza le specifiche competenze proprio per sottolineare il valore assoluto del lavoro collettivo, tutti i componenti: Ettore Foti, ex commissario straordinario del Parco, che nel 2011 ha avuto l’idea di creare un gruppo operativo ad hoc; lo staff interno del Parco, guidato dalla coordinatrice Agata Puglisi e composto, in ordine rigorosamente alfabetico, da Salvo Caffo, Michele Leonardi, Francesco Pennisi, Gaetano Perricone me medesimo, Luciano Signorello, Rosa Spampinato, Alfio Zappalà, con il contributo indispensabile di Giuseppe Squillaci, Salvo Spina, delle guide Franco Emmi, Orazio Distefano, Sebastiano Russo, insieme a quello, silenzioso e proficuo, di molti altri colleghi dell’ente. Con noi, dall’inizio alla fine, la formidabile traduttrice e interprete Angela Valeria Pace, che ha scritto direttamente in lingua inglese il dossier di candidatura e che ci ha dato un supporto determinante anche nella fase di “cucitura” dell’essenziale documento. Va anche ricordato Giuseppe Calaciura, anche lui ex commissario straordinario in una fase della candidatura. Ultima, solo in ordine di tempo, ad avere un ruolo in questa grande storia, la presidente del Parco Marisa Mazzaglia, al vertice dell’Ente nella fase finale dell’iter prima del del grande risultato.
Poi, anche loro fondamentali per il risultato finale, i componenti esperti, pochi ma ottimi: le professoresse Emilia Poli Marchese e Maria Teresa Vinciguerra, il professore Benedetto Puglisi e la ricercatrice Alessia Di Raimondo. Poi gli indispensabili “inviati speciali” dal Ministero dell’Ambiente, preziosissimi con i loro consigli e la loro azione di collegamento, Ottavio Di Bella e Mario Colantoni e l'”osservatore” Piero Gianolla, coordinatore dello staff di candidatura del Parco delle Dolomiti.
Per il resto, vanno citati gli altri enti che hanno proficuamente collaborato con strutture ed esperti all’appassionante cammino verso il grande risultato: la Regione Sicilia, i Comuni, il Corpo Forestale, l’Azienda Foreste Demaniali, l’Università, ovviamente l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), che sull’Etna svolge un lavoro costante di studio, monitoraggio, informazione, divulgazione apprezzato in tutto il mondo. E tutti quelli – enti, associazioni e personalità – che hanno supportato la candidatura del più alto Vulcano attivo d’Europa con le loro importanti lettere di sostegno, chi ha realizzato il meraviglioso filmato-spot (Obiettivo Natura di Orazio Aloi), chi ha generosamente ospitato nella sua bella cantina l’importantissimo incontro con gli stakeholders del territorio (le Cantine Patria), la stampa locale e non solo che ha seguito e raccontato l’iter di candidatura. Dulcis in fundo, voglio ricordare doverosamente il formidabile geografo tedesco Bastian Bertzky, che per conto dell’IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della natura, ha effettuato la missione ispettiva sul sito candidato.
Con il titolo: Phnom Pehn, Cambogia, 21 giugno 2013, il momento della proclamazione dell’Etna come sito sito della World Heritage List
L'articolo L’Etna nell’Unesco, dieci anni dopo: storia di una grande conquista e di un successo di squadra proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Quel sorriso semplice di Falcone e Borsellino. Stragi, boss, innominabili. La potente LuceMemoria di Tony Gentile proviene da Il Vulcanico.
]]>Loro due sono lì, in fondo e al centro del piccolo Teatro Garibaldi, un gioiello di Palermo che rivive. Li vedi subito appena entri, ti catturano come una fortissima calamita. Quel loro sorriso, complice e sornione, che ha reso celeberrima nel mondo la straordinaria foto ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino scattata il 27 marzo 1992, due mesi prima della strage di Capaci, da Tony Gentile – ma che gli ha anche inferto grosse amarezze perché sono ancora in molti, troppi ancora oggi a utilizzarla con estrema disinvoltura senza citare la fonte – , con la sua enorme potenza evocativa è e non poteva essere altrimenti l’attrazione fatale, il simbolo speciale, il riferimento visivo per qualsiasi visitatore da ogni parte del Pianeta della bellissima, magnifica, emozionante, mozzafiato, mostra dal titolo ricco di suggestioni, LuceMemoria, del 59enne fotografo, fotoreporter e videomaker palermitano.
Con un valore aggiunto che dà i brividi: lo scatto di Tony è per la prima volta quella che oggi viene chiamata installazione, è immagine animata, accompagnata da suoni e dalle voci dei due giudici. Ti sembra che sono lì, vivi. Come sono in realtà dentro di noi. “Questa fotografia è stata adottata dalla gente comune che l’ha trasformata in un vessillo di legalità – scrive nel suo sito Tony Gentile – e tutto questo perché, secondo me, racchiude in sé un gesto vero che ciascuno fa nella vita di tutti i giorni: questa semplicità ci avvicina a Giovanni e Paolo, ci fa sembrare simili a loro, dimostrandoci che quello che pensavano e facevano loro possiamo farlo anche noi. In sintesi è una fotografia semplice e non una semplice fotografia”.
“Una esperienza immersiva per un viaggio nella memoria”, viene definita la mostra nella cartolina promozionale. I ventotto pannelli appesi come lenzuoli ai palchi del teatro con altrettante stupende foto in bianco e nero, di grande impatto scenico ed emotivo e che riportano subito alla memoria i lenzuoli della ribellione di Palermo alla mafia dopo l’attentatuni del 23 maggio 1992 (forse l’autore voleva proprio questo), sono molto di più, perlomeno per un palermitano di 67 anni cronista di lungo corso: ci ricordano – raccontano a quelli più giovani di noi che non sono stati testimoni di quel tempo terribile – quanto la mafia e le mafie, colpevoli dei reati più orrendi che la mente umana possa partorire, siano il vero, profondo, finora inestirpabile cancro della società italiana, anzi mondiale. Lo fanno attraverso le immagini del grande fotoreporter ai fatti di sangue, Capaci e via D’Amelio innanzitutto; dei boss di Cosa Nostra (Totò Riina e Giovanni Brusca) e degli eroi che hanno dato la vita per combatterli (i dottori Falcone, Borsellino, Livatino, gli uomini delle scorte); di quelli che vengono definiti “gli innominabili” (Giulio Andreotti, Salvo Lima, Vito Ciancimino). Immagini di terrore, di morte, di disperazione, ma anche di voglia di riscatto e di speranza attraverso i bambini. Una sintesi formidabile di mezzo secolo della nostra storia, con foto di grande efficacia, che solo un professionista ricca di esperienza sul campo, capacità, profondità, sensibilità poteva realizzare. Luce e memoria insieme, memoria e luce.
Ringrazio moltissimo Tony Gentile, collega e caro amico che ho conosciuto e apprezzato tanti anni fa sulla strada, come anche lui ricorda e come sono le migliori conoscenze e amicizie nel nostro comune mestiere bellissimo nonostante tutto, per avere arricchito la nostra anima e la nostra coscienza con questa carrellata di immagini pieni di potenti ricordi e stimoli a non mollare mai impegno civile contro mafia e illegalità. Ho aspettato oggi per scrivere queste quattro parole per una ragione precisa: rendere omaggio, attraverso la ormai quasi leggendaria foto che li ritrae insieme e alle altre della mostra, ai dottori Falcone e Borsellino, che il lutto nazionale lo meriterebbero ogni giorno per avere dato la vita per noi e per gli insegnamenti che continuano a trasmettere alle nuove generazioni.
Nella fotogallery qualche mio scatto dalla mostra LuceMemoria, organizzata da Le vie dei Tesori. Poca roba documentata da un dilettante con lo smartphone, che ne rende minimamente la bellezza. Merita sicuramente una visita, possibile fino al prossimo 9 luglio, anche per avere l’opportunità di vedere il delizioso Teatro Garibaldi.
Con il titolo: la foto in occasione della mia visita alla mostra di Francesca Scelfo, che ringrazio moltissimo
L'articolo Quel sorriso semplice di Falcone e Borsellino. Stragi, boss, innominabili. La potente LuceMemoria di Tony Gentile proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo Angelo Sicilia e e i suoi emozionanti pupi antimafia ci raccontano Giovanni e Paolo proviene da Il Vulcanico.
]]>Lo spettacolo dei pupi antimafia Storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è dedicato alla vicenda umana ed all’impegno dei due giudici simbolo della lotta alla criminalità organizzata. È uno dei nostri spettacoli più rappresentati, l’abbiamo portato in giro in ogni parte d’Italia ed in diverse parti d’Europa in questi ultimi quindici anni. La rappresentazione è toccante ed emozionante e racconta la storia dei due eroi-antimafia fin dal periodo della loro giovinezza. Si racconta dell’incontro con la mafia, del lavoro all’interno delle istituzioni, della complessa vicenda del pool antimafia e dell’istruzione del Maxiprocesso. Tutte le scene vengono raccontate con il linguaggio semplice e diretto del teatro dei pupi.
Come in tutte le nostre storie raccontiamo i grandi personaggi che hanno combattuto contro la mafia cercando di renderli vicini al pubblico che ci segue, ovvero cercando di umanizzarli piuttosto che mitizzarli. Quando mettiamo in scena questo tipo di trasposizione – e utilizzare le marionette facilita il nostro compito – li rendiamo più simili a noi. Per cui prediligiamo questo punto di vista intimo piuttosto che la fredda cronaca.
Questo non vuol dire che non vengano rappresentate tutte le vicende salienti legate alla loro storia, ma ci sono soprattutto dei momenti e degli spazi all’interno dello spettacolo riservati ai dubbi e alle incertezze che appartengono appunto al lato umano di questi personaggi. Nella parte finale di Storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino c’è, per esempio, una lunga scena dedicata alla solitudine del giudice Borsellino dopo la morte di Falcone, la cominciare dalla famosa serata di giugno a Casa Professa, durante la quale il giudice racconta le sue sensazioni e lascia il suo testamento spirituale a tutti i palermitani. Ma ce n’è una che preferisco particolarmente e che mi piace particolarmente recitare al mio pubblico: è la scena in cui si incontrano Giovanni e Paolo davanti l’austero Palazzo di Giustizia di Palermo. Falcone è stato appena trasferito a Roma al Ministero di Grazia e Giustizia e si confronta col suo amico Borsellino. In questo momento sono due uomini soli, con le loro paure e tensioni. Sono soli, ma veri. Sono soli, ma proprio per questo più vicini a noi. Sono in carne ed ossa questi pupi: ci parlano direttamente al cuore ed alla testa, perché parlano di speranze, di sentimenti, d’amore. Parlano a noi e noi siamo li con loro. Ecco il brano dell’incontro.
Falcone e Borsellino passeggiano davanti il Palazzo di Giustizia di Palermo
G: Caro Paolo, pagherei per poter passeggiare liberamente nella nostra Palermo come stiamo facendo oggi…
P: Liberamente? Siamo controllati a vista dai ragazzi della scorta, ma proviamo ad immaginare d’essere soli come due amici che si incontrano all’aria aperta per salutarsi…
G: Tra qualche giorno parto per Roma, mi mancherà questa terra e anche tu amico mio! Ma chissà… al Ministero di Grazia e Giustizia potrò fare le cose giuste, quelle di cui abbiamo bisogno per cambiare la Sicilia!
P: Era qui il tuo posto, dovevi guidare la macchina che hai creato e invece dai troppo fastidio e non solo ai mafiosi!
G: Paolo, come lo vedi il tuo futuro?
P: Giovà, mi basterebbe accompagnare i miei figli a scuola, portarli in barca, stare disteso sulla spiaggia a godermi il sole! Vivono come reclusi e questo mi fa sentire in colpa. Vorrei invecchiare e conoscere i miei nipotini.. E poi mi chiedo cosa faranno da grandi il mio Manfredi, la mia Lucia e la piccola Fiammetta…cosa ricorderanno di loro padre…
G: Paolino che fa vuoi morire prima dei tuoi giorni? Tu hai la pelle dura e sono certo che festeggerai i tuoi 100 anni!
P: Sai cosa ti dico? Io amo il nostro lavoro e questi sacrifici saranno ripagati, pensa questa città libera e felice come una volta! La mafia è riuscita a distruggerne la bellezza, ma prima o poi questo popolo alzerà la testa!
G: E allora Paolo salutiamoci come abbiamo fatto da bambini, prima d’essere stati sfollati a causa della guerra con l’augurio di rivederci ancora qua, tra le rovine di una città tutta da ricostruire…
P: E con la stessa promessa di combattere sempre per la giustizia! A presto amico mio e fa buon viaggio!
Si abbracciano
* Direttore della compagnia dell’Opera dei Pupi Antimafia di Palermo
L'articolo Angelo Sicilia e e i suoi emozionanti pupi antimafia ci raccontano Giovanni e Paolo proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo 4 maggio 1990: Re Carlo III sull’Etna, tra schizzi sul paesaggio e due forchettate d’insalata proviene da Il Vulcanico.
]]>di Luciano Signorello
La seconda metà del mese di aprile del 1990 in ufficio, al Parco, si andava avanti con la strana sensazione che non tutto scorresse come prima. Al rientro dalle festività pasquali, il dott. Bino Li Calsi era molto strano e misterioso. Si chiudeva spesso nella sua stanza e faceva o riceveva lunghe telefonate, vennero a trovarlo persone che mai avevo visto prima e sempre con la porta chiusa, cosa che non succedeva mai, perché lui ripeteva spesso che in un ufficio pubblico nessuno deve avere segreti. Mah!
Ogni tanto il presidente chiamava qualche collaboratore, poi usciva, poi parlava al telefono, le pratiche da firmare le voleva trovare sul tavolo al mattino e poi non ne voleva vedere e, soprattutto, discuterne per il resto della giornata. La cosa più strana che fece in quei giorni, fu quella di dire all’economo di comprare un set di tovaglie da bagno di ottima qualità e di colore bianco, senza indicarne la destinazione.
Il 24 aprile passai a salutarlo, pensando che sarebbe tornato a Palermo; invece mi disse che l’indomani mattina sarei dovuto andare a prenderlo con il fuoristrada, di buon mattino. Certo, la richiesta mi sembrò strana, anche perché avevo altri programmi, essendo giorno festivo. Mi presentai prestissimo, come da lui indicatomi, mi offrì il caffè e mi indicò di andare in quota e poi silenzio. Dopo un paio di chilometri, decise di aprire un discorso. Discorso che dopo avermi informato che i suoi “strani” comportamenti derivavano dal fatto che avremmo dovuto ospitare in visita sull’Etna una persona molto importante. Importante quanto, visto che noi ne avevamo avuto ospiti importanti: studiosi, uomini di scienza, politici, ministri, giornalisti ? Quindi mi sembrò un poco esagerato e gli chiesi chi era questo personaggio così importante da superare tutti quelli che avevamo avuto, e dietro mia insistenza, mi rispose: Carlo. In un attimo feci passare nella mia mente tutti i personaggi conosciuti e che avevano a che fare con il “nostro” mondo, ma non ne trovai.
Scusi presidente, gli chiesi, Carlo chi?
Silenzio, accensione dell’ennesima sigaretta, e poi: Carlo d’Inghilterra!
Non riporto la mia esclamazione, ma è facilmente intuibile.
Comunque, mi disse, ho organizzato quasi tutto per la parte che riguarda il ricevimento, dove lo dobbiamo fare, come, quando, in quale modo, con chi, ecc. Scusi, gli risposi, se lei ha organizzato tutto, perché oggi non mi lasciava a casa, visto che mi ero organizzato una bellissima escursione fotografica con alcuni amici nelle campagne di Troina a fotografare i campi di sulla fioriti (la “sulla” è una leguminosa che si usa come foraggio che produce dei bellissimi fiori), che stava cominciando a fiorire? Anche perché a fine escursione qualcuno aveva organizzato un ricco conviviale! “Perché da ora in poi c’è bisogno della tua discreta ma efficace collaborazione”, mi rispose, e continuò, domani verranno delle persone e verranno con te in fuoristrada. Senza aggiungere altro.
L’indomani mattina vennero a cercarmi tre persone ed uno solo mi fece delle domande e poi salimmo sul fuoristrada. Ho seguito le prime indicazioni che dava sempre la stessa persona, poi però cominciai un poco ad innervosirmi e chiesi spiegazioni. Spiegazioni ampiamente ricevute ma che non sto qui a riportare. Un bel giro abbiamo fatto, non c’è che dire. Dalla tangenziale dovevamo arrivare alle quote medie del vulcano, ma non dalle “solite” strade ed entrare nelle aree demaniali non dalle “solite” zone, anche se erano già stati con la Forestale. Fu un lungo giro e, stranamente, trovavo i cancelli e le sbarre dalle quali pensavo di accedere ai luoghi indicati senza lucchetti e chiavistelli. Praticamente volevano capire se anch’io sceglievo gli stessi percorsi che gli erano stati indicati dagli uomini della Forestale.
E niente, sorvoliamo sui particolari fino al mattino del 4 maggio di quel 1990, giornata uggiosa e leggermente piovigginosa. Mi portai verso l’ingresso che avevamo stabilito e puntuali arrivarono alcuni bellissimi e scintillanti fuoristrada. Arrivammo al luogo prescelto per il conviviale, ma con alcune soste durante la salita per permettere al nostro ospite illustre di scendere da una di quelle macchine e abbozzare degli schizzi. Entrammo da un ingresso al demanio regionale in territorio di Adrano e poi arrivammo alla casermetta di San Giovanni Gualberto, per il pranzo (ecco a cosa serviva la biancheria da bagno bianca). Poi salimmo verso i crateri sommitali ma ci fermammo nei pressi dello scomparso “Piccolo rifugio” vicino l’attuale stazione della funivia. E li il principe Carlo è sceso nella grotta di scorrimento lavico prodottasi durante l’eruzione del 1983.
Il conviviale fu preparato nei minimi particolari, con la regia di un cuoco professionista, c’era tutto e più di tutto! Caponate, insalate, formaggi, peperonate, frittate, la pasta alla norma, costate, e l’immancabile salsiccia arrostita sul “canale”, una botte col vino e liquori vari. E lui, Carlo d’Inghilterra? Attorniato da tre onnipresenti assistenti, si è fatto un giro, si complimentò con il dott. Li Calsi e si limitò ad assaggiare due forchettate di insalata e credo nulla più.
Le assistenti, più che il principe, attirarono l’attenzione del popolo maschile presente, tutti inclusi e nessuno escluso. Avete presente le assistenti di Eddie Murphy nel film Il principe cerca moglie? Queste, lasciatemi passare una licenza poetica, erano molto più meglio assai!
Ed io? Io ero stato autorizzato a scattare soltanto cinque foto, visto che si trattava di una visita privata e solo dietro loro consenso; comunque “loro” erano i due tizi che non parlavano e che erano venuti con me, in perlustrazione. Per cinque foto mi ero caricato la mia fedele Mamya Rz 67! Comunque qualcuno, in divisa ed armato, cercò di farsi fare una foto ricordo vicino al Principe e per un istante mi parve di vedere compare Turiddu e compare Alfio nella Cavalleria Rusticana, solo che questi erano armati di “cannoni portatili”. Fortunatamente la professionalità e il buon senso da entrambe le parti evitò il peggio.
E il principe, oggi Re Carlo III? Devo dirvi che i giudizi sommari su di lui erano tutti sbagliati. Persona attenta alle emergenze ambientali, al paesaggio ed all’ambiente, che prendeva appunti ed accennava degli schizzi, sicuramente per qualche approfondimento successivo. Credo sarà un ottimo regnante. Ed io, se mai ritroverò quei negativi, li stamperò e glieli invierò per ricordargli quel lontano 4 maggio del 1990 e gli scriverò che ora il Mount Etna è iscritto nella WHL dell’Unesco. Chissà che non decida di tornare, oppure di invitarmi a corte.
Sarebbe più meglio assai, come sopra!
Con il titolo: un giovanissimo Re Carlo III d’Inghilterra con il presidente Bino Li Calsi il 4 maggio 1990 sull’Etna, la foto di Luciano Signorello
L'articolo 4 maggio 1990: Re Carlo III sull’Etna, tra schizzi sul paesaggio e due forchettate d’insalata proviene da Il Vulcanico.
]]>L'articolo L’eredità di Piero Angela: divulgare è vera cultura proviene da Il Vulcanico.
]]>vuol dire che non lo capisci fino in fondo
(A. Einstein)
di Maurizio Muraglia
Alla figura di Piero Angela, così come a quella del figlio Alberto, è sempre stata associata la parola divulgazione. Non vi è chi non stia celebrando in queste ore la straordinaria capacità divulgativa di padre e figlio. Ma se c’è qualcosa che si può fare per raccogliere l’implicito messaggio culturale che proviene dal lavoro di entrambi è, a mio parere, riflettere sul significato di questa parola e naturalmente su ciò che le si oppone.
Divulgare è un composto. Certamente il popolo, vulgus, e poi quel prefisso di (s) che, stando a fonti accreditate, indicherebbe una dimensione di diffusione: diffondere tra il popolo. Come in ogni processo comunicativo, anche in quello divulgativo sono coinvolti tre elementi essenziali: chi divulga, ciò che è divulgato, presso chi è divulgato, ovvero di quale vulgus si parla. Viene in mente certamente l’insegnamento, forse l’atto divulgativo per eccellenza.
Il terzo elemento, cioè il vulgus, condiziona gli altri due, come spesso ripeteva Piero Angela quando sottolineava la centralità del pubblico. Ma cosa vuol dire parlare in modo che il pubblico capisca? Viene in mente qui il discorso politico, che si colora di populismo quando vuol farsi capire dal popolo. Ma a che prezzo? A prezzo di sacrificare la complessità delle questioni, che per definizione, appunto, è impopolare? E sacrificare la complessità non vorrà dire, per il politico, mentire al popolo? Non è certo edificante quest’accezione della parola divulgare.
Eppure, qualcosa occorre sacrificare per divulgare. Ma non certamente la verità delle cose. Quando ad essere sacrificata è la verità, non siamo in presenza di divulgazione, ma di raggiro. Ciò a cui occorre rinunciare per essere capiti dal popolo non è la verità, ma l’astrattezza e la pedanteria, due caratteristiche che possono riguardare tanto il discorso politico che quello culturale.
Divulgare vuol dire proprio rivisitare gli oggetti culturali, i discorsi, le questioni, i linguaggi da offrire al popolo in modo che, senza togliere ad essi nulla di essenziale, il popolo possa comprendere. Ecco la sapienza del divulgatore: comprendere egli stesso più in profondità ciò di cui parla. “Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi”, diceva Galileo, aforisma che ribalta nettamente il primato dell’accademia sulla divulgazione, perché attribuisce maggiore facilità al discorso accademico e maggiore difficoltà al discorso divulgativo. Angela lo disse fino alla fine: prima dovevo capire io.
Si osserva anche in classe, soprattutto in contesti popolari: molti docenti fanno fatica a spogliarsi del loro linguaggio accademico, sovente nozionisticamente pedante e quindi astratto, e ad occupare lo spazio concettuale e linguistico dei propri alunni. Perché accade ciò? La mia opinione, suffragata dall’esperienza pluridecennale in classe, è che il punto di crisi stia in una carenza di vera rielaborazione profonda del sapere che si insegna, e per rielaborazione intendo capacità di scomporre quel sapere nei suoi costitutivi basici, quelli da cui è partito per configurarsi nelle forme complesse in cui poi lo si è studiato all’università.
Il cosiddetto “popolo” è raggiungibile attraverso questi costitutivi basici, che rappresentano la sua concreta dimensione esperienziale. Concetti quali collegamento, generazione, produzione, discesa, salita, ma anche stati d’animo come gioia, dolore, nostalgia, amore, e ancora vicino, lontano, alto, basso, giusto, ingiusto, naturale, artificiale e potrei continuare all’infinito, fanno parte del lessico esperienziale di base del popolo, e chi sa divulgare, proprio come ha saputo fare Piero Angela, non solo conosce bene il panorama cognitivo del pubblico medio, ma è capace di riscoprire negli oggetti culturali che sta maneggiando gli elementi che lo fondano al netto delle naturali (naturali, però) complessificazioni accademiche.
Insomma, un lavoro di grande intelligenza e serietà scientifica, che tanti eruditi e accademici dovrebbero prendere ad esempio per incrementare il loro senso di responsabilità verso il popolo piuttosto che l’elenco delle loro pubblicazioni per avanzare di carriera.
Con il titolo: Piero Angela nel programma televisivo che lo ha reso popolarissimo. Le altre foto da Ansa.it
L'articolo L’eredità di Piero Angela: divulgare è vera cultura proviene da Il Vulcanico.
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