cinema Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/cinema/ Il Blog di Gaetano Perricone Tue, 29 Oct 2024 07:07:44 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 Partenope, che viene dal mare e prende a morsi la vita https://ilvulcanico.it/partenope-che-viene-dal-mare-e-prende-a-morsi-la-vita/ Tue, 29 Oct 2024 07:07:44 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25198 di Antonella De Francesco  L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Partenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, […]

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di Antonella De Francesco 
L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Partenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, insomma di vita vissuta.
L’ennesimo omaggio del regista alla sua splendida e detestabile Napoli che ci mostra attraverso gli occhi di Partenope. La storia prende vita dall’acqua perché è lì che nasce Partenope, viene dal mare come la figura mitologica protettrice di Napoli ed è il mare che fa da sfondo costante alla vicenda: che si tratti di amore, di rimpianti, di lutti o di semplici riflessioni, il mare condiziona la vita di chi ci abita e lo attrae con una forza e una prepotenza che dura per sempre.
Partenope, interpretata da Celeste Dalla Porta, è la storia di una donna bellissima e libera che non indietreggia mai davanti ad una nuova esperienza, ma piuttosto vi partecipa con grande curiosità. La sua straripante bellezza non condiziona il suo modo di essere, perché lei non è solo quello, lei è anche altro: è colta, legge, è riflessiva, studia per trovare risposte e quindi, al di là di quello che la sua beltà suscita negli altri, questa donna si salva, sopravvivendo al tempo che passa e al fisiologico sfiorire della sua divina beltà, a differenza delle altre figure femminili, l’attrice Greta Cool, interpretata da Luisa Ranieri e il suo agente Lidia Rocca, interpretata da Isabella Ferrari che dalla bellezza hanno tratto tutto per vivere e che inevitabilmente, allo sfiorire di questa, si ritrovano sconfitte perché intente a lottare unicamente nel vano tentativo di mantenerla ad ogni costo.
Su questo Sorrentino è fin troppo chiaro: la bellezza sfiorisce anche nelle persone più belle e perfette, la vita non fa sconti, alla giovinezza, che forse dura troppo poco, segue inesorabilmente l’età adulta. Ma la giovinezza, se pur fugace, resta per ciascuno di noi come in È stata la mano di Dio, il tempo delle illusioni, dei primi amori, anche di quelli mancati, dell’ingenuità, dei sogni, delle amicizie fraterne, delle domande, degli affetti familiari, delle esperienze e anche, ahi noi, della scoperta del dolore. Alla nostra giovinezza tutti facciamo ritorno di tanto in tanto per trovare conforto, ricordare un tempo diverso in cui niente ci mancava, in cui il tempo era disteso davanti a noi, in cui cercavamo le risposte. Ma come spesso si dice c’è una ricetta per non avere rimpianti o averne pochi: vivere con pienezza. Buttarsi nella vita, prenderla a morsi, sperimentare, lasciarsi andare, perdersi per poi ritrovarsi, per non doversi dire, un giorno, che è troppo tardi.
Nella vita dovremo scegliere e cercare di capire, sperimentare come Partenope, cambiare l’assetto se è necessario, senza smettere mai di cercare le risposte anche quando ci sembrerà di non avere più domande. Solo così, voltandoci indietro, sorrideremo alla vita passata e a noi stessi, come Partenope adulta (Stefania Sandrelli) e saremo indulgenti verso gli errori che inevitabilmente avremo commesso, continuando a sorprenderci della vita che ancora c’è da vivere.
Partenope è un film esagerato e al tempo stesso indimenticabile: dal ballo a tre sulle note di Riccardo Cocciante “era già tutto previsto” che ricorda i meravigliosi Jules e Jim di Francois Truffaut, allo stupore davanti alla creatura gigantesca di acqua e sale di Spielbergeriana memoria, figlio del professore (ottimoSilvio Orlando), alle scene barocche dal retrogusto felliniano di Partenope e Tesorone (il mefistotelico Beppe Lanzetta) .
Per questo va visto e per tanto altro, perché a ciascuno questo film riserva la sua intima visione.
Con il titolo e nell’articolo: Partenope, scene dal film

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Iddu, il super boss che fece la vita du surciu in mezzo a tanti ominicchi https://ilvulcanico.it/iddu-il-super-boss-che-fece-la-vita-du-surciu-in-mezzo-a-tanti-ominicchi/ Thu, 10 Oct 2024 18:46:54 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25189 di Antonella De Francesco Iddu racconta la storia della latitanza di Matteo Messina Denaro, magistralmente interpretato da un Elio Germano immenso, come ce la possiamo immaginare perché, per ammissione degli stessi registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la verità è solo il punto di partenza, non la destinazione. Non ci sarà alcuna fascinazione alla vista […]

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di Antonella De Francesco
Iddu racconta la storia della latitanza di Matteo Messina Denaro, magistralmente interpretato da un Elio Germano immenso, come ce la possiamo immaginare perché, per ammissione degli stessi registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la verità è solo il punto di partenza, non la destinazione.
Non ci sarà alcuna fascinazione alla vista del boss più ricercato d’Italia, perché Iddu è rappresentato come un miserabile, iniziato in tenera età alla criminalità dal padre, da cui è ossessionato anche dopo la sua morte e per colpa del quale è costretto a nascondersi  facendo la vita du surciu. Il suo strapotere, esercitato per mezzo dei pizzini, ha dell’inverosimile, se non fosse che a tal riguardo i due registi non si sono inventati proprio nulla.
Non sta meglio dell’ultimo padrino la sorella, nel film Stefania, che vive anche lei isolata e infelice, vittima di una società patriarcale che le ha negato il primato e la reggenza, malgrado per crudeltà non sia seconda a nessuno. Poi c’è Catello, interpretato da Toni Servillo, che rappresenta il malavitoso di provincia, ex sindaco e padrino del boss, alla ricerca di favori in spregio alle regole e alla legalità. Infine, c’è lo stato, con i servizi segreti, condannato per la sua complicità che ha permesso la latitanza in Sicilia del boss per quasi trent’anni.
In definitiva tutti i personaggi vengono smitizzati, ridotti a figure quasi grottesche e rappresentati come ominicchi con vite per nulla invidiabili, prigionieri delle loro ossessioni e senza affetti. Iddu non riesce neanche a riconoscere il figlio come suo ma forse (voglio crederci) per non obbligarlo alla sua successione e lasciarlo ancora alla beata ingenuità di un bambino che accarezza un agnello, quell’agnello che invece il padre obbligò  lui stesso a sgozzare con ferocia.
Se si pensa che il film è stato girato prima della cattura di Matteo Messina Denaro, allora lo si può intendere come un’ipotesi brillante che con ironia sovverte i luoghi comuni e si sostituisce alla narrazione popolare che fa dei boss mafiosi e dei criminali in genere degli eroi. Da vedere
Con il titolo: Elio Germano nei panni del boss Matteo Messina Denaro. All’interno dell’articolo, una scena del film 

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Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

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“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

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E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english https://ilvulcanico.it/e-sir-anthony-hopkins-mi-sorrise-il-tuo-costume-e-molto-piu-bello-del-mio/ Sun, 21 Jul 2024 04:54:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25099 di Marco Gambino Primo giorno di riprese sul set di “Those about to die” in cui interpreto il Senatore Supulcius. Oggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  “ The remains of the day” o più  recentemente , il padre straziante di “The father” . Lui, […]

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di Marco Gambino

Primo giorno di riprese sul set di Those about to die” in cui interpreto il Senatore SupulciusOggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  The remains of the dayo più  recentemente , il padre straziante di The father” . Lui, l’attore straordinario che spaventa e commuove intere generazioni.

Ma com’e’ ? Tu lo hai mai incontrato? chiedo a Rupert Penry-Jones che nella serie interpreta il console Marsus.

“E’ un uomo eccezionale ancor prima ancora di essere la star che è, vedrai”-

Rupert, come si evince dal nome, è super inglese e proviene da tre generazioni di attori. I suoi genitori hanno calcato il palcoscenico per anni insieme ad Hopkins  e sua madre dice che è un uomo umilissimo e generoso.

Giriamo allo Studio 5 di Cinecittà, quello immenso di Fellini. Una scena in cui noi, i patrizi, siamo schierati davanti alla portantina dove Sir Anthony, nei panni dell’imperatore Vespasiano, salirà dopo un lungo monologo. Lo aspettiamo in silenzio. Quando arriva c’è un brivido generale. Eccolo il mito in carne ed ossa, il suo inconfondibile sorriso con gli occhi. Azzurrissimi. Ha 86 anni ma ha la  vivacità di un ragazzo tutta concentrata in quello sguardo magnetico.

Oh thank God my taxi is here – esordisce additando la portantina. Il silenzio si rompe in una risata generale. Roland Emmerich, il regista, si avvicina per salutarlo, ma lui va dritto verso Rupert e lo abbraccia. Gli dice che non dimenticherà mai i suoi genitori, quando insieme a loro calcava i palcoscenici di tutta l’Inghilterra, gli anni più importanti della sua vita d’attore, quelli che lo hanno forgiato.

Lo guardo mentre recita e vorrei rubargli tutto. Le pause, la misura, il gesto, il controllo.

Alla fine della scena siamo tutti intorno a lui che racconta. Dice che un giorno a Los Angeles, quando era appena uscito Il silenzio degli innocenti, chiese al suo autista di fermarsi. Tutti quei cartelli in autostrada con la sua faccia in primo piano lo avevano sconvolto. Com’era possibile  che lui, un povero ragazzo originario del Galles, fosse finito al centro dell’attenzione mondiale? Un salto che a lui in quel momento,  fermo sotto una di quelle gigantografie, appariva incomprensibile. Ma sono proprio io quello ?– continuava a ripetersi mentre l’autista gli diceva che  non c’erano dubbi, fino a prova contraria lui era  proprio Mr Anthony Hopkins.

Mentre si allontana verso la macchina ho un impulso di quelli, per me, rarissimi. Allora lo blocco. Tony posso chiederti una foto?But of course”- mi risponde. Mentre siamo li per quei pochi secondi non so cosa dirgli.

Ma è lui a scuotermi dall’imbarazzo. “Your costume is way nicer than mine” (Il tuo costume è molto più bello del mio). E mi sorride con gli occhi.

 

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Sir Anthony Hopkins smiled at me: “Your costume is much nicer than mine”

First day of filming on the set of “Those About to Die” in which I play Senator Supulcius. Today, we’re shooting with Sir Anthony Hopkins. The absolute legend. He, the terrifying Hannibal, but also the impeccable, devoted butler in “The Remains of the Day” or, more recently, the heartbreaking father in “The Father” He, the extraordinary actor who has frightened and moved entire generations.

But what is he like? Have you ever met him? I ask Rupert Penry-Jones, who plays Consul Marsus in the series.

– He is an exceptional man even before being the star that he is, you’ll see.

Rupert, as his name suggests, is super English and comes from three generations of actors. His parents have shared the stage for years with Hopkins, and his mother says he is a very humble and generous man.

We are filming at Studio 5, the enormous one used by Fellini. A scene where we, the patricians, are lined up in front of the litter where Sir Anthony, playing Emperor Vespasian, will climb after a long monologue. We wait for him in silence. When he arrives, there is a general shiver. Here he is, the legend in flesh and blood, his unmistakable smile with his eyes. Piercingly blue. He is 86 years old but has the vitality of a young man, all concentrated in his magnetic gaze.

– Oh thank God my taxi is here, -he says, pointing to the litter. The silence breaks into general laughter. Roland Emmerich, the director, approaches to greet him, but he goes straight to Rupert and hugs him. He says he will never forget his parents when he shared the stage with them all over England, those were the  most important years of his acting life, the ones that shaped him.

I watch him as he acts and wish I could steal everything from him. His pauses, his measure, his gesture, his control.

At the end of the scene, we are all around him, listening to his stories. He says that one day in Los Angeles, when “The Silence of the Lambs” had just come out, he asked his driver to stop the car on the side of the motorway. All those billboards lining the highway with his face in the foreground had surprised  him. – How was it possible that he, a poor child  from Wales, had ended up at the center of worldwide attention? A leap that, at that moment, standing under one of those giant images, seemed incomprehensible to him. Is that really me? – he kept asking himself while the driver assured him there was no doubt, he was indeed Mr. Anthony Hopkins.

As he walks away towards the car, I have one of those impulses that are very rare for me. So, I stop him – Tony, can I ask you for a photo? – But of course – he replies. While we’re there for those few seconds, I don’t know what to say to him. But he shakes me out of the embarrassment. – Your costume is way nicer than mine –

And he smiles at me with his eyes.

Con il titolo e nella gallery: Marco Gambino durante le riprese romane di “Those about to die”

(Gaetano Perricone). Sono particolarmente grato al mio carissimo cugino Marco Gambino, eccellente attore palermitano da una vita trapiantato a Londra, per questo suo nuovo, prezioso contributo a questo blog. Una testimonianza deliziosa e davvero speciale sul suo incontro sul set con un “mostro sacro” del cinema mondiale, uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Non so se Marco sia il primo palermitano ad avere lavorato con Sir Anthony Hopkins, posso  immaginarlo senza però averne alcuna certezza: in ogni caso credo sia una notizia prestigiosa per la cultura della città dove entrambi siamo nati e cresciuti insieme. Grazie di cuore a Marco Gambino, cugino con il quale siamo legatissimi – lo dico con orgoglio e grande affetto – , per questo bel regalo che ha fatto a me e ai lettori del Vulcanico 

 

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Challengers. L’attrazione totalizzante vola con una pallina di tennis. La posta in gioco è Lei https://ilvulcanico.it/challengers-lattrazione-totalizzante-vola-con-una-pallina-di-tennis-la-posta-in-gioco-e-lei/ Thu, 02 May 2024 06:02:45 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24912 di Antonella De Francesco Se avete voglia di restare incollati davanti allo schermo in preda all adrenalina e col fiato sospeso, non perdetevi l’ultima fatica di Luca Guadagnino con l’ incredibile sceneggiatura di Justin Kurutzjes: Challengers, ovvero il tennis come metafora di relazioni. Relazioni tra due amici tennisti, Patrick e Art e una splendida lei, […]

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di Antonella De Francesco
Se avete voglia di restare incollati davanti allo schermo in preda all adrenalina e col fiato sospeso, non perdetevi l’ultima fatica di Luca Guadagnino con l’ incredibile sceneggiatura di Justin Kurutzjes: Challengers, ovvero il tennis come metafora di relazioni. Relazioni tra due amici tennisti, Patrick e Art e una splendida lei, interpretata dall’attrice Zendaya nei panni di Tashi.
In Chiamami col tuo nome, che resta il mio preferito, Luca Guadagnino ci svela il significato più profondo e più sensuale del dono d’amore: mettere la propria anima nelle mani dell’altro, espropriandosi di tutto, persino del nome, fondendo la propria identità con quella di chi si ama. In Bones and all, Maren e Lee, i due protagonisti , scoprono di amarsi e capiscono che l’amore è l’unica possibilità per venire fuori insieme dalla comune dipendenza, di dominare i loro oscuri appetiti e trovare un rifugio nel quale non sentirsi giudicati ma aiutati, il sostegno per non ricaderci più, per tornare “normali“
In Challengers , il regista si spinge ad esplorare il campo dell’attrazione pura e semplice (non meno totalizzante dell’amore) e delle sue cause scatenanti. Il film è incentrato sulla circolarità dell’attrazione tra i tre protagonisti, in cui lo sguardo di Tashi (fuori campo o in primo piano) è sempre al centro del campo e delle loro vite: lei ne condiziona gli umori e le esistenze e perfino i destini. Non si tratta di trofei, la vera posta in gioco è lei e il sottile gioco dell’attrazione travalica le comuni regole di politically correct tra i due amici .
Al ritmo serrato di sfide riprese da tutte le angolazioni e con ogni mezzo possibile che, sovvertendo le regole delle riprese del tennis tradizionale, non si svolgono quasi mai in silenzio, ma hanno sottofondi musicali techno ed incalzanti, i tre mettono in campo le loro esistenze. Ogni punto ha una valenza enorme, disegna scenari , scatena pensieri tra i due sfidanti e lascia noi spettatori sospesi come in un thriller di altissimo livello.
La scena finale è bellissima e geniale e non ve la racconto, ma fa ritrovare il senso di qualcosa di più grande. Al di là degli errori, delle omissioni, degli scontri, l’amicizia si nutre essenzialmente di lealtà. Quando i due sfidanti la ritrovano, riscoprono il senso dell’amicizia che avevano smarrito e la loro sfida può finalmente essere giocata all’ultimo sangue. Ma attenzione , una volta che tutte le carte sono sul tavolo, anzi sul campo, una volta che nessuno ha più nulla di non detto, il film finisce! Game, set, match.
Da vedere

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La zona d’interesse: la normalità dell’orrore dietro quel muro, che fingiamo di ignorare https://ilvulcanico.it/la-zona-dinteresse-la-normalita-dellorrore-dietro-quel-muro-che-fingiamo-di-ignorare/ Tue, 27 Feb 2024 08:52:18 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24734 di Antonella De Francesco La zona di interesse di Jonathan Glazer è un film difficile da vedere ma che va visto. Già premiato al Festival di Cannes 2023 con il Premio Speciale della Giuria, è uno dei 5 migliori film dell’anno secondo il National Board of Review ed è candidato a 5 premi Oscar. Il […]

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di Antonella De Francesco
La zona di interesse di Jonathan Glazer è un film difficile da vedere ma che va visto.
Già premiato al Festival di Cannes 2023 con il Premio Speciale della Giuria, è uno dei 5 migliori film dell’anno secondo il National Board of Review ed è candidato a 5 premi Oscar. Il film, tratto dall’omonimo libro di Martin Amis, che non ho letto, per cui non posso valutare quanto gli sia fedele, narra la storia del comandante di Auschwitz Rudolf Höß e sua moglie Hedwig che realizzarono il loro sogno di una vita con una famiglia numerosa, una casa e un grande giardino in un terreno direttamente adiacente al muro del campo di Auschwitz.
Ci sono tanti pregevoli film sull’olocausto ma il punto di vista di Glazer è nuovo e geniale. L’orrore pervade l’intera pellicola dall’inizio alla fine ma non si vede, piuttosto si sente e nel sentirlo ciascuno spettatore ricostruisce le immagini che ben conosce dalla storia nella sua mente, interiorizzandole ancora di più. La famiglia di Höb si muove in una sorta di grande fratello che la osserva da lontano senza mai un primo piano, perché il regista non perde mai di vista quel muro e le riprese a tutto campo di fiori e di morte gli sono necessarie.
La famiglia vive e convive con latrati di cani, spari nella notte, urla strazianti senza mai distogliersi dal suo fare quotidiano e lo stupore per tanta normalità travalica ogni ragionevolezza e li condanna più di quanto potrebbero fare 1000 immagini di morte. Nessuno di loro si chiede cosa accada oltre quel muro perché lo sa già, pur non essendone turbato. La fabbrica di morte non li distoglie dai loro affetti familiari: un cane, i cavalli, i fiori concimati con i resti dei forni crematori. Accettano doni appartenuti a chi forse è già morto proprio dietro quel muro o sta per farlo nel buio della notte. E lo spettatore resta impietrito davanti a quei magnifici fiori coltivati con cura mentre pennacchi di fumo nero si levano sul cielo limpido che a volte si fa schermo rosso sulle note del sottofondo musicale perfetto di Mica Levi, di rintocchi metallici e rumori ovattati che scandiscono l’orrore.
Un’opera immensa sulla perdita di umanità e sulla banalità del male, ma anche sulla vicinanza di certi orrori che si compiono a poca distanza da noi e che tutti fingiamo di ignorare, intenti e assorbiti dalla nostra quotidianità. In un mondo che ipocritamente censura le immagini violente, Glazer ci fa rivivere tutto l’orrore della Shoah senza immagini e ci esorta a svegliare le nostre coscienze dal torpore di questi tempi, a non voltarci dall’altro lato e ad ascoltare le atrocità che si compiono tutti i giorni ad un passo dalle nostre stesse esistenze . Da non perdere !

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Past Lives, quelle vite passate che sono sempre presenti https://ilvulcanico.it/past-lives-quelle-vite-passate-che-sono-sempre-presenti/ Sun, 25 Feb 2024 10:41:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24724 di Antonella De Francesco Ci sarà capitato di vedere tre persone accanto e interrogarci su chi siano e quale sia il legame tra loro. Prende le mosse da qui il film Past Lives, esordio ( autobiografico) in cabina di regia della drammaturga sudcoreana (naturalizzata canadese e residente a New York) Celine Song. Un film sul […]

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di Antonella De Francesco
Ci sarà capitato di vedere tre persone accanto e interrogarci su chi siano e quale sia il legame tra loro. Prende le mosse da qui il film Past Lives, esordio ( autobiografico) in cabina di regia della drammaturga sudcoreana (naturalizzata canadese e residente a New York) Celine Song.
Un film sul “sé” e sulle infinite possibilità che la vita ci offre e quelle che rendiamo reali tralasciando le altre. Un film su quello che resta dei rapporti profondi anche dopo, quando la vita ci ha portato altrove, dove mai avremmo pensato di arrivare. Un film sulle “seconde generazioni” che hanno dovuto, per scelta dei genitori, imparare a vivere altrove, sacrificando i propri legami e sotterrando le proprie radici .
Attraverso gli sguardi tutti e tre i protagonisti esprimono passioni, paure, gelosie, sempre in bilico tra passato e presente e senza futuro, perché quello resta un mistero. Ci sono storie che non finiscono mai, almeno dentro di noi. Che rimandano sempre una eco malinconica di chi eravamo, che, pur non impedendoci di vivere il presente, perché ciò che non è stato non poteva essere, condizionano la nostra esistenza.
A nulla vale dirsi “è finita” con le parole e con la distanza, sottraendoci il più possibile alla vista dell’altro. Malgrado i nostri sforzi nulla basta a interrompere quel flusso di emozioni che scorre libero dentro di noi. Persino il compagno che oggi amiamo non potrà mai colmare quella dolce nostalgia, quel pensiero intermittente rivolto a ciò che non è stato o che è stato ma non è più. Perché in quegli occhi resteremo per sempre quelli di un tempo, lì saremo sempre “ riconosciuti”, lì non avremo bisogno di parole, lì toccheremo l’altro senza sfiorarlo, lì troveremo la perfetta armonia di un istante o forse di tutta la vita .
Vale la pena tornare a cercarsi? Rivedersi ? Servirà a lenire la mancanza o piuttosto l’acuirà rendendola insopportabile ? Ognuno decida per sé e nessuno si permetta di dispensare consigli, perché non esiste una ricetta ma c’è un destino che si compie tutti i giorni e al quale nessuno può sottrarsi. Hae Sung e Nora sanno che in fondo non si lasceranno mai, neanche dopo il loro struggente addio e lo sa anche Arthur, il nuovo compagno di Nora perché bisogna avere l’umiltà di accettare che il passato permanga dentro di noi.
Da vedere, consigliato ai nostalgici

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Quei “Perfect Days” di un uomo qualunque, la sublime perfezione dell’adesso https://ilvulcanico.it/quei-perfect-days-di-un-uomo-qualunque-la-sublime-perfezione-delladesso/ Mon, 05 Feb 2024 06:25:40 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24670 di Antonella De Francesco Disponetevi all’attenta osservazione dei particolari, dei gesti quotidiani come rituali. Preparatevi al pensiero lento che ne scaturirà e apprezzerete Perfect days di Wim Wenders, più che legittimamente candidato all’Oscar 2024 insieme a Io capitano di Matteo Garrone. Da diverse angolazioni vi verrà presentata la vita di un uomo qualunque, Hirayama, magistralmente interpretato […]

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di Antonella De Francesco
Disponetevi all’attenta osservazione dei particolari, dei gesti quotidiani come rituali. Preparatevi al pensiero lento che ne scaturirà e apprezzerete Perfect days di Wim Wenders, più che legittimamente candidato all’Oscar 2024 insieme a Io capitano di Matteo Garrone.
Da diverse angolazioni vi verrà presentata la vita di un uomo qualunque, Hirayama, magistralmente interpretato da Kôji Yakusho (la storia è ambientata a Tokyo) e attraverso la ritualità dei suoi gesti quotidiani, descritti dal regista con grande meticolosità e da angolazioni diverse, capirete che in ogni vita non esiste mai un giorno identico all’altro e che, a ben guardare, esistono tanti giorni perfetti, scanditi, come da un metronomo, dalla loro stessa normalità mai banale e sempre ricca di dignità e di sorprese. Una lezione su come riconoscere i giorni perfetti, che per Wim Wenders sono quelli in cui regna l’armonia, quelli che sapremo vivere con dignità, quelli in cui ci accorgeremo delle piccole cose, quelli in cui le ombre rimarranno confinate e serviranno a mettere in risalto la luce.
Primi piani del protagonista alternati a scorci di una città infinita e tecnologicamente avanzata che parlano di solitudine, ma mai di disperazione, piuttosto di scelte di vita consapevoli. Hirayama ha lasciato andare tutto ciò che pesa. Di notte sogna quel che ha vissuto di giorno e non aspetta il futuro perché vive l’hic et nunc. Non c’è monotonia nella sua vita semplice perché lui è un attento osservatore del mondo esterno, coglie l’attimo con la sua macchina fotografica e ne scorge ogni minimo mutamento. Il suo respiro al mattino, quella boccata d’aria fresca prima di cominciare, è un inno alla vita: è lì che il protagonista ogni giorno sutura tutte le sue ferite interiori e rivolge a noi l’invito a fare lo stesso.
Sulle note di una magnifica colonna sonora con brani di Lou Reed, Van Morrison e Patti Smith, il protagonista assapora la sua quotidianità e si bea della luce, della pioggia, di un saluto, di un sorriso, di un buon libro letto a notte tarda prima di spegnere la luce e i pensieri. Non gli serve l’orologio al polso nei giorni di lavoro, ma lo porta con se la domenica, perché soltanto in quel giorno il tempo è veramente suo! La sua filosofia di vita sovverte il nostro modo di vivere caotico, distratto e veloce. La sua dignità è disarmante al pari della cura che mette in tutto quello che fa. La sua quotidianità parla di stabilità, quella che a noi manca .
Impariamo da Hiramaya a riconoscere i giorni perfetti e ad apprezzare la pienezza della nostra vita. Perfect days è un sublime film sull’adesso perché “Adesso è adesso”!

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Quelle Povere creature libere, spregiudicate, irriverenti https://ilvulcanico.it/quelle-povere-creature-libere-spregiudicate-irriverenti/ Sun, 28 Jan 2024 17:42:17 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24655 di Antonella De Francesco È molto difficile parlare di un capolavoro come Povere creature di Yorgos Lanthimos, giustamente vincitore del Leone D’Oro al Festival di Venezia, premiato al Golden Globe per miglior film e migliore attrice protagonista (Emma Stone) e candidato con 11 nomination all’Oscar 2024. Chi conosce un po’ il regista ( tra i […]

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di Antonella De Francesco
È molto difficile parlare di un capolavoro come Povere creature di Yorgos Lanthimos, giustamente vincitore del Leone D’Oro al Festival di Venezia, premiato al Golden Globe per miglior film e migliore attrice protagonista (Emma Stone) e candidato con 11 nomination all’Oscar 2024.
Chi conosce un po’ il regista ( tra i suoi film The Lobster, La favorita) sa bene che è un regista poco convenzionale. Si tratta di una commedia assolutamente geniale in stile weird, tratta dall’omonimo romanzo del 1992 di Alasdair Gray, che racconta l’evoluzione di una giovane donna, Bella Baxter, riportata in vita da uno scienziato pazzo, Godwin (Willem Dafoe) che impianta il cervello di un neonato (il suo stesso figlio) nel suo corpo. La storia, ambientata in un’atmosfera assolutamente onirica tra Londra, Lisbona e Parigi, è rappresentata e recitata in modo ineccepibile .
Si tratta di un film denso di immagini, di contenuti, di rimandi dotti alla filosofia e di citazioni che travolge lo spettatore senza lasciargli scampo. Si sorride e si riflette e se ne esce inebriati, increduli, storditi, anche. Non ho letto il libro e non so quanto il film vi sia fedele, ma rappresentare in modo così irriverente l’evoluzione femminile di una mente bambina in un corpo adulto, secondo le fasi evolutive di Freud, seguire passo dopo passo la conquista della sua libertà senza alcun condizionamento sociale e morale fino alla scoperta della sessualità  davanti agli occhi rapiti degli uomini che però non sono in grado di fare i conti con tanta spudorata libertà senza confini, è assolutamente geniale!
Si, perché Bella Baxter mantiene il candore spregiudicato dei bambini in tutto quello che fa, attraverso i suoi occhi passa tutta l’innocenza e tutto il peccato, passa la sottomissione, la ribellione, la voglia di emancipazione e perfino la mercificazione del corpo femminile. Bella Baxter ride come una bambina e con la stessa ingenuità soffre quando scopre la povertà, la cattiveria e il dolore del mondo. Un monito agli uomini a non sottovalutare perfino le donne a prima vista più ingenue? La celebrazione della femminilità e del suo eterno potere di seduzione? La difesa del femminismo? La dimostrazione che le donne, non me ne vogliano gli uomini, sfuggono al loro controllo perché sono mentalmente più “libere”? Qualche allusione al tema dell’intelligenza artificiale, tanto in voga al momento? Ci troverete tutto questo oppure niente del genere o molto altro secondo la prospettiva con cui vi porrete davanti al grande schermo. In ogni caso non potrete rimanere indifferenti a questo concentrato potentissimo di irriverente e travolgente vitalità, un bagno ipnotico di surrealismo e di iperrealismo.
Da menzionare oltre agli attori tutti eccellenti, la fotografia di Robbie Ryan, la scenografia di James Price e Shona Heath, i costumi di Holly Waddington e gli effetti visivi di Simon Hughes.

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The old oak, la solidarietà che fa battere di nuovo tanti cuori induriti https://ilvulcanico.it/the-old-oak-la-solidarieta-che-fa-battere-di-nuovo-tanti-cuori-induriti/ Mon, 27 Nov 2023 06:17:05 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24426 di Antonella De Francesco Si riconferma il regista degli “ ultimi”, Ken Loach, nel Suo ultimo film: The old oak. E’ ambientato in una piccola cittadina del nord dell’Inghilterra (ma potrebbe essere ovunque nel mondo), un tempo abitata da minatori e oggi quasi del tutto disabitata, ridotta ad un posto di frontiera e senza attrattive, […]

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di Antonella De Francesco
Si riconferma il regista degli “ ultimi”, Ken Loach, nel Suo ultimo film: The old oak.
E’ ambientato in una piccola cittadina del nord dell’Inghilterra (ma potrebbe essere ovunque nel mondo), un tempo abitata da minatori e oggi quasi del tutto disabitata, ridotta ad un posto di frontiera e senza attrattive, in cui le giornate dei pochi residenti sono tutte uguali, come i loro patimenti ed il vecchio pub di TJ è l’unico posto in cui condividere un minimo di socialità .
Una socialità circolare e di quartiere, chiusa e che non ammette intrusioni, ripiegata su se stessa, intenta a criticare e solo in apparenza a compatire. L’arrivo nella cittadina di un gruppo di profughi siriani in fuga dalla guerra, destabilizza la collettività, spezza gli equilibri, altera i rapporti e ne crea di nuovi e inaspettati. I cuori dei residenti, induriti dall’isolamento e fiaccati dalle battaglie di una vita per la sopravvivenza, sono forzati a battere di nuovo e per alcuni inizia la rinascita. La solidarietà per la perdita di TJ del suo unico amico (che è un momento del film forte e doloroso che non voglio spoilerare, girato con grande maestria) arriva proprio dai rifugiati, dagli ultimi degli ultimi e non dagli amici di una vita.
E da lì che si dipana una storia che ci mostra un mondo perso, senza speranza, di poveri senza un domani, di giovani aggressivi, di cani inferociti in cui è difficile ritrovare un briciolo di umanità. Sulla riva di un mare grigio che nel film rappresenta un punto- limite oltre il quale non si deve andare, TJ va ben due volte per morire ma invece ritorna a vivere grazie a piccoli miracoli, attimi in cui la sorte muta e volge alla speranza. E come in tutti i film di Ken Loach, non è la preghiera che può ancora salvarci ma piuttosto la solidarietà, il rispetto delle diversità, gli abbracci, la gentilezza, la gratitudine, i gesti inaspettati, quasi del tutto inesistenti al giorno d’oggi,  ma proprio per questo ancora più necessari. Il finale struggente è un abbraccio per tutti. Da vedere.

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