cinema Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/cinema/ Il Blog di Gaetano Perricone Mon, 13 Oct 2025 06:47:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 Linate, 8 ottobre 2021. La negligenza. Gli errori. La strage. “La Memoria e il Debito”. Un documentario da Oscar https://ilvulcanico.it/linate-8-ottobre-2021-la-negligenza-gli-errori-la-strage-la-memoria-e-il-debito-un-documentario-da-oscar/ Mon, 13 Oct 2025 05:00:27 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25911 di Gaetano Perricone “Bastava pochissimo perché non succedesse. Sarebbe bastato pochissimo”. “Non era possibile morire in questo modo”. “Prima succede un fatto, poi si scrive … Forse non si è fatto abbastanza per i familiari”. “La sicurezza degli aeroporti è fatta dagli uomini”. “C’è differenza tra vivere e sopravvivere”. “Il primo anno è per rompere […]

L'articolo Linate, 8 ottobre 2021. La negligenza. Gli errori. La strage. “La Memoria e il Debito”. Un documentario da Oscar proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Gaetano Perricone

“Bastava pochissimo perché non succedesse. Sarebbe bastato pochissimo”. Non era possibile morire in questo modo”. “Prima succede un fatto, poi si scrive … Forse non si è fatto abbastanza per i familiari”. La sicurezza degli aeroporti è fatta dagli uomini”. “C’è differenza tra vivere e sopravvivere”. “Il primo anno è per rompere tutti i fili della vita. All’inizio del secondo anno sai che non c’è più niente da rompere”“Approfittiamo di quello che abbiamo, cerchiamo di essere felici e andare avanti”. “Però un desiderio ce l’ho: condividere un abbraccio con tutti voi”.

Una testimonianza dopo l’altra. Senza sosta, incalzanti. Commuovono, indignano. Sono le voci e le parole dei parenti delle vittime, di esperti e investigatori. Chiare e forti, dolorosissime, implacabili. Coraggiose. Dirompenti nella loro immensa dignità. Da mozzare il fiato. Rendono in pieno, senza filtri, il senso di vuoto per perdite devastanti, ingiuste, inaccettabili. Lo fanno per 94 minuti, l’intera durata dello straordinario documentario La Memoria e il Debito, scritto e diretto da Francesca La Mantia e Massimiliano Napoli, produzione indipendente che squarcia il velo di un lungo, troppo lungo silenzio sull’incidente aereo sulla pista dell’aeroporto milanese di Linate l’8 ottobre 2001, con 118 vittime – elencate nei titoli di coda – il più grave mai accaduto in Italia. Non ho alcuna esitazione a esprime il mio umilissimo giudizio di cronista di vecchio mestiere su quest’opera, che ho avuto l’opportunità di vedere in privato, senza timore di essere tacciato di eccessivo entusiasmo: merita sicuramente di concorrere per l’Oscar dedicato a questo tipo di produzioni e mi piacerebbe molto essere buon profeta.

Copio e incollo, dal comunicato stampa, la efficace sintesi di questo lavoro estremamente importante, venuto alla luce pubblicamente l’8 ottobre 2025“Proiettato in occasione del ventiquattresimo anniversario della tragedia all’aeroporto di Linate, il film restituisce un racconto intenso e necessario su uno dei più gravi disastri dell’aviazione civile europea. Attraverso testimonianze dirette, materiali d’archivio e immagini esclusive delle indagini, il documentario ricostruisce le circostanze dell’incidente, in cui persero la vita 118 persone ridando voce e dignità alle vittime e ai loro familiari ma anche all’unico superstite, Pasquale Padovano”.

Un momento della presentazione

Tutto questo, il documentario La Memoria e il Debito lo fa con asciuttezza estremamente professionale, senza indulgere neanche per un attimo alla compassionevole retorica che spesso caratterizza queste operazioni televisive o cinematografiche di recupero della memoria sulle grandi tragedia. Le immagini sono scioccanti al punto giusto, senza inutile spettacolarità, restituiscono tutta la incredibile gravità di un incidente spaventoso e assurdo nella sua dinamica: due aerei, uno più grande e uno più piccolo, che si scontrano in pista in una situazione di visibilità quasi nulla per la nebbia. Il più piccolo va in pezzi, il più grande finisce la sua corsa in fiamme contro un hangar dell’aeroporto senza radar. Sconvolgente la catena di errori, di negligenze, di carenze, emerse nell’inchiesta giudiziaria, culminata in una serie di condanne dei responsabili, cancellate da un indulto.

E insieme alla immagini, montate con grande bravura per tenere incollati gli occhi dello spettatore allo schermo, come ho già scritto è la potenza evocativa, fortissima e drammaticissima, delle parole, delle testimonianze, a rendere questo documentario meravigliosamente unico nel suo genere. Profondamente toccante la parte dedicata al Bosco dei faggi, costituito dai 118 alberi voluti e piantati dalla comunità delle 118 vittime. Emozionante l’idea di cominciare e finire questo lavoro dalla sala per il tango con la testimonianza del compagno di una vittima, incontrata lì per la prima volta. Commovente la presenza-assenza, silenziosa ma intensissima, di Pasquale Padovano, unico sopravvissuto, in realtà la 119esima vittima per tutte le conseguenze che ancora porta addosso. E poi c’è tanto altro che non anticipo.

Francesca La Mantia, regista bagherese

Ho avuto il grande piacere e il prezioso arricchimento di conoscere qualche tempo fa Francesca La Mantia, docente di Italiano e latino, sceneggiatrice e regista cinematografica e teatrale, scrittrice originaria di Bagheria, splendida cittadina alla porte di Palermo, che ha dato i natali a grandi personaggi della cultura italiana come il pittore Renato Guttuso, il regista Giuseppe Tornatore, il poeta Ignazio Buttitta. Ho letto, scrivendoci su con entusiasmo, un suo bellissimo libro, Un uomo senza paura, dedicato alla triste storia di Cosimo Cristina, corrispondente da Termini Imerese del giornale L’Ora a me carissimo – ci sono cresciuto come giornalista e come uomo – , primo giornalista assassinato dalla mafia il 5 maggio 1960. Rimasi molto colpito non solo dalla ricca documentazione storica e dunque dalle capacità di ricerca di Francesca, ma anche dalla sua grande passione civile.

Caratteristiche che emergono con forza anche nel  documentario. Ho fatto un paio di domande a Francesca La Mantia: perché questo lavoro, perché quel titolo. Le sue lapidarie e incisive risposte: “Mi sono voluta cimentare in questo film perché quanto accaduto è stato coperto dall’oblio per troppi anni e per questo volevo togliere la nebbia. Il debito è nei confronti delle persone che non ci sono più e sul sangue dei quali sono migliorate le regole in tutti gli aeroporti. Verissimo: c’è voluta la tragedia di Linate dell’8 ottobre 2001 per spingere gli organismi responsabili a potenziare le strutture e le procedure di sicurezza in tante piste italiane.

Non mi resta che citare doverosamente chi va citato, con un abbraccio affettuoso e solidale ai parenti delle vittime. Autori, come già detto, sono Francesca La Mantia e Massimiliano Napoli. Il documentario è prodotto da Piero De Vecchi per DenebMedia, – in collaborazione con Bravagente Sound Agency, Filmservice, Video Elf, Torrevado studio; con il contributo di Daniela Comini, Laura Mazzola, Andrea Quadrini e il supporto di Paola e Maria Laura Baronti, Franco Carlo Guzzi Gruppo Consorti Rotary Club Massa Carrara, Serena Pruno Paola, Daniela e Andrea Venturini – e realizzato grazie al sostegno di centinaia di donatori attraverso la piattaforma Produzioni dal Basso. Una raccolta fondi in “crowdfunding”, fondamentale per la realizzazione. La Memoria e il Debito sarà nelle sale cinematografiche a gennaio 2026, andatelo a vedere.

 

L'articolo Linate, 8 ottobre 2021. La negligenza. Gli errori. La strage. “La Memoria e il Debito”. Un documentario da Oscar proviene da Il Vulcanico.

]]>
Una battaglia dopo l’altra, dei diritti contro il potere che prevarica https://ilvulcanico.it/una-battaglia-dopo-laltra-dei-diritti-contro-il-potere-che-prevarica/ Sun, 05 Oct 2025 09:33:22 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25901 di Antonella De Francesco Un film che non si dimentica l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, che per la verità ha fatto tutti capolavori indimenticabili ( Il filo nascosto, Magnolia, Il petroliere, solo per citarne alcuni). Una battaglia dopo l’altra, tratto dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, è una magnifica allucinazione collettiva sulle rivoluzioni che […]

L'articolo Una battaglia dopo l’altra, dei diritti contro il potere che prevarica proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Un film che non si dimentica l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, che per la verità ha fatto tutti capolavori indimenticabili ( Il filo nascosto, Magnolia, Il petroliere, solo per citarne alcuni). Una battaglia dopo l’altra, tratto dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, è una magnifica allucinazione collettiva sulle rivoluzioni che abbiamo o non abbiamo fatto, sul mondo in cui viviamo, in cui potere (politico e militare) e diritti si contrappongono, il primo a voler prevaricare l’altro. E niente suona più attuale di così, anche alla luce degli ultimi fatti di politica internazionale e nazionale in cui le piazze si animano, la protesta rinasce, perché la coscienza è desta.
Non parlerò della tecnica filmica perfetta, delle riprese con camere mobili per cui ti schianti con i protagonisti e addirittura avverti il vuoto d’aria per una discesa a tutta velocità (la sequenza dell’inseguimento meriterebbe di per se già già l’Oscar), del sottofondo musicale per mano di Jonny Greenwood che sottolinea, esalta e accompagna tutto il film nel suo ritmo serrato e a tratti ossessivo, né delle interpretazioni memorabili dei protagonisti Leonardo Di Caprio, Sean Penn, Benicio Del Toro, Teyana Taylor, perché mi preme sottolineare la profondità del contenuto dietro la parodia.
In questi giorni ci siamo chiesti tutti a chi giovino le manifestazioni di piazza, ecco il film ce lo spiega. Forse troppo a lungo noi come Leonardo Di Caprio nei panni di Bon Ferguson, padre amorevole ma frustrato dal fallimento della sua rivoluzione perché “in fondo il mondo non è cambiato poi tanto”, abbiamo voluto proteggere i nostri ragazzi dalle guerre, dal caos, dalle piazze rumorose, in un clima di pace apparente in cui il bene prevale sul male e i diritti hanno la meglio sulle ingiustizie.
Le rivoluzioni ce le siamo lasciate alle spalle con la complicità degli studi a scuola che per lo più le hanno ignorate. Ma Anderson ci mostra quello che da mesi forse ormai nessuno può far finta di non vedere: il mondo è in guerra di nuovo in quel percorso ciclico della storia che troppo spesso dimentichiamo. Anderson ci mostra le piazze in fiamme e gli oppressi che urlano per i loro diritti, che sfilano e protestano per dire no. E quelle immagini rimandano a quelle di questi giorni in cui quei figli che volevamo proteggere dalla violenza, quegli “ sdraiati” con le cuffie che a malapena ti rispondono quando entri in camera loro, ecco proprio loro vogliono dire no.
Non vi svelerò il finale ma il senso è chiaro: l’unico ricongiungimento possibile è quello dell’abbraccio, quel “riconoscimento” tra padri e figli, perché si torna sempre lì ed è da lì che si riparte . Finché ci saranno diritti calpestati, migranti respinti, guerre senza ragione, bambini uccisi, donne violate ci saranno piazze pronte ad esprimere dissenso in una battaglia dopo l’altra. Stavolta saranno i giovani a combatterla: è questa per Anderson l’unica certezza e per noi anche l’ultima speranza.
————-
(Gaetano Perricone). “Noi abbiamo fallito, figlia mia. Ma spero che voi riuscirete a cambiare il mondo”.
Che magnifico filmone, ragazzi! Capolavoro non lo definisco, so che sono in tanti ad arricciare il naso quando si scrive così, in effetti accade troppo spesso, di un film, di un libro, di un’opera d’arte comunque. Ma che per me sia strepitoso lo scrivo senz’altro.
Grandissimo cinema, al top. Difficile immaginare che “Una battaglia dopo l’altra”, adrenalinico apologo della rivoluzione necessaria e perfino inevitabile magistralmente diretto da Paul Thomas Anderson, regista dagli ottimi precedenti, non faccia incetta di premi alla prossima cerimonia degli Oscar: come miglior film dell’anno, per l’attualissima tematica – la lotta per la vita e i diritti fondamentali di neri e messicani contro l’orrendo e feroce imperversare del suprematismo bianco negli Stati Uniti – e qualità tecnica; per gli effetti speciali, eccezionali e coinvolgenti; per la infinita bravura degli attori di un cast davvero superlativo, i nemici Leonardo di Caprio-Bob e Sean Penn-colonnello Lockjaw, Benicio Del Toro-Carlos e le splendide donne guerriere, Teyana Taylor-Perfidia, Regina Hall- Deandra e Chase Infiniti- Willa; una colonna sonora fantastica; il bellissimo, commovente finale, dedicato all’importanza della trasmissione tra le generazioni, tra genitori e figli, dell’inestinguibile, indispensabile, vitale voglia di migliorare il mondo e l’umanità, la qualità del vivere. Che è stata ed è l’essenza di ogni rivoluzione.
Solo il clima politico trumpiano, certamente non favorevole ai contenuti espressi dal film, potrebbe fermare la conquista di diverse statuette per “Una battaglia dopo l’altra”; ma le giurie di Los Angeles hanno dimostrato negli anni di non lasciarsi condizionare nelle loro scelte dal potere della Casa Bianca.
Sono rimasto due ore e quaranta, 160 minuti, incollato alla poltrona del cinema con gli occhi allo schermo, spettacolo elettrizzante ed entusiasmante, senza distrarmi neanche un attimo, per quello che non ho esitazioni a definire uno dei film più belli che abbia mai visto. Me lo sono goduto da solo, ormai sono piacevolmente abituato. Unico neo, incomprensibile: è vero che era lo spettacolo delle 16, ma quattro persone me compreso in una sala da 336 posti (li ho contati facilmente) per un film del genere sono un dato scoraggiante. E’ la conferma che la gente sempre di più preferisce tenersi lontana da argomenti che in qualche modo possono inviate alla riflessione.
Ripropongo, qui a seguire, il link pubblicato sul mio blog con la meravigliosa recensione della mia cara amica Antonella De Francesco, che ancora una volta mi ha sapientemente invogliato alla visione. Se vi piace il bel cinema, con tutte le sue componenti, non potete mancare di vedere questo film.

L'articolo Una battaglia dopo l’altra, dei diritti contro il potere che prevarica proviene da Il Vulcanico.

]]>
“Sotto le foglie”, quand vient l’automne, nessuno dice mai tutta la verità https://ilvulcanico.it/sotto-le-foglie-quand-vient-lautomne-nessuno-dice-mai-tutta-la-verita/ Sun, 13 Apr 2025 05:12:59 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25503 di Antonella De Francesco Se avete voglia di un film meravigliosamente francese, andate a vedere l’ultima fatica di François Ozon Sotto le foglie. Meglio però rifarsi al titolo originale Quand vient l’automne che dà più senso a tutto il film. L’autunno infatti è la stagione dei rimpianti, dei ricordi , del tempo che è passato, […]

L'articolo “Sotto le foglie”, quand vient l’automne, nessuno dice mai tutta la verità proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Se avete voglia di un film meravigliosamente francese, andate a vedere l’ultima fatica di François Ozon Sotto le foglie. Meglio però rifarsi al titolo originale Quand vient l’automne che dà più senso a tutto il film. L’autunno infatti è la stagione dei rimpianti, dei ricordi , del tempo che è passato, delle Les feuilles mortes come cantava Ives Montand.
Si tratta di un film molto particolare che cambia continuamente registro: dal dramma, alla commedia al noir, un po’ come succede nella vita reale. Un giorno sei sereno e il giorno dopo tutto è cambiato. Un giorno dormi bene e il giorno dopo non riesci a prendere sonno .
Nella campagna bucolica francese della Borgogna, laddove la natura in autunno si esprime con colori magnifici, Ozon osserva il cuore delle persone, le storie della gente comune, le vite di tutti , solo in apparenza tranquille. Anche lui, come ha fatto pure di recente nel suo ultimo film Il caso di Belle Steiner , un altro regista francese Jacqot, guarda alla provincia francese, ai suoi segreti e al suo malcelato pregiudizio.
In una chiesa affollata in cui il sermone invita i fedeli a non disprezzare Maria Maddalena, siede pure una vera ex prostituta, Michelle, ormai avanti negli anni, che conosce molto bene la sua storia e la sorte che le è toccata e sa bene quanto non conti mai abbastanza per gli altri quello che di fatto lei è sempre stata. Ozon ce la presenta a poco a poco con grazia, ci invita a non giudicare ma piuttosto ad apprezzare i suoi modi affabili, il suo garbo, l’amore per il nipote, per la sua amica e il figlio di lei, la sua generosità . Ce la mostra nell’intimità della sua casa dove vive da sola, quando scosta le tende al mattino per far entrare la luce e quando le chiude perché il mondo deve restare fuori, mentre rifà il letto in attesa della figlia, Valerie, mentre cucina il suo piatto preferito  mentre cerca di impegnare il tempo che la separa dal rivedere lei e il nipote e rende magnificamente l’idea di quanto possa essere lunga una giornata da soli, di quanto sia lento il tempo per gli anziani, mentre i giovani corrono via. Loro che lavorano anche nel tempo libero per riempire i vuoti esistenziali che essi stessi hanno, loro che inseguono rapporti virtuali sui cellulari e non hanno tempo per la vita vera e per chi li stava aspettando.
Ed è lì che il film cambia ancora una volta registro, da dramma a thriller e la trama si tinge di nero mentre prevale l’ambiguità di tutti, al punto che non sai più a chi credere , ti perdi nelle mezze frasi , provi a dare un senso alle coincidenze per poi arrenderti al fatto che in fondo la verità è che nessuno dice mai tutta la verità

L'articolo “Sotto le foglie”, quand vient l’automne, nessuno dice mai tutta la verità proviene da Il Vulcanico.

]]>
Here, qui e ora. Casa, dolce casa https://ilvulcanico.it/here-qui-e-ora-casa-dolce-casa/ Sun, 12 Jan 2025 10:09:36 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25315 di Antonella De Francesco Ho visto il film Here, del regista Robert Zemeckis. Ci sono andata spinta dalla curiosità, dal momento che avevo letto molto sulla genesi del film in gran parte prodotto grazie alla IA, Intelligenza Artificiale. Girato con un’unica macchina da presa fissa nell’ambiente principale di una casa, il film sintetizza mezzo secolo […]

L'articolo Here, qui e ora. Casa, dolce casa proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Ho visto il film Here, del regista Robert Zemeckis.
Ci sono andata spinta dalla curiosità, dal momento che avevo letto molto sulla genesi del film in gran parte prodotto grazie alla IA, Intelligenza Artificiale. Girato con un’unica macchina da presa fissa nell’ambiente principale di una casa, il film sintetizza mezzo secolo di storia, che, se ci pensate è già questo un miracolo e l’intento spiega la velocità delle sequenze e la brevità dei dialoghi. Perché la vera protagonista del film è la casa (here: il qui e ora dell’esistenza di ciascuno di noi). Una casa come tante tra le cui mura accadono vite, si incrociano destini, si allargano famiglie, si vivono dolori e si festeggiano ricorrenze.
Pare banale a dirsi e, per certi versi démodé, dal momento che oggi la maggior parte di noi erra per il mondo sette giorni su sette e rientra a casa quasi solo per dormire. Che ne è stato della “ casa” ? Sono sicura che almeno i boomers come me ne hanno una nel cuore. Per costoro il film Here è una carezza amara che ci proietta in quel domani in cui anche noi non ci saremo più ma lei (la casa) sì, e al suo interno vivranno forse ancora le nostre voci, il fragore delle nostre risate, i nostri sogni irrealizzati, le speranze disattese, le lacrime nascoste, le parole urlate e quelle appena sussurrate.
Cosa ricorderemo della casa e della vita? Dove alloggeranno i ricordi quando vivremo soprattutto nel passato e non avremo più contezza del presente ? Chi avremo accanto a ricordarci cosa siamo stati? Il perché dei nostri errori, la ragione delle nostre decisioni ? Capite bene che non è un film per tutti e bisogna attrezzarsi per il finale.
Ma se avete una “casa” nel cuore, se siete sensibili e vi affezionate ai luoghi, se date valore ai ricordi, anche a quelli in apparenza più insignificanti, andate a vedere il film: vi commuoverà (straordinari Tom Hanks e Robin Whright) e vi farà ripensare a tutto ciò che avete vissuto e alla casa del cuore che, anche se non l’abitate più, ancora custodisce la parte più intima di voi e dei vostri cari.

L'articolo Here, qui e ora. Casa, dolce casa proviene da Il Vulcanico.

]]>
Il Conclave dei peccatori https://ilvulcanico.it/il-conclave-dei-peccatori/ Tue, 31 Dec 2024 07:32:18 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25259 di Antonella De Francesco Se volete chiudere l’anno in bellezza andando al cinema vi consiglio il thriller Conclave del regista Edward Berger. Un film ben fatto, ben costruito, ben recitato che vede la presenza di ottimi attori tra i quali Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini. Il film tratta della designazione del […]

L'articolo Il Conclave dei peccatori proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Se volete chiudere l’anno in bellezza andando al cinema vi consiglio il thriller Conclave del regista Edward Berger.
Un film ben fatto, ben costruito, ben recitato che vede la presenza di ottimi attori tra i quali Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini.
Il film tratta della designazione del successore al Papa defunto, in un contesto che da subito mette a confronto la maestosità e la preziosità dei luoghi con l’ambizione degli uomini, anche di quei pastori di anime dai quali ci aspetteremmo rigore, lealtà e soprattutto profonda religiosità. La fotografia, curata da Stefhanie Fontaine, è superba con le sue inquadrature geometriche e perfette, dove il rigore delle forme architettoniche (con ricostruzioni della Cappella Sistina e del Vaticano interamente eseguite a Cinecittà e della Regia di Caserta con il suo magnifico scalone) fanno da sfondo alla disposizione dei 118 Cardinali più potenti al mondo, rigida ed esemplare, mentre tra i colori la fanno da padrone il bianco del candore che abbiamo dimenticato e il rosso porpora cardinalizio.
La canonica, sempre in penombra, è più simile ad un bunker nel quale si sente la cupezza del segreto, del non detto, del nascondimento di sé, più che l’intimo raccoglimento in preghiera. Pressoché nessuno dei cardinali tratteggiati da Berger è scevro da passioni e ambizioni; nessuno è senza colpa e senza peccato.
In nessuno c’è perfezione interiore e il rigore morale sembra essere più di facciata che di sostanza. La forma e la ritualità sopravvivono nei luoghi antichi e maestosi mentre tra i capi della Chiesa si è persa la sostanza. La chiusura del conclave diventa simbolo della chiusura della Chiesa verso il resto del mondo e mentre si decide il successore del sommo pontefice, nelle piazze esplodono ordigni che sovvertono l’ordine precostituito.
Quello che accade fuori dal conclave non sembra turbare i cardinali in alcun modo e, anzi, si fa in modo che i più non ne vengano neanche informati. La chiesa ha un problema: negli anni ha perduto credibilità, fa fatica ad andare al passo con i tempi, alcuni ne vorrebbero il ritorno al passato più bigotto, più coercitivo, più conservatore come esprime magnificamente Sergio Castellitto nei panni del cardinale Goffredo Tedesco nella sua “arringa” in difesa d’una Chiesa che nega le altre religioni e si impegna in una nuova guerra santa contro gli infedeli. Ma c’è anche, per fortuna, chi, come il cardinale Lawrence (magistralmente interpretato da Ralph Fiennes) è più progressista e capisce che la salvezza e la rinascita della Chiesa possono essere trovate solamente nell’ unità, nel dialogo, nell’apertura al progresso , alle richieste mutate dei fedeli nel mondo che cambia. Tutti loro hanno per la gran parte ormai perduto la certezza della loro fede, nascondono segreti molto pesanti per paura di non poter essere eletti, anteponendo l’ambizione personale ai bisogni della collettività. Questa tensione pervade tutto il film dall’inizio alla fine mentre il plot piano piano si fa chiaro grazie all’ostinata ricerca della verità da parte del cardinale Lawrence che vorrebbe fosse eletto il più meritevole. Ma nel corso del film le previsioni sono sovvertite e perfino il ruolo delle suore (tra cui va annoverata l’ottima Isabella Rossellini nei panni di sorella Agnes) , al principio così marginale se paragonato a quello dei cardinali, a poco a poco viene rivalutato, messo in rilievo al punto da diventare fondamentale per l’esito della votazione e dell’ investitura finale .
Ma la vera perla del film è il finale di cui non vi parlerò. Lì troverete il colpo di genio del regista. La Chiesa, pur costretta al segreto, dovrà fare i conti con un epilogo al quale neanche noi eravamo preparati, dovrà piegarsi all’accettazione piena dell’individuo e delle sue qualità e capacità oltre i pregiudizi, oltre la morale comune e oltre le nostre divisioni legate a sterili e anacronistiche visioni del mondo. Da non perdere

L'articolo Il Conclave dei peccatori proviene da Il Vulcanico.

]]>
Parthenope, che viene dal mare e prende a morsi la vita https://ilvulcanico.it/partenope-che-viene-dal-mare-e-prende-a-morsi-la-vita/ Tue, 29 Oct 2024 07:07:44 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25198 di Antonella De Francesco  L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Parthenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, […]

L'articolo Parthenope, che viene dal mare e prende a morsi la vita proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco 
L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Parthenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, insomma di vita vissuta.
L’ennesimo omaggio del regista alla sua splendida e detestabile Napoli che ci mostra attraverso gli occhi di Parthenope. La storia prende vita dall’acqua perché è lì che nasce Parthenope, viene dal mare come la figura mitologica protettrice di Napoli ed è il mare che fa da sfondo costante alla vicenda: che si tratti di amore, di rimpianti, di lutti o di semplici riflessioni, il mare condiziona la vita di chi ci abita e lo attrae con una forza e una prepotenza che dura per sempre.
Parthenope, interpretata da Celeste Dalla Porta, è la storia di una donna bellissima e libera che non indietreggia mai davanti ad una nuova esperienza, ma piuttosto vi partecipa con grande curiosità. La sua straripante bellezza non condiziona il suo modo di essere, perché lei non è solo quello, lei è anche altro: è colta, legge, è riflessiva, studia per trovare risposte e quindi, al di là di quello che la sua beltà suscita negli altri, questa donna si salva, sopravvivendo al tempo che passa e al fisiologico sfiorire della sua divina beltà, a differenza delle altre figure femminili, l’attrice Greta Cool, interpretata da Luisa Ranieri e il suo agente Lidia Rocca, interpretata da Isabella Ferrari che dalla bellezza hanno tratto tutto per vivere e che inevitabilmente, allo sfiorire di questa, si ritrovano sconfitte perché intente a lottare unicamente nel vano tentativo di mantenerla ad ogni costo.
Su questo Sorrentino è fin troppo chiaro: la bellezza sfiorisce anche nelle persone più belle e perfette, la vita non fa sconti, alla giovinezza, che forse dura troppo poco, segue inesorabilmente l’età adulta. Ma la giovinezza, se pur fugace, resta per ciascuno di noi come in È stata la mano di Dio, il tempo delle illusioni, dei primi amori, anche di quelli mancati, dell’ingenuità, dei sogni, delle amicizie fraterne, delle domande, degli affetti familiari, delle esperienze e anche, ahi noi, della scoperta del dolore. Alla nostra giovinezza tutti facciamo ritorno di tanto in tanto per trovare conforto, ricordare un tempo diverso in cui niente ci mancava, in cui il tempo era disteso davanti a noi, in cui cercavamo le risposte. Ma come spesso si dice c’è una ricetta per non avere rimpianti o averne pochi: vivere con pienezza. Buttarsi nella vita, prenderla a morsi, sperimentare, lasciarsi andare, perdersi per poi ritrovarsi, per non doversi dire, un giorno, che è troppo tardi.
Nella vita dovremo scegliere e cercare di capire, sperimentare come Parthenope, cambiare l’assetto se è necessario, senza smettere mai di cercare le risposte anche quando ci sembrerà di non avere più domande. Solo così, voltandoci indietro, sorrideremo alla vita passata e a noi stessi, come Partenope adulta (Stefania Sandrelli) e saremo indulgenti verso gli errori che inevitabilmente avremo commesso, continuando a sorprenderci della vita che ancora c’è da vivere.
Parthenope è un film esagerato e al tempo stesso indimenticabile: dal ballo a tre sulle note di Riccardo Cocciante “era già tutto previsto” che ricorda i meravigliosi Jules e Jim di Francois Truffaut, allo stupore davanti alla creatura gigantesca di acqua e sale di Spielbergeriana memoria, figlio del professore (ottimo Silvio Orlando), alle scene barocche dal retrogusto felliniano di Parthenope e Tesorone (il mefistotelico Beppe Lanzetta) .
Per questo va visto e per tanto altro, perché a ciascuno questo film riserva la sua intima visione.
——-
M’INNAMORAI DI PARTHENOPE 
di Gaetano Perricone
Finalmente ho visto su Netflix questo magnifico filmone di Paolo Sorrentino, sul quale ho letto e ascoltato fin troppe chiacchiere. E dopo averla “mommiata” (adorabile termine palermitano, che significa ammirata da guardone), ascoltata, metabolizzata per due ore e un quarto, alla fine m’innamorai perdutamente di Parthenope. Della sua ammaliante, ipnotizzante Bellezza. Della sua Libertà. Della sua Passione. Del suo Amore per la vita. Della sua Intelligenza, Ironia, Cultura. Della sua Determinazione. Della sua Generosità. Della sua Napoli. A conferma, in questo caso platonicamente cinematografica, di una mia teoria di sempre, che non mi sono mai vergognato di esternare: che non è vero affatto che non si possano amare, contemporaneamente e in modi e sentire diversi, donne (persone) diverse.
Parthenope, la splendida e bravissima Celeste Della Porta, è tutto quello che ho scritto sopra e tanto altro, protagonista e filo conduttore della trama di un film a mio avviso solo da godere. Come grande esempio di bel cinema, per genialità, regia, tecnica; come viaggio attraverso l’intero caleidoscopio dei sentimenti vivi dentro l’anima umana; come tour appassionante nella storia degli ultimi 75 anni, fino al secondo scudetto della squadra che fu di Diego Armando Maradona, di una città straordinaria e memorabile come Napoli. E accanto a Parthenope, sono deliziosamente pennellati i tratti umani che la circondano: quelli maschili, tutti inevitabilmente innamorati di lei, l’ottimo attore palermitano Dario Aita che è il Sandrino a lei vicinissimo fino all’ultimo, Daniele Rienzo nei panni del fratello Raimondo, l’adorabile e tormentatissimo Silvio Orlando-professor Marotta, il magnificamente orrido Peppe Lanzetta che è il vescovo porcello Tesorone, dulcis in fundo il memorabile Gary Oldman. E le favolose donne, attrici maiuscole: Isabella Ferrari, Luisa Ranieri e Stefania Sandrelli nel gran finale. Età diverse, la bellezza che non sfiorisce, ma comunque il tempo che passa e la giovinezza che ci lascia, come Sorrentino ama con grande franchezza ricordarci.
So che rivedrò Parthenope, per godermi ancora la celestiale Celeste, per amarla platonicamente. Lo farò da solo, ma anche con la mia adorata guerriera quando tornerà e a casa e avrà certamente molto piacere di vedere questo grande film di donne, di vita, della irripetibile Napoli, culla di bellezza e orrore e di tutti i sentimenti.
Chiudo applaudendo ancora una volta la carissima e bravissima Antonella De Francesco, che nella sua recensione al film qui sopra ha scritto magistralmente che “Parthenope prende a morsi la vita“. Come dovremmo fare tutti, attimo dopo attimo, visto che ne abbiamo una e soltanto una
Con il titolo e nell’articolo: Parthenope, scene dal film

L'articolo Parthenope, che viene dal mare e prende a morsi la vita proviene da Il Vulcanico.

]]>
Iddu, il super boss che fece la vita du surciu in mezzo a tanti ominicchi https://ilvulcanico.it/iddu-il-super-boss-che-fece-la-vita-du-surciu-in-mezzo-a-tanti-ominicchi/ Thu, 10 Oct 2024 18:46:54 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25189 di Antonella De Francesco Iddu racconta la storia della latitanza di Matteo Messina Denaro, magistralmente interpretato da un Elio Germano immenso, come ce la possiamo immaginare perché, per ammissione degli stessi registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la verità è solo il punto di partenza, non la destinazione. Non ci sarà alcuna fascinazione alla vista […]

L'articolo Iddu, il super boss che fece la vita du surciu in mezzo a tanti ominicchi proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Iddu racconta la storia della latitanza di Matteo Messina Denaro, magistralmente interpretato da un Elio Germano immenso, come ce la possiamo immaginare perché, per ammissione degli stessi registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la verità è solo il punto di partenza, non la destinazione.
Non ci sarà alcuna fascinazione alla vista del boss più ricercato d’Italia, perché Iddu è rappresentato come un miserabile, iniziato in tenera età alla criminalità dal padre, da cui è ossessionato anche dopo la sua morte e per colpa del quale è costretto a nascondersi  facendo la vita du surciu. Il suo strapotere, esercitato per mezzo dei pizzini, ha dell’inverosimile, se non fosse che a tal riguardo i due registi non si sono inventati proprio nulla.
Non sta meglio dell’ultimo padrino la sorella, nel film Stefania, che vive anche lei isolata e infelice, vittima di una società patriarcale che le ha negato il primato e la reggenza, malgrado per crudeltà non sia seconda a nessuno. Poi c’è Catello, interpretato da Toni Servillo, che rappresenta il malavitoso di provincia, ex sindaco e padrino del boss, alla ricerca di favori in spregio alle regole e alla legalità. Infine, c’è lo stato, con i servizi segreti, condannato per la sua complicità che ha permesso la latitanza in Sicilia del boss per quasi trent’anni.
In definitiva tutti i personaggi vengono smitizzati, ridotti a figure quasi grottesche e rappresentati come ominicchi con vite per nulla invidiabili, prigionieri delle loro ossessioni e senza affetti. Iddu non riesce neanche a riconoscere il figlio come suo ma forse (voglio crederci) per non obbligarlo alla sua successione e lasciarlo ancora alla beata ingenuità di un bambino che accarezza un agnello, quell’agnello che invece il padre obbligò  lui stesso a sgozzare con ferocia.
Se si pensa che il film è stato girato prima della cattura di Matteo Messina Denaro, allora lo si può intendere come un’ipotesi brillante che con ironia sovverte i luoghi comuni e si sostituisce alla narrazione popolare che fa dei boss mafiosi e dei criminali in genere degli eroi. Da vedere
Con il titolo: Elio Germano nei panni del boss Matteo Messina Denaro. All’interno dell’articolo, una scena del film 

L'articolo Iddu, il super boss che fece la vita du surciu in mezzo a tanti ominicchi proviene da Il Vulcanico.

]]>
Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

L'articolo Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English proviene da Il Vulcanico.

]]>

“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

L'articolo Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English proviene da Il Vulcanico.

]]>
E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english https://ilvulcanico.it/e-sir-anthony-hopkins-mi-sorrise-il-tuo-costume-e-molto-piu-bello-del-mio/ Sun, 21 Jul 2024 04:54:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25099 di Marco Gambino Primo giorno di riprese sul set di “Those about to die” in cui interpreto il Senatore Supulcius. Oggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  “ The remains of the day” o più  recentemente , il padre straziante di “The father” . Lui, […]

L'articolo E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Marco Gambino

Primo giorno di riprese sul set di Those about to die” in cui interpreto il Senatore SupulciusOggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  The remains of the dayo più  recentemente , il padre straziante di The father” . Lui, l’attore straordinario che spaventa e commuove intere generazioni.

Ma com’e’ ? Tu lo hai mai incontrato? chiedo a Rupert Penry-Jones che nella serie interpreta il console Marsus.

“E’ un uomo eccezionale ancor prima ancora di essere la star che è, vedrai”-

Rupert, come si evince dal nome, è super inglese e proviene da tre generazioni di attori. I suoi genitori hanno calcato il palcoscenico per anni insieme ad Hopkins  e sua madre dice che è un uomo umilissimo e generoso.

Giriamo allo Studio 5 di Cinecittà, quello immenso di Fellini. Una scena in cui noi, i patrizi, siamo schierati davanti alla portantina dove Sir Anthony, nei panni dell’imperatore Vespasiano, salirà dopo un lungo monologo. Lo aspettiamo in silenzio. Quando arriva c’è un brivido generale. Eccolo il mito in carne ed ossa, il suo inconfondibile sorriso con gli occhi. Azzurrissimi. Ha 86 anni ma ha la  vivacità di un ragazzo tutta concentrata in quello sguardo magnetico.

Oh thank God my taxi is here – esordisce additando la portantina. Il silenzio si rompe in una risata generale. Roland Emmerich, il regista, si avvicina per salutarlo, ma lui va dritto verso Rupert e lo abbraccia. Gli dice che non dimenticherà mai i suoi genitori, quando insieme a loro calcava i palcoscenici di tutta l’Inghilterra, gli anni più importanti della sua vita d’attore, quelli che lo hanno forgiato.

Lo guardo mentre recita e vorrei rubargli tutto. Le pause, la misura, il gesto, il controllo.

Alla fine della scena siamo tutti intorno a lui che racconta. Dice che un giorno a Los Angeles, quando era appena uscito Il silenzio degli innocenti, chiese al suo autista di fermarsi. Tutti quei cartelli in autostrada con la sua faccia in primo piano lo avevano sconvolto. Com’era possibile  che lui, un povero ragazzo originario del Galles, fosse finito al centro dell’attenzione mondiale? Un salto che a lui in quel momento,  fermo sotto una di quelle gigantografie, appariva incomprensibile. Ma sono proprio io quello ?– continuava a ripetersi mentre l’autista gli diceva che  non c’erano dubbi, fino a prova contraria lui era  proprio Mr Anthony Hopkins.

Mentre si allontana verso la macchina ho un impulso di quelli, per me, rarissimi. Allora lo blocco. Tony posso chiederti una foto?But of course”- mi risponde. Mentre siamo li per quei pochi secondi non so cosa dirgli.

Ma è lui a scuotermi dall’imbarazzo. “Your costume is way nicer than mine” (Il tuo costume è molto più bello del mio). E mi sorride con gli occhi.

 

——————————————

Sir Anthony Hopkins smiled at me: “Your costume is much nicer than mine”

First day of filming on the set of “Those About to Die” in which I play Senator Supulcius. Today, we’re shooting with Sir Anthony Hopkins. The absolute legend. He, the terrifying Hannibal, but also the impeccable, devoted butler in “The Remains of the Day” or, more recently, the heartbreaking father in “The Father” He, the extraordinary actor who has frightened and moved entire generations.

But what is he like? Have you ever met him? I ask Rupert Penry-Jones, who plays Consul Marsus in the series.

– He is an exceptional man even before being the star that he is, you’ll see.

Rupert, as his name suggests, is super English and comes from three generations of actors. His parents have shared the stage for years with Hopkins, and his mother says he is a very humble and generous man.

We are filming at Studio 5, the enormous one used by Fellini. A scene where we, the patricians, are lined up in front of the litter where Sir Anthony, playing Emperor Vespasian, will climb after a long monologue. We wait for him in silence. When he arrives, there is a general shiver. Here he is, the legend in flesh and blood, his unmistakable smile with his eyes. Piercingly blue. He is 86 years old but has the vitality of a young man, all concentrated in his magnetic gaze.

– Oh thank God my taxi is here, -he says, pointing to the litter. The silence breaks into general laughter. Roland Emmerich, the director, approaches to greet him, but he goes straight to Rupert and hugs him. He says he will never forget his parents when he shared the stage with them all over England, those were the  most important years of his acting life, the ones that shaped him.

I watch him as he acts and wish I could steal everything from him. His pauses, his measure, his gesture, his control.

At the end of the scene, we are all around him, listening to his stories. He says that one day in Los Angeles, when “The Silence of the Lambs” had just come out, he asked his driver to stop the car on the side of the motorway. All those billboards lining the highway with his face in the foreground had surprised  him. – How was it possible that he, a poor child  from Wales, had ended up at the center of worldwide attention? A leap that, at that moment, standing under one of those giant images, seemed incomprehensible to him. Is that really me? – he kept asking himself while the driver assured him there was no doubt, he was indeed Mr. Anthony Hopkins.

As he walks away towards the car, I have one of those impulses that are very rare for me. So, I stop him – Tony, can I ask you for a photo? – But of course – he replies. While we’re there for those few seconds, I don’t know what to say to him. But he shakes me out of the embarrassment. – Your costume is way nicer than mine –

And he smiles at me with his eyes.

Con il titolo e nella gallery: Marco Gambino durante le riprese romane di “Those about to die”

(Gaetano Perricone). Sono particolarmente grato al mio carissimo cugino Marco Gambino, eccellente attore palermitano da una vita trapiantato a Londra, per questo suo nuovo, prezioso contributo a questo blog. Una testimonianza deliziosa e davvero speciale sul suo incontro sul set con un “mostro sacro” del cinema mondiale, uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Non so se Marco sia il primo palermitano ad avere lavorato con Sir Anthony Hopkins, posso  immaginarlo senza però averne alcuna certezza: in ogni caso credo sia una notizia prestigiosa per la cultura della città dove entrambi siamo nati e cresciuti insieme. Grazie di cuore a Marco Gambino, cugino con il quale siamo legatissimi – lo dico con orgoglio e grande affetto – , per questo bel regalo che ha fatto a me e ai lettori del Vulcanico 

 

L'articolo E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english proviene da Il Vulcanico.

]]>
Challengers. L’attrazione totalizzante vola con una pallina di tennis. La posta in gioco è Lei https://ilvulcanico.it/challengers-lattrazione-totalizzante-vola-con-una-pallina-di-tennis-la-posta-in-gioco-e-lei/ Thu, 02 May 2024 06:02:45 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24912 di Antonella De Francesco Se avete voglia di restare incollati davanti allo schermo in preda all adrenalina e col fiato sospeso, non perdetevi l’ultima fatica di Luca Guadagnino con l’ incredibile sceneggiatura di Justin Kurutzjes: Challengers, ovvero il tennis come metafora di relazioni. Relazioni tra due amici tennisti, Patrick e Art e una splendida lei, […]

L'articolo Challengers. L’attrazione totalizzante vola con una pallina di tennis. La posta in gioco è Lei proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Se avete voglia di restare incollati davanti allo schermo in preda all adrenalina e col fiato sospeso, non perdetevi l’ultima fatica di Luca Guadagnino con l’ incredibile sceneggiatura di Justin Kurutzjes: Challengers, ovvero il tennis come metafora di relazioni. Relazioni tra due amici tennisti, Patrick e Art e una splendida lei, interpretata dall’attrice Zendaya nei panni di Tashi.
In Chiamami col tuo nome, che resta il mio preferito, Luca Guadagnino ci svela il significato più profondo e più sensuale del dono d’amore: mettere la propria anima nelle mani dell’altro, espropriandosi di tutto, persino del nome, fondendo la propria identità con quella di chi si ama. In Bones and all, Maren e Lee, i due protagonisti , scoprono di amarsi e capiscono che l’amore è l’unica possibilità per venire fuori insieme dalla comune dipendenza, di dominare i loro oscuri appetiti e trovare un rifugio nel quale non sentirsi giudicati ma aiutati, il sostegno per non ricaderci più, per tornare “normali“
In Challengers , il regista si spinge ad esplorare il campo dell’attrazione pura e semplice (non meno totalizzante dell’amore) e delle sue cause scatenanti. Il film è incentrato sulla circolarità dell’attrazione tra i tre protagonisti, in cui lo sguardo di Tashi (fuori campo o in primo piano) è sempre al centro del campo e delle loro vite: lei ne condiziona gli umori e le esistenze e perfino i destini. Non si tratta di trofei, la vera posta in gioco è lei e il sottile gioco dell’attrazione travalica le comuni regole di politically correct tra i due amici .
Al ritmo serrato di sfide riprese da tutte le angolazioni e con ogni mezzo possibile che, sovvertendo le regole delle riprese del tennis tradizionale, non si svolgono quasi mai in silenzio, ma hanno sottofondi musicali techno ed incalzanti, i tre mettono in campo le loro esistenze. Ogni punto ha una valenza enorme, disegna scenari , scatena pensieri tra i due sfidanti e lascia noi spettatori sospesi come in un thriller di altissimo livello.
La scena finale è bellissima e geniale e non ve la racconto, ma fa ritrovare il senso di qualcosa di più grande. Al di là degli errori, delle omissioni, degli scontri, l’amicizia si nutre essenzialmente di lealtà. Quando i due sfidanti la ritrovano, riscoprono il senso dell’amicizia che avevano smarrito e la loro sfida può finalmente essere giocata all’ultimo sangue. Ma attenzione , una volta che tutte le carte sono sul tavolo, anzi sul campo, una volta che nessuno ha più nulla di non detto, il film finisce! Game, set, match.
Da vedere

L'articolo Challengers. L’attrazione totalizzante vola con una pallina di tennis. La posta in gioco è Lei proviene da Il Vulcanico.

]]>