in evidenza Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/in-evidenza/ Il Blog di Gaetano Perricone Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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Polifemo, millenario tra gli ulivi, con il suo olio della pace https://ilvulcanico.it/polifemo-millenario-tra-gli-ulivi-con-il-suo-olio-della-pace/ Sun, 17 Nov 2024 06:13:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25210 di Pippo Raiti  Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco […]

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di Pippo Raiti 
Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco distante dalla Cuba Bizantina e dal fiume Alcantara, “vive” proprio uno di quei grandi ulivi secolari, il cui nome è Polifemo (secondo una datazione presunta, sembra che la sua età si aggiri intorno ai 1200 anni). Nome mitologico dovuto all’imponenza del suo tronco, alle sue salde e pronunciate radici che lo legano indissolubilmente alla terra da cui trae il suo nutrimento. Le sue estese fronde, come braccia tese verso l’Etna, sembrano volerla ringraziare per il prezioso dono.
Per la sua veneranda età esso rappresenta esso rappresenta la memoria storia di vite di un tempo lontano e di un tempo più o meno recente: ogni suo nodo, ogni sua contorsione, rappresenta una voce narrante e i suoi racconti sono preziosi insegnamenti. Chissà quante genti hanno raccolto e goduto dei suoi frutti. Quante storie, quante leggende, quanti misteri sono racchiusi tra quei nodi, quante mani hanno raccolto le sue drupe e quanti canti di donne chine hanno hanno ascoltato le sue fronde.
Chissà quale soddisfazione sta provando quell’umile contadino che oltre mille anni fa mise a dimora un ramoscello di ulivo, chissà le storie che avrà sentito, le gioie, i lamenti di chi puntualmente ogni anno si apprestava alla raccolta delle sue drupe. Chissà quante lingue diverse, quanti popoli diversi si sono avvicendati e chissà quante leggende sono state narrate all’ombra delle sue fronde.
Sono tutti questi quesiti che, chissà fin da bambino, mi ponevo nella mente quando accompagnavo  mio padre in campagna e proprio lì, seduto all’ombra dell’ulivo fantasticavo di storie lontane. Man mano crescevo e, attraverso gli studi, quei chissà trovarono spiegazioni storiche e anche lo studio dei miti greci mi fecero scoprire della leggenda della nascita della pianta di ulivo e di come ad esso venne riconosciuto il simbolo di pace.
Ecco che, come spesso accade da adulto, si verifica un ritorno agli studi passati, dettato dal desiderio di voler rendere omaggio a quell’ulivo  che, come un anziano merita di essere raccontato, affinché divenga memoria di un tempo lontano e, attraverso la sua leggenda, divenga memoria contemporanea di un mondo sempre più in bilico tra guerra e pace.
Da qui nasce l’idea dell’olio della pace, prodotto esclusivamente dalla raccolta delle sue olive,  cosicché il perdurare di quest’ulivo secolare diventi metafora dei valori che devono insistere e resistere come le radici profonde di Polifemo.

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Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

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“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

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Etna, la quinta parossistica emozione in un mese https://ilvulcanico.it/etna-la-quinta-parossistica-emozione-in-un-mese/ Tue, 06 Aug 2024 04:42:26 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25155 di Giovinsky Aetnensis Un’eruzione davvero intensa quella della notte del 4 agosto. Fino alle 3 del mattino mi trovavo al Rifugio Santa Barbara a riprendere le bellissime esplosioni stromboliane che si intensificavano dal Cratere Voragine dell’Etna. Decisi di tornare a casa ma alle 5 venni svegliata da un amico e in fretta e furia tornai […]

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di Giovinsky Aetnensis

Un’eruzione davvero intensa quella della notte del 4 agosto. Fino alle 3 del mattino mi trovavo al Rifugio Santa Barbara a riprendere le bellissime esplosioni stromboliane che si intensificavano dal Cratere Voragine dell’Etna. Decisi di tornare a casa ma alle 5 venni svegliata da un amico e in fretta e furia tornai lassù, dove mi trovavo qualche ora prima.

L’emozione fu stratosferica. Alte fontane di lava e la nube di cenere all’alba abbracciavano il cielo. Salii a Monte Nero degli Zappini per girare qualche clip video. Rimasi incantata a godermi lo spettacolo. Non ci si abitua mai a così tanta bellezza.

Fu la quinta emozione parossistica nel giro di un mese

 

 

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I vulcani del mondo e il clima, tra scienza e storia https://ilvulcanico.it/i-vulcani-del-mondo-e-il-clima-tra-scienza-e-storia/ Thu, 01 Aug 2024 04:42:55 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25122 di Salvo Caffo L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero […]

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di Salvo Caffo

Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna

L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero gigantesche quantità di ceneri nella stratosfera.

Il Laki (fonte National Geographic)

Già nel 1783 e ancora nel 1784, in piena estate su tutta l’Europa e l’America settentrionale calò una nebbia asciutta e costante, la terra era quasi gelata e la neve non si scioglieva anzi tendeva ad aumentare. L’inverno che ne seguì fu il più rigido registrato da molto tempo. L’eruzione del Laki iniziata nel giugno del 1783 e terminata nel febbraio del 1784, emise anche acido solforico e fluoro che ebbero effetti catastrofici in Islanda, contaminando i pascoli e uccidendo più del 50% del bestiame presente sull’isola e causando una carestia che decimò oltre 20 mila abitanti. Questi gas vulcanici, formarono sull’Europa quella che fu chiamata la foschia del Laki e cioé una nebbiolina tossica, di colore azzurro, che rimase in sospensione nei cieli per mesi e mesi. Le vittime totali causate dall’aerosol vulcanico furono, secondo alcune stime, ventitremila. L’inverno successivo di conseguenza fu estremamente rigido, nell’Europa centrale vi furono abbondanti nevicate, e nella sola Gran Bretagna il grande freddo fece registrare oltre otto mila vittime. In Francia si alternarono periodi di siccità, inverni rigidi ed estati pessime. Furono anni difficili, caratterizzati da particolari condizioni meteorologiche che contribuirono a rendere la popolazione sempre più povera e affamata. Carestie e povertà furono fattori che innescarono la Rivoluzione francese del 1789.

Il vulcano Agung

Specifici studi del fisico Humphreys nel 1940, dimostrarono la correlazione esistente tra i cambiamenti climatici e le attività vulcaniche, per cui le particelle di ceneri vulcaniche in stratosfera riflettono e disperdono la luce solare, comportandosi quindi come uno schermo che impedisce al calore di raggiungere la superficie terrestre. Le ceneri possono rimanere in sospensione per diversi anni e occorre molto tempo prima che cessino gli effetti climatici. Nel 1970 Mitchell dimostrò che le particelle solide derivanti dall’attività vulcanica del Vulcano Agung a Bali in Indonesia nel 1963 erano state 10 volte superiori alle polveri emesse in seguito a tutte le attività umane sino ad allora emesse, sull’intero pianeta.

Un altro anno estremamente freddo, con temperature nei mesi estivi di 3 gradi inferiori alle medie locali fu il 1816 con precipitazioni ininterrotte da maggio ad ottobre in Irlanda, Inghilterra sino al Baltico e nel New England (settore nord-orientale degli USA). Il 1816 venne definito anno senza estate, in realtà furono più anni, e portò alla non maturazione dei raccolti con gravissime carestie e carenze di cibo nel Galles e in Irlanda. Migliaia di persone furono costrette a lasciare tutto e partire in cerca di fortuna. Queste furono soltanto alcune delle conseguenze avutesi in seguito all’ eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa, arco della Sonda, che nel 1815 portò alla devastazione delle isole Indonesiane con la morte di decine di migliaia di persone. Gli effetti climatici innescati dall’eruzione causarono gravi danni ai raccolti in America settentrionale e in gran parte dell’Europa, già stremata dalle guerre napoleoniche che si chiusero a Waterloo due mesi dopo l’eruzione, il 18 giugno 1815. Napoleone perse la guerra anche per le difficoltà logistiche derivanti dalle incessanti piogge.

La caldera del vulcano Tambora, Sumbawa, Indonesia (Fonte Ingv Vulcani)

L’eruzione del vulcano Tambora ha cambiato la Storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta. Alla fine di febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte fuggì dall’isola d’Elba, dov’era stato esiliato dopo la sconfitta di Lipsia e l’abdicazione. Il 20 marzo, alla testa di un nuovo esercito, rientrava trionfalmente a Parigi. Le grandi potenze erano però determinate a impedire ogni ipotesi di una nuova espansione della Francia, anche se in realtà Napoleone chiese un trattato di pace. La battaglia decisiva, a conclusione dei cosiddetti Cento Giorni, si svolse nelle campagne del Belgio, vicino a Waterloo, tra il 16 e il 18 giugno del 1815: da una parte i 400.000 francesi al comando di Napoleone, dall’altra un milione di uomini tra olandesi, inglesi e prussiani, guidati da Lord Wellington. Napoleone era uno stratega formidabile e all’inizio sembrò avere la meglio, ma nella notte precedente allo scontro che si rivelò definitivo, tra il 17 e il 18 giugno, si scatenarono fortissimi temporali. Il terreno si trasformò in un acquitrino fangoso e in una trappola per l’artiglieria e la cavalleria dell’imperatore, e questo contribuì alla sconfitta dei francesi.

Gli effetti dell’anno senza estate, con un’atmosfera cupa e piogge continue, è evidente nei versi di George Byron, che scrive Darkness (Oscurità) nel 1816, e nell’incipit di Frankenstein, il romanzo di Mary Shelley pubblicato poco dopo (1818). Già nell’estate del 1815 l’aerosol di gas e ceneri generò a Londra tramonti e crepuscoli spettacolari, dai colori accesi. Queste tonalità insolite hanno ispirato molti pittori. Gli effetti climatici dell’eruzione emergono da documenti e lettere di ogni parte del mondo. Un funzionario di Lhasa descrive le nevicate del giugno 1816; a Bologna, il marchese Tommaso de’ Buoi annota nel suo diario il 2 luglio 1816 che dal 25 maggio non vi fosse giorno che non piovesse, e a causa del freddo molti portavano il tabarro (mantello). Una moria straordinaria di cavalli, il principale mezzo di trasporto del tempo, ispirò Karla Drais (1785-1851) a trovare un veicolo alternativo e nel 1817 inventò il “velocipede” il cosiddetto “cavallo da passeggio” antenato della bicicletta.

Il Krakatoa

Fenomeni atmosferici analoghi si verificarono nel 1884-85 in conseguenza dell’eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa nel 1883. Il vulcano Krakatoa, localizzato su una piccola isola tra Giava e Sumatra in lndonesia, durante l’eruzione del 1883 lanciò circa 4.000.000 di metri cubi di materiali piroclastici fino ad un’altezza di 27 km, e la cenere, trasportata dalle correnti aeree, compì diversi giri intorno alla Terra. Dopo tre giorni questa cenere cadde in quantità sul ponte di un vascello distante circa 2500 km. II lucente scintillio del cielo prima del sorgere del Sole e dopo il tramonto, causato dalla riflessione dei raggi del sole da parte delle particelle di ceneri vulcaniche, attirò l’attenzione del mondo intero, il fenomeno si manifestò improvvisamente nella settimana seguente l’eruzione ed interessò una fascia compresa tra le latitudini 15° N 15° S; successivamente si diffuse fino a coprire tutta la Terra.

La distribuzione su tutta la Terra delle ceneri prodotte dall’eruzione del Krakatoa, fornì importanti informazioni sulla circolazione negli strati superiori dell’atmosfera. Lo scintillio fu visto per la prima volta negli Stati Uniti a Yuma, in Arizona, il 19 ottobre (l’eruzione del Krakatoa si verificò il 26 agosto) e il 30 ottobre fu osservato negli Stati Uniti orientali. Nella notte del 30 ottobre il fenomeno fu particolarmente intenso e «a Poughkeepsie (New York) e a New Haven (Connecticut) si ricorse alle pompe antincendio per spegnere il cielo in fiamme». II fenomeno continuò a manifestarsi, con lucentezza di diversa intensità per mesi, presentandosi notevolmente più marcato durante i periodi secchi.

La nube ardente dell’eruzione del Mont Pelèe (collezione personale Santo Scalia)

Considerevoli abbassamenti delle temperature planetarie (Global cooling) si sono registrate nel 1888-90 in seguito all’eruzione del Bandai San, di Vulcano e di Bogjslof. Nel 1902 in seguito all’esplosione del Mt. Pelèe e de la Soufriere in Martinica e nell’isola di St. Vincent o nel 1912 in seguito all’eruzione del Katmai in Alaska, del Bezymiami (1956). Il clima rispecchia la media delle condizioni atmosferiche su una scala temporale vastissima, quindi, nonostante le imprecisioni con cui possiamo conoscere il comportamento dell’atmosfera, possiamo comprendere il clima studiando lunghe serie di osservazioni.

Siamo soliti pensare che il clima sia relativamente costante ma non occorre risalire molto indietro nel tempo per constatare che il clima che ha accompagnato la storia umana era molto diverso. Tra il 200 a.C. e 400 d.C. (ovvero per 600 anni) c’è stato il cosiddetto periodo caldo Romano, particolarmente caldo e umido in Europa e nel Mediterraneo. Secondo alcuni storici avrebbe addirittura favorito l’espansione di Roma. In Europa, il XIV, il XVII e il XVIII secolo sono stati molto più freddi del nostro clima. Tra il 1650 e il 1850 si è avuta una cosiddetta piccola glaciazione, che comportò grandi ripercussioni economiche e sociali a livello europeo con interi raccolti perduti e conseguenti carestie, che spesso portarono a guerre che hanno contrassegnato la storia europea.

Il Clima del pianeta Terra è una complessa macchina termodinamica il cui motore è dato dal calore del Sole. Parti fondamentali di questa “macchina” sono: la Terraferma, i mari e gli Oceani nonché l’Atmosfera e l’attività dei Vulcani. Parte del calore prodotto dall’attività termonucleare della nostra Stella, viene riflesso nello spazio dalle nubi, dalle masse nevose e dai ghiacciai nonché dalla presenza di ceneri vulcaniche sospese in atmosfera. Le grandi eruzioni vulcaniche che immettono enormi quantità di ceneri nella stratosfera contribuiscono a far abbassare la temperatura planetaria anche per anni. Anche attività umane come gli incendi delle grandi foreste presenti sui continenti nonché di diverse attività umane, che producono polveri che comunque, pur non raggiungendo la stratosfera, concorrono alle variazioni climatiche. Anche l’Anidride Carbonica lascia filtrare la radiazione solare incidente e blocca il calore riflesso dalla superficie del pianeta attraverso radiazione infrarossa con lunghezza d’onda minore della luce visibile e che viene assorbita dalla CO2.

Il vulcanologo Salvo Caffo accanto al cartello che illustra un esperimento sull’Etna dell’Agenzia Spaziale Tedesca

Dal XIX secolo ad oggi, la CO2 si è prevalentemente disciolta negli oceani, ma ha comunque contribuito, data la sua enorme presenza in atmosfera, a concorrere allo scioglimento dei ghiacciai polari con conseguenti aumenti dei livelli degli oceani e dei mari. La ricostruzione del clima del recente passato si basa su numerose fonti documentate: giornali di bordo compilati da ufficiali della marina britannica e conservati per secoli; registrazioni delle date e delle vendemmie conservati nei monasteri francesi; lo studio dello spessore e della sequenza e colore degli anelli di accrescimento degli alberi, solo per citarne alcune. Se avessimo potuto osservare il nostro pianeta dallo spazio, diciamo 20.000 anni fa, avremmo visto un’enorme massa di ghiaccio estesa su gran parte dell’Europa e del Nord America nonché ghiacciai che contornavano diverse montagne tropicali; un’immagine, molto differente dall’attuale. L’enorme massa d’acqua, sottratta agli oceani, ci avrebbe consentito di osservare aree che, oggi, si trovano a molte decine di metri (fino a 110), sotto il livello medio del mare.

Etna

Molte decine di volte, i ghiacciai, hanno coperto i continenti settentrionali e, presto o tardi, accadrà nuovamente. Il mondo ha conosciuto episodi glaciali, con periodi di freddo intenso ed estesi ghiacciai alternati a episodi interglaciali con clima come l’attuale. Lo studio dei depositi dei ghiacciai (Morene) ha consentito di ricostruire le diverse glaciazioni susseguitesi ciclicamente sulla Terra. Nel 1787, il geologo svizzero Kuhn, interpretò gli accumuli di detriti lasciati dal fronte di fusione dei ghiacciai, definiti morene, originatisi in seguito all’accumulo delle enormi masse rocciose erose per abrasione e trasportate dai ghiacciai e presenti sulle Alpi in luoghi molto distanti dai fronti dei ghiacciai, come prova che, nel passato remoto, le masse di ghiaccio fossero state molto più estese di quelle presenti nel XVIII secolo. Nel XIX secolo, vennero identificati simili depositi morenici in molti altri luoghi e nel XX secolo, furono descritte dai geologi, quattro glaciazioni alpine: Gunz, Mindel, Riss e Wurm, dai nomi dei luoghi dove per la prima volta erano state identificate le morene glaciali frontali. Poi furono identificate tracce di glaciazioni precedenti alle quattro descritte. Tralasciando le principali glaciazioni: la Proterozoica (2.3-2.7 miliardi di anni fa); Precambriana (600-800 milioni di anni fa); l’Ordoviciana (430-460milioni di anni fa); la Carbonifero-Permiana (260-360 milioni di anni fa); la Pleistocenica con punte nell’Olocene (3-40 milioni di anni); le glaciazioni più recenti sono state: la Günz (da circa 680 000 a 620 000 anni fa), la Mindel (da circa 455 000 a 300 000 anni fa), la Riss (da circa 200 000 a 130 000 anni fa) e la Würm (da circa 110 000 a 12 000 anni fa), separate da tre fasi interglaciali: (rispettivamente chiamate Günz-Mindel, Mindel-Riss e Riss-Würm) intercalate tra le quattro glaciazioni e, quindi, il periodo attuale è definito “postWürmiano“.

Diversi sono stati i periodi di avanzata e ritiro dei ghiacci, come risultato di oscillazioni di temperature dipendenti da variazioni della radiazione solare o dalla variazione della trasparenza dello spazio ai raggi solari. Questo può verificarsi per maggiore o minore presenza di polveri cosmiche o vulcaniche o per variazioni della distribuzione dell’intensità delle precipitazioni o per variazioni del comportamento termico dell’atmosfera, causata da mutamenti della sua composizione e per variabile contenuto di anidride carbonica e conseguente effetto serra o per fenomeni astronomici o geologici. Dalla fine dell’ultimo periodo glaciale ad oggi, i ghiacciai dell’Alaska, delle Alpi, della Scandinavia, delle montagne del Nord e Sud America, si sono ritirati e avanzati varie volte lungo le loro valli, lasciando una ricca documentazione geomorfologica e ambientale come gli alberi abbattuti durante le fasi di avanzata e i depositi morenici durante quelli di ritiro.

Due immagini 3 D del vulcano Empedocle

Nel Mar Mediterraneo e precisamente nel canale di Sicilia si sviluppa una regione vulcanica sottomarina situata tra la costa italiana e quella tunisina che comprende vulcani sottomarini: (Anfitrite; Cimotoe; Galatea; Madrepore; Banco Nerita; Banco di Pantelleria; Pinne; Banco Smyt I; Banco Smyt II, Banco terribile e Tetide). Il più famoso, l’Empedocle, è emerso per l’ultima volta nel 1863, dando vita per un breve periodo all’isola Ferdinandea. Dalla fine dell’eruzione, l’isola è stata erosa e oggi si trova a circa otto metri sotto il livello del mare (punto più alto dei cosiddetti Campi Flegrei della Sicilia). Tutte le eruzioni dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia sono avvenute sott’acqua, con l’eccezione di alcune di quelle di Empedocle: quelle del 1701, del 1831 e del 1863 sono state visibili sopra la superficie del mare. La prima eruzione documentata dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia risale alla prima guerra punica (253 a.C.) quando i vulcani Empedocle e Pinne divennero attivi. La prima guerra punica fu decisa dalla battaglia delle Isole Egadi, il 10 marzo 241 a.C., vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo anche in seguito agli effetti che si determinarono in seguito all’attività del vulcani sottomarini del canale di Sicilia.

(Gaetano Perricone). Aggiungo solo pochissime parole a quelle che, spero, abbiate avuto la pazienza e il piacere di leggere in questo meraviglioso ed esemplare racconto, all’insegna della passione, della competenza, della multidisciplinarietà: lo faccio per ringraziare il mio carissimo amico e grande vulcanologo Salvo Caffo per questo splendido regalo al mio blog e ai suoi lettori, certamente super appassionati di vulcani.  Una vera e propria “lectio magistralis” ricca di riferimenti storici, oltre che di illuminanti spiegazioni scientifiche, su un argomento di estremo interesse e attualità, ma anche affascinantissimo

Con il titolo: Etnatomica, 4 dicembre 2015, la premiatissima foto di Giuseppe Famiani

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E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english https://ilvulcanico.it/e-sir-anthony-hopkins-mi-sorrise-il-tuo-costume-e-molto-piu-bello-del-mio/ Sun, 21 Jul 2024 04:54:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25099 di Marco Gambino Primo giorno di riprese sul set di “Those about to die” in cui interpreto il Senatore Supulcius. Oggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  “ The remains of the day” o più  recentemente , il padre straziante di “The father” . Lui, […]

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di Marco Gambino

Primo giorno di riprese sul set di Those about to die” in cui interpreto il Senatore SupulciusOggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  The remains of the dayo più  recentemente , il padre straziante di The father” . Lui, l’attore straordinario che spaventa e commuove intere generazioni.

Ma com’e’ ? Tu lo hai mai incontrato? chiedo a Rupert Penry-Jones che nella serie interpreta il console Marsus.

“E’ un uomo eccezionale ancor prima ancora di essere la star che è, vedrai”-

Rupert, come si evince dal nome, è super inglese e proviene da tre generazioni di attori. I suoi genitori hanno calcato il palcoscenico per anni insieme ad Hopkins  e sua madre dice che è un uomo umilissimo e generoso.

Giriamo allo Studio 5 di Cinecittà, quello immenso di Fellini. Una scena in cui noi, i patrizi, siamo schierati davanti alla portantina dove Sir Anthony, nei panni dell’imperatore Vespasiano, salirà dopo un lungo monologo. Lo aspettiamo in silenzio. Quando arriva c’è un brivido generale. Eccolo il mito in carne ed ossa, il suo inconfondibile sorriso con gli occhi. Azzurrissimi. Ha 86 anni ma ha la  vivacità di un ragazzo tutta concentrata in quello sguardo magnetico.

Oh thank God my taxi is here – esordisce additando la portantina. Il silenzio si rompe in una risata generale. Roland Emmerich, il regista, si avvicina per salutarlo, ma lui va dritto verso Rupert e lo abbraccia. Gli dice che non dimenticherà mai i suoi genitori, quando insieme a loro calcava i palcoscenici di tutta l’Inghilterra, gli anni più importanti della sua vita d’attore, quelli che lo hanno forgiato.

Lo guardo mentre recita e vorrei rubargli tutto. Le pause, la misura, il gesto, il controllo.

Alla fine della scena siamo tutti intorno a lui che racconta. Dice che un giorno a Los Angeles, quando era appena uscito Il silenzio degli innocenti, chiese al suo autista di fermarsi. Tutti quei cartelli in autostrada con la sua faccia in primo piano lo avevano sconvolto. Com’era possibile  che lui, un povero ragazzo originario del Galles, fosse finito al centro dell’attenzione mondiale? Un salto che a lui in quel momento,  fermo sotto una di quelle gigantografie, appariva incomprensibile. Ma sono proprio io quello ?– continuava a ripetersi mentre l’autista gli diceva che  non c’erano dubbi, fino a prova contraria lui era  proprio Mr Anthony Hopkins.

Mentre si allontana verso la macchina ho un impulso di quelli, per me, rarissimi. Allora lo blocco. Tony posso chiederti una foto?But of course”- mi risponde. Mentre siamo li per quei pochi secondi non so cosa dirgli.

Ma è lui a scuotermi dall’imbarazzo. “Your costume is way nicer than mine” (Il tuo costume è molto più bello del mio). E mi sorride con gli occhi.

 

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Sir Anthony Hopkins smiled at me: “Your costume is much nicer than mine”

First day of filming on the set of “Those About to Die” in which I play Senator Supulcius. Today, we’re shooting with Sir Anthony Hopkins. The absolute legend. He, the terrifying Hannibal, but also the impeccable, devoted butler in “The Remains of the Day” or, more recently, the heartbreaking father in “The Father” He, the extraordinary actor who has frightened and moved entire generations.

But what is he like? Have you ever met him? I ask Rupert Penry-Jones, who plays Consul Marsus in the series.

– He is an exceptional man even before being the star that he is, you’ll see.

Rupert, as his name suggests, is super English and comes from three generations of actors. His parents have shared the stage for years with Hopkins, and his mother says he is a very humble and generous man.

We are filming at Studio 5, the enormous one used by Fellini. A scene where we, the patricians, are lined up in front of the litter where Sir Anthony, playing Emperor Vespasian, will climb after a long monologue. We wait for him in silence. When he arrives, there is a general shiver. Here he is, the legend in flesh and blood, his unmistakable smile with his eyes. Piercingly blue. He is 86 years old but has the vitality of a young man, all concentrated in his magnetic gaze.

– Oh thank God my taxi is here, -he says, pointing to the litter. The silence breaks into general laughter. Roland Emmerich, the director, approaches to greet him, but he goes straight to Rupert and hugs him. He says he will never forget his parents when he shared the stage with them all over England, those were the  most important years of his acting life, the ones that shaped him.

I watch him as he acts and wish I could steal everything from him. His pauses, his measure, his gesture, his control.

At the end of the scene, we are all around him, listening to his stories. He says that one day in Los Angeles, when “The Silence of the Lambs” had just come out, he asked his driver to stop the car on the side of the motorway. All those billboards lining the highway with his face in the foreground had surprised  him. – How was it possible that he, a poor child  from Wales, had ended up at the center of worldwide attention? A leap that, at that moment, standing under one of those giant images, seemed incomprehensible to him. Is that really me? – he kept asking himself while the driver assured him there was no doubt, he was indeed Mr. Anthony Hopkins.

As he walks away towards the car, I have one of those impulses that are very rare for me. So, I stop him – Tony, can I ask you for a photo? – But of course – he replies. While we’re there for those few seconds, I don’t know what to say to him. But he shakes me out of the embarrassment. – Your costume is way nicer than mine –

And he smiles at me with his eyes.

Con il titolo e nella gallery: Marco Gambino durante le riprese romane di “Those about to die”

(Gaetano Perricone). Sono particolarmente grato al mio carissimo cugino Marco Gambino, eccellente attore palermitano da una vita trapiantato a Londra, per questo suo nuovo, prezioso contributo a questo blog. Una testimonianza deliziosa e davvero speciale sul suo incontro sul set con un “mostro sacro” del cinema mondiale, uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Non so se Marco sia il primo palermitano ad avere lavorato con Sir Anthony Hopkins, posso  immaginarlo senza però averne alcuna certezza: in ogni caso credo sia una notizia prestigiosa per la cultura della città dove entrambi siamo nati e cresciuti insieme. Grazie di cuore a Marco Gambino, cugino con il quale siamo legatissimi – lo dico con orgoglio e grande affetto – , per questo bel regalo che ha fatto a me e ai lettori del Vulcanico 

 

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Le Guide dell’Etna rassicurano: nessuna problematica per le eruzioni, potete visitare il vulcano con noi, con tranquillità https://ilvulcanico.it/le-guide-delletna-rassicurano-nessuna-problematica-per-le-eruzioni-potete-visitare-il-vulcano-con-noi-con-tranquillita/ Tue, 16 Jul 2024 06:36:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25074 di Vincenzo Greco * Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun […]

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di Vincenzo Greco *
Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun disagio né alla popolazione locale né ai numerosi turisti, i quali vengono quotidianamente accompagnati lungo percorsi attentamente selezionati e situati a distanza di sicurezza dalle zone interessate dai fenomeni vulcanici.
L’attività del vulcano rientra nei normali cicli eruttivi caratteristici del vulcanismo etneo, e non presenta alcun aspetto eccezionale o anomalo. Questi cicli eruttivi, sebbene possano sembrare impressionanti, sono del tutto normali e gestiti con la massima attenzione e professionalità da parte delle autorità competenti.
Desideriamo rassicurare tutti i potenziali visitatori che le nostre escursioni sono pianificate con scrupolosa cura e in stretta collaborazione con esperti vulcanologi, garantendo così un’esperienza sicura e affascinante. Il fenomeno delle eruzioni, oltre a non rappresentare alcun pericolo imminente, offre uno spettacolo naturale di straordinaria bellezza, in grado di affascinare tutti coloro che decidono di affidarsi a noi per vivere questa avventura unica.
Pertanto, invitiamo chiunque sia interessato a visitare l’Etna a farlo con tranquillità, certi che la sicurezza e il benessere dei nostri ospiti sono la nostra priorità assoluta.
* Guida Vulcanologica Etna Nord 
L’ultimo comunicato dell’INGV O.E. dopo l’attività di stanotte, all’alba di oggi 16 luglio 2024
COMUNICATO DI ATTIVITA’ VULCANICA del 2024-07-16 04:16 (UTC) 06:16 ora locale
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, comunica che dall’analisi delle telecamere di sorveglianza si è osservato che l’attività di fontana di lava del Cratere Voragine [che nella notte ha prodotto una colonna eruttiva alta circa 6000 m s.l.m. che si è propagata in direzione Est con segnalazione di ricaduta di cenere negli abitati di Viagrande e Acicastello] si è gradualmente esaurita per poi cessare intorno alle 00:10 UTC, mantenendo una modesta attività stromboliana sino alle 03:00 circa UTC. Per ciò che riguarda la colata lavica [attività cominciata stanotte e che è tracimata dall’orlo nord occidentale del cratere Bocca Nuova con il fronte a una quota di 3000 m slm circa.prodotta nel corso dell’evento di fontana] appare ancora debolmente alimentata. Dal punto di vista sismico, l’ampiezza media del tremore vulcanico, dopo aver raggiunto i valori massimi tra le 19:40 e le 23:00 UTC di ieri, ha quindi mostrato un trend in decremento ed alle 03:30 UTC circa ha raggiunto l’intervallo dei valori medi, ove tuttora permane. Le sorgenti del tremore sono confinate nell’area dei crateri sommitali ad una elevazione di circa 3000 m sopra il livello del mare. L’attività infrasonica è bassa, con eventi localizzati prevalentemente al cratere di sud-est. Per quanto riguarda le deformazioni del suolo, a partire dalle 00:00 UTC non si registrano variazioni significative.
Con il titolo e nella gallery: le meravigliose immagini di Vincenzo Greco dell’ultima attività dell’Etna

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Sua Altezza l’Etna! Storia delle vette regine del vulcano Patrimonio dell’umanità https://ilvulcanico.it/sua-altezza-letna-storia-delle-vette-regine-del-vulcano-patrimonio-dellumanita/ Thu, 11 Jul 2024 04:32:29 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25043 di Santo Scalia “Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record. Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di […]

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di Santo Scalia

Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record.

Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di tre anni, infatti, all’interno del cratere denominato La Voragine è cominciata una moderata attività di spattering; un conetto di scorie ha iniziato a manifestare una allegra attività di lancio di scorie incandescenti che è andata intensificandosi nel corso delle successive settimane.

L’accumulo di scorie ha generato un piccolo cono piroclastico che ha raggiunto alcune decine di metri di altezza. L’attività eruttiva, che ha prodotto anche una colata di lava che si è riversata all’interno del vicino cratere Bocca Nuova, è cresciuta fino a raggiungere lo stato di parossismo, con altissime fontane di lava ed una colonna eruttiva di parecchi chilometri di altezza.

Grafico del tremore vulcanico registrato alla stazione Cratere del Piano (ECPN) dall’Ingv

Un nuovo episodio parossistico si è manifestato la mattina del 7 luglio: a riattivarsi è stato lo stesso cratere all’interno della Voragine. Al termine dell’attività, i depositi piroclastici aggiuntisi a quelli del parossismo precedente, hanno fatto sì che il nuovo valore dell’altezza del vulcano abbia raggiunto i 3.369 metri s.l.m. (3). Va detto però che tale valore è stato ottenuto «secondo i rilievi effettuati da drone […]. Le classiche tecniche topografiche, in particolare quelle più accurate, non sono utilizzabili in ambienti pericolosi come l’area craterica sommitale etnea di questi giorni, dovendo ridurre al minimo il tempo di permanenza in alta quota del personale. I droni riescono a superare queste difficoltà, poiché possono essere pilotati da zone relativamente sicure e permettono il rilievo di aree anche molto ampie».

Il Cratere di Sud-Est (a sinistra) ed il Cratere di Nord-Est (a destra). La seconda e la terza cima sull’Etna (Foto S. Scalia)

In precedenza il punto più alto dell’intero vulcano era rappresentato dal Cratere di Sud-Est (o SEC), il più giovane dei crateri terminali etnei: nato nel 1971 come uno sprofondamento, si è clonato creando un nuovo cono parallelo (per anni denominato Nuovo Cratere di Sud-Est o NSEC), ha generato parecchie nuove bocche (quella orientale e quella detta della Sella), e si è ricompattato in un unico cono ed è cresciuto fino a raggiungere l’altezza di 3.357 metri. Ha impiegato quasi di mezzo secolo, ma è stato il più alto di tutti per quasi tre anni.

Ancor prima, il Nord-Est, (nato il 27 maggio 1911) – di 60 anni più anziano del Sud-Est (nato il 18 maggio 1971) – ha detenuto il record di altezza a partire dal 1978, con i 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate dallo stesso cratere tra il 1977 ed il 1978.

Ma andiamo un po’ indietro nel tempo: per i greci l’Etna era tanto alto da raggiungere il cielo, anzi, era una “colonna del cielo” (cfr. Pindaro, Ode Pitica Ia, 518 – 438 a.C).

Nel 1558 il monaco domenicano Tommaso Fazello, nella sua opera De rebus siculis decades duæ scriveva: «Celsior est cæteris, qui sunt in Siciliæ, montibus. […] Est enim altitudinis p.m. supra 30 […]», la cui traduzione rileviamo dall’edizione palermitana del 1830: «Egli è più alto di tutti gli altri monti che sono in Sicilia. […] È d’altezza più di trenta miglia […]», valore confermato anche da Don Pietro Carrera nel suo Il Mongibello descritto in libri tre del 1636.

«Ascensum triginta circiter millia passuum ad plus habet» è la stima secondo Filoteo degli Omodei nell’Ætnæ topographia, incendiorumque Ætnæorum historia del 1591. Qualche secolo dopo, nel 1793, l’abate Francesco Ferrara, nell’opera Storia generale dell’Etna ci informa del valore dell’altezza del monte, pari a «[…] circa 1610 tese sulla superficie del mare vicino».

Una misura più “scientifica” l’abbiamo nel 1815 dal canonico Giuseppe Recupero che dedica un paragrafo alla «Altezza assoluta di Mongibello determinata col Quadrante geometrico»: «secondo la nostra canna d’architettura due mila duecento ottantacinque canne e sei palmi, che ridotte in tese parigine vengono a fare due mila trecento venti sei  tese, e quattro piedi» (vedi Storia naturale e generale dell’Etna, cap. IV).

Carta volcanologica e topografica dell’Etna di Émile Chaix – 1892 (dalla BNF)

Nel 1892 il geografo Émile Chaix (1856 – 1924) realizzò una Carta volcanologica e topografica dell’Etna nella quale il punto più alto dell’Etna viene posto al Gran Cratere (allora ce n’era solo uno!) ad una altezza di 3313 metri, valore riportato uguale l’anno dopo nella carta di Wagner & Debes.

Carta IGM in scala 1:50.000 (1895)

Nel 1895 l’Istituto Geografico Militare italiano – IGM – nella carta in scala 1:50.000 indica un valore di 40 metri inferiore, pari a 3273 metri.

Il valore rimane praticamente invariato nella carta del 1919 edita dal Touring Club Italiano (3274 metri) mentre scende a 3263 nella carta IGM in scala 1:25000 del 1932.

il Cratere di Nord-Est, il punto più alto dell’Etna dal 1978 al 2021 (foto S. Scalia)

Il 1964 è un anno di grande fermento per la sommità dell’Etna: nel corso degli episodi eruttivi di aprile e luglio si genera un nuovo cratere, il cosiddetto Cratere del ’64, che diviene il nuovo punto di massima altezza con 3323 metri. Tale misura verrà indicata  invariata nelle carte topografiche dell’ IGM 1:25.000 del 1969 e 1:50.000 (a colori) del 1983, oltre che nella carta del Touring Club Italiano del 1984. Queste ultime due non avevano ancora recepito il nuovo valore raggiunto dal Cratere di Nord-Est, che già, a partire dal 1978, era divenuto il punto più alto dell’Etna, con i suoi 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate tra il 1977 ed il 1978.

Successivamente, in seguito a vari crolli avvenuti lungo gli orli del cratere di Nord-Est, il valore dell’altezza era man mano divenuto inferiore, fino a raggiungere i 3326 nel 2018 e infine 3320 metri nel 2019.

Riferimenti:

  • Etna: il ritorno in scena della Voragine (A.I.V. 2 luglio 2024)
  • Quando La Voragine fa sul serio: gli episodi parossistici del 4-5 e 7 luglio 2024 (A.I.V. 8 luglio)
  • La Voragine fa la voce grossa … e diventa la nuova vetta dell’Etna! (INGV vulcani 10 luglio 2024)

Con il titolo: la nuova cima dell’Etna: 3.369 metri (attenzione: la prospettiva inganna…)

 

 

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I Campi Flegrei sulla rivista dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) https://ilvulcanico.it/i-campi-flegrei-sulla-rivista-dellassociazione-vulcanologica-europea-l-a-v-e/ Wed, 03 Jul 2024 06:03:07 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24998 di Santo Scalia I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia. L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed […]

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di Santo Scalia

I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia.

L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed espone le caratteristiche storiche e vulcanologiche della conosciutissima area campana.

Il titolo a pag. 14 della Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 del luglio 2024)

La conoscenza e la competenza del Prof. Tanguy (ricercatore di vulcanologia presso l’Université Paris VI e l’Istituto di Fisica del Globo di Parigi) hanno arricchito di contenuti la traccia da me proposta e che espongo nelle righe seguenti.

*  *  *

Ad ovest della città di Napoli, nel golfo di Pozzuoli, si trova una vasta area denominata Campi Flegrei. L’attributo flegrei (ϕλεγραῖος, “ardente”) fu utilizzato già dai primi coloni greci, a causa delle particolari manifestazioni naturali che ivi accadevano.

Nei Campi Flegrei gli antichi greci ravvisarono le tracce tangibili della sconfitta subita dai Giganti, che dopo aver tentato di scalare l’Olimpo – nella mitologica Gigantomachia –furono ivi precipitati dal vittorioso Zeus.

Il geografo greco Strabone di Amasea (vissuto all’incirca tra il 63 a.C. ed il 23 a.C.), nel capitolo IX del libro V della sua opera Geografia, descrivendo la regione campana infatti così scriveva: «[…] i Romani vi collocarono una colonia, e cambiarono il suo nome in Puteoli, a causa  dei pozzi che sono abbondanti nelle vicinanze, o secondo altri, per la puzza che mandano le acque in tutto l’area che si estende fino a Baja ed al territorio di Cuma, pieno di solfo, di fuoco e di acque calde. E alcuni tengono che per questo motivo il territorio di Cuma sia stato detto Flegreo; e che questi fuochi e queste acque calde abbiano dato luogo a ciò che si racconta dei Giganti colpiti dal fulmine e atterrati in quella regione» (traduzione dell’A. da Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 – BNF).

E poco dopo Strabone aggiunge: «Appena sopra la città si eleva un altopiano conosciuto col nome di  Forum Vulcani e circondato su tutti i lati da colline vulcaniche, da cui escono densi vapori estremamente fetidi attraverso numerose bocche: inoltre tutta la superficie di questo altopiano è ricoperta di zolfo in polvere, apparentemente sublimato dall’azione di questi fuochi sotterranei» (1).

La vasta area denominata Campi Flegrei, una “caldera con vulcani monogenici”, «[…] non è un vulcano con un cratere centrale, ma un insieme di numerosi coni, distribuiti all’interno e sui bordi di un’area quasi circolare, ampia circa 12×15 km» (3). Dal punto di vista della tettonica la sua origine deriverebbe dall’interazione tra l’apertura del Mar Tirreno e la microplacca Adriatica (4).

All’interno della caldera si trovano località molto conosciute, come Agnano, il Lago d’Averno, il cratere degli Astroni, la famosissima Solfatara, il Monte Nuovo ed altre ancora. E, sempre all’interno della caldera, si trovano anche diverse migliaia di abitanti!

Tra 40.000 e 36.000 anni fa (mille più, mille meno!), quando fortunatamente l’area non era così densamente popolata come lo è adesso, ma era presumibilmente abitata da pochissimi esemplari di Homo Sapiens, nell’area flegrea avvenne la più catastrofica eruzione mai avvenuta nel bacino del Mediterraneo, almeno nel corso dell’ultimo milione di anni (5). Probabilmente in seguito all’arrivo di nuovo magma nella riserva sotterranea, una repentina espulsione di materiale concomitante al collasso della sommità di uno stratovulcano causò delle enormi esplosioni che produssero ceneri e pomici che dilagarono in numerosi flussi piroclastici.

E’ questa l’attività che generò la cosiddetta Ignimbrite Campana, detta anche Tufo Grigio Campano, un deposito che mostra uno spessore variabile tra i 20 ed i 30 metri, su una superficie di oltre 7.000 km2; tale deposito oggi si ritrova in tutta la piana campana, fino all’Appennino, e financo a Salerno oltre la penisola Sorrentina! Attività così violente come quella appena descritta, per fortuna, non si sono più manifestate in tempi storici.

A quell’epoca non si era ancora formato il Monte Vesuvio; tralasciando le successive attività quali quelle avvenute a Vivara e Fiumicello nell’area dell’isola di Procida, un’altra attività importante si è avuta tra 15.000 e 12.000 anni fa: certamente non paragonabile a quella dell’Ignimbrite Campana, questa, detta del Tufo Giallo Napoletano, interessò comunque tutta l’area dei Campi Flegrei e, più ad est, del Golfo di Napoli, avendo sparso una ventina di km3 di magma su un’area di oltre 350 km2.

In tempi successivi, fino a circa 1.500 anni fa, un gran numero di coni vulcanici sono sorti all’interno della caldera dei Campi Flegrei: Pisani, Montagna Spaccata, Gauro, Miseno, Nisida; alcuni di questi sono stati in parte già smantellati dall’azione delle onde marine; successivamente apparvero altri centri eruttivi, Agnano, Monte Spina, Solfatara, Astroni, Averno ed altri ancora.

In tempi storici, l’area flegrea divenne sede di numerosi miti. Virgilio, ad esempio, pose l’accesso agli inferi proprio presso il Lago d’Averno: il nome del lago, infatti, sta a significare “senza uccelli”, in quanto quelli che inavvertitamente si trovavano a volarvi sopra cadevano morti, a causa dei vapori mefitici che si sprigionavano dalla sua superficie.

L’ultima eruzione: 1538

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: già da una trentina d’anni un notevole innalzamento della costa in prossimità di Pozzuoli segnava uno dei fenomeni precursori di una possibile attività eruttiva. Negli ultimi due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era anche intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi (6), le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua, che caddero anche a Napoli.

Monte Nuovo ed il Lago d’Averno oggi (Foto Jean-Claude Tanguy)

La gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri.

Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio. Infine, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate (3).

La Solfatara

La Solfatara di Pozzuoli è probabilmente il più conosciuto dei vulcani dei Campi Flegrei. Vicinissimo a luoghi storici quali le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma, l’ Anfiteatro Flavio e il Tempio di Serapide, presenta fenomeni che denotano immediatamente la sua natura vulcanica, quali le fumarole, le mofete ed i vulcanetti di fango ribollente.

Immagine aerea della Solfatara (Foto Jean-Claude Tanguy)

Il luogo rappresentò una visita obbligatoria per i viaggiatori del “Grand Tour, ed in seguito fu un’ambientazione unica e fantastica per scene di tanti film. Purtroppo è stata anche sede di una terribile tragedia, in seguito alla quale fu determinata la sua chiusura al pubblico: il 12 settembre del 2017, un bambino di 11 anni, sfuggito al controllo dei genitori, è caduto in una voragine nei pressi della cosiddetta fungaia; nel tentativo di salvarlo, a causa delle esalazioni, anche padre e madre sono morti per asfissia.

Di recente sono stati eseguiti dei lavori per rendere sicura la visita della Solfatara, in vista di una sua restituzione alla fruizione del pubblico. Purtroppo il perdurate del trend crescente del bradisismo, e la notevole sismicità nell’area flegrea, ne hanno, per adesso, sconsigliato la riapertura.

Il bradisismo

L’area flegrea incentrata attorno alla città di Pozzuoli è, storicamente, interessata da notevoli fenomeni bradisismici, movimenti lenti di deformazione del suolo, strettamente correlati con la presenza di magma sotto la caldera e con i suoi spostamenti.

Nel periodo che va dal 1982 al 1984 una crisi bradisismica, caratterizzata anche da un’intensa sismicità, apportò gravi danni ad alcuni edifici di Pozzuoli. Precedentemente, tra il 1970 ed il 1972, l’area flegrea (in particolare l’area di Pozzuoli) è stata interessata da crisi bradisismiche che causarono un sollevamento totale di circa 3.5 metri, al quale seguì l’abbandono dell’area del Rione Terra.

La situazione oggi

Variazioni di quota (in cm.) della stazione RITE (Pozzuoli – Rione Terra) dal 2000 al maggio 2024 (7)

Dopo le crisi degli anni ’70 e ’80 si è avuto un periodo di generale subsidenza che, a partire dal 2005, ha presentato un’inversione del fenomeno, determinando un costante sollevamento del suolo, tutt’ora in atto.

Come mostra chiaramente il grafico pubblicato dalla Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano (nel Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024), nel periodo temporale che va dal 2005 al 2024, si registra un costante innalzamento che sfiora i 130 cm. alla stazione del Rione Terra di Pozzuoli.

Attualmente, come indicato nella pagina web dell’Osservatorio Vesuviano, il livello di allerta è “giallo” (https://www.ov.ingv.it/index.php/flegrei-stato-attuale ).

Recentemente il ministro per la Protezione civile italiana, Nello Musumeci, ha affermato: «L’attività vulcanica connessa al bradisismo appare in costante evoluzione. Non si esclude che, se dovesse perdurare tale situazione, si possa passare al livello di allerta arancione».

Bisognerà essere pronti a reagire velocemente nel caso in cui i parametri, costantemente monitorati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dovessero presentare significative variazioni, tali da lasciar presumere che la probabilità di una prossima attività eruttiva possa notevolmente aumentare.

Nel caso di una attività eruttiva nell’area, tutto dipenderà non soltanto dal momento in cui accadrà, ma dalla sua tipologia, dallo sviluppo dell’eruzione, dalla sua intensità ma soprattutto dal luogo in cui si aprirà un eventuale nuovo cratere.

Bibliografia (citata nel testo)

  • Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 (BNF)
  • Cosmographie Universelle d’André Thevet, Vol. 1, 1575 (BNF)
  • Vulcani d’Italia, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 2007
  • Dictionnaire des Volcans, J.C. Tanguy e D. Decobecq, Gisserot 2009
  • Volcanoes of Europe, D. Jerram, A. Scarth e J.C. Tanguy, Dunedin 2017
  • Dell’incendio di Pozzuolo nel MDXXXVIII, Delli Falconi Marco Antonio, Napoli 1538
  • Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024 – A cura della Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano

Letture consigliate:

  • I Campi Flegrei, G. De Lorenzo, 1909
  • La solfatara di Pozzuoli – vulcano, M. Sirpettino, Franco di Mauro 1990
  • Campi Flegrei, Campania Felix, il Golfo di Napoli tra storia ed eruzioni, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, Campania Felix, Guida alle escursioni dei vulcani napoletani, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, A Restless Caldera in a Densely Populated Area, AA.VV. 2022
  • Campi Flegrei – storie di uomini e vulcani, L. Giacomelli e R. Scandone, 2023

Con il titolo: Napoli e la caldera dei Campi Flegrei (Wikimedia Commons, pubblico dominio)

 

 

 

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Schizzi dalla Voragine etnea https://ilvulcanico.it/schizzi-dalla-voragine-etnea/ Thu, 20 Jun 2024 05:41:36 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24988 di Giovinsky Aetnensis Dal 14 giugno 2024 é in corso un’attività eruttiva intracraterica di spattering(schizzi) al cratere sommitale Voragine dell’Etna, dal 16 giugno il piccolo conetto di scorie interno al cratere che si era formato si é smantellato e le esplosioni sono aumentate d’intensità. Ecco un piccolo video che documenta quest’attività (Gaetano Perricone). Grato come […]

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di Giovinsky Aetnensis

Dal 14 giugno 2024 é in corso un’attività eruttiva intracraterica di spattering(schizzi) al cratere sommitale Voragine dell’Etna, dal 16 giugno il piccolo conetto di scorie interno al cratere che si era formato si é smantellato e le esplosioni sono aumentate d’intensità. Ecco un piccolo video che documenta quest’attività

(Gaetano Perricone). Grato come sempre alla nostra carissima, bravissima e appassionatissima Giovinsky per questo suo video piccolo, ma estremamente significativo e per il valore vivo e concreto della documentazione offerta ai lettori del Vulcanico. Più valore ancora ha in questo momento per me: visto da lontano, dal mio forzato osservatorio milanese, lo spettacolo del nostro vulcano Patrimonio dell’Umanità è molto più emozionante 

 

 

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