in evidenza Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/in-evidenza/ Il Blog di Gaetano Perricone Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 Gino Menza, caduto sull’Etna un secolo fa https://ilvulcanico.it/gino-menza-caduto-sulletna-un-secolo-fa/ Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25324 di Santo Scalia Gino Menza, chi si ricorda di lui? Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa. Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni […]

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di Santo Scalia

Gino Menza, chi si ricorda di lui?

Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa.

La Valle del Bove, nel corso delle prime fasi dell’eruzione 1991-93 (foto S. Scalia)

Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni nella Valle del Bove: infatti, a Gino Menza erano dedicati un rifugio (distrutto poi definitivamente, dopo anni di abbandono, nel corso dell’eruzione del 1991-93) e una Croce di ferro posta ai piedi del Monte Zoccolaro, scomparsa anch’essa nel corso della stessa eruzione.

Per i più giovani, invece, il nome di Menza probabilmente non dice nulla, essendo scomparso il suo ricordo anche dalle carte topografiche.  È quindi un nostro impegno quello di tramandare conoscenze e ricordi che altrimenti andrebbero perduti.

Gino Menza era un attivo socio della sezione catanese del Club Alpino Italiano, il C.A.I. Il 18 gennaio del 1925 mentre era impegnato in una attività alpinistica sulla parete del Monte Zoccolaro, nella bassa Valle del Bove, perse la vita cadendo insieme ad altri due suoi compagni, Umberto Sapienza e Filippo Perciabosco. Gino morì in seguito alla caduta, mentre i due suoi amici si salvarono.

“Sciagura di escursionisti sull’Etna”, così titolava il quotidiano La Stampa di Torino del 20 gennaio di quell’anno, riportando la tragica notizia: «I giovani Menza, Perciaboschi Flippo e Sapienza Umberto erano ieri mattina partiti in automobile per Zafferana, donde avrebbero dovuto iniziare l’ascensione del monte Pomiciara [sic!], posto sulle falde orientali dell’Etna. I giovani, dopo una faticosa ascensione, raggiunsero felicemente la vetta. Quindi si accingevano alla discesa lungo il primo canalone che conduce alla profonda valle del Bove. Il canalone era completamente ghiacciato. I tre giovani si tenevano accordati, ma uno di essi, il Sapienza, prima che gli altri fossero pronti, si lasciò andare per la pericolosa discesa, tirandosi dietro i compagni. I tre ruzzolarono per 300 metri precipitando fino al fondo del burrone. Il Perciaboschi riportò fortunatamente contusioni non molto gravi e, visti i compagni in grave stato, si diede a gridare chiamando aiuto. Un’altra comitiva di gitanti, che si trovava in fondo alla valle del Bove, e colla quale era il prof. Beccari, immediatamente accorso sul posto recando aiuto. Il Menza era moribondo, mentre il Sapienza era irriconoscibile per le numerose lesioni riportate al viso ed agli arti. Il Perciaboschi venne subito trasportato a dorso di mulo, mentre il Sapienza venne portato in barella. Sul posto si recarono le autorità per le necessarie constatazioni di legge e per disporre la rimozione del cadavere del povero Menza».

Altre fonti, però, precisano che i tre «[…] in cordata, arrampicano lungo un canalone ghiacciato della Serra del Salifizio all’interno della Valle [del Bove, n.d.A.]» (da una delle pagine web della sezione C.A.I. di Catania).

Un po’ di confusione rimane, in merito all’esatta dinamica dell’incidente: dallo stesso sito, in una pagina successiva, apprendiamo che «[…] Gino Menza, […] aveva perso la vita nel 1925 durante una discesa della parete della Serra del Salifizio, mentre si trovava in cordata con altri due escursionisti».

Allora, si trattava di un’arrampicata o di una discesa? Poco importa, rimane il tragico esito dell’escursione, col decesso del solo Menza e il ferimento degli altri due compagni di avventura.

Altre testimonianze verbali, da me raccolte nel tempo, confermerebbero la seconda tesi: sembra infatti che durante la discesa i tre fossero legati in cordata e che aprisse la discesa Umberto Sapienza, che scavava i gradini; seguiva Perciabosco e in ultimo, Gino Menza. Ma all’improvviso Sapienza iniziò a scivolare trascinando nella rovinosa caduta i compagni di cordata, e tutti e tre, dopo un salto spaventoso, andarono a sbattere contro un masso alla base del Trifoglietto. Vennero raccolti dai compagni di gita che avevano invece seguito un percorso più sicuro. Sapienza e Perciabosco erano feriti ma il giovane Menza era morto.

Accanto Alla Croce Menza, agosto 1981

Sul luogo dell’incidente, per iniziativa sella Sezione catanese del CAI, venne in seguito collocata una Croce metallica, che rimarrà nella valle fino al 1992: la più lunga eruzione del XX secolo, quella del 1991-93, la farà sparire per sempre.

La distruzione del Rifugio Menza, da un frame di un servizio televisivo della RAI (realizzato da Giovanni Tomarchio)

Al nome di Menza è legata anche la realizzazione, nei primi anni degli anni trenta del secolo scorso, di un rifugio a quota 1680, circa 300 m ad est del cosiddetto Castello del Trifoglietto. Anche il rifugio, comunque da tempo in stato di abbandono, è stato sepolto completamente dalle lave della stessa eruzione.

Quella del Rifugio Menza è però un’altra storia, che si può leggere nell’ottimo articolo di  Grazia Musumeci.

Con il titolo: particolare della Croce Menza in Valle del Bove, non più esistente (foto S. Scalia)

 

(Gaetano Perricone). Voglio aggiungerle due mie parole. Questo bellissimo, emozionante articolo è memoria collettiva di tutti i figli dell’Etna, nativi e acquisiti, che hanno imparato a considerare il Rifugio Menza una vera leggenda del nostro vulcano Patrimonio dell’umanità. E dunque facciomo ancora una volta i complimenti di vero cuore al grandissimo Santo Scalia, che rende viva e palpitante questa memoria con il suo straordinario archivio e la sua appassionata penna o tastiera come oggi si deve dire, ma siamo anche molto contenti di ospitare sul Vulcanico.it l’eccellente articolo sulla storia del Rifugio dell’amica Grazie Musumeci, anima etnea davvero speciale 

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Etna: abitare in zone sicure, la “delocalizzazione selettiva” https://ilvulcanico.it/etna-abitare-in-zone-sicure-la-delocalizzazione-selettiva/ Sun, 12 Jan 2025 07:23:19 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25308 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali

Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata dalla Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE). La decisione è motivata dalla ripetuta sismicità dell’area che rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili.

L’inedita strategia di “delocalizzazione selettiva” ha attirato l’attenzione di un gruppo di ricerca interdisciplinare dell’Università di Catania e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che ha condotto lo studio Risk Faults – Relocation, Displacement, and Homemaking on the Slopes of Mount Etna”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Antropologia Pubblica’.

Mario Mattia

“Nella notte del 26 dicembre 2018, un terremoto di magnitudo 5.02 ha colpito il fianco orientale dell’Etna, con epicentro nei pressi dell’abitato di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea (Catania). Nonostante la magnitudo moderata, la ridotta profondità del sisma ha provocato ingenti danni a case e attività produttive nella fascia orientale etnea”, spiega Mario Mattia, primo Tecnologo dell’Osservatorio Etneo INGV

L’evento ha riaperto il dibattito sulla ricostruzione: ricostruire “dov’era e com’era” o optare per soluzioni alternative?

“La ricerca, condotta attraverso metodi tipici degli studi antropologici, ovvero il dialogo, la raccolta di testimonianze orali e l’osservazione attenta delle emozioni, delle pratiche, dei gesti dei sopravvissuti, ha evidenziato che la scelta innovativa della SCRAE, indirizzata verso una strategia di prevenzione definita “delocalizzazione selettiva”, ha considerato aspetti fondamentali spesso trascurati nelle politiche di ricostruzione post-disastro. Il primo è l’adattamento socio-culturale delle famiglie colpite, che hanno progressivamente riorganizzato il proprio rapporto con il territorio, riconfigurando gli orizzonti di senso legati all’abitare in una zona a rischio sismico. Il secondo è l’importanza della mediazione istituzionale, una mediazione che, nel caso preso in esame, è stata capace di trovare un punto di incontro tra le esigenze dei cittadini e le necessità dello Stato. E, infine, l’analisi della leva economica, in quanto la valutazione dei beni perduti e l’erogazione delle somme necessarie alla ripresa hanno favorito una sintonizzazione non solo rispetto alle politiche dell’abitare, ma anche rispetto alla percezione culturale del rischio”, aggiunge Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania.

“Dove ha tremato, tornerà a tremare”, affermava nel ‘700 il naturalista Leclerc de Buffon.

Gli autori dello studio sottolineano come la “delocalizzazione selettiva” rappresenti una strategia promettente per affrontare eventi calamitosi ricorrenti come terremoti, eruzioni vulcaniche, fenomeni bradisismici e alluvioni.

“Al di là degli aspetti economici, la priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree del mondo esposte a rischi naturali ricorrenti”, conclude Mario Mattia.

Il gruppo di ricerca, consapevole della necessità di coinvolgere attivamente le comunità locali, proseguirà gli studi per sviluppare modelli di delocalizzazione partecipata e resiliente.

Link allo studio

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) 

Università di Catania

Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE)

Con il titolo e nell’articolo: foto INGV-UNICT

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Etna: i parossismi della Voragine tra luglio e agosto 2024 raccontati dalla “Revue de L.A.V.E.” https://ilvulcanico.it/etna-i-parossismi-della-voragine-tra-luglio-e-agosto-2024-raccontati-dalla-revue-de-l-a-v-e/ Wed, 01 Jan 2025 06:41:34 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25269 di Santo Scalia L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) è un’associazione culturale a carattere scientifico, nata per permettere agli appassionati di vulcanologia di ritrovarsi e promuovere gli scambi scientifici nel campo delle scienze della Terra, contribuendo alla promozione della ricerca vulcanologica. Nel corso di quasi un quarto del secolo corrente, ho avuto il piacere e l’onore di […]

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di Santo Scalia

L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) è un’associazione culturale a carattere scientifico, nata per permettere agli appassionati di vulcanologia di ritrovarsi e promuovere gli scambi scientifici nel campo delle scienze della Terra, contribuendo alla promozione della ricerca vulcanologica.

Nel corso di quasi un quarto del secolo corrente, ho avuto il piacere e l’onore di aver pubblicato sulla Revue de L.A.V.E. otto articoli, sei dei quali scritti “a quattro mani” insieme allo stimato vulcanologo francese Jean-Claude Tanguy.

Nell’ultimo numero pubblicato dall’Associazione, il n° 216 del dicembre 2024, è presente un breve riepilogo degli eventi vulcanici avvenuti all’Etna nel volgere di due mesi (luglio e agosto dello stesso anno): in questo intervallo, infatti, il vulcano ha prodotto 6 eventi parossistici dal cratere denominato La Voragine, arrecando notevoli problemi alle popolazioni che vivono nei settori meridionale e orientale, causando di conseguenza importanti danni economici.

Il mese di settembre è stato invece caratterizzato da una moderata attività localizzata nel Cratere subterminale di Nord-Est, mentre un settimo evento parossistico è stato prodotto il 10 novembre, sempre dal cratere Voragine. Quest’ultimo però, a cause delle proibitive condizioni meteorologiche, è stato rilevato soltanto attraverso le misurazioni strumentali e non è stato osservato visivamente, eccezione fatta per una fortunata visione dagli oblò di un aereo in transito ad alta quota.

Nella fotogallery, accessibile tramite la splendida foto di apertura, si può consultare l’articolo in lingua francese recentemente pubblicato da L’Association Volcanologique Européenne.

Per comodità di lettura di seguito viene riportata una versione dell’articolo tradotto in lingua italiana:

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I parossismi della Voragine dellEtna tra luglio e agosto 2024

Santo Scalia & Jean-Claude Tanguy

Figura 1 – Colate e depositi conseguenti al parossismo del 23 luglio 2024 (fonte: INGV – Osservatorio Etneo)

“La Voragine” (in francese le gouffre) è il principale ed il più costante tra i crateri permanenti sulla sommità dell’Etna (figura 1). Così come i suoi vicini (il Cratere Nord-Est del 1911, la Bocca Nuova nata nel 1968 e ancora il Cratere di Sud-Est formatosi nel 1971), e al contrario degli innumerevoli coni che ritroviamo sui fianchi che hanno avuto un’esistenza temporanea, questi crateri sommitali sono sempre soggetti a risvegliarsi.

Ed è stato proprio il 3 aprile 2021 che la Voragine ha prodotto la sua ultima emissione di ceneri e, poi, non ha mostrato più alcun segno di attività. Ma, nella notte tra il 13 ed il 14 agosto 2024, è iniziata una debole attività di spattering che ha costruito un piccolo cono di scorie saldate, seguita poi dall’emissione di una colata lavica fuoriuscita da una fessura sul fianco sud-orientale del cono, colata che cominciò a riempire la vicina depressione della Bocca Nuova.

Nel pomeriggio del 4 luglio, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, emetteva un comunicato: «[…] l’attività stromboliana al cratere Voragine è evoluta a fontana di lava e produce una colonna che raggiunge l’altezza di circa 4500 m. slm e si propaga in direzione SE. E’ stata altresì segnalata la ricaduta di cenere su diversi abitati dell’area sudorientale etnea e fino a Catania».

Così come già tante volte in passato, di nuovo i paesi pedemontani del settore meridionale si risvegliano ricoperti da una nera coltre di materiale piroclastico (localmente denominato “rina”) che causa notevoli danni alla circolazione veicolare, alla navigazione aerea, alle colture ed alla respirazione (figura 2 e figura 3).

Figura 5 – L’alba del 7 luglio vista da Ragalna (Foto © Santo Scalia)

L’attività parossistica, iniziata alle 16:15 UTC del giorno 4, si esaurisce intorno alle 01:50 UTC del giorno 5, anche se una fase stromboliana prosegue fino alle prime luci dell’alba dello stesso giorno (figura 5)

Segue soltanto un breve riposo, durato appena un giorno, e l’attività esplosiva alla Voragine riprende nel pomeriggio del 6; dopo un altro giorno, ecco che all’incirca alle 22:00 UTC, l’Ingv di Catania registra un nuovo «graduale incremento dell’attività stromboliana a carico del cratere Voragine»; come era prevedibile, poche ore dopo, l’Istituto diffonde un nuovo comunicato che puntualizza che «[…] l’attività stromboliana al Cratere Voragine si è ulteriormente intensificata ed al momento è in atto una fontana di lava. Tale attività produce delle emissioni di cenere che, in accordo con il modello previsionale, si disperdono in direzione ESE».

Figura 4 – Tremore vulcanico registrato alla stazione ECPN (Etna Cratere del Piano) al primo parossismo (INGV-OE)

Questa volta sono le località del settore SE (Zafferana, Milo, ecc.) a trovarsi sotto la ricaduta delle piroclastiti. La colonna eruttiva, salita fino a 9 km, si esaurisce dopo circa 7 ore. Questi due forti parossismi hanno modificato profondamente la morfologia della zona sommitale. Le misurazioni effettuate con i droni hanno evidenziato un’altitudine massima di 3369 m s.l.m. per il bordo più alto della Voragine (invece di 3354 m sulla punta del Cratere SE, che precedentemente deteneva il record).

Un nuovo sussulto si registra nei giorni 10 e 11 luglio, quando un aumento del tremore vulcanico e dell’attività stromboliana fanno presagire un imminente terzo parossismo. L’attività però non raggiunge un’intensità tanto elevata da poterla annoverare tra i parossismi dell’anno. A complicare il già complesso quadro eruttivo, ecco che anche il Cratere di Nord-Est (nato nel 1911 e da tempo quiescente) dà segni di ripresa: a partire dai giorni intorno alla metà del mese, produce sporadiche esplosioni con emissione di cenere che si è disperde velocemente al di sopra dei crateri sommitali.

Figura 6 – Il terzo parossismo: immagine  dalla webcam termica da Bronte, versante ovest (INGV-OE): la macchia chiara, a destra, rivela la colata di lava

Ma non è ancora finita: nelle prime ore serali del 15 luglio aumentano tremore e attività stromboliana ancora una volta alla Voragine, e poco dopo sfociano in un’intensa attività parossistica (figura 6). E’ il terzo parossismo registrato nel giro di una decina di giorni. Una colata lavica si diparte dall’orlo occidentale dell’antico Cratere Centrale, interrompe la pista di quota 3000 e si arresta poco più a valle. I due crateri BN1 e BN2 (della Bocca Nuova) vengono ormai ricoperti dai prodotti fuoriusciti dalla Voragine. Ulteriori disagi si ripropongono nuovamente per i paesi del versante sud-orientale del vulcano, a causa della ricaduta di scorie e ceneri.

La colonna eruttiva raggiunge i 6000 m di altezza e l’attività parossistica, presto ritornata ad attività stromboliana, cessa nelle prime ore del 16 luglio.

Figura 7 – Registrazione del tremore vulcanico (stazione ECPN, INGV-OE) nel corso del mese di luglio 2024

Nel frattempo la sporadica emissione di volute di cenere continua dal Cratere di Nord-Est, mentre l’attività stromboliana dalla Voragine, ancora una volta, nella notte tra il 22 ed il 23 luglio, evolve in fontane di lava. Le esplosioni raggiungono un’altezza di varie centinaia di metri e una colonna eruttiva che si è attestata intorno agli 8 km s.l.m., disperdendosi inizialmente a ESE e ruotando dopo a SSE. E’ stata segnalata ricaduta di materiale fine in località Rifugio Sapienza, Piano Vetore, Contrada Milia, Nicolosi, Tremestieri Etneo e Catania. È il quarto parossismo consecutivo prodotto dal Cratere La Voragine in poco meno di un mese.

Il terzo picco (12 luglio) non raggiunge l’intensità di 100 mV e non viene annoverato tra i “parossismi”

Figura 8 – Mappa termica della zona sommitale dopo il 4 agosto 2024 (INGV-OE)

Nei giorni successivi, il nuovo cono prodotto dalla Voragine emette superbe volute di cenere nera e, malgrado l’impressione che il vulcano avesse ritrovato un certo equilibrio, nella prima mattina del 4 agosto, appena un mese dopo il primo parossismo, ricomincia la rapida crescita dell’attività, evolvendo in fontane di lava (5° parossismo). La colonna eruttiva si innalza nel cielo terso per 10 km di altezza e gli abitanti della zona orientale devono nuovamente subire danni a causa delle piroclastiti: nel paese di Zafferana Etnea, a 11 km dalla bocca eruttiva, i finestrini di diverse auto sono stati infranti dalla caduta di scorie di notevoli dimensioni! Alla sommità del vulcano, una colata lavica straripa verso NO e una colata reomorfica, costituita da brandelli di lava ancora caldi che si saldano tra loro fino a fluire, scorre tra il CNE e la Voragine (figura 8).

Trascorrono solo una decina di giorni, ed ecco che nuovamente, nel tardo pomeriggio del 14 agosto, il tracciato del tremore vulcanico si impenna in poche ore: s’intensifica l’attività stromboliana al cratere La Voragine, ed evolve rapidamente in fontana di lava (figura 9); poi, nel giro di circa cinque ore, dopo che nella fase più intensa la colonna eruttiva ha raggiunto un’altezza di circa 9.5 km s.l.m., tutto ritorna alla norma.

Figura 9 – le fontane e le colate di lava viste da Bronte nella notte tra il 14 ed il 15 agosto – Foto © Marisa Liotta.

Ancora una volta il versante meridionale, fino a Catania, viene ricoperto dai prodotti eruttati; ancora una volta l’aeroporto catanese diviene impraticabile, e nuovamente si assiste ad un trabocco lavico dall’orlo occidentale del cratere Bocca Nuova. Tutto “secondo copione”, si potrebbe dire, ed il sesto parossismo della serie viene archiviato.

I paesi pedemontani etnei, oltre ai disagi dovuti alle ricadute di scorie e di cenere, sono stati più volte messi in allarme da frequenti boati simili a quelli provocati da esplosioni: preoccupanti ma innocue manifestazioni acustiche (shockwawe), causate da violente decompressioni di grosse bolle di gas ad una velocità superiore a quella del suono. Un altro effetto di questi parossismi è stato l’aumento spettacolare dell’altezza dell’Etna con la rapida crescita del nuovo cono all’interno del cratere. Una recente rilevazione, effettuata tramite drone, ha dato il valore di 3403 m sul livello del mare (vedi Bollettino INGV del 15 settembre): un nuovo record a paragone dei 3357 metri del Cratere di Sud-est.

Un ringraziamento va a Boris Behncke e all’INGV-Osservatorio Etneo per la documentazione vulcanologica, a Giorgio Costa e a Marisa Liotta per le loro eccellenti foto.

APPENDICE

Scritti dell’Autore pubblicati dalla Revue de L’Association Volcanologique Européenne nel corso degli ultimi 25 anni:

Etna 1928: la destruction de Mascali – Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 77, febbraio  1999)

Images retrouvées du paroxysme de l’Etna le 4-5 juillet 1964 – Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 88, gennaio  2001)

La volcanologie sur l’Etna – Santo Scalia  (Revue de L.A.V.E. n° 191, settembre  2018) [vedi ilVulcanico del 7 ottobre 2018]

Etna: l’éruption de Noël 2018 – Boris Behncke, Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy  (Revue de L.A.V.E. n° 193, marzo  2019) [vedi ilVulcanico del 21 aprile 2019]

Il y a 350 ans: l’éruption de l’Etna en 1669  – Jean-Claude Tanguy et Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 194, giugno 2019) [vedi ilVulcanico del 12 luglio 2019]

L’Etna en mai et jullet 2019 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 195, settembre 2019)

Les paroxysmes de l’Etna en février-mars 2021 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 201, giugno 2021) [vedi IlVulcanico del 20 luglio 2021]

Les Champs Phlégréens – Jean-Claude Tanguy et Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 214, giugno 2024) [vedi ilVulcanico del 3 luglio 2024]

Les paroxysmes de « la Voragine » (Etna) en juillet – août 2024 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 216, dicembre 2024)

Con il titolo: la fontana di lava del 7 luglio dalla Voragine dell’Etna (foto © Giorgio Costa)

 

 

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L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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Polifemo, millenario tra gli ulivi, con il suo olio della pace https://ilvulcanico.it/polifemo-millenario-tra-gli-ulivi-con-il-suo-olio-della-pace/ Sun, 17 Nov 2024 06:13:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25210 di Pippo Raiti  Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco […]

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di Pippo Raiti 
Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco distante dalla Cuba Bizantina e dal fiume Alcantara, “vive” proprio uno di quei grandi ulivi secolari, il cui nome è Polifemo (secondo una datazione presunta, sembra che la sua età si aggiri intorno ai 1200 anni). Nome mitologico dovuto all’imponenza del suo tronco, alle sue salde e pronunciate radici che lo legano indissolubilmente alla terra da cui trae il suo nutrimento. Le sue estese fronde, come braccia tese verso l’Etna, sembrano volerla ringraziare per il prezioso dono.
Per la sua veneranda età esso rappresenta esso rappresenta la memoria storia di vite di un tempo lontano e di un tempo più o meno recente: ogni suo nodo, ogni sua contorsione, rappresenta una voce narrante e i suoi racconti sono preziosi insegnamenti. Chissà quante genti hanno raccolto e goduto dei suoi frutti. Quante storie, quante leggende, quanti misteri sono racchiusi tra quei nodi, quante mani hanno raccolto le sue drupe e quanti canti di donne chine hanno hanno ascoltato le sue fronde.
Chissà quale soddisfazione sta provando quell’umile contadino che oltre mille anni fa mise a dimora un ramoscello di ulivo, chissà le storie che avrà sentito, le gioie, i lamenti di chi puntualmente ogni anno si apprestava alla raccolta delle sue drupe. Chissà quante lingue diverse, quanti popoli diversi si sono avvicendati e chissà quante leggende sono state narrate all’ombra delle sue fronde.
Sono tutti questi quesiti che, chissà fin da bambino, mi ponevo nella mente quando accompagnavo  mio padre in campagna e proprio lì, seduto all’ombra dell’ulivo fantasticavo di storie lontane. Man mano crescevo e, attraverso gli studi, quei chissà trovarono spiegazioni storiche e anche lo studio dei miti greci mi fecero scoprire della leggenda della nascita della pianta di ulivo e di come ad esso venne riconosciuto il simbolo di pace.
Ecco che, come spesso accade da adulto, si verifica un ritorno agli studi passati, dettato dal desiderio di voler rendere omaggio a quell’ulivo  che, come un anziano merita di essere raccontato, affinché divenga memoria di un tempo lontano e, attraverso la sua leggenda, divenga memoria contemporanea di un mondo sempre più in bilico tra guerra e pace.
Da qui nasce l’idea dell’olio della pace, prodotto esclusivamente dalla raccolta delle sue olive,  cosicché il perdurare di quest’ulivo secolare diventi metafora dei valori che devono insistere e resistere come le radici profonde di Polifemo.

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Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

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“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

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Etna, la quinta parossistica emozione in un mese https://ilvulcanico.it/etna-la-quinta-parossistica-emozione-in-un-mese/ Tue, 06 Aug 2024 04:42:26 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25155 di Giovinsky Aetnensis Un’eruzione davvero intensa quella della notte del 4 agosto. Fino alle 3 del mattino mi trovavo al Rifugio Santa Barbara a riprendere le bellissime esplosioni stromboliane che si intensificavano dal Cratere Voragine dell’Etna. Decisi di tornare a casa ma alle 5 venni svegliata da un amico e in fretta e furia tornai […]

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di Giovinsky Aetnensis

Un’eruzione davvero intensa quella della notte del 4 agosto. Fino alle 3 del mattino mi trovavo al Rifugio Santa Barbara a riprendere le bellissime esplosioni stromboliane che si intensificavano dal Cratere Voragine dell’Etna. Decisi di tornare a casa ma alle 5 venni svegliata da un amico e in fretta e furia tornai lassù, dove mi trovavo qualche ora prima.

L’emozione fu stratosferica. Alte fontane di lava e la nube di cenere all’alba abbracciavano il cielo. Salii a Monte Nero degli Zappini per girare qualche clip video. Rimasi incantata a godermi lo spettacolo. Non ci si abitua mai a così tanta bellezza.

Fu la quinta emozione parossistica nel giro di un mese

 

 

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I vulcani del mondo e il clima, tra scienza e storia https://ilvulcanico.it/i-vulcani-del-mondo-e-il-clima-tra-scienza-e-storia/ Thu, 01 Aug 2024 04:42:55 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25122 di Salvo Caffo L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero […]

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di Salvo Caffo

Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna

L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero gigantesche quantità di ceneri nella stratosfera.

Il Laki (fonte National Geographic)

Già nel 1783 e ancora nel 1784, in piena estate su tutta l’Europa e l’America settentrionale calò una nebbia asciutta e costante, la terra era quasi gelata e la neve non si scioglieva anzi tendeva ad aumentare. L’inverno che ne seguì fu il più rigido registrato da molto tempo. L’eruzione del Laki iniziata nel giugno del 1783 e terminata nel febbraio del 1784, emise anche acido solforico e fluoro che ebbero effetti catastrofici in Islanda, contaminando i pascoli e uccidendo più del 50% del bestiame presente sull’isola e causando una carestia che decimò oltre 20 mila abitanti. Questi gas vulcanici, formarono sull’Europa quella che fu chiamata la foschia del Laki e cioé una nebbiolina tossica, di colore azzurro, che rimase in sospensione nei cieli per mesi e mesi. Le vittime totali causate dall’aerosol vulcanico furono, secondo alcune stime, ventitremila. L’inverno successivo di conseguenza fu estremamente rigido, nell’Europa centrale vi furono abbondanti nevicate, e nella sola Gran Bretagna il grande freddo fece registrare oltre otto mila vittime. In Francia si alternarono periodi di siccità, inverni rigidi ed estati pessime. Furono anni difficili, caratterizzati da particolari condizioni meteorologiche che contribuirono a rendere la popolazione sempre più povera e affamata. Carestie e povertà furono fattori che innescarono la Rivoluzione francese del 1789.

Il vulcano Agung

Specifici studi del fisico Humphreys nel 1940, dimostrarono la correlazione esistente tra i cambiamenti climatici e le attività vulcaniche, per cui le particelle di ceneri vulcaniche in stratosfera riflettono e disperdono la luce solare, comportandosi quindi come uno schermo che impedisce al calore di raggiungere la superficie terrestre. Le ceneri possono rimanere in sospensione per diversi anni e occorre molto tempo prima che cessino gli effetti climatici. Nel 1970 Mitchell dimostrò che le particelle solide derivanti dall’attività vulcanica del Vulcano Agung a Bali in Indonesia nel 1963 erano state 10 volte superiori alle polveri emesse in seguito a tutte le attività umane sino ad allora emesse, sull’intero pianeta.

Un altro anno estremamente freddo, con temperature nei mesi estivi di 3 gradi inferiori alle medie locali fu il 1816 con precipitazioni ininterrotte da maggio ad ottobre in Irlanda, Inghilterra sino al Baltico e nel New England (settore nord-orientale degli USA). Il 1816 venne definito anno senza estate, in realtà furono più anni, e portò alla non maturazione dei raccolti con gravissime carestie e carenze di cibo nel Galles e in Irlanda. Migliaia di persone furono costrette a lasciare tutto e partire in cerca di fortuna. Queste furono soltanto alcune delle conseguenze avutesi in seguito all’ eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa, arco della Sonda, che nel 1815 portò alla devastazione delle isole Indonesiane con la morte di decine di migliaia di persone. Gli effetti climatici innescati dall’eruzione causarono gravi danni ai raccolti in America settentrionale e in gran parte dell’Europa, già stremata dalle guerre napoleoniche che si chiusero a Waterloo due mesi dopo l’eruzione, il 18 giugno 1815. Napoleone perse la guerra anche per le difficoltà logistiche derivanti dalle incessanti piogge.

La caldera del vulcano Tambora, Sumbawa, Indonesia (Fonte Ingv Vulcani)

L’eruzione del vulcano Tambora ha cambiato la Storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta. Alla fine di febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte fuggì dall’isola d’Elba, dov’era stato esiliato dopo la sconfitta di Lipsia e l’abdicazione. Il 20 marzo, alla testa di un nuovo esercito, rientrava trionfalmente a Parigi. Le grandi potenze erano però determinate a impedire ogni ipotesi di una nuova espansione della Francia, anche se in realtà Napoleone chiese un trattato di pace. La battaglia decisiva, a conclusione dei cosiddetti Cento Giorni, si svolse nelle campagne del Belgio, vicino a Waterloo, tra il 16 e il 18 giugno del 1815: da una parte i 400.000 francesi al comando di Napoleone, dall’altra un milione di uomini tra olandesi, inglesi e prussiani, guidati da Lord Wellington. Napoleone era uno stratega formidabile e all’inizio sembrò avere la meglio, ma nella notte precedente allo scontro che si rivelò definitivo, tra il 17 e il 18 giugno, si scatenarono fortissimi temporali. Il terreno si trasformò in un acquitrino fangoso e in una trappola per l’artiglieria e la cavalleria dell’imperatore, e questo contribuì alla sconfitta dei francesi.

Gli effetti dell’anno senza estate, con un’atmosfera cupa e piogge continue, è evidente nei versi di George Byron, che scrive Darkness (Oscurità) nel 1816, e nell’incipit di Frankenstein, il romanzo di Mary Shelley pubblicato poco dopo (1818). Già nell’estate del 1815 l’aerosol di gas e ceneri generò a Londra tramonti e crepuscoli spettacolari, dai colori accesi. Queste tonalità insolite hanno ispirato molti pittori. Gli effetti climatici dell’eruzione emergono da documenti e lettere di ogni parte del mondo. Un funzionario di Lhasa descrive le nevicate del giugno 1816; a Bologna, il marchese Tommaso de’ Buoi annota nel suo diario il 2 luglio 1816 che dal 25 maggio non vi fosse giorno che non piovesse, e a causa del freddo molti portavano il tabarro (mantello). Una moria straordinaria di cavalli, il principale mezzo di trasporto del tempo, ispirò Karla Drais (1785-1851) a trovare un veicolo alternativo e nel 1817 inventò il “velocipede” il cosiddetto “cavallo da passeggio” antenato della bicicletta.

Il Krakatoa

Fenomeni atmosferici analoghi si verificarono nel 1884-85 in conseguenza dell’eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa nel 1883. Il vulcano Krakatoa, localizzato su una piccola isola tra Giava e Sumatra in lndonesia, durante l’eruzione del 1883 lanciò circa 4.000.000 di metri cubi di materiali piroclastici fino ad un’altezza di 27 km, e la cenere, trasportata dalle correnti aeree, compì diversi giri intorno alla Terra. Dopo tre giorni questa cenere cadde in quantità sul ponte di un vascello distante circa 2500 km. II lucente scintillio del cielo prima del sorgere del Sole e dopo il tramonto, causato dalla riflessione dei raggi del sole da parte delle particelle di ceneri vulcaniche, attirò l’attenzione del mondo intero, il fenomeno si manifestò improvvisamente nella settimana seguente l’eruzione ed interessò una fascia compresa tra le latitudini 15° N 15° S; successivamente si diffuse fino a coprire tutta la Terra.

La distribuzione su tutta la Terra delle ceneri prodotte dall’eruzione del Krakatoa, fornì importanti informazioni sulla circolazione negli strati superiori dell’atmosfera. Lo scintillio fu visto per la prima volta negli Stati Uniti a Yuma, in Arizona, il 19 ottobre (l’eruzione del Krakatoa si verificò il 26 agosto) e il 30 ottobre fu osservato negli Stati Uniti orientali. Nella notte del 30 ottobre il fenomeno fu particolarmente intenso e «a Poughkeepsie (New York) e a New Haven (Connecticut) si ricorse alle pompe antincendio per spegnere il cielo in fiamme». II fenomeno continuò a manifestarsi, con lucentezza di diversa intensità per mesi, presentandosi notevolmente più marcato durante i periodi secchi.

La nube ardente dell’eruzione del Mont Pelèe (collezione personale Santo Scalia)

Considerevoli abbassamenti delle temperature planetarie (Global cooling) si sono registrate nel 1888-90 in seguito all’eruzione del Bandai San, di Vulcano e di Bogjslof. Nel 1902 in seguito all’esplosione del Mt. Pelèe e de la Soufriere in Martinica e nell’isola di St. Vincent o nel 1912 in seguito all’eruzione del Katmai in Alaska, del Bezymiami (1956). Il clima rispecchia la media delle condizioni atmosferiche su una scala temporale vastissima, quindi, nonostante le imprecisioni con cui possiamo conoscere il comportamento dell’atmosfera, possiamo comprendere il clima studiando lunghe serie di osservazioni.

Siamo soliti pensare che il clima sia relativamente costante ma non occorre risalire molto indietro nel tempo per constatare che il clima che ha accompagnato la storia umana era molto diverso. Tra il 200 a.C. e 400 d.C. (ovvero per 600 anni) c’è stato il cosiddetto periodo caldo Romano, particolarmente caldo e umido in Europa e nel Mediterraneo. Secondo alcuni storici avrebbe addirittura favorito l’espansione di Roma. In Europa, il XIV, il XVII e il XVIII secolo sono stati molto più freddi del nostro clima. Tra il 1650 e il 1850 si è avuta una cosiddetta piccola glaciazione, che comportò grandi ripercussioni economiche e sociali a livello europeo con interi raccolti perduti e conseguenti carestie, che spesso portarono a guerre che hanno contrassegnato la storia europea.

Il Clima del pianeta Terra è una complessa macchina termodinamica il cui motore è dato dal calore del Sole. Parti fondamentali di questa “macchina” sono: la Terraferma, i mari e gli Oceani nonché l’Atmosfera e l’attività dei Vulcani. Parte del calore prodotto dall’attività termonucleare della nostra Stella, viene riflesso nello spazio dalle nubi, dalle masse nevose e dai ghiacciai nonché dalla presenza di ceneri vulcaniche sospese in atmosfera. Le grandi eruzioni vulcaniche che immettono enormi quantità di ceneri nella stratosfera contribuiscono a far abbassare la temperatura planetaria anche per anni. Anche attività umane come gli incendi delle grandi foreste presenti sui continenti nonché di diverse attività umane, che producono polveri che comunque, pur non raggiungendo la stratosfera, concorrono alle variazioni climatiche. Anche l’Anidride Carbonica lascia filtrare la radiazione solare incidente e blocca il calore riflesso dalla superficie del pianeta attraverso radiazione infrarossa con lunghezza d’onda minore della luce visibile e che viene assorbita dalla CO2.

Il vulcanologo Salvo Caffo accanto al cartello che illustra un esperimento sull’Etna dell’Agenzia Spaziale Tedesca

Dal XIX secolo ad oggi, la CO2 si è prevalentemente disciolta negli oceani, ma ha comunque contribuito, data la sua enorme presenza in atmosfera, a concorrere allo scioglimento dei ghiacciai polari con conseguenti aumenti dei livelli degli oceani e dei mari. La ricostruzione del clima del recente passato si basa su numerose fonti documentate: giornali di bordo compilati da ufficiali della marina britannica e conservati per secoli; registrazioni delle date e delle vendemmie conservati nei monasteri francesi; lo studio dello spessore e della sequenza e colore degli anelli di accrescimento degli alberi, solo per citarne alcune. Se avessimo potuto osservare il nostro pianeta dallo spazio, diciamo 20.000 anni fa, avremmo visto un’enorme massa di ghiaccio estesa su gran parte dell’Europa e del Nord America nonché ghiacciai che contornavano diverse montagne tropicali; un’immagine, molto differente dall’attuale. L’enorme massa d’acqua, sottratta agli oceani, ci avrebbe consentito di osservare aree che, oggi, si trovano a molte decine di metri (fino a 110), sotto il livello medio del mare.

Etna

Molte decine di volte, i ghiacciai, hanno coperto i continenti settentrionali e, presto o tardi, accadrà nuovamente. Il mondo ha conosciuto episodi glaciali, con periodi di freddo intenso ed estesi ghiacciai alternati a episodi interglaciali con clima come l’attuale. Lo studio dei depositi dei ghiacciai (Morene) ha consentito di ricostruire le diverse glaciazioni susseguitesi ciclicamente sulla Terra. Nel 1787, il geologo svizzero Kuhn, interpretò gli accumuli di detriti lasciati dal fronte di fusione dei ghiacciai, definiti morene, originatisi in seguito all’accumulo delle enormi masse rocciose erose per abrasione e trasportate dai ghiacciai e presenti sulle Alpi in luoghi molto distanti dai fronti dei ghiacciai, come prova che, nel passato remoto, le masse di ghiaccio fossero state molto più estese di quelle presenti nel XVIII secolo. Nel XIX secolo, vennero identificati simili depositi morenici in molti altri luoghi e nel XX secolo, furono descritte dai geologi, quattro glaciazioni alpine: Gunz, Mindel, Riss e Wurm, dai nomi dei luoghi dove per la prima volta erano state identificate le morene glaciali frontali. Poi furono identificate tracce di glaciazioni precedenti alle quattro descritte. Tralasciando le principali glaciazioni: la Proterozoica (2.3-2.7 miliardi di anni fa); Precambriana (600-800 milioni di anni fa); l’Ordoviciana (430-460milioni di anni fa); la Carbonifero-Permiana (260-360 milioni di anni fa); la Pleistocenica con punte nell’Olocene (3-40 milioni di anni); le glaciazioni più recenti sono state: la Günz (da circa 680 000 a 620 000 anni fa), la Mindel (da circa 455 000 a 300 000 anni fa), la Riss (da circa 200 000 a 130 000 anni fa) e la Würm (da circa 110 000 a 12 000 anni fa), separate da tre fasi interglaciali: (rispettivamente chiamate Günz-Mindel, Mindel-Riss e Riss-Würm) intercalate tra le quattro glaciazioni e, quindi, il periodo attuale è definito “postWürmiano“.

Diversi sono stati i periodi di avanzata e ritiro dei ghiacci, come risultato di oscillazioni di temperature dipendenti da variazioni della radiazione solare o dalla variazione della trasparenza dello spazio ai raggi solari. Questo può verificarsi per maggiore o minore presenza di polveri cosmiche o vulcaniche o per variazioni della distribuzione dell’intensità delle precipitazioni o per variazioni del comportamento termico dell’atmosfera, causata da mutamenti della sua composizione e per variabile contenuto di anidride carbonica e conseguente effetto serra o per fenomeni astronomici o geologici. Dalla fine dell’ultimo periodo glaciale ad oggi, i ghiacciai dell’Alaska, delle Alpi, della Scandinavia, delle montagne del Nord e Sud America, si sono ritirati e avanzati varie volte lungo le loro valli, lasciando una ricca documentazione geomorfologica e ambientale come gli alberi abbattuti durante le fasi di avanzata e i depositi morenici durante quelli di ritiro.

Due immagini 3 D del vulcano Empedocle

Nel Mar Mediterraneo e precisamente nel canale di Sicilia si sviluppa una regione vulcanica sottomarina situata tra la costa italiana e quella tunisina che comprende vulcani sottomarini: (Anfitrite; Cimotoe; Galatea; Madrepore; Banco Nerita; Banco di Pantelleria; Pinne; Banco Smyt I; Banco Smyt II, Banco terribile e Tetide). Il più famoso, l’Empedocle, è emerso per l’ultima volta nel 1863, dando vita per un breve periodo all’isola Ferdinandea. Dalla fine dell’eruzione, l’isola è stata erosa e oggi si trova a circa otto metri sotto il livello del mare (punto più alto dei cosiddetti Campi Flegrei della Sicilia). Tutte le eruzioni dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia sono avvenute sott’acqua, con l’eccezione di alcune di quelle di Empedocle: quelle del 1701, del 1831 e del 1863 sono state visibili sopra la superficie del mare. La prima eruzione documentata dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia risale alla prima guerra punica (253 a.C.) quando i vulcani Empedocle e Pinne divennero attivi. La prima guerra punica fu decisa dalla battaglia delle Isole Egadi, il 10 marzo 241 a.C., vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo anche in seguito agli effetti che si determinarono in seguito all’attività del vulcani sottomarini del canale di Sicilia.

(Gaetano Perricone). Aggiungo solo pochissime parole a quelle che, spero, abbiate avuto la pazienza e il piacere di leggere in questo meraviglioso ed esemplare racconto, all’insegna della passione, della competenza, della multidisciplinarietà: lo faccio per ringraziare il mio carissimo amico e grande vulcanologo Salvo Caffo per questo splendido regalo al mio blog e ai suoi lettori, certamente super appassionati di vulcani.  Una vera e propria “lectio magistralis” ricca di riferimenti storici, oltre che di illuminanti spiegazioni scientifiche, su un argomento di estremo interesse e attualità, ma anche affascinantissimo

Con il titolo: Etnatomica, 4 dicembre 2015, la premiatissima foto di Giuseppe Famiani

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E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english https://ilvulcanico.it/e-sir-anthony-hopkins-mi-sorrise-il-tuo-costume-e-molto-piu-bello-del-mio/ Sun, 21 Jul 2024 04:54:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25099 di Marco Gambino Primo giorno di riprese sul set di “Those about to die” in cui interpreto il Senatore Supulcius. Oggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  “ The remains of the day” o più  recentemente , il padre straziante di “The father” . Lui, […]

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di Marco Gambino

Primo giorno di riprese sul set di Those about to die” in cui interpreto il Senatore SupulciusOggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  The remains of the dayo più  recentemente , il padre straziante di The father” . Lui, l’attore straordinario che spaventa e commuove intere generazioni.

Ma com’e’ ? Tu lo hai mai incontrato? chiedo a Rupert Penry-Jones che nella serie interpreta il console Marsus.

“E’ un uomo eccezionale ancor prima ancora di essere la star che è, vedrai”-

Rupert, come si evince dal nome, è super inglese e proviene da tre generazioni di attori. I suoi genitori hanno calcato il palcoscenico per anni insieme ad Hopkins  e sua madre dice che è un uomo umilissimo e generoso.

Giriamo allo Studio 5 di Cinecittà, quello immenso di Fellini. Una scena in cui noi, i patrizi, siamo schierati davanti alla portantina dove Sir Anthony, nei panni dell’imperatore Vespasiano, salirà dopo un lungo monologo. Lo aspettiamo in silenzio. Quando arriva c’è un brivido generale. Eccolo il mito in carne ed ossa, il suo inconfondibile sorriso con gli occhi. Azzurrissimi. Ha 86 anni ma ha la  vivacità di un ragazzo tutta concentrata in quello sguardo magnetico.

Oh thank God my taxi is here – esordisce additando la portantina. Il silenzio si rompe in una risata generale. Roland Emmerich, il regista, si avvicina per salutarlo, ma lui va dritto verso Rupert e lo abbraccia. Gli dice che non dimenticherà mai i suoi genitori, quando insieme a loro calcava i palcoscenici di tutta l’Inghilterra, gli anni più importanti della sua vita d’attore, quelli che lo hanno forgiato.

Lo guardo mentre recita e vorrei rubargli tutto. Le pause, la misura, il gesto, il controllo.

Alla fine della scena siamo tutti intorno a lui che racconta. Dice che un giorno a Los Angeles, quando era appena uscito Il silenzio degli innocenti, chiese al suo autista di fermarsi. Tutti quei cartelli in autostrada con la sua faccia in primo piano lo avevano sconvolto. Com’era possibile  che lui, un povero ragazzo originario del Galles, fosse finito al centro dell’attenzione mondiale? Un salto che a lui in quel momento,  fermo sotto una di quelle gigantografie, appariva incomprensibile. Ma sono proprio io quello ?– continuava a ripetersi mentre l’autista gli diceva che  non c’erano dubbi, fino a prova contraria lui era  proprio Mr Anthony Hopkins.

Mentre si allontana verso la macchina ho un impulso di quelli, per me, rarissimi. Allora lo blocco. Tony posso chiederti una foto?But of course”- mi risponde. Mentre siamo li per quei pochi secondi non so cosa dirgli.

Ma è lui a scuotermi dall’imbarazzo. “Your costume is way nicer than mine” (Il tuo costume è molto più bello del mio). E mi sorride con gli occhi.

 

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Sir Anthony Hopkins smiled at me: “Your costume is much nicer than mine”

First day of filming on the set of “Those About to Die” in which I play Senator Supulcius. Today, we’re shooting with Sir Anthony Hopkins. The absolute legend. He, the terrifying Hannibal, but also the impeccable, devoted butler in “The Remains of the Day” or, more recently, the heartbreaking father in “The Father” He, the extraordinary actor who has frightened and moved entire generations.

But what is he like? Have you ever met him? I ask Rupert Penry-Jones, who plays Consul Marsus in the series.

– He is an exceptional man even before being the star that he is, you’ll see.

Rupert, as his name suggests, is super English and comes from three generations of actors. His parents have shared the stage for years with Hopkins, and his mother says he is a very humble and generous man.

We are filming at Studio 5, the enormous one used by Fellini. A scene where we, the patricians, are lined up in front of the litter where Sir Anthony, playing Emperor Vespasian, will climb after a long monologue. We wait for him in silence. When he arrives, there is a general shiver. Here he is, the legend in flesh and blood, his unmistakable smile with his eyes. Piercingly blue. He is 86 years old but has the vitality of a young man, all concentrated in his magnetic gaze.

– Oh thank God my taxi is here, -he says, pointing to the litter. The silence breaks into general laughter. Roland Emmerich, the director, approaches to greet him, but he goes straight to Rupert and hugs him. He says he will never forget his parents when he shared the stage with them all over England, those were the  most important years of his acting life, the ones that shaped him.

I watch him as he acts and wish I could steal everything from him. His pauses, his measure, his gesture, his control.

At the end of the scene, we are all around him, listening to his stories. He says that one day in Los Angeles, when “The Silence of the Lambs” had just come out, he asked his driver to stop the car on the side of the motorway. All those billboards lining the highway with his face in the foreground had surprised  him. – How was it possible that he, a poor child  from Wales, had ended up at the center of worldwide attention? A leap that, at that moment, standing under one of those giant images, seemed incomprehensible to him. Is that really me? – he kept asking himself while the driver assured him there was no doubt, he was indeed Mr. Anthony Hopkins.

As he walks away towards the car, I have one of those impulses that are very rare for me. So, I stop him – Tony, can I ask you for a photo? – But of course – he replies. While we’re there for those few seconds, I don’t know what to say to him. But he shakes me out of the embarrassment. – Your costume is way nicer than mine –

And he smiles at me with his eyes.

Con il titolo e nella gallery: Marco Gambino durante le riprese romane di “Those about to die”

(Gaetano Perricone). Sono particolarmente grato al mio carissimo cugino Marco Gambino, eccellente attore palermitano da una vita trapiantato a Londra, per questo suo nuovo, prezioso contributo a questo blog. Una testimonianza deliziosa e davvero speciale sul suo incontro sul set con un “mostro sacro” del cinema mondiale, uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Non so se Marco sia il primo palermitano ad avere lavorato con Sir Anthony Hopkins, posso  immaginarlo senza però averne alcuna certezza: in ogni caso credo sia una notizia prestigiosa per la cultura della città dove entrambi siamo nati e cresciuti insieme. Grazie di cuore a Marco Gambino, cugino con il quale siamo legatissimi – lo dico con orgoglio e grande affetto – , per questo bel regalo che ha fatto a me e ai lettori del Vulcanico 

 

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Le Guide dell’Etna rassicurano: nessuna problematica per le eruzioni, potete visitare il vulcano con noi, con tranquillità https://ilvulcanico.it/le-guide-delletna-rassicurano-nessuna-problematica-per-le-eruzioni-potete-visitare-il-vulcano-con-noi-con-tranquillita/ Tue, 16 Jul 2024 06:36:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25074 di Vincenzo Greco * Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun […]

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di Vincenzo Greco *
Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun disagio né alla popolazione locale né ai numerosi turisti, i quali vengono quotidianamente accompagnati lungo percorsi attentamente selezionati e situati a distanza di sicurezza dalle zone interessate dai fenomeni vulcanici.
L’attività del vulcano rientra nei normali cicli eruttivi caratteristici del vulcanismo etneo, e non presenta alcun aspetto eccezionale o anomalo. Questi cicli eruttivi, sebbene possano sembrare impressionanti, sono del tutto normali e gestiti con la massima attenzione e professionalità da parte delle autorità competenti.
Desideriamo rassicurare tutti i potenziali visitatori che le nostre escursioni sono pianificate con scrupolosa cura e in stretta collaborazione con esperti vulcanologi, garantendo così un’esperienza sicura e affascinante. Il fenomeno delle eruzioni, oltre a non rappresentare alcun pericolo imminente, offre uno spettacolo naturale di straordinaria bellezza, in grado di affascinare tutti coloro che decidono di affidarsi a noi per vivere questa avventura unica.
Pertanto, invitiamo chiunque sia interessato a visitare l’Etna a farlo con tranquillità, certi che la sicurezza e il benessere dei nostri ospiti sono la nostra priorità assoluta.
* Guida Vulcanologica Etna Nord 
L’ultimo comunicato dell’INGV O.E. dopo l’attività di stanotte, all’alba di oggi 16 luglio 2024
COMUNICATO DI ATTIVITA’ VULCANICA del 2024-07-16 04:16 (UTC) 06:16 ora locale
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, comunica che dall’analisi delle telecamere di sorveglianza si è osservato che l’attività di fontana di lava del Cratere Voragine [che nella notte ha prodotto una colonna eruttiva alta circa 6000 m s.l.m. che si è propagata in direzione Est con segnalazione di ricaduta di cenere negli abitati di Viagrande e Acicastello] si è gradualmente esaurita per poi cessare intorno alle 00:10 UTC, mantenendo una modesta attività stromboliana sino alle 03:00 circa UTC. Per ciò che riguarda la colata lavica [attività cominciata stanotte e che è tracimata dall’orlo nord occidentale del cratere Bocca Nuova con il fronte a una quota di 3000 m slm circa.prodotta nel corso dell’evento di fontana] appare ancora debolmente alimentata. Dal punto di vista sismico, l’ampiezza media del tremore vulcanico, dopo aver raggiunto i valori massimi tra le 19:40 e le 23:00 UTC di ieri, ha quindi mostrato un trend in decremento ed alle 03:30 UTC circa ha raggiunto l’intervallo dei valori medi, ove tuttora permane. Le sorgenti del tremore sono confinate nell’area dei crateri sommitali ad una elevazione di circa 3000 m sopra il livello del mare. L’attività infrasonica è bassa, con eventi localizzati prevalentemente al cratere di sud-est. Per quanto riguarda le deformazioni del suolo, a partire dalle 00:00 UTC non si registrano variazioni significative.
Con il titolo e nella gallery: le meravigliose immagini di Vincenzo Greco dell’ultima attività dell’Etna

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