scienza e divulgazione Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/scienza-e-divulgazione/ Il Blog di Gaetano Perricone Thu, 01 Aug 2024 05:42:08 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 I vulcani del mondo e il clima, tra scienza e storia https://ilvulcanico.it/i-vulcani-del-mondo-e-il-clima-tra-scienza-e-storia/ Thu, 01 Aug 2024 04:42:55 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25122 di Salvo Caffo L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero […]

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di Salvo Caffo

Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna

L’idea che le ceneri emesse dai vulcani durante grandi eruzioni potessero determinare importanti mutamenti climatici fu proposta per la prima volta nel 1784, dallo scienziato statunitense Benjamin Franklin. Il 1784 fu l’anno successivo alle grandi eruzioni del sistema vulcanico fissurale islandese Lakagigar, noto come Laki, e del vulcano giapponese Asama che emisero gigantesche quantità di ceneri nella stratosfera.

Il Laki (fonte National Geographic)

Già nel 1783 e ancora nel 1784, in piena estate su tutta l’Europa e l’America settentrionale calò una nebbia asciutta e costante, la terra era quasi gelata e la neve non si scioglieva anzi tendeva ad aumentare. L’inverno che ne seguì fu il più rigido registrato da molto tempo. L’eruzione del Laki iniziata nel giugno del 1783 e terminata nel febbraio del 1784, emise anche acido solforico e fluoro che ebbero effetti catastrofici in Islanda, contaminando i pascoli e uccidendo più del 50% del bestiame presente sull’isola e causando una carestia che decimò oltre 20 mila abitanti. Questi gas vulcanici, formarono sull’Europa quella che fu chiamata la foschia del Laki e cioé una nebbiolina tossica, di colore azzurro, che rimase in sospensione nei cieli per mesi e mesi. Le vittime totali causate dall’aerosol vulcanico furono, secondo alcune stime, ventitremila. L’inverno successivo di conseguenza fu estremamente rigido, nell’Europa centrale vi furono abbondanti nevicate, e nella sola Gran Bretagna il grande freddo fece registrare oltre otto mila vittime. In Francia si alternarono periodi di siccità, inverni rigidi ed estati pessime. Furono anni difficili, caratterizzati da particolari condizioni meteorologiche che contribuirono a rendere la popolazione sempre più povera e affamata. Carestie e povertà furono fattori che innescarono la Rivoluzione francese del 1789.

Il vulcano Agung

Specifici studi del fisico Humphreys nel 1940, dimostrarono la correlazione esistente tra i cambiamenti climatici e le attività vulcaniche, per cui le particelle di ceneri vulcaniche in stratosfera riflettono e disperdono la luce solare, comportandosi quindi come uno schermo che impedisce al calore di raggiungere la superficie terrestre. Le ceneri possono rimanere in sospensione per diversi anni e occorre molto tempo prima che cessino gli effetti climatici. Nel 1970 Mitchell dimostrò che le particelle solide derivanti dall’attività vulcanica del Vulcano Agung a Bali in Indonesia nel 1963 erano state 10 volte superiori alle polveri emesse in seguito a tutte le attività umane sino ad allora emesse, sull’intero pianeta.

Un altro anno estremamente freddo, con temperature nei mesi estivi di 3 gradi inferiori alle medie locali fu il 1816 con precipitazioni ininterrotte da maggio ad ottobre in Irlanda, Inghilterra sino al Baltico e nel New England (settore nord-orientale degli USA). Il 1816 venne definito anno senza estate, in realtà furono più anni, e portò alla non maturazione dei raccolti con gravissime carestie e carenze di cibo nel Galles e in Irlanda. Migliaia di persone furono costrette a lasciare tutto e partire in cerca di fortuna. Queste furono soltanto alcune delle conseguenze avutesi in seguito all’ eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa, arco della Sonda, che nel 1815 portò alla devastazione delle isole Indonesiane con la morte di decine di migliaia di persone. Gli effetti climatici innescati dall’eruzione causarono gravi danni ai raccolti in America settentrionale e in gran parte dell’Europa, già stremata dalle guerre napoleoniche che si chiusero a Waterloo due mesi dopo l’eruzione, il 18 giugno 1815. Napoleone perse la guerra anche per le difficoltà logistiche derivanti dalle incessanti piogge.

La caldera del vulcano Tambora, Sumbawa, Indonesia (Fonte Ingv Vulcani)

L’eruzione del vulcano Tambora ha cambiato la Storia, trasformando la probabile vittoria di Napoleone a Waterloo nella sua definitiva sconfitta. Alla fine di febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte fuggì dall’isola d’Elba, dov’era stato esiliato dopo la sconfitta di Lipsia e l’abdicazione. Il 20 marzo, alla testa di un nuovo esercito, rientrava trionfalmente a Parigi. Le grandi potenze erano però determinate a impedire ogni ipotesi di una nuova espansione della Francia, anche se in realtà Napoleone chiese un trattato di pace. La battaglia decisiva, a conclusione dei cosiddetti Cento Giorni, si svolse nelle campagne del Belgio, vicino a Waterloo, tra il 16 e il 18 giugno del 1815: da una parte i 400.000 francesi al comando di Napoleone, dall’altra un milione di uomini tra olandesi, inglesi e prussiani, guidati da Lord Wellington. Napoleone era uno stratega formidabile e all’inizio sembrò avere la meglio, ma nella notte precedente allo scontro che si rivelò definitivo, tra il 17 e il 18 giugno, si scatenarono fortissimi temporali. Il terreno si trasformò in un acquitrino fangoso e in una trappola per l’artiglieria e la cavalleria dell’imperatore, e questo contribuì alla sconfitta dei francesi.

Gli effetti dell’anno senza estate, con un’atmosfera cupa e piogge continue, è evidente nei versi di George Byron, che scrive Darkness (Oscurità) nel 1816, e nell’incipit di Frankenstein, il romanzo di Mary Shelley pubblicato poco dopo (1818). Già nell’estate del 1815 l’aerosol di gas e ceneri generò a Londra tramonti e crepuscoli spettacolari, dai colori accesi. Queste tonalità insolite hanno ispirato molti pittori. Gli effetti climatici dell’eruzione emergono da documenti e lettere di ogni parte del mondo. Un funzionario di Lhasa descrive le nevicate del giugno 1816; a Bologna, il marchese Tommaso de’ Buoi annota nel suo diario il 2 luglio 1816 che dal 25 maggio non vi fosse giorno che non piovesse, e a causa del freddo molti portavano il tabarro (mantello). Una moria straordinaria di cavalli, il principale mezzo di trasporto del tempo, ispirò Karla Drais (1785-1851) a trovare un veicolo alternativo e nel 1817 inventò il “velocipede” il cosiddetto “cavallo da passeggio” antenato della bicicletta.

Il Krakatoa

Fenomeni atmosferici analoghi si verificarono nel 1884-85 in conseguenza dell’eruzione del vulcano indonesiano Krakatoa nel 1883. Il vulcano Krakatoa, localizzato su una piccola isola tra Giava e Sumatra in lndonesia, durante l’eruzione del 1883 lanciò circa 4.000.000 di metri cubi di materiali piroclastici fino ad un’altezza di 27 km, e la cenere, trasportata dalle correnti aeree, compì diversi giri intorno alla Terra. Dopo tre giorni questa cenere cadde in quantità sul ponte di un vascello distante circa 2500 km. II lucente scintillio del cielo prima del sorgere del Sole e dopo il tramonto, causato dalla riflessione dei raggi del sole da parte delle particelle di ceneri vulcaniche, attirò l’attenzione del mondo intero, il fenomeno si manifestò improvvisamente nella settimana seguente l’eruzione ed interessò una fascia compresa tra le latitudini 15° N 15° S; successivamente si diffuse fino a coprire tutta la Terra.

La distribuzione su tutta la Terra delle ceneri prodotte dall’eruzione del Krakatoa, fornì importanti informazioni sulla circolazione negli strati superiori dell’atmosfera. Lo scintillio fu visto per la prima volta negli Stati Uniti a Yuma, in Arizona, il 19 ottobre (l’eruzione del Krakatoa si verificò il 26 agosto) e il 30 ottobre fu osservato negli Stati Uniti orientali. Nella notte del 30 ottobre il fenomeno fu particolarmente intenso e «a Poughkeepsie (New York) e a New Haven (Connecticut) si ricorse alle pompe antincendio per spegnere il cielo in fiamme». II fenomeno continuò a manifestarsi, con lucentezza di diversa intensità per mesi, presentandosi notevolmente più marcato durante i periodi secchi.

La nube ardente dell’eruzione del Mont Pelèe (collezione personale Santo Scalia)

Considerevoli abbassamenti delle temperature planetarie (Global cooling) si sono registrate nel 1888-90 in seguito all’eruzione del Bandai San, di Vulcano e di Bogjslof. Nel 1902 in seguito all’esplosione del Mt. Pelèe e de la Soufriere in Martinica e nell’isola di St. Vincent o nel 1912 in seguito all’eruzione del Katmai in Alaska, del Bezymiami (1956). Il clima rispecchia la media delle condizioni atmosferiche su una scala temporale vastissima, quindi, nonostante le imprecisioni con cui possiamo conoscere il comportamento dell’atmosfera, possiamo comprendere il clima studiando lunghe serie di osservazioni.

Siamo soliti pensare che il clima sia relativamente costante ma non occorre risalire molto indietro nel tempo per constatare che il clima che ha accompagnato la storia umana era molto diverso. Tra il 200 a.C. e 400 d.C. (ovvero per 600 anni) c’è stato il cosiddetto periodo caldo Romano, particolarmente caldo e umido in Europa e nel Mediterraneo. Secondo alcuni storici avrebbe addirittura favorito l’espansione di Roma. In Europa, il XIV, il XVII e il XVIII secolo sono stati molto più freddi del nostro clima. Tra il 1650 e il 1850 si è avuta una cosiddetta piccola glaciazione, che comportò grandi ripercussioni economiche e sociali a livello europeo con interi raccolti perduti e conseguenti carestie, che spesso portarono a guerre che hanno contrassegnato la storia europea.

Il Clima del pianeta Terra è una complessa macchina termodinamica il cui motore è dato dal calore del Sole. Parti fondamentali di questa “macchina” sono: la Terraferma, i mari e gli Oceani nonché l’Atmosfera e l’attività dei Vulcani. Parte del calore prodotto dall’attività termonucleare della nostra Stella, viene riflesso nello spazio dalle nubi, dalle masse nevose e dai ghiacciai nonché dalla presenza di ceneri vulcaniche sospese in atmosfera. Le grandi eruzioni vulcaniche che immettono enormi quantità di ceneri nella stratosfera contribuiscono a far abbassare la temperatura planetaria anche per anni. Anche attività umane come gli incendi delle grandi foreste presenti sui continenti nonché di diverse attività umane, che producono polveri che comunque, pur non raggiungendo la stratosfera, concorrono alle variazioni climatiche. Anche l’Anidride Carbonica lascia filtrare la radiazione solare incidente e blocca il calore riflesso dalla superficie del pianeta attraverso radiazione infrarossa con lunghezza d’onda minore della luce visibile e che viene assorbita dalla CO2.

Il vulcanologo Salvo Caffo accanto al cartello che illustra un esperimento sull’Etna dell’Agenzia Spaziale Tedesca

Dal XIX secolo ad oggi, la CO2 si è prevalentemente disciolta negli oceani, ma ha comunque contribuito, data la sua enorme presenza in atmosfera, a concorrere allo scioglimento dei ghiacciai polari con conseguenti aumenti dei livelli degli oceani e dei mari. La ricostruzione del clima del recente passato si basa su numerose fonti documentate: giornali di bordo compilati da ufficiali della marina britannica e conservati per secoli; registrazioni delle date e delle vendemmie conservati nei monasteri francesi; lo studio dello spessore e della sequenza e colore degli anelli di accrescimento degli alberi, solo per citarne alcune. Se avessimo potuto osservare il nostro pianeta dallo spazio, diciamo 20.000 anni fa, avremmo visto un’enorme massa di ghiaccio estesa su gran parte dell’Europa e del Nord America nonché ghiacciai che contornavano diverse montagne tropicali; un’immagine, molto differente dall’attuale. L’enorme massa d’acqua, sottratta agli oceani, ci avrebbe consentito di osservare aree che, oggi, si trovano a molte decine di metri (fino a 110), sotto il livello medio del mare.

Etna

Molte decine di volte, i ghiacciai, hanno coperto i continenti settentrionali e, presto o tardi, accadrà nuovamente. Il mondo ha conosciuto episodi glaciali, con periodi di freddo intenso ed estesi ghiacciai alternati a episodi interglaciali con clima come l’attuale. Lo studio dei depositi dei ghiacciai (Morene) ha consentito di ricostruire le diverse glaciazioni susseguitesi ciclicamente sulla Terra. Nel 1787, il geologo svizzero Kuhn, interpretò gli accumuli di detriti lasciati dal fronte di fusione dei ghiacciai, definiti morene, originatisi in seguito all’accumulo delle enormi masse rocciose erose per abrasione e trasportate dai ghiacciai e presenti sulle Alpi in luoghi molto distanti dai fronti dei ghiacciai, come prova che, nel passato remoto, le masse di ghiaccio fossero state molto più estese di quelle presenti nel XVIII secolo. Nel XIX secolo, vennero identificati simili depositi morenici in molti altri luoghi e nel XX secolo, furono descritte dai geologi, quattro glaciazioni alpine: Gunz, Mindel, Riss e Wurm, dai nomi dei luoghi dove per la prima volta erano state identificate le morene glaciali frontali. Poi furono identificate tracce di glaciazioni precedenti alle quattro descritte. Tralasciando le principali glaciazioni: la Proterozoica (2.3-2.7 miliardi di anni fa); Precambriana (600-800 milioni di anni fa); l’Ordoviciana (430-460milioni di anni fa); la Carbonifero-Permiana (260-360 milioni di anni fa); la Pleistocenica con punte nell’Olocene (3-40 milioni di anni); le glaciazioni più recenti sono state: la Günz (da circa 680 000 a 620 000 anni fa), la Mindel (da circa 455 000 a 300 000 anni fa), la Riss (da circa 200 000 a 130 000 anni fa) e la Würm (da circa 110 000 a 12 000 anni fa), separate da tre fasi interglaciali: (rispettivamente chiamate Günz-Mindel, Mindel-Riss e Riss-Würm) intercalate tra le quattro glaciazioni e, quindi, il periodo attuale è definito “postWürmiano“.

Diversi sono stati i periodi di avanzata e ritiro dei ghiacci, come risultato di oscillazioni di temperature dipendenti da variazioni della radiazione solare o dalla variazione della trasparenza dello spazio ai raggi solari. Questo può verificarsi per maggiore o minore presenza di polveri cosmiche o vulcaniche o per variazioni della distribuzione dell’intensità delle precipitazioni o per variazioni del comportamento termico dell’atmosfera, causata da mutamenti della sua composizione e per variabile contenuto di anidride carbonica e conseguente effetto serra o per fenomeni astronomici o geologici. Dalla fine dell’ultimo periodo glaciale ad oggi, i ghiacciai dell’Alaska, delle Alpi, della Scandinavia, delle montagne del Nord e Sud America, si sono ritirati e avanzati varie volte lungo le loro valli, lasciando una ricca documentazione geomorfologica e ambientale come gli alberi abbattuti durante le fasi di avanzata e i depositi morenici durante quelli di ritiro.

Due immagini 3 D del vulcano Empedocle

Nel Mar Mediterraneo e precisamente nel canale di Sicilia si sviluppa una regione vulcanica sottomarina situata tra la costa italiana e quella tunisina che comprende vulcani sottomarini: (Anfitrite; Cimotoe; Galatea; Madrepore; Banco Nerita; Banco di Pantelleria; Pinne; Banco Smyt I; Banco Smyt II, Banco terribile e Tetide). Il più famoso, l’Empedocle, è emerso per l’ultima volta nel 1863, dando vita per un breve periodo all’isola Ferdinandea. Dalla fine dell’eruzione, l’isola è stata erosa e oggi si trova a circa otto metri sotto il livello del mare (punto più alto dei cosiddetti Campi Flegrei della Sicilia). Tutte le eruzioni dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia sono avvenute sott’acqua, con l’eccezione di alcune di quelle di Empedocle: quelle del 1701, del 1831 e del 1863 sono state visibili sopra la superficie del mare. La prima eruzione documentata dei Campi Flegrei del Mar di Sicilia risale alla prima guerra punica (253 a.C.) quando i vulcani Empedocle e Pinne divennero attivi. La prima guerra punica fu decisa dalla battaglia delle Isole Egadi, il 10 marzo 241 a.C., vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo anche in seguito agli effetti che si determinarono in seguito all’attività del vulcani sottomarini del canale di Sicilia.

(Gaetano Perricone). Aggiungo solo pochissime parole a quelle che, spero, abbiate avuto la pazienza e il piacere di leggere in questo meraviglioso ed esemplare racconto, all’insegna della passione, della competenza, della multidisciplinarietà: lo faccio per ringraziare il mio carissimo amico e grande vulcanologo Salvo Caffo per questo splendido regalo al mio blog e ai suoi lettori, certamente super appassionati di vulcani.  Una vera e propria “lectio magistralis” ricca di riferimenti storici, oltre che di illuminanti spiegazioni scientifiche, su un argomento di estremo interesse e attualità, ma anche affascinantissimo

Con il titolo: Etnatomica, 4 dicembre 2015, la premiatissima foto di Giuseppe Famiani

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Le Guide dell’Etna rassicurano: nessuna problematica per le eruzioni, potete visitare il vulcano con noi, con tranquillità https://ilvulcanico.it/le-guide-delletna-rassicurano-nessuna-problematica-per-le-eruzioni-potete-visitare-il-vulcano-con-noi-con-tranquillita/ Tue, 16 Jul 2024 06:36:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25074 di Vincenzo Greco * Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun […]

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di Vincenzo Greco *
Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun disagio né alla popolazione locale né ai numerosi turisti, i quali vengono quotidianamente accompagnati lungo percorsi attentamente selezionati e situati a distanza di sicurezza dalle zone interessate dai fenomeni vulcanici.
L’attività del vulcano rientra nei normali cicli eruttivi caratteristici del vulcanismo etneo, e non presenta alcun aspetto eccezionale o anomalo. Questi cicli eruttivi, sebbene possano sembrare impressionanti, sono del tutto normali e gestiti con la massima attenzione e professionalità da parte delle autorità competenti.
Desideriamo rassicurare tutti i potenziali visitatori che le nostre escursioni sono pianificate con scrupolosa cura e in stretta collaborazione con esperti vulcanologi, garantendo così un’esperienza sicura e affascinante. Il fenomeno delle eruzioni, oltre a non rappresentare alcun pericolo imminente, offre uno spettacolo naturale di straordinaria bellezza, in grado di affascinare tutti coloro che decidono di affidarsi a noi per vivere questa avventura unica.
Pertanto, invitiamo chiunque sia interessato a visitare l’Etna a farlo con tranquillità, certi che la sicurezza e il benessere dei nostri ospiti sono la nostra priorità assoluta.
* Guida Vulcanologica Etna Nord 
L’ultimo comunicato dell’INGV O.E. dopo l’attività di stanotte, all’alba di oggi 16 luglio 2024
COMUNICATO DI ATTIVITA’ VULCANICA del 2024-07-16 04:16 (UTC) 06:16 ora locale
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, comunica che dall’analisi delle telecamere di sorveglianza si è osservato che l’attività di fontana di lava del Cratere Voragine [che nella notte ha prodotto una colonna eruttiva alta circa 6000 m s.l.m. che si è propagata in direzione Est con segnalazione di ricaduta di cenere negli abitati di Viagrande e Acicastello] si è gradualmente esaurita per poi cessare intorno alle 00:10 UTC, mantenendo una modesta attività stromboliana sino alle 03:00 circa UTC. Per ciò che riguarda la colata lavica [attività cominciata stanotte e che è tracimata dall’orlo nord occidentale del cratere Bocca Nuova con il fronte a una quota di 3000 m slm circa.prodotta nel corso dell’evento di fontana] appare ancora debolmente alimentata. Dal punto di vista sismico, l’ampiezza media del tremore vulcanico, dopo aver raggiunto i valori massimi tra le 19:40 e le 23:00 UTC di ieri, ha quindi mostrato un trend in decremento ed alle 03:30 UTC circa ha raggiunto l’intervallo dei valori medi, ove tuttora permane. Le sorgenti del tremore sono confinate nell’area dei crateri sommitali ad una elevazione di circa 3000 m sopra il livello del mare. L’attività infrasonica è bassa, con eventi localizzati prevalentemente al cratere di sud-est. Per quanto riguarda le deformazioni del suolo, a partire dalle 00:00 UTC non si registrano variazioni significative.
Con il titolo e nella gallery: le meravigliose immagini di Vincenzo Greco dell’ultima attività dell’Etna

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Sua Altezza l’Etna! Storia delle vette regine del vulcano Patrimonio dell’umanità https://ilvulcanico.it/sua-altezza-letna-storia-delle-vette-regine-del-vulcano-patrimonio-dellumanita/ Thu, 11 Jul 2024 04:32:29 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25043 di Santo Scalia “Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record. Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di […]

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di Santo Scalia

Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record.

Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di tre anni, infatti, all’interno del cratere denominato La Voragine è cominciata una moderata attività di spattering; un conetto di scorie ha iniziato a manifestare una allegra attività di lancio di scorie incandescenti che è andata intensificandosi nel corso delle successive settimane.

L’accumulo di scorie ha generato un piccolo cono piroclastico che ha raggiunto alcune decine di metri di altezza. L’attività eruttiva, che ha prodotto anche una colata di lava che si è riversata all’interno del vicino cratere Bocca Nuova, è cresciuta fino a raggiungere lo stato di parossismo, con altissime fontane di lava ed una colonna eruttiva di parecchi chilometri di altezza.

Grafico del tremore vulcanico registrato alla stazione Cratere del Piano (ECPN) dall’Ingv

Un nuovo episodio parossistico si è manifestato la mattina del 7 luglio: a riattivarsi è stato lo stesso cratere all’interno della Voragine. Al termine dell’attività, i depositi piroclastici aggiuntisi a quelli del parossismo precedente, hanno fatto sì che il nuovo valore dell’altezza del vulcano abbia raggiunto i 3.369 metri s.l.m. (3). Va detto però che tale valore è stato ottenuto «secondo i rilievi effettuati da drone […]. Le classiche tecniche topografiche, in particolare quelle più accurate, non sono utilizzabili in ambienti pericolosi come l’area craterica sommitale etnea di questi giorni, dovendo ridurre al minimo il tempo di permanenza in alta quota del personale. I droni riescono a superare queste difficoltà, poiché possono essere pilotati da zone relativamente sicure e permettono il rilievo di aree anche molto ampie».

Il Cratere di Sud-Est (a sinistra) ed il Cratere di Nord-Est (a destra). La seconda e la terza cima sull’Etna (Foto S. Scalia)

In precedenza il punto più alto dell’intero vulcano era rappresentato dal Cratere di Sud-Est (o SEC), il più giovane dei crateri terminali etnei: nato nel 1971 come uno sprofondamento, si è clonato creando un nuovo cono parallelo (per anni denominato Nuovo Cratere di Sud-Est o NSEC), ha generato parecchie nuove bocche (quella orientale e quella detta della Sella), e si è ricompattato in un unico cono ed è cresciuto fino a raggiungere l’altezza di 3.357 metri. Ha impiegato quasi di mezzo secolo, ma è stato il più alto di tutti per quasi tre anni.

Ancor prima, il Nord-Est, (nato il 27 maggio 1911) – di 60 anni più anziano del Sud-Est (nato il 18 maggio 1971) – ha detenuto il record di altezza a partire dal 1978, con i 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate dallo stesso cratere tra il 1977 ed il 1978.

Ma andiamo un po’ indietro nel tempo: per i greci l’Etna era tanto alto da raggiungere il cielo, anzi, era una “colonna del cielo” (cfr. Pindaro, Ode Pitica Ia, 518 – 438 a.C).

Nel 1558 il monaco domenicano Tommaso Fazello, nella sua opera De rebus siculis decades duæ scriveva: «Celsior est cæteris, qui sunt in Siciliæ, montibus. […] Est enim altitudinis p.m. supra 30 […]», la cui traduzione rileviamo dall’edizione palermitana del 1830: «Egli è più alto di tutti gli altri monti che sono in Sicilia. […] È d’altezza più di trenta miglia […]», valore confermato anche da Don Pietro Carrera nel suo Il Mongibello descritto in libri tre del 1636.

«Ascensum triginta circiter millia passuum ad plus habet» è la stima secondo Filoteo degli Omodei nell’Ætnæ topographia, incendiorumque Ætnæorum historia del 1591. Qualche secolo dopo, nel 1793, l’abate Francesco Ferrara, nell’opera Storia generale dell’Etna ci informa del valore dell’altezza del monte, pari a «[…] circa 1610 tese sulla superficie del mare vicino».

Una misura più “scientifica” l’abbiamo nel 1815 dal canonico Giuseppe Recupero che dedica un paragrafo alla «Altezza assoluta di Mongibello determinata col Quadrante geometrico»: «secondo la nostra canna d’architettura due mila duecento ottantacinque canne e sei palmi, che ridotte in tese parigine vengono a fare due mila trecento venti sei  tese, e quattro piedi» (vedi Storia naturale e generale dell’Etna, cap. IV).

Carta volcanologica e topografica dell’Etna di Émile Chaix – 1892 (dalla BNF)

Nel 1892 il geografo Émile Chaix (1856 – 1924) realizzò una Carta volcanologica e topografica dell’Etna nella quale il punto più alto dell’Etna viene posto al Gran Cratere (allora ce n’era solo uno!) ad una altezza di 3313 metri, valore riportato uguale l’anno dopo nella carta di Wagner & Debes.

Carta IGM in scala 1:50.000 (1895)

Nel 1895 l’Istituto Geografico Militare italiano – IGM – nella carta in scala 1:50.000 indica un valore di 40 metri inferiore, pari a 3273 metri.

Il valore rimane praticamente invariato nella carta del 1919 edita dal Touring Club Italiano (3274 metri) mentre scende a 3263 nella carta IGM in scala 1:25000 del 1932.

il Cratere di Nord-Est, il punto più alto dell’Etna dal 1978 al 2021 (foto S. Scalia)

Il 1964 è un anno di grande fermento per la sommità dell’Etna: nel corso degli episodi eruttivi di aprile e luglio si genera un nuovo cratere, il cosiddetto Cratere del ’64, che diviene il nuovo punto di massima altezza con 3323 metri. Tale misura verrà indicata  invariata nelle carte topografiche dell’ IGM 1:25.000 del 1969 e 1:50.000 (a colori) del 1983, oltre che nella carta del Touring Club Italiano del 1984. Queste ultime due non avevano ancora recepito il nuovo valore raggiunto dal Cratere di Nord-Est, che già, a partire dal 1978, era divenuto il punto più alto dell’Etna, con i suoi 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate tra il 1977 ed il 1978.

Successivamente, in seguito a vari crolli avvenuti lungo gli orli del cratere di Nord-Est, il valore dell’altezza era man mano divenuto inferiore, fino a raggiungere i 3326 nel 2018 e infine 3320 metri nel 2019.

Riferimenti:

  • Etna: il ritorno in scena della Voragine (A.I.V. 2 luglio 2024)
  • Quando La Voragine fa sul serio: gli episodi parossistici del 4-5 e 7 luglio 2024 (A.I.V. 8 luglio)
  • La Voragine fa la voce grossa … e diventa la nuova vetta dell’Etna! (INGV vulcani 10 luglio 2024)

Con il titolo: la nuova cima dell’Etna: 3.369 metri (attenzione: la prospettiva inganna…)

 

 

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I Campi Flegrei sulla rivista dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) https://ilvulcanico.it/i-campi-flegrei-sulla-rivista-dellassociazione-vulcanologica-europea-l-a-v-e/ Wed, 03 Jul 2024 06:03:07 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24998 di Santo Scalia I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia. L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed […]

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di Santo Scalia

I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia.

L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed espone le caratteristiche storiche e vulcanologiche della conosciutissima area campana.

Il titolo a pag. 14 della Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 del luglio 2024)

La conoscenza e la competenza del Prof. Tanguy (ricercatore di vulcanologia presso l’Université Paris VI e l’Istituto di Fisica del Globo di Parigi) hanno arricchito di contenuti la traccia da me proposta e che espongo nelle righe seguenti.

*  *  *

Ad ovest della città di Napoli, nel golfo di Pozzuoli, si trova una vasta area denominata Campi Flegrei. L’attributo flegrei (ϕλεγραῖος, “ardente”) fu utilizzato già dai primi coloni greci, a causa delle particolari manifestazioni naturali che ivi accadevano.

Nei Campi Flegrei gli antichi greci ravvisarono le tracce tangibili della sconfitta subita dai Giganti, che dopo aver tentato di scalare l’Olimpo – nella mitologica Gigantomachia –furono ivi precipitati dal vittorioso Zeus.

Il geografo greco Strabone di Amasea (vissuto all’incirca tra il 63 a.C. ed il 23 a.C.), nel capitolo IX del libro V della sua opera Geografia, descrivendo la regione campana infatti così scriveva: «[…] i Romani vi collocarono una colonia, e cambiarono il suo nome in Puteoli, a causa  dei pozzi che sono abbondanti nelle vicinanze, o secondo altri, per la puzza che mandano le acque in tutto l’area che si estende fino a Baja ed al territorio di Cuma, pieno di solfo, di fuoco e di acque calde. E alcuni tengono che per questo motivo il territorio di Cuma sia stato detto Flegreo; e che questi fuochi e queste acque calde abbiano dato luogo a ciò che si racconta dei Giganti colpiti dal fulmine e atterrati in quella regione» (traduzione dell’A. da Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 – BNF).

E poco dopo Strabone aggiunge: «Appena sopra la città si eleva un altopiano conosciuto col nome di  Forum Vulcani e circondato su tutti i lati da colline vulcaniche, da cui escono densi vapori estremamente fetidi attraverso numerose bocche: inoltre tutta la superficie di questo altopiano è ricoperta di zolfo in polvere, apparentemente sublimato dall’azione di questi fuochi sotterranei» (1).

La vasta area denominata Campi Flegrei, una “caldera con vulcani monogenici”, «[…] non è un vulcano con un cratere centrale, ma un insieme di numerosi coni, distribuiti all’interno e sui bordi di un’area quasi circolare, ampia circa 12×15 km» (3). Dal punto di vista della tettonica la sua origine deriverebbe dall’interazione tra l’apertura del Mar Tirreno e la microplacca Adriatica (4).

All’interno della caldera si trovano località molto conosciute, come Agnano, il Lago d’Averno, il cratere degli Astroni, la famosissima Solfatara, il Monte Nuovo ed altre ancora. E, sempre all’interno della caldera, si trovano anche diverse migliaia di abitanti!

Tra 40.000 e 36.000 anni fa (mille più, mille meno!), quando fortunatamente l’area non era così densamente popolata come lo è adesso, ma era presumibilmente abitata da pochissimi esemplari di Homo Sapiens, nell’area flegrea avvenne la più catastrofica eruzione mai avvenuta nel bacino del Mediterraneo, almeno nel corso dell’ultimo milione di anni (5). Probabilmente in seguito all’arrivo di nuovo magma nella riserva sotterranea, una repentina espulsione di materiale concomitante al collasso della sommità di uno stratovulcano causò delle enormi esplosioni che produssero ceneri e pomici che dilagarono in numerosi flussi piroclastici.

E’ questa l’attività che generò la cosiddetta Ignimbrite Campana, detta anche Tufo Grigio Campano, un deposito che mostra uno spessore variabile tra i 20 ed i 30 metri, su una superficie di oltre 7.000 km2; tale deposito oggi si ritrova in tutta la piana campana, fino all’Appennino, e financo a Salerno oltre la penisola Sorrentina! Attività così violente come quella appena descritta, per fortuna, non si sono più manifestate in tempi storici.

A quell’epoca non si era ancora formato il Monte Vesuvio; tralasciando le successive attività quali quelle avvenute a Vivara e Fiumicello nell’area dell’isola di Procida, un’altra attività importante si è avuta tra 15.000 e 12.000 anni fa: certamente non paragonabile a quella dell’Ignimbrite Campana, questa, detta del Tufo Giallo Napoletano, interessò comunque tutta l’area dei Campi Flegrei e, più ad est, del Golfo di Napoli, avendo sparso una ventina di km3 di magma su un’area di oltre 350 km2.

In tempi successivi, fino a circa 1.500 anni fa, un gran numero di coni vulcanici sono sorti all’interno della caldera dei Campi Flegrei: Pisani, Montagna Spaccata, Gauro, Miseno, Nisida; alcuni di questi sono stati in parte già smantellati dall’azione delle onde marine; successivamente apparvero altri centri eruttivi, Agnano, Monte Spina, Solfatara, Astroni, Averno ed altri ancora.

In tempi storici, l’area flegrea divenne sede di numerosi miti. Virgilio, ad esempio, pose l’accesso agli inferi proprio presso il Lago d’Averno: il nome del lago, infatti, sta a significare “senza uccelli”, in quanto quelli che inavvertitamente si trovavano a volarvi sopra cadevano morti, a causa dei vapori mefitici che si sprigionavano dalla sua superficie.

L’ultima eruzione: 1538

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: già da una trentina d’anni un notevole innalzamento della costa in prossimità di Pozzuoli segnava uno dei fenomeni precursori di una possibile attività eruttiva. Negli ultimi due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era anche intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi (6), le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua, che caddero anche a Napoli.

Monte Nuovo ed il Lago d’Averno oggi (Foto Jean-Claude Tanguy)

La gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri.

Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio. Infine, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate (3).

La Solfatara

La Solfatara di Pozzuoli è probabilmente il più conosciuto dei vulcani dei Campi Flegrei. Vicinissimo a luoghi storici quali le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma, l’ Anfiteatro Flavio e il Tempio di Serapide, presenta fenomeni che denotano immediatamente la sua natura vulcanica, quali le fumarole, le mofete ed i vulcanetti di fango ribollente.

Immagine aerea della Solfatara (Foto Jean-Claude Tanguy)

Il luogo rappresentò una visita obbligatoria per i viaggiatori del “Grand Tour, ed in seguito fu un’ambientazione unica e fantastica per scene di tanti film. Purtroppo è stata anche sede di una terribile tragedia, in seguito alla quale fu determinata la sua chiusura al pubblico: il 12 settembre del 2017, un bambino di 11 anni, sfuggito al controllo dei genitori, è caduto in una voragine nei pressi della cosiddetta fungaia; nel tentativo di salvarlo, a causa delle esalazioni, anche padre e madre sono morti per asfissia.

Di recente sono stati eseguiti dei lavori per rendere sicura la visita della Solfatara, in vista di una sua restituzione alla fruizione del pubblico. Purtroppo il perdurate del trend crescente del bradisismo, e la notevole sismicità nell’area flegrea, ne hanno, per adesso, sconsigliato la riapertura.

Il bradisismo

L’area flegrea incentrata attorno alla città di Pozzuoli è, storicamente, interessata da notevoli fenomeni bradisismici, movimenti lenti di deformazione del suolo, strettamente correlati con la presenza di magma sotto la caldera e con i suoi spostamenti.

Nel periodo che va dal 1982 al 1984 una crisi bradisismica, caratterizzata anche da un’intensa sismicità, apportò gravi danni ad alcuni edifici di Pozzuoli. Precedentemente, tra il 1970 ed il 1972, l’area flegrea (in particolare l’area di Pozzuoli) è stata interessata da crisi bradisismiche che causarono un sollevamento totale di circa 3.5 metri, al quale seguì l’abbandono dell’area del Rione Terra.

La situazione oggi

Variazioni di quota (in cm.) della stazione RITE (Pozzuoli – Rione Terra) dal 2000 al maggio 2024 (7)

Dopo le crisi degli anni ’70 e ’80 si è avuto un periodo di generale subsidenza che, a partire dal 2005, ha presentato un’inversione del fenomeno, determinando un costante sollevamento del suolo, tutt’ora in atto.

Come mostra chiaramente il grafico pubblicato dalla Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano (nel Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024), nel periodo temporale che va dal 2005 al 2024, si registra un costante innalzamento che sfiora i 130 cm. alla stazione del Rione Terra di Pozzuoli.

Attualmente, come indicato nella pagina web dell’Osservatorio Vesuviano, il livello di allerta è “giallo” (https://www.ov.ingv.it/index.php/flegrei-stato-attuale ).

Recentemente il ministro per la Protezione civile italiana, Nello Musumeci, ha affermato: «L’attività vulcanica connessa al bradisismo appare in costante evoluzione. Non si esclude che, se dovesse perdurare tale situazione, si possa passare al livello di allerta arancione».

Bisognerà essere pronti a reagire velocemente nel caso in cui i parametri, costantemente monitorati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dovessero presentare significative variazioni, tali da lasciar presumere che la probabilità di una prossima attività eruttiva possa notevolmente aumentare.

Nel caso di una attività eruttiva nell’area, tutto dipenderà non soltanto dal momento in cui accadrà, ma dalla sua tipologia, dallo sviluppo dell’eruzione, dalla sua intensità ma soprattutto dal luogo in cui si aprirà un eventuale nuovo cratere.

Bibliografia (citata nel testo)

  • Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 (BNF)
  • Cosmographie Universelle d’André Thevet, Vol. 1, 1575 (BNF)
  • Vulcani d’Italia, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 2007
  • Dictionnaire des Volcans, J.C. Tanguy e D. Decobecq, Gisserot 2009
  • Volcanoes of Europe, D. Jerram, A. Scarth e J.C. Tanguy, Dunedin 2017
  • Dell’incendio di Pozzuolo nel MDXXXVIII, Delli Falconi Marco Antonio, Napoli 1538
  • Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024 – A cura della Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano

Letture consigliate:

  • I Campi Flegrei, G. De Lorenzo, 1909
  • La solfatara di Pozzuoli – vulcano, M. Sirpettino, Franco di Mauro 1990
  • Campi Flegrei, Campania Felix, il Golfo di Napoli tra storia ed eruzioni, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, Campania Felix, Guida alle escursioni dei vulcani napoletani, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, A Restless Caldera in a Densely Populated Area, AA.VV. 2022
  • Campi Flegrei – storie di uomini e vulcani, L. Giacomelli e R. Scandone, 2023

Con il titolo: Napoli e la caldera dei Campi Flegrei (Wikimedia Commons, pubblico dominio)

 

 

 

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Campi Flegrei, Islanda, il lavoro delle guide e tanto altro. Dal 21 al 23 giugno ritorna a Trecastagni il “Festival Vulcani” https://ilvulcanico.it/campi-flegrei-islanda-il-lavoro-delle-guide-e-tanto-altro-dal-21-al-23-giugno-ritorna-a-trecastagni-il-festival-vulcani/ Mon, 17 Jun 2024 06:03:42 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24973 di Giuseppe Riggio*  Tre serate completamente dedicate al mondo affascinante e inquietante dei vulcani della Terra. Abbiamo avviato il progetto l’anno passato, dopo esserci convinti che crateri, colate e le vite degli uomini collegati a questi ambienti fuori dal comune meritassero una manifestazione a loro completamente dedicata. E ovviamente non c’è posto migliore, in Italia […]

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di Giuseppe Riggio* 

Tre serate completamente dedicate al mondo affascinante e inquietante dei vulcani della Terra. Abbiamo avviato il progetto l’anno passato, dopo esserci convinti che crateri, colate e le vite degli uomini collegati a questi ambienti fuori dal comune meritassero una manifestazione a loro completamente dedicata. E ovviamente non c’è posto migliore, in Italia e in Europa, dell’Etna per trattare questi argomenti.

Il programma del Festival Vulcani 2024

Ecco perché abbiamo deciso, con la Fondazione Trecastagni patrimonio dell’Etna, presieduta da Giovanni Barbagallo, di scommettere sul progetto “Festival Vulcani”, che si svolgerà per il secondo anno nel centro storico di Trecastagni, dal 21 al 23 giugno. I territori vulcanici sono l’oggetto esclusivo della manifestazione, ma non solo per quanto riguarda gli aspetti strettamente vulcanologici (che pure saranno presenti con la garanzia del patrocinio conferito dall’INGV e la presenza di docenti dell’Università di Catania), ma anche in riferimento al variegato mondo delle attività che si svolgono in territori apparentemente ostili.

È noto che nel Medioevo i vulcani erano considerate le porte d’ingresso agli Inferi e che da Empedocle in poi migliaia di studiosi in tutto il mondo hanno continuato a interrogarsi su quanto avviene nelle profondità della Terra. Ancora oggi, al tempo dell’intelligenza artificiale, un tema di grande attualità resta la prevedibilità delle attività vulcanica. Ne parleremo, sabato 22 giugno, al Festival con un ospite d’eccezione, Mauro Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV che in questi mesi viene continuamente interrogato proprio sulla possibilità di indovinare per tempo possibili risvegli dei temuti, e sempre più tellurici Campi Flegrei.

Ma anche sull’Etna, dove il vulcano attraversa una fase di relativa calma, rispetto agli spettacolari parossismi degli anni scorsi, non mancano certo temi “caldi” su cui interrogarsi, a partire dai cambiamenti significativi che stanno avvenendo nella professione di guida. Una nuova, nutritissima schiera di giovani sta entrando in questa professione che un tempo forniva ai suoi pochi praticanti fama internazionale e che oggi rischia invece di portare sull’Etna masse di turisti desiderosi di provare nuove adrenaliniche “esperienze”. Abbiamo chiesto a Giuseppe Distefano, che è bravissimo e acuto video maker, di fornirci un suo contributo su questo delicato tema, e porremo questo suo mini-documentario inedito al centro della serata di venerdì 21.

Ma la comunità internazionale che segue le turbolenze dei vulcani del nostro pianeta è attratta da mesi anche dalla sequenza delle eruzioni in Islanda. Una cittadina è stata recentemente parzialmente raggiunta dalle colate e una lunga fenditura si è più volte riattivata a pochi chilometri dalla famosa Laguna Blu, facendo temere che si possa dare il via a un ciclo lunghissimo di attività, così come già avvenuto nei secoli passati. Anche di questo parleremo al Festival Vulcani Etna 2024 grazie a Marco Di Marco, giornalista e guida catanese che da anni risiede a Reykjavik e che ci manderà un video appositamente realizzato. E c’è molto altro ancora nel contenitore del Festival, che da quest’anno guarda anche all’enologia con un seminario dedicato alle terre vulcaniche e degustazioni comparate fra Etna e Campi Flegrei curato da ONAV e Tenute Nicosia, ma anche al modo in cui il cinema ha raccontato i vulcani siciliani.

*Direttore Festival Vulcani Etna

Con il titolo e nell’articolo, immagini dalla prima edizione del Festival Vulcani lo scorso anno

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Il Sole tuona contro la terra. Le immagini e la voce della spettacolare tempesta https://ilvulcanico.it/il-sole-tuona-contro-la-terra-le-immagini-e-la-voce-della-spettacolare-tempesta/ Tue, 21 May 2024 12:44:22 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24934 di Rosario Catania “La Terra morirebbe se il Sole smettesse di baciarla (Hafez)” Stella madre del sistema solare, attorno alla quale orbitano otto pianeti principali, tra cui la Terra, pianeti nani e innumerevoli corpi minori. Il Sole, la cui massa è 323000 volte quella della Terra, ci dona ogni giorno luce e calore, insomma accende […]

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di Rosario Catania

“La Terra morirebbe se il Sole smettesse di baciarla (Hafez)”

Stella madre del sistema solare, attorno alla quale orbitano otto pianeti principali, tra cui la Terra, pianeti nani e innumerevoli corpi minori. Il Sole, la cui massa è 323000 volte quella della Terra, ci dona ogni giorno luce e calore, insomma accende la vita!

Figura 1 – Il Sole sorge la mattina del 14 ottobre 2023 sul mar Ionio, un nuovo giorno (autore Rosario Catania)

Il Sole

La sua fornace brucia idrogeno da 5 miliardi di anni, e continuerà a farlo per molto tempo ancora, producendo calore, particelle e radiazioni di ogni tipo, che vengono trasportate dal vento solare a velocità notevoli raggiungendo facilmente gli 800 Km al secondo durante le tempeste, ma anche luce sotto forma di fotoni, che obbediscono alla famosa equazione di Albert Einstein E=mc2, viaggiando a quasi 300000 Km al secondo, per raggiungere dopo 8 minuti, il nostro pianeta e i nostri occhi. E’ un corpo celeste in rotazione, impiega mediamente 25 giorni per un giro completo, e la sua attività segue un certo ritmo, conosciuto come ciclo solare, basato sulla maggiore o minore presenza di macchie solari sulla sua superficie, prodotte a loro volta dalla maggiore o minore attività magnetica all’interno della stella. La macchia, che può essere visibile già con un piccolo telescopio opportunamente filtrato, è di fatto una regione del Sole che ha una temperatura più bassa ma rappresenta l’impronta visibile ai nostri occhi della presenza e della forza del campo magnetico della nostra stella.

Figura 2 – Gruppo di macchie solari (autore Rosario Catania)

Secoli di osservazioni mostrano, a partire dagli inizi del 1600, che il numero di macchie solari varia periodicamente: circa ogni 11 anni il numero di macchie e l’intensità dell’attività solare raggiungono un picco, tuttavia, prevedere quando si verificherà questo picco non è cosa semplice, ma il ciclo n.25 cominciato a fine 2019 raggiungerà il suo massimo durante il 2024.

Figura 3 – Predizione del Ciclo Solare 25 – Numero di macchie solari (fonte Nasa/Noaa)

Un modo per indagare il Sole

Da oltre 10 anni presso la sede dell’Ex Monastero benedettino di San Nicolò La Rena di Nicolosi, grazie alla disponibilità e collaborazione del Parco dell’Etna, esiste una stazione di ascolto ed elaborazione dei segnali radio naturali, ideata e installata dal team di E.R.O. ERO Etna Radio Observatory, dove alcuni sensori autocostruiti, nello specifico magnetometri, permettono di registrare le bassissime frequenze delle onde radio (ULF Ultra Low Frequency) , talmente basse da rilevare le minime perturbazioni del campo magnetico terrestre.


Figura 4 – Parte del team di E.R.O. Etna Radio Observatory (autore Rosario Catania)

Nel 2024 il team di E.R.O. ha realizzato un nuovo magnetometro più sensibile capace di registrare le minime perturbazioni del campo magnetico terrestre, anche quelle che hanno origine spaziale, come le tempeste solari, utilizzando materiali comuni come ferro, rame e plastica, ma con criteri e rigore scientifico.

Figura 5 – Realizzazione e test del magnetometro coil EC200 presso la sede del Parco dell’Etna  (autore Rosario Catania)

Grazie allo studio dei segnali ULF, è possibile comprendere fenomeni relativi alla fisica della magnetosfera e della ionosfera terrestre, e la dinamica delle strutture interne della Terra. Proprio quest’ultimo aspetto è l’obiettivo primario della stazione, che trovandosi alle pendici del vulcano Etna, tra i più attivi al mondo, ha a disposizione un laboratorio naturale eccellente, in cui indagare fenomeni tettonici e vulcanici.

 

Quando il Sole tuona contro la Terra

La Terra è dotata di un suo campo magnetico che risente moltissimo di ciò che avviene sul Sole, che produce costantemente flussi di particelle cariche, che in condizioni normali, scorrono lontano dal nostro pianeta protetto dalla magnetosfera.

Figura 6 – Rappresentazione artistica dell’interazione Sole-Terra protetta dalla magnetosfera (fonte ESA Multimedia)

Ma in alcuni casi può capitare che il Sole produca un’espulsione di massa coronale, ovvero esplosioni che interessano gli strati più esterni e che lanciano le particelle cariche ad altissima velocità nello spazio. In particolari condizioni, e quando la direzione di espulsione è diretta verso la Terra, queste possono finire con l’investire la magnetosfera, con una energia tale, da produrre effetti diretti sul campo magnetico terrestre, dalle 24 alle 36 ore successive all’evento stesso di espulsione.

Questo fenomeno è noto come tempesta solare, ha carattere temporaneo (dura da 24 a 48 ore)  ed è rilevabile dai magnetometri in ogni punto della Terra. Una delle sue manifestazioni più note sono le aurore polari, bande luminose che assumono un’ampia gamma di forme e colori, rapidamente mutevoli di solito di colore rosso-verde-azzurro e i più rari SAR “archi aurorali rosso stabile” (SAR – Stable Auroral Red arc) con la prevalenza di colore rosso.

Figura 7 – Alba con Aurora boreale a Dyrholaey (autore Giancarlo Tine’)

Un evento che rimarrà nella storia dell’Etna

La notte tra il 10 e l’11 maggio 2024 è stata segnata da un evento straordinario che ha illuminato i cieli d’Italia fino a sud, e di una vasta parte dell’intero pianeta, con uno spettacolo di luci, raramente osservato a certe latitudini. Sull’Etna il fenomeno ha regalato un’esperienza indimenticabile, con il cielo notturno e il paesaggio vulcanico che si sono mescolati in una sinfonia di colori e di ombre; uno spettacolo che ha colto tutti di sorpresa. Paragrafando una frase del fotografo e amico cacciatore di aurore, Giancarlo Tinè: “L’ho inseguita alle Lofoten, in Islanda, nel grande nord, ma mai avrei immaginato di ammirarla da casa mia, sopra la mia amata Etna. E’ tutto vero non è un sogno!

Figura 8 – SAR ripreso alle prime ore dell’11 maggio 2024 (autore Giancarlo Tinè)

 

Il successo di E.R.O.

Anche la stazione della rete E.R.O. ha registrato delle fluttuazioni del campo magnetico terrestre, rilevando le pulsazioni geomagnetiche, che non erano state causate dall’attività del vulcano, ma dalla tempesta solare (rilevate anche in altri osservatori che utilizzano magnetometri), ed in particolare dall’ espulsione di massa coronale diretta verso la Terra. Nello specifico il magnetometro di E.R.O. ha registrato un segnale a bassissima frequenza, da cui è stato ricavato uno spettrogramma multicolor che mostra il contenuto in frequenza nel tempo, e grazie al lavoro di un team di esperti INGV-E.R.O., questo stesso segnale è stato tradotto in segnale audio opportunamente accelerato (500x), per portare le frequenze a valori udibili dall’orecchio umano. Il risultato, riportato in un video è la voce della tempesta e dello spettacolo luminoso a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere. Mentre al seguente link del canale Youtube di E.R.O. un timelapse di pochissimi secondi che racchiude 21 minuti di registrazione, ma accelerata, in cui è visibile il SAR.

Figura 9 – Spettrogramma della registrazione del magnetometro dalle 22:00 UTC del 10.05.2024 alle 06:00 UTC del 11.05.2024. La porzione in basso è un dettaglio delle frequenze tra 0 e 4 Hz ed i numeri indicano la sequenza delle tre pulsazioni geomagnetiche (fonte E.R.O.)

 

Figura 10 – Dettaglio delle Pulsazioni elaborate da PC (fonte E.R.O.)
Figura 11 – Frame del video timelapse registrato tra le 00:20/00:31 ora locale dell’Etna, del giorno 11.05.2024, dalla webcam della Stazione Paolo Lanza (Stazione di misura a microonde), puntata verso la zona sommitale del vulcano e disponibile nel canale YouTube di E.R.O., che ha registrato il SAR sui cieli dell’Etna (fonte E.R.O.)

 

 

 

La Natura ci parla

Sta a noi ascoltarla, ma per riuscirci, bisogna farlo nel modo giusto, con tecniche adeguate, conoscendo le dinamiche fisiche che caratterizzano sia le attività spaziali che del nostro pianeta. Ciò che è capitato la notte tra il 10 e l’11 maggio permette di comprendere da un lato la potenza della nostra stella e dall’altro come sia complesso  il meccanismo che ci permette di vivere su questo pianeta, senza essere investiti quotidianamente da particelle che risulterebbero letali senza la protezione della struttura magnetica della Terra.

Conduciamo le nostre vite, oggi frenetiche, pensando quasi esclusivamente a ciò che percepiscono i nostri sensi, ma eventi estremi come quello occorso (ma potrebbero essere più severi), ci fanno riflettere su quanto siamo fortunati a godere di queste condizioni “spaziali”, e mi riferisco a tutto, dal poter respirare grazie all’atmosfera, alla protezione dalle tempeste solari, passando dalle milioni di meteore minori e polveri cosmiche che costantemente bombardano il nostro pianeta.

La tempesta solare del 10-11 maggio, che quest’anno è caduta in prossimità della festa della mamma (domenica 12 maggio) e da cui prenderà probabilmente il nome (), ci ricorda di rispettare il nostro pianeta e madre Natura, che ci dona spettacoli come le aurore, ma con il Sole che tuona contro di noi come un monito, mostrando la sua forza a cui, noi umani, non possiamo opporre alcuna resistenza…

Il Sole sorge e tramonta, segnando ogni giorno il nostro tempo

Con il titolo: l’aurora boreale sull’Etna, la bellissima foto di Giancarlo Tinè, il fotografo “cacciatore di aurore”. Le altre sue nella gallery. A Giancarlo un ringraziamento particolare dal blog IlVulcanico.it e dal suo autore, è un piacere e un prezioso arricchimento ospitare i suoi scatti 

 

 

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Etna, uno studio svela l’eruzione “nascosta” del 21 maggio 2023. L’importanza delle indagini sul terreno, oltre al monitoraggio da remoto https://ilvulcanico.it/etna-uno-studio-svela-leruzione-nascosta-del-21-maggio-2023-limportanza-delle-indagini-sul-terreno-oltre-al-monitoraggio-da-remoto/ Wed, 08 May 2024 06:24:03 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24922 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa/ Uno studio recentemente pubblicato su Remote Sensing ha caratterizzato l’eruzione “nascosta” dell’Etna, identificata dal sistema di monitoraggio dell’INGV ma resa invisibile dalle nuvole Un’eruzione vulcanica avvenuta durante una tempesta di neve sul finire di maggio  ha generato un flusso piroclastico rimasto “inosservato” per circa 10 giorni, fino a quando le condizioni meteo sono […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa/

Uno studio recentemente pubblicato su Remote Sensing ha caratterizzato l’eruzione “nascosta” dell’Etna, identificata dal sistema di monitoraggio dell’INGV ma resa invisibile dalle nuvole

Schema grafico della pubblicazione.

Un’eruzione vulcanica avvenuta durante una tempesta di neve sul finire di maggio  ha generato un flusso piroclastico rimasto “inosservato” per circa 10 giorni, fino a quando le condizioni meteo sono migliorate e ai ricercatori è stato possibile accedere alle aree sommitali del vulcano.

Sembrerebbe letteratura ma è quanto è accaduto lo scorso 21 maggio 2023 sull’Etna, come descritto nello studio “A Hidden Eruption: The 21 May 2023 Paroxysm of the Etna Volcano (Italy)” realizzato da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università Sapienza di Roma, dell’Università degli Studi dell’Aquila e dell’Università degli Studi di Cagliari. “Il nostro lavoro, oltre a descrivere scientificamente l’evento eruttivo che ha interessato il cratere di Sud-Est dell’Etna, ha voluto richiamare l’attenzione sull’importanza e sull’efficacia dei sistemi di monitoraggio da remoto dell’INGV” – spiega Emanuela De Beni, vulcanologa dell’Osservatorio Etneo dell’INGV (INGV-OE) e co-autrice dello studio – “Infatti, nonostante il cattivo tempo avesse oscurato le telecamere di videosorveglianza installate sul vulcano, le altre stazioni di monitoraggio vulcanologico hanno funzionato correttamente e i segnali sono prontamente arrivati alla nostra Sala Operativa di Catania, segnalandoci che era in corso un’eruzione con fontana di lava ed emissione di due colate, una verso Sud e l’altra verso Est”.

Una settimana dopo l’eruzione i ricercatori dell’INGV si sono recati in area sommitale per eseguire rilievi con droni e procedere alla mappatura e quantificazione dei prodotti eruttati. “Una volta giunti sul posto ci siamo accorti che un deposito di cui fino a quel momento non avevamo avuto contezza si era in realtà sovrapposto alla colata di Sud” – prosegue De Beni – “Dopo attente indagini di terreno e analisi sedimentologiche abbiamo scoperto che si trattava di una ‘corrente piroclastica di densità’ (PDC – Pyroclastic Density Current), ovvero un flusso di materiale magmatico misto a gas ad alte temperature che era sceso ad alta velocità dai fianchi del vulcano”.

A quel punto, ai rilievi sul campo e via drone sono state affiancate le analisi delle immagini satellitari e dei dati radar forniti dagli aeroporti di Catania-Fontanarossa e Reggio Calabria-Tito Minniti e da un impianto sul Monte Lauro (SR), nonché lo studio approfondito del tremore vulcanico e dell’infrasuono forniti dai sistemi di monitoraggio dell’INGV. Tutto ciò ha permesso di ricostruire l’emissione di una colonna di cenere (cosiddetta plumedi altezza compresa tra i 10 e i 15 chilometri, frutto di un’eruzione suddivisa in tre fasi: una prima fase debolmente stromboliana, una fase stromboliana vera e propria e, infine, una fontana di lava.

L’Etna, vulcano in continuo mutamento, ha reso ancora una volta evidente come possa generare fenomeni vulcanologici vari e potenzialmente pericolosi, da monitorare costantemente. “Sono state necessarie tre campagne con drone, durante le quali sono state catturate ben 2.311 immagini, termiche e non, poi elaborate per realizzare la mappa e la quantificazione dei prodotti eruttati, e un’altra campagna di terreno finalizzata al campionamento del deposito della corrente piroclastica”, aggiunge ancora De Beni – Questo lavoro di squadra ha evidenziato ancora una volta la fondamentale importanza del sistema di monitoraggio vulcanologico da remoto dell’INGV-OE, ma anche dell’ancora imprescindibile osservazione diretta del ‘geologo di terreno’ che ci ha permesso di riconoscere il flusso piroclastico, altrimenti non identificabile da remoto”, conclude la ricercatrice.

Link allo studio su Remote Sensing

Link utili:
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)
Osservatorio Etneo (INGV-OE)
Università Sapienza di Roma
Università degli Studi dell’Aquila
Università degli Studi di Cagliari 

Con il titolo: Etna 21 maggio 2023, immagine della Funivia dell’Etna

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Etna: cambia, todo cambia, come sempre. Un vulcano in continua evoluzione https://ilvulcanico.it/etna-cambia-todo-cambia-un-vulcano-in-continua-evoluzione/ Wed, 24 Apr 2024 16:20:49 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24897 FONTE: https://ingvvulcani.com/ di Marco Neri Il 7 aprile 2024 la Bocca Nuova (BN) , uno dei quattro crateri sommitali dell’Etna, è stata interessata da una sequenza di esplosioni durata circa quattro minuti che ha vistosamente modificato (vedi foto B) il piccolo cratere di collasso formatosi quasi un anno prima, nel luglio 2023 (foto A). Anche l’altro cratere interno alla Bocca Nuova (BN1 nella foto A) si è un po’ allargato ed approfondito. […]

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FONTE: https://ingvvulcani.com/

di Marco Neri

Il 7 aprile 2024 la Bocca Nuova (BN) , uno dei quattro crateri sommitali dell’Etna, è stata interessata da una sequenza di esplosioni durata circa quattro minuti che ha vistosamente modificato (vedi foto B) il piccolo cratere di collasso formatosi quasi un anno prima, nel luglio 2023 (foto A). Anche l’altro cratere interno alla Bocca Nuova (BN1 nella foto A) si è un po’ allargato ed approfondito. Le linee a puntini bianchi disegnate sull’orlo dei crateri interni, risalenti allo scorso anno, rendono facilmente apprezzabili le loro recenti modifiche morfologiche.

Queste modifiche dei crateri sommitali dell’Etna sono eventi normali per un vulcano molto attivo a condotto aperto. Lo dimostrano, per esempio, le due foto a destra, che riprendono dall’alto il Cratere Centrale rispettivamente nell’ottobre 2002 (foto C) e, ventidue anni dopo, a metà aprile del 2024 (foto D). Disegnando anche qui l’orlo dei crateri sulla foto più antica (2002) e riportandolo sulla foto del 2024, si può stimare come all’interno della Voragine (Vor) il profondo cratere a pozzo sia stato soppiantato, dal 2019 in poi, da un cono piroclastico caratterizzato da due piccole bocche sommitali (evidenziate da linee a tratteggio rosso). Ancor di più si apprezza la trasformazione della Bocca Nuova, dove i grandi crateri a pozzo (BN1 e BN2) esistenti nel 2002, attualmente sono assai meno evidenti.

La Bocca Nuova dell’Etna nel 2007 (foto Santo Scalia)

Con il titolo e qui sopra: vista panoramica da terra (A-B) e da elicottero (C-D) dei crateri sommitali dell’Etna. A sinistra, la Bocca Nuova ripresa nel luglio 2023 (A) e a metà aprile 2024 (B). A destra, il Cratere Centrale ripreso in ottobre 2002 (C) e in aprile 2024 (D), con le sue bocche interne Voragine (Vor) e Bocca Nuova (BN1 e BN2). SEC= Cratere di Sud-Est; NEC= Cratere di Nord-Est. Il pallino blu in D indica il punto di ripresa delle fotografie A e B. Credits: foto A e B, Giò Giusa; foto C: Marco Neri; foto D: Claudio Fazio

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Etna, 396 a.C.: una eruzione fantasma? https://ilvulcanico.it/etna-396-a-c-una-eruzione-fantasma/ Sat, 30 Mar 2024 05:56:05 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24864 (Santo Scalia). Nonostante le eruzioni etnee siano state descritte sin dai tempi più antichi, non sempre le date attribuite a certe colate laviche risultano compatibili con le datazioni effettuate con le più recenti metodologie. Oggi, infatti, sono state messe a punto delle tecniche di datazione basate sulle  caratteristiche radiometriche e/o archeomagnetiche riscontrabili sui campioni di […]

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La migrazione del polo nord magnetico (dal Journal of Volcanology and Geothermal Research)

(Santo Scalia). Nonostante le eruzioni etnee siano state descritte sin dai tempi più antichi, non sempre le date attribuite a certe colate laviche risultano compatibili con le datazioni effettuate con le più recenti metodologie.

Oggi, infatti, sono state messe a punto delle tecniche di datazione basate sulle  caratteristiche radiometriche e/o archeomagnetiche riscontrabili sui campioni di lava: le prime sono basate sulle misure del rapporto tra gli isotopi di due elementi, il Radio (226Ra) ed il Torio (230Th); le seconde sulla misura della direzione del campo magnetico “imprigionato” nella lava al momento del suo raffreddamento.

Senza entrare in dettagli tecnici va ricordato che, come ben specificato da Stefano Branca e Jean-Claude Tanguy [Le eruzioni di epoca storica dell’Etna, 2021] “le fonti di epoca Greco-Romana sono spesso inaffidabili e soprattutto non sono così accurate da permettere di individuare le bocche eruttive o l’estensione spaziale delle colate laviche”.

Particolare (modificato) della Geological Map of Etna Volcano del 2011

Proprio a proposito delle incertezze nella datazione della colata del 396 avanti Cristo, quella che raggiunse la costa orientale siciliana, in prossimità dell’attuale abitato di Santa Tecla, riportiamo una breve nota redatta dal Prof. Jean-Claude Tanguy, già IPGP (Institut de Physique du Globe de Paris) 

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di J.C. Tanguy

Le eruzioni dell’Etna riportate dalle fonti storiche durante l’epoca greca sono pochissime (e.g. Branca e Tanguy, INGV Vulcani, 2021). Fra queste, quella che sembra la più evidente è segnalata da Diodoro Siculo a proposito della guerra tra Dionisio di Siracusa ed i Cartaginesi, comandati dai capi Imilcone e Magone

“Imilcone fece avanzare a marcia forzata l’armata di terra. Giunse cosi nel sito di Naxos del quale noi abbiamo parlato prima, nello stesso tempo che il Magone approdò. Ma una eruzione di fuoco recente dell’Etna, che si estese fino al mare, bloccò l’armata di terra, impedendole di proseguire ulteriormente insieme ai vascelli, che navigavano rasenti alla costa, la quale era stata rovinata da ciò che si chiama colata. Le truppe di terra furono quindi costrette a fare il giro del monte Etna”.

Siccome i Cartaginesi erano davanti a Siracusa nell’estate dell’anno 396, l’interpretazione di questo documento porta a concludere che una grande eruzione dell’Etna fosse avvenuta nei primi mesi dello stesso anno 396. Nondimeno, bisogna insistere sul fatto che Diodoro parla solo di una eruzione recente, senza indicare una data precisa. L’eruzione potrebbe quindi risalire a parecchi anni, forse anche parecchie decine di anni prima. Difatti, l’unica descrizione nella storia antica dell’arrivo di una colata nel mare si trova nella prima ode Pitica di Pindaro, ed è relativa all’eruzione del 479 a.C: l’Etna nevosa, tutto l’anno nutrisce il pungente gelo. Dal monte escono delle sorgenti di purissimo fuoco, e durante il giorno questi torrenti emettono delle nubi di fumi ardenti, ma nella notte una fiamma rossa trascina dentro il profondo mare dei blocchi rocciosi con fracasso.” (vedi la figura allegata, colata mg, particolare della Carta vulcanologica del Vulcano Etna, Branca et al., 2014).

Particolare della Carta Volcanologica dell’Etna (Branca et al., 2014)

La descrizione di Pindaro è cosi suggestiva che difficilmente si può escludere che il poeta abbia assistito allo spettacolo di persona. D’altro canto, per ritornare a Diodoro, è chiaro che all’epoca la costruzione di una strada per consentire il passaggio di un esercito, attraverso una colata nuova e larga oltre un chilometro, non avrebbe potuto venire realizzata nell’arco di solo pochi giorni, e quindi sarebbe stato più facile e veloce aggirare l’Etna ad ovest. Ma non si puo escludere l’occorrenza di un altra colata, diversa di quella descritta da Pindaro, che sarebbe arrivata nella stessa regione qualche anno prima del 396. Difatti Tucidide ne indica una nel 425 a.C., ma senza precisare il luogo.

E quanto alle datazioni magnetiche e radioattive ? Ambedue i metodi danno per diversi campioni della colata di Santa Tecla dei risultati intorno ai 500 a.C., ma con una incertezza di ±150 anni rispetto all’epoca considerata. Tanto che dovremmo aspettare ancora un bel po’ prima di risolvere definitivamente il problema.

Un grazie all’amico Santo Scalia per la disponibilità del testo greco e la revisione dell’italiano.

(Gaetano Perricone). Da parte mia e del Vulcanico.it, il ringraziamento più sentito al professore Jean Claude Tanguy, luminare francese della vulcanologia mondiale e grande studioso dell’Etna che ci ha voluto ancora onorare con la sua prestigiosa firma su questa “chicca” storica, ma anche al grande Santo Scalia, come sempre enormemente prezioso

Con il titolo: Etna 396 a.c., una elaborazione effettuata con un software di AI  (Copilot di Microsoft Edge)

 

 

 

 

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“1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso”: da oggi a Palazzo Bufali una mostra documentale https://ilvulcanico.it/1693-da-fenicia-moncada-a-belpasso-da-oggi-a-palazzo-bufali-una-mostra-documentale/ Fri, 15 Mar 2024 05:44:48 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24800 FONTE: Fondazione Margherita Bufali- ETS  Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia […]

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FONTE: Fondazione Margherita Bufali- ETS 

Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia Moncada, che era stato costruito 24 anni prima a seguito dell’eruzione dell’Etna del 1669 che aveva distrutto Malpasso e la costruzione dell’attuale centro abitato di Belpasso.

Alla manifestazione hanno aderito: la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, l’INGV Catania, l’Università degli Studi di Catania, l’Archivio di Stato di Catania, l’Archivio di Stato di Palermo, il Comune di Belpasso, la Curia Arcivescovile di Catania. Con la loro collaborazione hanno permesso di accedere a preziosi documenti che hanno consentito di esaminare con esattezza le vicende e gli avvenimenti che caratterizzarono quegli anni. Buona parte della documentazione originale si trova presso gli archivi della  Fondazione Bufali. Il documento più antico è datato 1456.

LA FAMIGLIA BUFALI 

Lorenzo Bufali

La famiglia Bufali è fortemente legata alla storia di Belpasso, in quanto ne ha condiviso sempre i momenti storici più importanti. Impegnata nel settore della seta, arrivò con Don Antonio Bufali, dottore in medicina, che si trasferì dalla città di Catania  nel territorio dello scomparso paese di Malpasso attorno al 1640. Visse qui il difficile momento della terribile eruzione dell’Etna del 1669, che distrusse l’agglomerato principale del paese e tutti i suoi casali. Dopo l’eruzione i Bufali assieme ai Malpassoti e ad altri abitanti dei casali dell’Etna, approfittando delle dilazioni e benefici concessi ai “novi habitatori” si trasferirono nel nuovo centro costruito in località Grammena al quale fu dato il nome di Fenicia Moncada, in omaggio al Duca di Mont’Alto Luigi Guglielmo che aveva riunito, sposando Caterina Moncada de Castro i due rami della casata Moncada (di Sicilia e di Aragona di Spagna). Questo toponimo esprimeva l’esaltazione del proprio lignaggio come anche per quello di Stella Aragona. Il progetto del nuovo paese fu redatto dall’architetto degli “Stati” del Principe di Paternò Carlo Manosanta, capomastro della città di Palermo, uniformandosi alle regole progettuali tipiche delle città di nuova fondazione con un piano urbanistico quanto mai simmetrico e regolare, a maglia ortogonale ed con isolati di uguale dimensione.

L’11 gennaio 1693 il terremoto che distrusse Catania e la Sicilia orientale colpì anche il nuovo centro portando rovina e morte. Lorenzo Bufali, figlio di Antonio, fu nominato dal principe di PaternòSegreto”, per le terre di Fenicia Moncada, di Stella Aragona e di Nicolosi ed incaricato dal Principe di Campofiorito, governatore degli stati del Duca di Montalto e da Don Francesco Notarbartolo  governatore della città di Caltanissetta di provvedere come deputato e direttore ai lavori di ricostruzione di una nuova città erede di Malpasso e di Fenicia Moncada, che prese il nome beneaugurante di Belpasso. Per i suoi meriti gli fu assegnato il titolo di Barone di Santa Lucia. Il piano regolatore del nuovo centro fu redatto dal capomastro della città di Caltanissetta Michele Cazzetta, rifacendosi al concetto di “città ideale” già sviluppato nell’edificazione di Fenicia Moncada. Esso è visto come un modello di perfezione, ideato a “scacchiera” in cui le strade intersecandosi tra di loro danno vita ad una struttura urbanistica fatta di spazi ordinati, regolari secondo canoni di assoluta perfezione e criteri di funzionalità e razionalità.

Ma la famiglia Bufali non cessò la sua opera a sostegno della nuova comunità: ha sostenuto la nascita di due importanti Istituti di credito localeha contribuito allo sviluppo dell’economia locale, concedendo in affitto, a canoni non esosi, quote del proprio patrimonio agrario; ha devoluto nel 1902, con la Baronessa Margherita Bufali, l’ultima erede, l’intero patrimonio per la fondazione di un orfanotrofio che si sarebbe chiamato “Pio Orfanotrofio Bufali”, oggi “Fondazione Margherita BufaliEts.

A completare la Manifestazione, il maestro Barbaro Messina esporrà alcune due opere in pietra lavica ceramizzata prelevate dalla sua collezione del ciclo “Etna madre”. Anche il nostro blog sarà presente alla mostra con due pannelli, curati come sempre in modo minuzioso da Santo Scalia, che raccontano una preziosa ricerca sulle affascinanti epigrafi storiche che rappresentarono nella città di Catania il terremoto del 1693. (https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/)

Con il titolo e nella gallery, alcuni dei documenti della mostra e una serie di immagini di Palazzo Bufali a Belpasso (grazie per le informazioni e le foto a Luciano Signorello)

 

 

 

 

 

 

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