scienza e divulgazione Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/scienza-e-divulgazione/ Il Blog di Gaetano Perricone Fri, 27 Jun 2025 15:47:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.1 Etna, cosa pensi di noi umani? Lo sapremo al Festival Vulcani 2025, dal 27 al 29 giugno a Trecastagni, alla scoperta di terre indimenticabili https://ilvulcanico.it/etna-cosa-pensi-di-noi-umani-lo-sapremo-al-festival-vulcani-2025-dal-27-al-29-giugno-a-trecastagni-alla-scoperta-di-terre-indimenticabili/ Wed, 25 Jun 2025 04:39:03 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25721 di Giuseppe Riggio* Siamo arrivati alla terza edizione continuando a seguire la stessa ispirazione: donare all’Etna un Festival che racconti il mondo dei vulcani. Siamo gli unici in Italia ad avere inventato una manifestazione con questo filo conduttore. E del resto dove farla se non sull’Etna, su uno dei vulcani più attivi al mondo? Quest’anno […]

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di Giuseppe Riggio*

Siamo arrivati alla terza edizione continuando a seguire la stessa ispirazione: donare all’Etna un Festival che racconti il mondo dei vulcani. Siamo gli unici in Italia ad avere inventato una manifestazione con questo filo conduttore. E del resto dove farla se non sull’Etna, su uno dei vulcani più attivi al mondo?

Quest’anno proviamo a comunicare agli spettatori che ci troviamo di fronte a “terre indimenticabili”, che per altre ragioni abbiamo già definito “in movimento”, ma anche “straordinarie”. Chi è ammaliato da crateri e colate sa di cosa stiamo parlando. Per la terza edizione del Festival Vulcani – organizzato dalla Fondazione Trecastagni Patrimonio dell’Etna, presieduta da Giovanni Barbagallo dal 27 al 29 giugno a Trecastagni– abbiamo provato a immaginare anche una intervista all’Etna, per dare la parola alla sua anima femminile e chiederle cosa ne pensa di noi umani che ne abitiamo le pendici, delle nostre ossessioni e delle nostre paure.

Il programma del Festival Vulcani 2025

Ci saranno, ovviamente, nel corso della manifestazione momenti di alta divulgazione scientifica curati da INGV (il suo direttore Stefano Branca insieme al professor Luigi Ingaliso presenteranno una nuova e lussuosa edizione di una storica opera di Sartorius Von Walterhausen, mentre Eugenio Privitera spiegherà i sistemi di allertamento precoce di Etna e Stromboli), da parte sua Marco Viccaro, docente universitario e presidente dell’Associazione Italiana di Vulcanologia, coordinerà per la prima volta un corso di introduzione al vulcanismo che si terrà nella sede della Fondazione organizzatrice, rivolto innanzitutto ai giovani.

Dalla prima edizione del Festival, nel 2023

Come di consueto, verrà aperta una finestra sul mondo degli “altri” territori segnati dalla lava. Quest’anno sarà la volta di Pantelleria, che verrà raccontata da Antonietta Valenza, Francesco Ciancitto e da Marco Marcialis, wine ambassador di Cantine Nicosia. Del resto, sono molteplici le strategie di avvicinamento ai “camini della Terra”. Ognuno può scoprire una chiave per scoprirne originalità e caratteri distintivi. Maria Teresa Moscato indagherà ad esempio le tematiche del mito, che da sempre ha avuto un riferimento privilegiato con i luoghi “infernali”.  Daniele Musumeci offrirà le sue competenze di biografo di Alfred Rittmann, uno dei più grandi vulcanologi del Novecento di origine svizzera, ma venuto a morire in Sicilia, dopo avervi lungamente abitato. Rosario Fichera, giornalista e divulgatore, racconterà il suo viaggio a piedi e in bicicletta dalle Dolomiti all’Etna in nome dell’inclusione, unendo due siti Unesco e due luoghi fondamentali della sua vita.

Nella prima edizione, uno spazio fu dedicato anche a questo nostro blog

Siamo convinti che ancora una volta le terre vulcaniche non mancheranno di stupire. Il programma del Festival Vulcani 2025 si rivolge innanzitutto a chi abita sull’Etna, per aiutare gli etnei ad avere consapevolezza delle caratteristiche naturali e antropologiche di questa parte di universo, ma intende ovviamente rivolgersi anche ai turisti desiderosi di scoprire la vera essenza del luogo che vengono a visitare. Nei tre giorni della manifestazione, quest’anno ospitata nell’elegante centro storico di Trecastagni, ci sarà spazio anche per citare Franco Battiato, nella proposta della brava Rita Botto. Solo qualche brano per richiamare il suo modo di abitare il vulcano, la speciale sensibilità verso la terrà da cui Battiato partì e dove poi decise di ritornare.

*Direttore Festival Vulcani 

Con il titolo: eruzione dal cratere di Sud Est, 19 giugno 2025  (la bellissima foto di Giovinsky Aetnensis) 

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E il vulcano nacque in un giardino! https://ilvulcanico.it/e-il-vulcano-nacque-in-un-giardino/ Sun, 22 Jun 2025 05:19:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25681 di Santo Scalia Le aree vulcaniche, si sa, sono soggette a rischi di vario genere, quali le manifestazioni sismiche, le invasioni laviche, le abbondanti ricadute di piroclastiti, i flussi piroclastici e l’apertura di nuove fratture; a volte, però, un altro pericolo si aggiunge a quelli già indicati: la nascita di un nuovo cratere o di […]

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di Santo Scalia

Le aree vulcaniche, si sa, sono soggette a rischi di vario genere, quali le manifestazioni sismiche, le invasioni laviche, le abbondanti ricadute di piroclastiti, i flussi piroclastici e l’apertura di nuove fratture; a volte, però, un altro pericolo si aggiunge a quelli già indicati: la nascita di un nuovo cratere o di un nuovo vulcano.

La nascita di un nuovo cono eruttivo è avvenuta, ad esempio, nell’area vulcanica campana dei Campi Flegrei (nel 1538), o, più recentemente, nel Messico (nel 1943).

Sull’Etna non è mai avvenuto che un nuovo cratere nascesse là dove si trovasse un preesistente insediamento urbano, ma, come vedremo, molto vicino!

Monte Nuovo, nato tra le case del paese medievale di Tripergole (foto Jean-Claude Tanguy)

1538 – Nasce il Monte Nuovo, nell’abitato di Tripergole ai Campi Flegrei

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: nei due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi, le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua.

Incisione da Dell’incendio di Pozzuolo di Marco Antonio Delli Falconi, 1938

Come già descritto in un precedente articolo su ilvulcanico.it «[…] la gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri. Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio

La popolazione riuscì a fuggire dal paese prima che l’eruzione cominciasse, senonché, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate!

 

 

1669 – Nasce il Monte della Ruina, presso Nicolosi, sull’Etna

L’11 marzo del 1669 a poche centinaia di metri dal paese di Nicolosi, nel versante meridionale del vulcano, una lunga frattura si aprì da quota 2800 m. circa (presso Monte Frumento) fino a quota 600 m., in prossimità dell’abitato.

Brano da Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669, di Tommaso Tedeschi Paternò

Tommaso Tedeschi Paternò, autore dell’opera Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669, avendo vissuto in prima persona i funesti eventi di quell’anno, così descrive la nascita del nuovo cratere, a pochissima distanza dall’abitato del paese di Nicolosi: «[…] non da una, ma da cinque horride fauci venne à sboccare con tal empito, e vehemenza, che sempre, qual Briareo d’inferno in nuove, e nuove braccia, e scagliando tuttavia in aria tanto gran copia d’infuocati petroni, che cadendo poi in giù si ammontarono in due altissime montagne, la di cui altezza un mezzo miglio oltrepassa».

Il cratere non si aprì tra le case del paese, ma poco distante, comunque lì dove i nicolositi svolgevano le proprie attività dedicandosi alle coltivazioni e alla pastorizia. In ogni caso l’intensa attività sismica che precedette l’eruzione e la ricaduta di arena e lapilli sui tetti delle abitazioni causarono ingenti danni all’abitato.

1943 – Nasce il Paricutin, in un campo di granturco

Nel febbraio del 1943, a partire dal giorno 5, una serie di scosse sismiche mise in agitazione gli abitanti di due paesini del Messico, Paricutìn e Parangaricutiro che contavano circa 4000 anime, dedite principalmente alla pastorizia e all’all’agricoltura.

Il campo di Dionisio Pulido (collezione personale)

Il 20 di febbraio Dionisio Pulido, come ogni mattina, era andato al suo podere e stava badando alle sue pecore quando vide apparire due piccoli getti di fumo bianco, che presto si trasformarono, secondo le sue stesse parole, in “grandi colonne di fumo e grandi fiamme“. Contemporaneamente, brontolii sotterranei e scosse sismiche sempre più violente si moltiplicarono; poi, nello stesso giorno, si udirono ripetute esplosioni, e infine un’alta e possente colonna di vapore che trasportava pietre e polvere eruttò dal terreno.

Ai primi segni di questa attività sotterranea, il testimone corse a casa e poi, con la moglie, si recò dalle autorità comunali per riferire ciò che aveva appena visto, mentre dal villaggio si sentiva già il rumore di violente esplosioni.

La mattina del giorno dopo, sul presto, parecchie persone si avvicinarono al luogo in cui si era verificato il fenomeno e poterono vedere che si era già formato un cumulo alto circa 30 metri. Nel campo di Dionisio Pulido era sorto un nuovo vulcano!

Solo due giorni dopo, il 23, il nuovo cono aveva raddoppiato la sua altezza e misurava già circa 60 metri. La crescita del nuovo vulcano continuò a causa dell’accumulo di pietre, bombe, scorie, sabbia e ceneri costantemente scagliate verso l’alto dal fondo del cratere, fino a raggiunge un’altezza di 424 metri rispetto al terreno coltivato in cui era nato, raggiungendo un diametro di circa 1.350 metri alla base, con una forma leggermente ellittica.

L’eruzione si protrasse per 9 anni e 12 giorni; del campo di Pulido non rimase nulla, se non un cono vulcanico e un’arida distesa di lava.

Resti della chiesa di Paricutin (collezione personale)

Quando terminò l’eruzione, nel 1952, i due centri abitati Paricutín e San Juan Viejo Parangaricutiro erano scomparsi. Per la precisione, di San Juan Viejo restò visibile – e lo è tutt’ora – solo la torre campanaria sinistra della chiesa, parte della facciata e la parete posteriore con l’altare. Non ci furono vittime.

L’area dello stato di Michoacàn, dove era sorto il vulcano denominato proprio Paricutin, non era però nuova ad eventi del genere: solo 184 anni prima, nel settembre del 1759, un altro vulcano, molto simile al Paricutin, il Jorullo”, era apparso in mezzo a un campo di canna da zucchero, 80 km a sud-est della posizione di Paricutin.

Considerazioni finali

Nell’area del vulcano Etna sono numerosi i coni piroclastici sorti a quote oggi intensamente urbanizzate ma, per fortuna, disabitate all’epoca della formazione degli stessi.

L’intensa urbanizzazione del versante meridionale dell’Etna (foto S. Scalia)

Così si trovano oggi in contesti intensamente urbanizzati i crateri denominati Monte Serra (ad appena 5,5 chilometri da Acireale, ma a poche centinaia di metri da altri agglomerati); Monte Troina (presso Pedara); Mompileri e Monti Rossi, presso Nicolosi; Tremonti, Monpeloso, Monte Rosso (presso l’omonimo abitato di Monterosso) ed altri ancora.

E lì dove in un passato, anche remoto, si è verificato l’evento dell’apertura di un nuovo cratere, non si può certamente escludere che l’evento non si riproponga, anche in un futuro lontano.

Se vi è capitato di effettuare un’escursione sulla cima dei Monti Rossi di Nicolosi, o anche a quote più elevate, per esempio alla Montagnola (2600 m.ca.), avrete avuto modo di verificare come tutto il territorio che si estende da Nicolosi fino alla città di Catania sia un continuum di case, ville e paesi; praticamente senza soluzione di continuità!

E, senza voler aggiungere altro, lascio a ciascuno dei lettori le considerazioni del caso.

Per chi volesse approfondire gli argomenti trattati ecco alcuni riferimenti bibliografici:

Delli Falconi Marco Antonio – Dell’incendio di Pozzuolo – 1538

Boccardi Vincenzo – Monte Nuovo – storia di un ambiente vulcanico – 1997

Boccardi Vincenzo – L’eruzione del Monte Nuovo nei Campi Flegrei -1538 – 2018

 Tomaso Tedeschi – Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669

Borelli Alfonsus – Historia et meteorologia incendii Aetnae – 1670

 Ordoñez Ezequiel   – Un nouveau volcan mexicain : le Paricutìn – 1945

Luhr James F. – Parìcutin, the volcano born in a Mexican cornfield – 1993

 Con il titolo: il campo di Dionisio Pulido (collezione personale Santo Scalia)

 

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Flussi piroclastici nel mondo … e sull’Etna https://ilvulcanico.it/flussi-piroclastici-nel-mondo-e-anche-sulletna/ Wed, 04 Jun 2025 16:00:53 +0000 http://ilvulcanico.it/?p=18820 di Santo Scalia La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre. Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione […]

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di Santo Scalia

La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre.

Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.

Cosa sono i flussi piroclastici? L’aggettivo piroclàstico [composto di piro– e clastico] è attribuito a “quei materiali che devono la loro genesi alle fasi esplosive del vulcanismo” [Treccani]. Cercando di essere più chiari, un prodotto piroclastico è quindi qualcosa che deve la sua formazione all’azione congiunta del fuoco (dal gr. πῦρ πυρός, «fuoco») e della frammentazione (dal greco κλαστός, «spezzato, sminuzzato», dal verbo κλάζω). Di questo fenomeno si è già parlato su questo blog (ilVulcanco.it), ma qui voglio ricordare alcuni aspetti legati alla storia del nostro vulcano, l’Etna.

Una colata piroclastica, detta anche flusso piroclastico o nube ardente, è formata dal letale miscuglio di gas ad alta temperatura, granuli di lava, ceneri vulcaniche e massi di varie dimensioni che rotola giù lungo i pendii del vulcano, con un enorme potere distruttivo nella sua discesa dato dall’energia cinetica acquistata per azione gravitazionale e dall’alta temperatura dei suoi componenti.

L’Etna spesso viene visto come un vulcano dalle abitudini prevalentemente effusive. Ma analizzando l’attività, anche remota, della nostra montagna vediamo che sull’Etna si sono verificati episodi di attività esplosiva particolarmente intensi, e che flussi piroclastici sono scesi anche lungo i suoi fianchi. E ciò non solo in epoche remote, ma anche in tempi recentissimi!

Proprio qualche giorno fa, nella mattinata del 2 giugno, nel corso del quattordicesimo episodio eruttivo avvenuto nell’anno in corso, il crollo di una parte del cono del Cratere di Sud-Est ha dato origine ad una valanga piroclastica che è scesa velocemente in direzione della Valle del Leone nella quale si è inoltrata per più di tre chilometri.

Il web pullula di immagini spettacolari e preoccupanti che mostrano l’enorme nuvola scura che si espande sulle pendici nord-orientali del vulcano, mentre numerosi turisti ed escursionisti osservano, affascinati e/o terrorizzati, l’evoluzione del fenomeno.

Un’idea di quanto accaduto si può avere guardando il video realizzato dal sito Etna 4 Seasons ( www.etna4seasons.it ) che ringraziamo per averne gentilmente concesso la riproduzione:

https://www.facebook.com/share/v/1AHUYpdfZB/

Fortunatamente non ci sono state vittime! Così non sarebbe stato se il crollo di parte del Cratere fosse stato più esteso; se il vento non avesse indirizzato, proprio in quei minuti, il flusso in direzione della Valle del Leone e non verso luoghi vicini, quali Pizzi Deneri e Piano delle Concazze; se, anziché la parte settentrionale, a crollare fosse stata quella meridionale, cosa che avrebbe indirizzato il mortale flusso in direzione del frequentatissimo Piano del Lago.

Ci si può porre una domanda: in passato erano già accaduti eventi del genere?

All’incirca 15.000 anni fa «durante un’intensa fase esplosiva caratterizzata da una serie di eruzioni pliniane, che hanno causato la formazione di una caldera» fu prodotta «una serie di depositi piroclastici ampiamente distribuiti sui fianchi dell’Etna» (dal blog IlVulcanico, 5 gennaio 2020).

Flusso piroclastico del 2006 (credits M.D.V. Etna Walk)

Ma anche nel passato recente si sono verificati flussi piroclastici lungo i pendii etnei: alcuni erano già stati osservati sull’Etna nel 2006 – come di seguito documentato dalla foto gentilmente concessa da Giuseppe Distefano (EtnaWalk) – nel 2012 (grazie alla impressionante testimonianza dell’amico Saro Barbagallo (vedi filmato) e nel 2013, foto realizzata dall’Autore

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

«Nel mattino del 11 febbraio 2014, alle ore 06:07 GMT (=ore locali -1), dal basso versante orientale del cono del Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC) dell’Etna, si è staccato un volume di roccia instabile e parzialmente calda, formando una sorta di frana o valanga dall’aspetto molto simile ad un flusso piroclastico, che in circa un minuto è scesa sulla ripida parete occidentale della Valle del Bove, arrestandosi sul terreno più pianeggiante sul fondo della Valle […] Il flusso si è rapidamente allargato mentre avanzava sul campo lavico del 2008-2009, ricoprendolo quasi per intero, e raggiungendo il fondo della Valle del Bove con un fronte largo circa 1 km.». Così veniva descritto l’evento in un “aggiornamento” emesso dall’Ingv alle ore 08:20 di quel giorno.

 

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

Il video della registrazione dell’evento dell’11 febbraio 2014 (ripreso dalla telecamera termica dell’INGV-Osservatorio Etneo posta a Monte Cagliato, sul fianco orientale dell’Etna) si può ammirare sul canale internet Youtube.

In seguito a questo episodio, che in altre situazioni avrebbe potuto anche avere conseguenze tragiche, la Prefettura di Catania vietò le escursioni, oltre che alle alte quote, anche nella parte alta della Valle del Bove. L’accesso alla Valle rimase vietato fino all’agosto dello stesso anno.

Flusso piroclastico del 2015 (immagine gentilmente concessa da G. Distefano – Etna Walk)

Nel 2015 nuovamente un episodio sull’Etna, documentato ancora una volta da Giuseppe Distefano (Etna Walk) e reperibile su Youtube.

Dal Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 pubblicato dall’INGV-OE di Catania

E ancora nella notte tra il 13 ed il 14 dicembre 2020, in concomitanza con un’intensa attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, non uno, ma tre flussi piroclastici si sono distesi nell’alta area meridionale del vulcano; è stato sempre l’INGV (Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 – pagina 2) a darcene notizia: «[…] alle 22:15 si osservava un piccolo flusso piroclastico che si propagava dal fianco Sud-Ovest del SEC in direzione SSO. Alle 22:16, questo flusso si era già fermato e se ne generava un successivo più energetico, che ricalcando lo stesso percorso si espandeva per circa 2 km di distanza dal SEC in un tempo di ~40 sec (~50 m s-1), superando abbondantemente ad Ovest M.te Frumento Supino. Alle 22:30, si osservava un terzo flusso piroclastico di minore entità che si espandeva sempre in direzione SSO».

La didascalia allegata all’immagine chiarisce le varie fasi: “(a) fontana di lava e primo flusso piroclastico dal SEC osservati dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020. (b-k) sequenza della messa in posto del secondo flusso piroclastico dal SEC ripresa dalla telecamera termica di Nicolosi in 13 dicembre 2020 (Sud); (d) espansione del terzo flusso piroclastico dal SEC registrata dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020”.

Ma non è finita: nel corso dell’attività esplosiva ed effusiva del Cratere di Sud-Est (16 febbraio 2021) si è verificato un ulteriore flusso piroclastico, anche se di modesta entità. In rete si può vedere il filmato dell’evento, realizzato dall’Ingv, e quelle qui accanto sono alcune foto realizzate dal vulcanologo Boris Behncke.

 

Per completare l’informazione aggiungiamo alla lista anche un piccolo flusso, originato dal crollo parziale dell’orlo craterico del Sud-Est avvenuto in concomitanza con il 6° parossismo, quello del 24 febbraio.

Forse dobbiamo rivedere il nostro modo di avvicinarci alle quote più alte dell’Etna: fenomeni che credevamo non appartenessero al nostro vulcano, o che fossero soltanto dei ricordi di fasi evolutive molto lontane nel tempo, sono invece più frequenti di quanto non ci aspettassimo. Trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, può risultare fatale.

E nel resto del mondo?

Particolare dalla carta dell’isola di Martinica di Juan Lopez (1781)

La storia degli eventi vulcanici avvenuti in epoca recente ci porta a ricordare una delle più note e catastrofiche colate piroclastiche accaduta nell’isola della Martinica: nella primavera del 1902 il vulcano chiamato la Montagna Pelée cominciò a dare segni di irrequietezza che sfociarono, l’8 maggio, in una catastrofica eruzione che distrusse completamente la città di Saint-Pierre, fiorente porto commerciale posto lungo la costa sud-occidentale, e uccise in pochi istanti i suoi più di 28.000 abitanti.

Frontespizio dell’opera di Lacroix (biblioteca personale)
Nuée ardente ( foto A. Lacroix – collezione personale)

Nel 1904 il vulcanologo Alfred Lacroix pubblicò un’opera imponente (in due volumi), descrivendo minuziosamente l’eruzione della Pelée in tutti i suoi espetti; in quell’occasione coniò il termine nuée ardente (cioè nube ardente), che ben rende l’idea del fenomeno che si era verificato, e che venne osservato e fotografato ancora il 16 dicembre ed il 25 gennaio dello stesso anno.

L’opera, dal titolo La Montagne Pelée et ses éruptions, è oggi disponibile oltre che come ristampa anastatica dei due volumi originali, anche in edizione digitale e resa fruibile gratuitamente al link della Bibliothèque numerique en histoire des sciences dell’Université de Lille, qui di seguito indicato :  IRIS.

 

La città di Sain-Pierre dopo la distruzione (cartolina postale – collezione personale)

La città di Sain-Pierre, come già detto, fu completamente rasa al suolo: rimasero in piedi solo alcuni dei muri orientati nella stessa direzione del flusso piroclastico e… la prigione, con dentro uno dei due soli sopravvissuti nella città: un detenuto, Auguste Ciparis – riportato spesso come Ludger Sylbaris – che, benché ustionato, si salvò grazie agli spessissimi muri della cella e alla posizione della finestra, rivolta dalla parte opposta al flusso.

Auguste Ciparis, in una cartolina d’epoca (collezione personale)
Manifesto del Circo Barnum & Baile – il sopravvissuto nella “silent city of death”

L’altro scampato alla morte, Léon Compère-Léandre, si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite. Contrariamente a Ciparis che, liberato ed ottenuta la grazia, divenne una star internazionale grazie al Circo Barnum & Baile che lo portò in giro per il modo come attrazione mirabile, l’uomo sopravvissuto al giorno del giudizio”, Léon fu presto dimenticato.

Lo spettacolo che si presentò ai soccorritori fu tremendo, cadaveri o parti di essi erano sparsi un po’ dovunque. Si calcolò che la nube ardente avesse raggiunto la città in circa due minuti, alle 7:52, avendo viaggiato a circa 150 chilometri orari!

Purtroppo la Montagna Pelée non è il solo vulcano, oltre al Vesuvio, sul quale si verificano tali fenomeni. Oltre che dal collasso gravitazionale della colonna eruttiva non più sostentata dalla forza dei gas nel corso di una eruzione di tipo pliniano, tali valanghe si generano anche in seguito al crollo di parte dell’apparato vulcanico sommitale.

Nello stesso arcipelago di isole caraibiche, le Piccole Antille, anche un altro vulcano ha dato origine a flussi piroclastici, il vulcano Soufrière Hills nell’isola di Montserrat; il vulcano è tornato in attività nel 1995 dopo un lungo periodo di quiescenza, ha distrutto completamente la capitale dell’isola, Plymouth. Inoltre tanti altri vulcani della cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica presentano manifestazioni di questo tipo: a titolo di esempio ricordiamo il Monte Sinabung (in Indonesia, Gunung Sinabung nella lingua locale), il vulcano filippino Mayon (sull’isola di Luzon, nelle Filippine), Il Pinatubo, sempre nelle Filippine, il vulcano Merapi (nell’isola di Giava in Indonesia) che nell’ottobre-novembre 2010 ha generato flussi piroclastici che hanno determinato la morte di 353 persone.

il Monte Unzen  (Unzendake, in Giappone, ad est di Nagasaki, nell’isola di Kyushu) è anche tristemente noto per aver causato, nel 1991 e sempre a causa di nubi ardenti, la morte dei noti coniugi vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, oltre che di una quarantina di giornalisti e reporters.

In Italia non solo il Vesuvio (che ha generato modesti flussi piroclastici anche nel corso della sua ultima eruzione, quella del 1944) ma anche lo Stromboli nel 1930, e più recentemente nel corso delle cosiddette esplosioni maggiori del 3 luglio e del 28 agosto 2019, ha generato dei flussi piroclastici.

Per saperne di più sui vulcani di cui si è parlato, ma anche di tanti altri, può essere interessante consultare il Dictionaire des Volcans scritto dal vulcanologo Jean-Claude Tanguy e dal geologo Dominique Decobeq – redattore della  Revue de L.A.V.E (L’Association Volcanologique Européenne) – e pubblicato nel 2009 dalle Editions Jean-Paul Gisserot.

Con il titolo: Etna, il flusso piroclastico del 2 giugno 2025 (Foto Salvatore Lo Giudice)

 

 

 

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Flussi piroclastici sull’Etna e nel mondo https://ilvulcanico.it/flussi-piroclastici-sulletna-e-nel-mondo/ Wed, 04 Jun 2025 15:07:53 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25672 di Santo Scalia La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre. Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione […]

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di Santo Scalia

La più famosa eruzione vulcanica della storia, universalmente conosciuta, sicuramente è quella del Monte Vesuvio avvenuta nell’anno 79 dopo Cristo, probabilmente il 24 ottobre.

Al termine della sequenza esplosiva del vulcano, probabilmente nella mattina del 25, il collasso completo della colonna eruttiva determinò la formazione di flussi piroclastici che causarono la distruzione dell’area di Ercolano, Pompei e Stabia.

Cosa sono i flussi piroclastici? L’aggettivo piroclàstico [composto di piro– e clastico] è attribuito a “quei materiali che devono la loro genesi alle fasi esplosive del vulcanismo” [Treccani]. Cercando di essere più chiari, un prodotto piroclastico è quindi qualcosa che deve la sua formazione all’azione congiunta del fuoco (dal gr. πῦρ πυρός, «fuoco») e della frammentazione (dal greco κλαστός, «spezzato, sminuzzato», dal verbo κλάζω). Di questo fenomeno si è già parlato su questo blog (ilVulcanco.it), ma qui voglio ricordare alcuni aspetti legati alla storia del nostro vulcano, l’Etna.

Una colata piroclastica, detta anche flusso piroclastico o nube ardente, è formata dal letale miscuglio di gas ad alta temperatura, granuli di lava, ceneri vulcaniche e massi di varie dimensioni che rotola giù lungo i pendii del vulcano, con un enorme potere distruttivo nella sua discesa dato dall’energia cinetica acquistata per azione gravitazionale e dall’alta temperatura dei suoi componenti.

L’Etna spesso viene visto come un vulcano dalle abitudini prevalentemente effusive. Ma analizzando l’attività, anche remota, della nostra montagna vediamo che sull’Etna si sono verificati episodi di attività esplosiva particolarmente intensi, e che flussi piroclastici sono scesi anche lungo i suoi fianchi. E ciò non solo in epoche remote, ma anche in tempi recentissimi!

Proprio qualche giorno fa, nella mattinata del 2 giugno 2025, nel corso del quattordicesimo episodio eruttivo avvenuto nell’anno in corso, il crollo di una parte del cono del Cratere di Sud-Est ha dato origine ad una valanga piroclastica che è scesa velocemente in direzione della Valle del Leone nella quale si è inoltrata per più di tre chilometri.

Il web pullula di immagini spettacolari e preoccupanti che mostrano l’enorme nuvola scura che si espande sulle pendici nord-orientali del vulcano, mentre numerosi turisti ed escursionisti osservano, affascinati e/o terrorizzati, l’evoluzione del fenomeno.

Un’idea di quanto accaduto si può avere guardando il video realizzato dal sito Etna 4 Seasons ( www.etna4seasons.it ) che ringraziamo per averne gentilmente concesso la riproduzione:

https://www.facebook.com/share/v/1AHUYpdfZB/

Fortunatamente non ci sono state vittime! Così non sarebbe stato se il crollo di parte del Cratere fosse stato più esteso; se il vento non avesse indirizzato, proprio in quei minuti, il flusso in direzione della Valle del Leone e non verso luoghi vicini, quali Pizzi Deneri e Piano delle Concazze; se, anziché la parte settentrionale, a crollare fosse stata quella meridionale, cosa che avrebbe indirizzato il mortale flusso in direzione del frequentatissimo Piano del Lago.

Ci si può porre una domanda: in passato erano già accaduti eventi del genere?

All’incirca 15.000 anni fa «durante un’intensa fase esplosiva caratterizzata da una serie di eruzioni pliniane, che hanno causato la formazione di una caldera» fu prodotta «una serie di depositi piroclastici ampiamente distribuiti sui fianchi dell’Etna» (dal blog IlVulcanico, 5 gennaio 2020).

Flusso piroclastico del 2006 (credits M.D.V. Etna Walk)

Ma anche nel passato recente si sono verificati flussi piroclastici lungo i pendii etnei: alcuni erano già stati osservati sull’Etna nel 2006 – come di seguito documentato dalla foto gentilmente concessa da Giuseppe Distefano (EtnaWalk) – nel 2012 (grazie alla impressionante testimonianza dell’amico Saro Barbagallo (vedi filmato) e nel 2013, foto realizzata dall’Autore

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

«Nel mattino del 11 febbraio 2014, alle ore 06:07 GMT (=ore locali -1), dal basso versante orientale del cono del Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC) dell’Etna, si è staccato un volume di roccia instabile e parzialmente calda, formando una sorta di frana o valanga dall’aspetto molto simile ad un flusso piroclastico, che in circa un minuto è scesa sulla ripida parete occidentale della Valle del Bove, arrestandosi sul terreno più pianeggiante sul fondo della Valle […] Il flusso si è rapidamente allargato mentre avanzava sul campo lavico del 2008-2009, ricoprendolo quasi per intero, e raggiungendo il fondo della Valle del Bove con un fronte largo circa 1 km.». Così veniva descritto l’evento in un “aggiornamento” emesso dall’Ingv alle ore 08:20 di quel giorno.

 

Un modesto flusso piroclastico originato nel corso dell’attività parossistica del Cratere di Sud-Est del 27 aprile 2013

Il video della registrazione dell’evento dell’11 febbraio 2014 (ripreso dalla telecamera termica dell’INGV-Osservatorio Etneo posta a Monte Cagliato, sul fianco orientale dell’Etna) si può ammirare sul canale internet Youtube.

In seguito a questo episodio, che in altre situazioni avrebbe potuto anche avere conseguenze tragiche, la Prefettura di Catania vietò le escursioni, oltre che alle alte quote, anche nella parte alta della Valle del Bove. L’accesso alla Valle rimase vietato fino all’agosto dello stesso anno.

Flusso piroclastico del 2015 (immagine gentilmente concessa da G. Distefano – Etna Walk)

Nel 2015 nuovamente un episodio sull’Etna, documentato ancora una volta da Giuseppe Distefano (Etna Walk) e reperibile su Youtube.

Dal Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 pubblicato dall’INGV-OE di Catania

E ancora nella notte tra il 13 ed il 14 dicembre 2020, in concomitanza con un’intensa attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, non uno, ma tre flussi piroclastici si sono distesi nell’alta area meridionale del vulcano; è stato sempre l’INGV (Bollettino settimanale Etna del 15/12/2020 – pagina 2) a darcene notizia: «[…] alle 22:15 si osservava un piccolo flusso piroclastico che si propagava dal fianco Sud-Ovest del SEC in direzione SSO. Alle 22:16, questo flusso si era già fermato e se ne generava un successivo più energetico, che ricalcando lo stesso percorso si espandeva per circa 2 km di distanza dal SEC in un tempo di ~40 sec (~50 m s-1), superando abbondantemente ad Ovest M.te Frumento Supino. Alle 22:30, si osservava un terzo flusso piroclastico di minore entità che si espandeva sempre in direzione SSO».

La didascalia allegata all’immagine chiarisce le varie fasi: “(a) fontana di lava e primo flusso piroclastico dal SEC osservati dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020. (b-k) sequenza della messa in posto del secondo flusso piroclastico dal SEC ripresa dalla telecamera termica di Nicolosi in 13 dicembre 2020 (Sud); (d) espansione del terzo flusso piroclastico dal SEC registrata dalla telecamera termica della Montagnola (Sud) il 13 dicembre 2020”.

Ma non è finita: nel corso dell’attività esplosiva ed effusiva del Cratere di Sud-Est (16 febbraio 2021) si è verificato un ulteriore flusso piroclastico, anche se di modesta entità. In rete si può vedere il filmato dell’evento, realizzato dall’Ingv, e quelle qui accanto sono alcune foto realizzate dal vulcanologo Boris Behncke.

 

Per completare l’informazione aggiungiamo alla lista anche un piccolo flusso, originato dal crollo parziale dell’orlo craterico del Sud-Est avvenuto in concomitanza con il 6° parossismo, quello del 24 febbraio.

Forse dobbiamo rivedere il nostro modo di avvicinarci alle quote più alte dell’Etna: fenomeni che credevamo non appartenessero al nostro vulcano, o che fossero soltanto dei ricordi di fasi evolutive molto lontane nel tempo, sono invece più frequenti di quanto non ci aspettassimo. Trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, può risultare fatale.

E nel resto del mondo?

Particolare dalla carta dell’isola di Martinica di Juan Lopez (1781)

La storia degli eventi vulcanici avvenuti in epoca recente ci porta a ricordare una delle più note e catastrofiche colate piroclastiche accaduta nell’isola della Martinica: nella primavera del 1902 il vulcano chiamato la Montagna Pelée cominciò a dare segni di irrequietezza che sfociarono, l’8 maggio, in una catastrofica eruzione che distrusse completamente la città di Saint-Pierre, fiorente porto commerciale posto lungo la costa sud-occidentale, e uccise in pochi istanti i suoi più di 28.000 abitanti.

Frontespizio dell’opera di Lacroix (biblioteca personale)
Nuée ardente ( foto A. Lacroix – collezione personale)

Nel 1904 il vulcanologo Alfred Lacroix pubblicò un’opera imponente (in due volumi), descrivendo minuziosamente l’eruzione della Pelée in tutti i suoi espetti; in quell’occasione coniò il termine nuée ardente (cioè nube ardente), che ben rende l’idea del fenomeno che si era verificato, e che venne osservato e fotografato ancora il 16 dicembre ed il 25 gennaio dello stesso anno.

L’opera, dal titolo La Montagne Pelée et ses éruptions, è oggi disponibile oltre che come ristampa anastatica dei due volumi originali, anche in edizione digitale e resa fruibile gratuitamente al link della Bibliothèque numerique en histoire des sciences dell’Université de Lille, qui di seguito indicato :  IRIS.

 

La città di Sain-Pierre dopo la distruzione (cartolina postale – collezione personale)

La città di Sain-Pierre, come già detto, fu completamente rasa al suolo: rimasero in piedi solo alcuni dei muri orientati nella stessa direzione del flusso piroclastico e… la prigione, con dentro uno dei due soli sopravvissuti nella città: un detenuto, Auguste Ciparis – riportato spesso come Ludger Sylbaris – che, benché ustionato, si salvò grazie agli spessissimi muri della cella e alla posizione della finestra, rivolta dalla parte opposta al flusso.

Auguste Ciparis, in una cartolina d’epoca (collezione personale)
Manifesto del Circo Barnum & Baile – il sopravvissuto nella “silent city of death”

L’altro scampato alla morte, Léon Compère-Léandre, si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite. Contrariamente a Ciparis che, liberato ed ottenuta la grazia, divenne una star internazionale grazie al Circo Barnum & Baile che lo portò in giro per il modo come attrazione mirabile, l’uomo sopravvissuto al giorno del giudizio”, Léon fu presto dimenticato.

Lo spettacolo che si presentò ai soccorritori fu tremendo, cadaveri o parti di essi erano sparsi un po’ dovunque. Si calcolò che la nube ardente avesse raggiunto la città in circa due minuti, alle 7:52, avendo viaggiato a circa 150 chilometri orari!

Purtroppo la Montagna Pelée non è il solo vulcano, oltre al Vesuvio, sul quale si verificano tali fenomeni. Oltre che dal collasso gravitazionale della colonna eruttiva non più sostentata dalla forza dei gas nel corso di una eruzione di tipo pliniano, tali valanghe si generano anche in seguito al crollo di parte dell’apparato vulcanico sommitale.

Nello stesso arcipelago di isole caraibiche, le Piccole Antille, anche un altro vulcano ha dato origine a flussi piroclastici, il vulcano Soufrière Hills nell’isola di Montserrat; il vulcano è tornato in attività nel 1995 dopo un lungo periodo di quiescenza, ha distrutto completamente la capitale dell’isola, Plymouth. Inoltre tanti altri vulcani della cosiddetta cintura di fuoco circumpacifica presentano manifestazioni di questo tipo: a titolo di esempio ricordiamo il Monte Sinabung (in Indonesia, Gunung Sinabung nella lingua locale), il vulcano filippino Mayon (sull’isola di Luzon, nelle Filippine), Il Pinatubo, sempre nelle Filippine, il vulcano Merapi (nell’isola di Giava in Indonesia) che nell’ottobre-novembre 2010 ha generato flussi piroclastici che hanno determinato la morte di 353 persone.

il Monte Unzen  (Unzendake, in Giappone, ad est di Nagasaki, nell’isola di Kyushu) è anche tristemente noto per aver causato, nel 1991 e sempre a causa di nubi ardenti, la morte dei noti coniugi vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft, oltre che di una quarantina di giornalisti e reporters.

In Italia non solo il Vesuvio (che ha generato modesti flussi piroclastici anche nel corso della sua ultima eruzione, quella del 1944) ma anche lo Stromboli nel 1930, e più recentemente nel corso delle cosiddette esplosioni maggiori del 3 luglio e del 28 agosto 2019, ha generato dei flussi piroclastici.

Per saperne di più sui vulcani di cui si è parlato, ma anche di tanti altri, può essere interessante consultare il Dictionaire des Volcans scritto dal vulcanologo Jean-Claude Tanguy e dal geologo Dominique Decobeq – redattore della  Revue de L.A.V.E (L’Association Volcanologique Européenne) – e pubblicato nel 2009 dalle Editions Jean-Paul Gisserot.

Con il titolo: Etna, il flusso piroclastico del 2 giugno 2025 (Foto Salvatore Lo Giudice)

 

 

 

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ETNAS: così funziona il sistema di allerta precoce di eventi eruttivi dell’INGV https://ilvulcanico.it/etnas-cosi-funziona-il-sistema-di-allerta-precoce-di-eventi-eruttivi-dellingv/ Wed, 04 Jun 2025 05:10:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25616 FONTE:https://ingvvulcani.com/  a cura di: Flavio Cannavò, Stefano Branca, Eugenio Privitera, Salvatore Giammanco (la foto con il titolo è di Vincenzo Greco) Il 2 giugno 2025 l’Etna ha avuto una nuova eruzione parossistica di grande intensità, iniziata di notte e durata diverse ore. L’attività è partita dal Cratere di Sud-Est, con esplosioni stromboliane di intensità e frequenza crescente che sono […]

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FONTE:https://ingvvulcani.com/ 

a cura di: Flavio Cannavò, Stefano Branca, Eugenio Privitera, Salvatore Giammanco

(la foto con il titolo è di Vincenzo Greco)

Il 2 giugno 2025 l’Etna ha avuto una nuova eruzione parossistica di grande intensità, iniziata di notte e durata diverse ore. L’attività è partita dal Cratere di Sud-Est, con esplosioni stromboliane di intensità e frequenza crescente che sono evolute in attività di fontana di lava. Successivamente, un collasso parziale del fianco settentrionale del cratere ha prodotto  un flusso piroclastico che si è riversato nella Valle del Leone, sollevando una nube di cenere e altro materiale piroclastico visibile in gran parte della Sicilia orientale. Il parossismo era stato preannunciato dal sistema di allerta precoce (early warning) dell’INGV Osservatorio Etneo.

Scopriamo insieme di cosa si tratta.

I sistemi di early warning (EW) o allerta precoce (rapida) sono sistemi che sfruttano la differenza tra la velocità di propagazione del fenomeno fisico e la velocità di trasmissione dei dati. In tal modo si ottiene un «tempo utile» per adottare misure di autoprotezione e misure automatiche per la mitigazione del rischio.

Sull’Etna è stato creato e sviluppato il sistema ETNAS (ETna iNtegrated Alert System) di rilevamento precoce (early detection), finalizzato a riconoscere in anticipo il verificarsi di fontane di lava e di apertura di fratture eruttive laterali.

L’intensa attività dell’Etna e i cospicui flussi di dati di monitoraggio acquisiti ed elaborati, nel tempo hanno permesso lo sviluppo di diversi strumenti di allerta automatica, disponibili in tempo reale, per monitorare i cambiamenti nello stato dell’Etna.

Attualmente le attività di sorveglianza dell’Etna condotte dalla Sala Operativa dell’Osservatorio Etneo dell’INGV si basano su un sistema di monitoraggio multidisciplinare tra i più avanzati al mondo composto da circa 160 stazioni, molte delle quali multiparametriche. La sala operativa dell’INGV-OE gestisce vari sistemi di allerta, a seconda dei parametri monitorati, come mostrato in figura 1.

Fig. 1: Sistemi d’allerta della Sala Operativa INGV-OE per fontane di lava esistenti sull’Etna
Figura 1 – Sistemi d’allerta della Sala Operativa INGV-OE per fontane di lava esistenti sull’Etna

Secondo l’ONU, attraverso la “Strategia internazionale per la riduzione dei disastri”(ISDR) del 2006, l’allerta precoce è “la diffusione di informazioni tempestive ed efficaci, attraverso istituzioni identificate, che consente alle persone esposte al pericolo di agire per evitare o ridurre il rischio e prepararsi per una risposta efficace“, ed è l’integrazione di quattro elementi principali:

  1. La conoscenza del rischio e la sua valutazione;
  2. Il monitoraggio e la previsione dei fenomeni per la stima tempestiva del rischio potenziale;
  3. La diffusione delle informazioni attraverso sistemi di comunicazione efficaci, sia verso agenzie governative locali e regionali sia verso il pubblico, affinché possano creare consapevolezza ed educazione;
  4. La risposta del sistema attraverso coordinamento, buon governo e piani d’azione adeguati.

Un sistema di allerta precoce è costituito da una catena di sistemi tecnologici nella quale due ruoli importanti hanno il sistema che riconosce l’evento (early detection) che si basa sulle fondamentali attività di ricerca e il sistema che comunica l’allerta, basato sui piani di protezione civile. Occorre tenere ben presente, tuttavia, che il sistema che effettua l’early detection (rilevamento precoce) è di competenza degli enti di ricerca preposti (Monitoraggio e previsione), che si occupano anche delle ricerche per la caratterizzazione dei rischi e la conoscenza dei fenomeni (Conoscenza del rischio). Di contro, il sistema che si occupa di diramare l’allarme è di competenza della protezione civile (Diffusione delle informazioni), così come l’elaborazione e l’attuazione dei piani di protezione civile (Risposta del sistema).

ETNAS è una piattaforma digitale in grado di aggregare molteplici sottosistemi di allertamento e dati indipendenti, singolarmente basati su modelli e/o dati geofisici e geochimici differenti per fornire il miglior strumento centralizzato possibile di allerta in caso di eruzioni. Il vantaggio di ETNAS è quindi quello di incanalare tutti gli avvisi in un unico contenitore, evitando la frammentazione delle informazioni. Inoltre, è un sistema standardizzato, quindi scalabile ed implementabile all’occorrenza.

Sulla base della frequente attività eruttiva di tipo parossistico dell’Etna, l’INGV-OE possiede una solida base statistica che ha consentito di sviluppare tale sistema. A partire dai dati di monitoraggio si è operato un approccio mediante Machine Learning, con applicazione ai dati di un algoritmo sviluppato tramite un motore a regole ad albero di decisione costruito in modo da ottimizzare le performance previsionali su una base di dati pregressa.

Le informazioni di ingresso di ETNAS possono essere singoli sottosistemi di warning (su diverse tipologie di dati di monitoraggio) che diano valori discreti e finiti in uscita, o dati processati in tempo reale capaci di apportare informazioni sullo stato del vulcano. Il prodotto in uscita di ETNAS è uno stato di warning ricavato dalle informazioni in ingresso. Si definisce successo del warning il caso in cui l’intervallo di tempo di warning interseca almeno un evento target, mentre di contro si definisce falso allarme il caso in cui l’intervallo di tempo di warning non interseca alcun evento target. Infine, si definisce mancato allarme il caso in cui un evento target non interseca alcun intervallo di tempo di warning.

Si è quindi operata una rigida valutazione quantitativa dei risultati di questo approccio, in modo da definire e discriminare la percentuale di successi (True Positive Rate – TPR), che fornisce la probabilità di rilevamento corretto, dalla percentuale di falsi allarmi (False Discovery Rate – FDR), che invece fornisce la probabilità di falsi allarmi. La valutazione prevede anche la definizione del tempo medio di anticipo dell’allerta rispetto all’inizio dell’evento (Ta) per gli eventi target rilevati con successo e della frazione di tempo in allarme (fta) rispetto all’intero periodo di funzionamento. Sulla base di questa valutazione, le regole dell’albero di decisione vengono ricavate in modo tale che le prestazioni dell’allerta aggregata in uscita ottimizzino un obiettivo ben definito.

Per ETNAS sono state attualmente definite due diverse combinazioni di obiettivi, una per ciascuno dei due stati di warning ipotizzati, denominati F1 e F2:

F1: successo completo nel catalogo storico (TPR ≈ 100%), minimo fta, e massimo Ta, indica un warning di primo livello con alta probabilità di accadimento imminente di fontane di lava (più esposto a falsi allarmi);

F2: massima percentuale di successi TPR e minimo numero di falsi allarmi FDR, indica un warning di secondo livello con altissima probabilità di accadimento imminente o in corso di fontane di lava (più esposto a mancati allarmi).

In aggiunta, ETNAS introduce uno stato di warning specifico per fenomeni di intrusione magmatica, etichettato con I (Intrusive), che segnala possibile attività intrusiva e relativa apertura di fessure eruttive. I valori associati a tale allerta sono due:

I0, che indica bassa probabilità di intrusione magmatica;

I1, che segnala alta probabilità di intrusione magmatica.

Questo warning al momento non ha una validità statistica, in quanto è stato testato solo su un caso (eruzione 24 dicembre 2018), per il quale lo stato I1 ha anticipato di 20 minuti l’apertura della frattura eruttiva.

I vantaggi di un approccio tramite il modello di Machine Learning scelto risiedono nel fatto che non è parametrico, che permette la gestione di dati di ogni tipologia possibile, che permette la selezione automatica delle variabili e nel fatto che è veloce.

Le elaborazioni e i risultati del sistema ETNAS sono resi fruibili sia tramite consultazione di un’interfaccia web su sito dedicato e riservato, sia tramite messaggi di allertamento prodotti automaticamente al superamento di soglie predefinite ed inviati al Dipartimento di Protezione Civile.

Fig. 2: Interfaccia web di ETNAS (essendo il sistema in continua evoluzione, l’interfaccia potrà assumere un aspetto diverso)
Figura 2 – Interfaccia web di ETNAS (essendo il sistema in continua evoluzione, l’interfaccia potrà assumere un aspetto diverso)

L’introduzione del sistema di messaggistica automatica ETNAS è finalizzata a rispondere all’esigenza delle strutture territoriali di protezione civile di avere una tempestiva informazione relativamente a fontane di lava ed intrusioni magmatiche. Il passaggio tra stati di warning è comunicato automaticamente attraverso l’invio di email e SMS ad un indirizzario prestabilito del DPC, del DRPC e dei Centri di Competenza.

Pur con le sue limitazioni, le prestazioni del sistema ETNAS sono su livelli molto elevati e ampiamente soddisfacenti. Calcolando infatti i parametri di performance per i warning automatici per il periodo 2011-2022 otteniamo i seguenti valori (Cannavò et al, lavoro in preparazione):


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Creta chiama, Etna risponde. ERO “sente” il rumore del sisma a 1000 km di distanza https://ilvulcanico.it/creta-chiama-etna-risponde-ero-sente-il-rumore-del-sisma-a-1000-km-di-distanza/ Sun, 25 May 2025 05:29:24 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25591 di Rosario Catania (team ERO) Alle pendici dell’Etna è attivo da un decennio il progetto del team E.R.O. acronimo di Etna Radio Observatory, un osservatorio per lo studio dei segnali radio di origine naturale Creando una stazione così vicina all’Etna, il team intende analizzare tutte le possibili sorgenti radio che un vulcano attivo potrebbe emettere, […]

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di Rosario Catania (team ERO)

Alle pendici dell’Etna è attivo da un decennio il progetto del team E.R.O. acronimo di Etna Radio Observatory, un osservatorio per lo studio dei segnali radio di origine naturale

Grafica che mostra i campi di indagine del progetto Etna Radio Observatory (cortesia E.R.O)

Creando una stazione così vicina all’Etna, il team intende analizzare tutte le possibili sorgenti radio che un vulcano attivo potrebbe emettere, dalle frequenze molto basse alle microonde. L’osservatorio svolge quindi un’attività al confine tra le misure fisiche di monitoraggio ambientale e la radioastronomia, passando per la vulcanologia.

Il campo principale di ricerca di E.R.O. è quello delle onde radio a bassissima frequenza (Very Low Frequencies, VLF) che forniscono informazioni sugli eventi fisici che si verificano sulla Terra, nella sua atmosfera e nella magnetosfera circostante. Quello delle basse frequenze è un tema che ha sempre affascinato i ricercatori, perché alle basse frequenze corrispondono onde molto lunghe, in grado di penetrare dove le normali trasmissioni radio si fermano e per lo stesso motivo è una regione di frequenze a lungo studiata in relazione agli eventi sismici. Infatti, solo un segnale a bassissima frequenza proveniente dalle rocce delle faglie in pressione, nelle fasi che precedono un evento sismico, sarebbe in grado di raggiungere la superficie attraversando chilometri di crosta terrestre! I segnali ricevuti a queste frequenze sono quindi definiti “la voce della Terra”, una sorta di finestra sull’attività temporalesca globale del pianeta, sull’attività della magnetosfera che circonda la Terra, sugli effetti dell’attività solare che interagisce con la magnetosfera terrestre, e forse anche una possibile chiave di lettura di alcuni eventi geofisici come terremoti ed eruzioni. Ma non solo basse frequenze!

Alcune misure vengono fatte direttamente sul campo (cortesia E.R.O)

Il progetto ERO vanta oggi due  stazioni funzionanti 24 ore al giorno, (di cui una completamente automatica ad energia solare), per la rilevazione di segnali radio naturali e rappresentano un laboratorio sperimentale per lo sviluppo di nuovi campi di indagine; sono a gestione remota e i segnali sono visibili pubblicamente online. Le stazioni prendono il nome dalla località in cui operano e sono, ERO-ETNAPARK, ERO-SANLEO, in quest’ultima è operativo un sistema per lo studio delle radiazioni a microonde per le emissioni termiche dell’Etna durante le fasi di una eruzione, con lo scopo di rilevare spot caldi sulla superficie, intesi come temperatura di brillanza di un corpo che emette calore, ancor prima dell’ episodio eruttivo stesso. In costruzione anche un ricevitore per indagini astrofisiche, nello specifico, un ricevitore per l’emissione dell’idrogeno neutro della nostra galassia, operante nelle microonde, conosciuta come riga a 21cm.

L’ERO-ETNAPARK è attrezzato per ricevere, analizzare e registrare questi segnali radio-naturali, con un sensore principale chiamato tecnicamente “SEARCH o INDUCTION COIL”, tradotto “Bobina di ricerca”, affiancato da altri due dispositivi. Il primo è un sistema costituito da due antenne che funzionano come una sorta di bussola (IDEAL LOOP): si tratta di una coppia di spire ortogonali, come quelle montate sulle imbarcazioni per identificare la posizione dei radiofari e far puntare la nave, anche in assenza di un segnale GPS. Il secondo è un geofono verticale, che non è altro che un microfono a pavimento, ma invece di catturare i suoni che viaggiano nell’aria come un microfono tradizionale, cattura i suoni e le vibrazioni che si propagano nel terreno. Le vibrazioni vengono trasformate in un debole segnale elettrico che viene poi amplificato, analizzato e registrato dalla stazione di monitoraggio. Lavorando su frequenze di pochi Hz, il geofono è in grado di “sentire” i terremoti che si verificano in un raggio che può arrivare a mille chilometri, ma è anche un orecchio sul vulcano, pronto a cogliere il minimo sussurro o tremore scatenato dall’Etna nel corso delle eruzioni (specialmente quelle a carattere parossistico-esplosivo). Dai dati raccolti negli anni infatti, si è osservato che quando il magma inizia a salire lungo i condotti eruttivi, ancor prima di vedere la superficie, può essere rilevato dal geofono della postazione, apparendo come un rombo alla frequenza di pochi Hertz. Tuttavia, lo studio comparativo di questi segnali microfonici con i campi elettromagnetici rilevati dal SEARCH COIL non ha ancora rilevato correlazioni tra tremori vulcanici e campi magnetici a bassa frequenza. Ma gli eventi di una certa gravità finora monitorati sono stati pochi (per fortuna!) e solo nel corso di anni di ricerca si potrà capire se campi magnetici ed eruzioni sono in qualche modo collegati e se possono essere utilizzati come allerta per un imminente fenomeno eruttivo. Per ora… sembrerebbe di no.

Evento sismico Mw 6.0 a Creta (Grecia), 22 maggio 2025

Distanza tra epicentro e stazioni E.R.O. (tratto da Google Earth)

Alle ore 05:19 italiane del 22 maggio 2025 si è generato un terremoto di magnitudo Mw 6.0 nel mare antistante l’isola di Creta (Grecia) a circa 62 km di profondità.

L’area interessata è inserita nella regione dell’arco ellenico, che interessa tre grandi placche, l’Africa, l’Eurasia ed l’Arabia. In particolare, Creta si colloca nella parte superficiale di quest’arco, con eventi sismici storici di magnitudo fino ad 8.

Nonostante la distanza tra l’epicentro e le stazioni E.R.O. (circa 1000Km), gli strumenti hanno registrato l’evento sismico in modo chiaro e direi in questo caso senza precedenti, in termini di definizione dell’impronta sismica, sia sui sismometri che sui magnetometri, in quest’ultimi determinata dall’effetto microfonico.

L’effetto microfonico in un magnetometro si riferisce alla risposta del sensore alle vibrazioni meccaniche. In pratica, il magnetometro, progettato per misurare variazioni nel campo magnetico terrestre, può interpretare le scosse sismiche e le vibrazioni del terreno come segnali magnetici, generando così “rumore” o artefatti nelle sue misurazioni. Le vibrazioni non sono solo le scosse dirette del terremoto, ma anche le vibrazioni strutturali dell’edificio o della piattaforma su cui è installato il magnetometro. Anche le onde acustiche a bassa frequenza (infrasuoni) generate dal sisma possono indurre vibrazioni meccaniche nel sensore. I magnetometri sono strumenti estremamente sensibili e qualsiasi vibrazione fisica o movimento del sensore o dei suoi componenti (cavi, involucro, ecc.) può indurre piccole variazioni nel campo magnetico locale o nel modo in cui il sensore interagisce con esso. Dopo un sisma, le vibrazioni possono essere intense e persistenti, causando una “rumorosità” significativa nel segnale di uscita del magnetometro.

Ed è il caso di questo evento sismico le cui onde giunte fino ai sensori ne hanno determinato lo scuotimento, marcando il loro passaggio in modo indelebile sui segnali registrati e visualizzati nelle immagini seguenti.

Sismogramma del sima di Creta catturato dal sensore LEGO (cortesia E.R.O)
Sismogramma del sima di Creta catturato dal sensore SISMUS NEODIMIO (cortesia E.R.O)
Spettrogramma del sima di Creta catturato dal sensore GEOFONO VERTICALE (cortesia E.R.O)

 

 

 

 

 

 

 

Spettrogramma del sima di Creta catturato dal magnetometro IDEAL LOOP (cortesia E.R.O)
Spettrogramma del sima di Creta catturato dal magnetometro SEARCH-COIL (cortesia E.R.O)

 

 

 

 

 

 

Conclusioni

La chiarezza con cui si è manifestato questo evento sismico nei grafici elaborati dalle stazioni E.R.O. mostra come un fenomeno naturale, seppur distante, può rappresentare un’occasione di approfondimento nello studio dei segnali radio naturali. Il geofono, che è un sensore geofisico adatto a registrare i movimenti del suolo, conferma che l’impronta visibile sia sul magnetometro lineare che sul magnetometro ortogonale, è quella di  un terremoto, che se anche avvenuto a 1000Km di distanza, ha prodotto lo scuotimento del suolo a tal punto da far muovere letteralmente i sensori con tale energia. E’ la prima volta che sul magnetometro ortogonale viene visualizzato un effetto microfonico con una tale definizione! Un motivo di orgoglio per tutto il team ed un episodio che arricchisce il database che Etna Radio Observatory ha costruito in 10 anni di applicazione.

Oggi Etna Radio Observatory collabora con l’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il Parco dell’Etna ed STMicroelectronics, grazie a convenzioni stipulate per attività di studio sui segnali radio naturali, coadiuvata dall’utilizzo di tecnologia MEMS e Microcontrollori.

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DANTE, 2500 anni di eruzioni dell’Etna https://ilvulcanico.it/dante-2500-anni-di-eruzioni-delletna/ Tue, 15 Apr 2025 15:38:12 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25519 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Il progetto raccoglie in un’unica piattaforma i principali cataloghi relativi alle eruzioni storiche del vulcano siciliano e li integra con i dati del monitoraggio vulcanologico realizzato dall’Osservatorio Etneo L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato DANTE, il database che raccoglie e sistematizza oltre 2500 anni di storia eruttiva dell’Etna, uno dei vulcani più attivi […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Il progetto raccoglie in un’unica piattaforma i principali cataloghi relativi alle eruzioni storiche del vulcano siciliano e li integra con i dati del monitoraggio vulcanologico realizzato dall’Osservatorio Etneo

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha appena pubblicato DANTE, il database che raccoglie e sistematizza oltre 2500 anni di storia eruttiva dell’Etna, uno dei vulcani più attivi al mondo.

DANTE (Database of Etna’s historical eruptions), realizzato dalle Sezioni INGV di Catania – Osservatorio Etneo e di Pisa, è il risultato di una revisione critica dei principali cataloghi già pubblicati in precedenza, integrati e aggiornati con i dati del monitoraggio vulcanologico che svolge l’Osservatorio Etneo. “Il nuovo database rappresenta una risorsa unica e accessibile, che riunisce in un’unica piattaforma informazioni fino ad oggi sparse in diverse pubblicazioni scientifiche, molte delle quali di difficile accesso per il pubblico non specializzato”, spiega Stefano Branca, Direttore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV e co-autore della piattaforma. “Il progetto è pensato per essere dinamico: sarà infatti aperto a nuovi contributi e aggiornamenti basati su fonti storiche, geologiche e scientifiche future”.

Etna, attività 11 aprile 2025 (foto di Giovinsky Aetnensis)

Poiché la tipologia e la qualità delle informazioni disponibili per la compilazione sono significativamente differenti, DANTE è suddiviso in due intervalli temporalidal VI secolo a.C. al XVI secolo d.C., e dal XVII secolo a oggi. Mentre il primo intervallo è basato su dati geologici, stratigrafici, tefrostratigrafici e geocronologici derivati dalla carta geologica dell’Etna del 2011 e dai suoi successivi aggiornamenti, l’intervallo che arriva fino ai giorni nostri si basa su dati estratti dalle numerose documentazioni scientifiche disponibili in letteratura, integrati con i dati del monitoraggio vulcanologico degli ultimi 50 anni.

Con questa pubblicazione, l’INGV conferma il proprio impegno nella documentazione, nello studio e nella divulgazione dell’attività vulcanica dell’Etna volto ad accrescere la consapevolezza e le conoscenze sulla pericolosità vulcanica.

Clicca qui per scaricare DANTE (Database of Etna’s historical eruptions)

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

INGV – Osservatorio Etneo

INGV – Sezione di Pisa

 

 

 

 

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Etna, febbraio 2025: tutta l’eruzione minuto per minuto https://ilvulcanico.it/etna-febbraio-2025-tutta-leruzione-minuto-per-minuto/ Fri, 07 Mar 2025 06:27:45 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25424 FONTE: https://ingvvulcani.com/ di Boris Behncke, Massimo Cantarero, Danilo Cavallaro, Emanuela De Beni, Gaetana Ganci, Marco Neri, Mario Paratore, Cristina Proietti  Dall’8 febbraio 2025 è in corso sull’Etna un’eruzione subterminale prevalentemente effusiva alimentata da bocche situate a quota 3050 m s.l.m, allineate lungo una fessura eruttiva alla base meridionale del cratere sommitale Bocca Nuova. L’eruzione è stata accompagnata […]

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FONTE: https://ingvvulcani.com/

di Boris Behncke, Massimo Cantarero, Danilo Cavallaro, Emanuela De Beni, Gaetana Ganci, Marco Neri, Mario Paratore, Cristina Proietti 

Dall’8 febbraio 2025 è in corso sull’Etna un’eruzione subterminale prevalentemente effusiva alimentata da bocche situate a quota 3050 m s.l.m, allineate lungo una fessura eruttiva alla base meridionale del cratere sommitale Bocca Nuova. L’eruzione è stata accompagnata episodicamente anche da attività stromboliana di modesta intensità e, il 24 e il 28 febbraio, da due limitati trabocchi lavici al Cratere di Sud-Est. La colata lavica emessa da questa fessura si è propagata in direzione sud-ovest ricoprendo principalmente aree desertiche e solo marginalmente un piccolo bosco tra 1900 e 1800 m s.l.m. Sebbene l’evento eruttivo non abbia minacciato aree antropizzate, ha comunque interrotto un breve tratto della “pista Altomontana” all’interno del Parco dell’Etna. La pista Altomontana si sviluppa ad una quota media di 1750 m s.l.m e circumnaviga l’area sommitale dell’Etna dal fianco Sud a quello Nord-est. La colata, attraversando aree densamente innevate, ha prodotto frequenti esplosioni dovute all’interazione lava-neve. L’eruzione ha, inoltre, rappresentato una straordinaria attrazione turistica richiamando migliaia di persone ai fronti lavici in avanzamento.

Nel seguito descriveremo l’eruzione, focalizzando l’attenzione sulla cronologia degli eventi nel contesto della più recente attività eruttiva del vulcano.

Attività eruttiva precedente

Nell’estate del 2024, l’Etna ha offerto uno straordinario spettacolo naturale, con una fase di attività stromboliana ed emissione di colate laviche dal cratere sommitale Voragine, che hanno formato spettacolari cascate tuffandosi nell’adiacente cratere Bocca Nuova. Nelle  settimane seguenti, tra luglio ed agosto, l’intensità dell’attività alla Voragine è aumentata fino a ha produrre sei episodi parossistici con alte fontane di lava, trabocchi lavici e colonne eruttive cariche di materiale piroclastico, che è stato distribuito dai venti nei settori orientale, sud-orientale e meridionale del vulcano. Dopo l’ultimo di questi parossismi è seguita una fase di minore attività esplosiva al Cratere di Nord-Est. Infine, il 10 novembre 2024 è avvenuto un episodio di intensa attività esplosiva in zona Bocca Nuova – Voragine, che ha prodotto una colata lunga meno di 400 m propagatasi in direzione sudovest; tale evento è stato praticamente invisibile anche per le telecamere di sorveglianza dell’INGV-OE a causa delle cattive condizioni meteo.

Da allora, l’Etna è rimasta in uno stato di equilibrio, che è durato fino ai primi giorni di febbraio 2025. Infatti, tutti i segnali registrati dalle reti strumentali di monitoraggio – attività sismica, deformazioni del suolo, emissioni di gas, dati termici e altri – indicavano che il vulcano era in una fase di relativa quiete.

Tuttavia a partire dal 5 febbraio sono state osservate alcune deboli emissioni di cenere scura da un punto sul fianco nord-occidentale del Cratere di Sud-Est (punto rosso di Figura 1), in corrispondenza della sommità del vecchio cono che si era accresciuto tra la fine degli anni 70 e il 2007. Contemporaneamente, l’ampiezza del tremore vulcanico ha cominciato a mostrare fluttuazioni e un trend di progressivo incremento. La mattina del 7 febbraio sono avvenute alcune piccole esplosioni stromboliane dall’alto fianco nord-occidentale del Cratere di Sud-Est. L’arrivo di una perturbazione meteo ha impedito di monitorare l’evoluzione dell’attività fino al pomeriggio dell’8 febbraio.

Figura 1 - Rilievo ombreggiato dell’area sommitale dell’Etna ottenuto dall’elaborazione delle immagini acquisite da drone il 12 settembre 2024, per i crateri BN, VOR e CNE, e il 31 luglio 2024 per il CSE. Le isoipse sono tracciate ogni 100 m. CSE= cratere di Sud Est, CNE= cratere di Nord Est, VOR= Voragine, BN= Bocca Nuova. Il punto rosso indica la bocca che ha emesso attività stromboliana a partire dal 5 febbraio.
Figura 1 – Rilievo ombreggiato dell’area sommitale dell’Etna ottenuto dall’elaborazione delle immagini acquisite da drone il 12 settembre 2024, per i crateri BN, VOR e CNE, e il 31 luglio 2024 per il CSE. Le isoipse sono tracciate ogni 100 m. CSE= cratere di Sud Est, CNE= cratere di Nord Est, VOR= Voragine, BN= Bocca Nuova. Il punto rosso indica la bocca che ha emesso attività stromboliana a partire dal 5 febbraio.

L’eruzione di febbraio 2025

Quando al tramonto dell’8 febbraio le nuvole si sono diradate, le telecamere di sorveglianza poste sulla Montagnola, sull’alto versante meridionale dell’Etna, hanno permesso di osservare un bagliore nella zona conosciuta come “Cratere del Piano” (Figura 2a). Si tratta di un ampio pianoro alla base meridionale dei crateri sommitali, ad una quota tra 2950 e 3100 m. Là, proprio alla base del ripido pendio meridionale del cratere Bocca Nuova, si era aperta una fessura con alcune bocche effusive dalle quali usciva una colata di lava diretta verso sud-ovest (Figura 2b).

Figura 2 - (a) Bagliori (frecce gialle) visibili nelle prime immagini della telecamera di sorveglianza sulla Montagnola dopo il ritiro delle nuvole, la sera dell’8 febbraio 2025. (b) Una lingua di lava si espande dalle bocche eruttive verso l’alto versante sud-occidentale dell’Etna (foto di Francesco Ciancitto, INGV-OE). BN = Bocca Nuova, VOR = Voragine, SEC = Cratere di Sud-Est

Figura 2 – (a) Bagliori (frecce gialle) visibili nelle prime immagini della telecamera di sorveglianza sulla Montagnola dopo il ritiro delle nuvole, la sera dell’8 febbraio 2025. (b) Una lingua di lava si espande dalle bocche eruttive verso l’alto versante sud-occidentale dell’Etna (foto di Francesco Ciancitto, INGV-OE). BN = Bocca Nuova, VOR = Voragine, SEC = Cratere di Sud-Est.

Durante i giorni successivi la colata si è rapidamente espansa sul ripido versante sud-occidentale dell’Etna, formando un unico flusso largo poche decine di metri, per poi riversarsi nella vallata tra la fessura eruttiva del 1610 a est (conosciuta per la grotta di scorrimento denominata “Grotta degli Archi”) e l’antico cono del Monte Pecoraro a ovest (Figura 3). Nel frattempo si è anche osservato, un progressivo aumento  dell’attività esplosiva sul lato nord-occidentale del Cratere di Sud-Est, dove erano attive almeno due bocche che producevano nubi di cenere, bombe e blocchi, scuri di giorno e incandescenti al buio (Figura 4a). Da queste bocche, un sistema di fratture e fessure si estendeva verso nord-ovest, tagliando l’orlo sud-orientale del cratere Bocca Nuova, curvando poi verso sud-ovest fino a raggiungere l’estremità della fessura dove era in corso l’emissione di lava (Figura 3; Figura 4b). Nella sella posta tra i crateri Bocca Nuova e Sud-Est, ovvero lungo il sistema di fratture sopra descritto, una piccola bocca stava inoltre producendo attività stromboliana.

Figura 3 - Mappa della colata aggiornata al 24 febbraio, sovrapposta al rilievo ombreggiato del terreno ottenuto dall’elaborazione delle immagini acquisite da drone il 12 settembre 2024, per i crateri BN, VOR e CNE, e il 31 luglio 2024 per il CSE. Le isoipse sono tracciate ogni 100 m. CSE= cratere di Sud Est, CNE= cratere di Nord Est, VOR= Voragine, BN= Bocca Nuova. Le due immagini, visibile e termica acquisite da drone il 19 febbraio 2024, mostrano la porzione più bassa del campo lavico.
Figura 3 – Mappa della colata aggiornata al 24 febbraio, sovrapposta al rilievo ombreggiato del terreno ottenuto dall’elaborazione delle immagini acquisite da drone il 12 settembre 2024, per i crateri BN, VOR e CNE, e il 31 luglio 2024 per il CSE. Le isoipse sono tracciate ogni 100 m. CSE= cratere di Sud Est, CNE= cratere di Nord Est, VOR= Voragine, BN= Bocca Nuova. Le due immagini, visibile e termica acquisite da drone il 19 febbraio 2024, mostrano la porzione più bassa del campo lavico.
Figura 4 - Teatro eruttivo nella serata del 12 febbraio. (a) Attività stromboliana ed emissione di cenere da due bocche sull’alto fianco nord-occidentale del Cratere di Sud-Est (a destra) e da una bocca posta nella sella tra il Cratere di Sud-Est e la Bocca Nuova (a sinistra). (b) Attività effusiva alle bocche poste alla base meridionale del cratere Bocca Nuova. (Foto di Boris Behncke, INGV-OE).
Figura 4 – Teatro eruttivo nella serata del 12 febbraio. (a) Attività stromboliana ed emissione di cenere da due bocche sull’alto fianco nord-occidentale del Cratere di Sud-Est (a destra) e da una bocca posta nella sella tra il Cratere di Sud-Est e la Bocca Nuova (a sinistra). (b) Attività effusiva alle bocche poste alla base meridionale del cratere Bocca Nuova. (Foto di Boris Behncke, INGV-OE).

L’emissione di cenere dalle bocche esplosive sul Cratere di Sud-Est è aumentata il 14 febbraio e ancora una volta il 16, producendo leggere ricadute di cenere sui settori sud ed est dell’Etna. Il 17 febbraio l’emissione di cenere è diminuita, ma è aumentata l’attività stromboliana prodotta da una delle bocche poste sull’alto fianco nord-occidentale del Cratere di Sud-Est e da quella che è conosciuta come la “bocca della sella”, nella parte occidentale della sommità del cratere (Figura 5). Tale attività è continuata con fluttuazioni fino al pomeriggio del 19 febbraio.

Figura 5 - Attività stromboliana al Cratere di Sud-Est ed effusiva alla base della Bocca Nuova (a sinistra), nelle prime ore del 17 febbraio 2025 (Foto di Boris Behncke, INGV-OE).
Figura 5 – Attività stromboliana al Cratere di Sud-Est ed effusiva alla base della Bocca Nuova (a sinistra), nelle prime ore del 17 febbraio 2025 (Foto di Boris Behncke, INGV-OE).

Negli stessi giorni il flusso lavico si è progressivamente allungato verso sud-ovest, raggiungendo e tagliando la pista forestale altomontana nel pomeriggio del 16 febbraio e bruciando alcuni pini prima di arrestarsi il giorno successivo (Figura 6). Un nuovo braccio lavico, accostatosi sul lato nord-occidentale di quello precedente, ha coperto un’altra sezione della pista e distrutto un piccolo pioppeto nonché parte di un boschetto di pini nel mattino del 19 febbraio. Anche più a monte si stavano formando diverse piccole ramificazioni parallele al flusso principale.

Figura 6 - (a) Fronte lavico in zona Galvarina, dove ha tagliato la pista forestale altomontana, 16 febbraio 2025 (Foto di Rosanna Corsaro, INGV-OE). (b) e (c) Fronte lavico in zona Galvarina, la sera del 19 febbraio 2025 (Foto di Catherine Lemercier).
Figura 6 – (a) Fronte lavico in zona Galvarina, dove ha tagliato la pista forestale altomontana, 16 febbraio 2025 (Foto di Rosanna Corsaro, INGV-OE). (b) e (c) Fronte lavico in zona Galvarina, la sera del 19 febbraio 2025 (Foto di Catherine Lemercier).

Nel pomeriggio del 19 febbraio, l’ampiezza del tremore vulcanico ha subito un brusco calo, che è continuato nella notte, portandolo su un livello medio basso, simile a quello precedente all’inizio dell’eruzione. Nel mattino del 20 febbraio un debolissimo flusso lavico era ancora presente alle bocche effusive, mentre i fronti lavici erano fermi e la colata in progressivo raffreddamento.

Dopo due giorni di ridotta o assente attività effusiva, nel pomeriggio del 22 febbraio si è osservata una ripresa dell’emissione di lava, accompagnata da un lento incremento dell’ampiezza del tremore vulcanico. Il giorno successivo è anche ricominciata l’attività esplosiva al Cratere di Sud-Est, dove tre bocche sul fianco nord-occidentale stavano producendo esplosioni stromboliane. Il 24 si è attivata anche la “bocca della sella” del Cratere di Sud-Est, uno dei due principali centri eruttivi di questo cratere, con esplosioni stromboliane ed emissione di una piccola colata di lava verso l’alto fianco meridionale del cratere. Inoltre, una delle quattro bocche aveva formato un cratere di forma ellittica con asse maggiore di circa 100 m (Figura 7). Nel frattempo la lava aveva formato nuovi bracci nella parte alta della colata dell’8-20 febbraio, raggiungendo una quota minima di 2480 m s.l.m. Nel mattino del 25 febbraio, l’attività ha subito un brusco calo, e l’ampiezza del tremore vulcanico è diminuita, attestandosi su un livello basso. Ancora una volta, nella serata del 27 febbraio, ha ripreso l’attività stromboliana alla “bocca della sella” del Cratere di Sud-Est. Il 28 febbraio si è osservato un nuovo trabocco lavico dalla “bocca della sella”, che ha fatto lo stesso percorso di quello del 24, sull’alto fianco meridionale del CSE. L’attività effusiva sotto la Bocca Nuova ha generato molteplici rami lavici, che si sono espansi sull’alto versante sud-occidentale, allargando la parte alta del campo lavico in formazione dall’8 febbraio. L’attività esplosiva alla “bocca della sella” è progressivamente diminuita nella serata del 28 febbraio e si è arrestata nella notte. Il 2 marzo è stato osservato un debole flusso lavico attivo alla fessura effusiva sotto la Bocca Nuova.

Figura 7 - Immagini termiche del Cratere di Sud Est, acquisite da drone il 24 febbraio, che mostrano le quattro bocche esplosive, la tracimazione lavica da una delle bocche e il nuovo cratere formato da una di esse, il cui orlo è delimitato dal tratteggio in verde.
Figura 7 – Immagini termiche del Cratere di Sud Est, acquisite da drone il 24 febbraio, che mostrano le quattro bocche esplosive, la tracimazione lavica da una delle bocche e il nuovo cratere formato da una di esse, il cui orlo è delimitato dal tratteggio in verde.Con il titolo: la spettacolare foto è di Vincenzo Greco

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Etna, l’eruzione di 160 anni fa: così nacquero i Monti Sartorius https://ilvulcanico.it/etna-leruzione-di-160-anni-fa-cosi-nacquero-i-monti-sartorius/ Thu, 30 Jan 2025 06:15:41 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25349 di Santo Scalia  Centosessanta anni fa, il 30 gennaio 1865, sull’Etna cominciò un’eruzione che si protrasse per 150 giorni, terminando il 28 giugno. Nel versante nord-orientale, lungo una estesa frattura eruttiva allungata in direzione ENE-WSW, tra quota 1825 e 1625 m, si ebbe la formazione di una serie di coni di scorie, denominati successivamente Monti […]

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di Santo Scalia

 Centosessanta anni fa, il 30 gennaio 1865, sull’Etna cominciò un’eruzione che si protrasse per 150 giorni, terminando il 28 giugno. Nel versante nord-orientale, lungo una estesa frattura eruttiva allungata in direzione ENE-WSW, tra quota 1825 e 1625 m, si ebbe la formazione di una serie di coni di scorie, denominati successivamente Monti Sartorius in onore dello studioso tedesco barone Von Waltershausen.

L’area interessata dall’eruzione del 1865, e le successive colate del 1928 e 1971 (da Bull. Volcanolog. 2011 [4])
«I primi sintomi di un’incipiente eruzione si manifestarono alle 14,30 di sabato 28 gennaio 1865: gli abitanti di alcuni villaggi ubicati sul versante orientale dell’Etna osservarono nuvole di fumo sollevarsi da Monte Frumento delle Concazze; durante la notte successiva si udirono rombi sotterranei e furono avvertiti tremori del terreno. Il giorno dopo, 29 gennaio, la frequenza e l’intensità delle scosse sismiche, accompagnate da rombi sotterranei, aumentarono; il sisma più forte, avvenuto intorno alle 23 e avvertito fino ad Acireale, spinse gli abitanti di San Giovanni, di Sant’Alfio e della zona dei Monti Arsi ad uscire dalle loro case in preda al panico» (1).

È il vulcanologo Orazio Silvestri, testimone oculare degli avvenimenti di quegli anni, che descrive le fasi salienti dell’inizio dell’evento, il 30 gennaio: «[…] Alle dieci e mezzo una scossa più forte delle altre si fece sentire e poco dopo una vivissima luce rischiarò la base di un punto culminante di questo banco, la base del Monte Frumento. […] Il comparire di quella luce vivissima accompagnata dalla forte scossa di suolo, fu per ognuno un segnale indubitabile di una eruzione ed infatti dopo quel momento dalla base del monte Frumento per lunga fenditura di suolo ivi avvenuta, impetuosamente sgorgava tra nuvoli di denso fumo, con proiezioni a grande distanza di arene, scorie, e blocchi voluminosi di materia fusa con detonazioni spaventose un fiume di infuocata lava […]» (3).

Silvestri aggiunge ancora: «Ecco il gridoA Muntagna scassau ddà banna e jetta focusi propaga per tutte le popolazioni etnicole e le mette in apprensione per gli effetti imprevedibili nella loro specialità, ma pur troppo quasi sempre funesti di cui può esser causa l’ignivomo Monte» (3).

“Illustrated London News” del 15 aprile 1865

Nei giorni seguenti, lungo la frattura eruttiva, si generarono circa sette coni piroclastici la cui attività spettacolare impressionò non poco la stampa straniera: l’Illustrated London News del 15 aprile 1865 dedicò loro un’incisione, nella quale venivano evidenziati anche i notevoli danni apportati all’area boschiva nella quale si era aperta la frattura.

 

Anche la stampa transalpina si occupò dell’eruzione: tra le tante testate giornalistiche, la parigina Le Monde Illustré (N. 420 del 29 aprile 1865) pubblicò due splendide incisioni dell’attività eruttiva in corso sull’Etna, una delle quali è stata presentata in apertura.

 

 

Orazio Silvestri, nella sua relazione presentata all’Accademia Gioenia di Catania, produsse anche delle interessanti foto del teatro eruttivo. Queste tre da Memorie dell’Accademia Gioenia di Catania – 1867 – Orazio Silvestri.

Alcune di queste fotografie, insieme a tante altre, furono realizzate da Paul-Marcellin Berthier che visitò la Sicilia insieme al vulcanologo Ferdinand Fouqué ed ebbe modo di fotografare l’Etna in eruzione

Paul-Marcellin Berthier – Senza titolo. 1865Alcune di queste fotografie, insieme a tante altre, furono realizzate da Paul-Marcellin Berthier che visitò la
Paul-Marcellin Berthier – Alberi carbonizzati. 1865 (fonte MutualArt)

Le colate di lava dell’eruzione si estesero per circa 7,5 Km, raggiungendo quota 770 m s.l.m.

Cosa rimane oggi dell’eruzione del 1865? Oltre al vasto campo lavico e all’insieme dei coni piroclastici facilmente raggiungibili attraverso il sentiero natura Monti Sartorius (una facile escursione dalla lunghezza di 4 chilometri con un dislivello 100 metri), lungo la strada provinciale 59 Milo-Linguaglossa, nel tratto Fornazzo-Bivio Vena (la SP 59iii), si può osservare un altarino votivo che ricorda l’arresto (miracoloso?) della colata che stava per ricoprire quelle ubertose terre. Una lapide, posta nel 1936, riporta le seguenti parole: «Qui in loro difesa con fiducia ricondotta dai figli di chi prodigiosamente liberasti dalla minacciosa lava antistante 6 – febbr. – 1865»

Altarino votivo lungo la strada provinciale 59 Milo-Linguaglossa (Foto S. Scalia)

Riferimenti Bibliografici:

  • – Giovanni Tringali – Oronimi, toponimi e speleonimi etnei – Accademia Gioenia di Catania – 2012
  • – Orazio Silvestri – Sulla eruzione dell’Etna nel 1865; studi geologici e chimici – Il Nuovo cimento – 1865-66
  • – Orazio Silvestri – I fenomeni vulcanici presentati dall’Etna nel 1863-64-65-66 –Memorie dell’Accademia Gioenia di Catania – 1867
  • – P.Carveni, G.Mele, S.Benfatto, S.Imposa, M.Salleo Puntillo – Chronicle of the 1865, NE flank eruption of Mt. Etna and geomorphologic survey of the Mts. Sartorius area – Bull Volcanol 2011
  • Le Mont Etna et l’eruption de 1865 – Revue des deux mondes 1865/07-1865/08.
  • – Mariano Grassi – Relazione storica ed osservazioni sulla eruzione etnea del 1865 – Catania 1865
  • – M. Fouqué – Rapport sur l’éruption de l’Etna en 1865 – Archives des missions scientifiques et littéraries – 1865

Con il titolo: Le Monde Illustré (N. 420 del 29 aprile 1865)

 

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Etna: abitare in zone sicure, la “delocalizzazione selettiva” https://ilvulcanico.it/etna-abitare-in-zone-sicure-la-delocalizzazione-selettiva/ Sun, 12 Jan 2025 07:23:19 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25308 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali

Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata dalla Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE). La decisione è motivata dalla ripetuta sismicità dell’area che rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili.

L’inedita strategia di “delocalizzazione selettiva” ha attirato l’attenzione di un gruppo di ricerca interdisciplinare dell’Università di Catania e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che ha condotto lo studio Risk Faults – Relocation, Displacement, and Homemaking on the Slopes of Mount Etna”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Antropologia Pubblica’.

Mario Mattia

“Nella notte del 26 dicembre 2018, un terremoto di magnitudo 5.02 ha colpito il fianco orientale dell’Etna, con epicentro nei pressi dell’abitato di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea (Catania). Nonostante la magnitudo moderata, la ridotta profondità del sisma ha provocato ingenti danni a case e attività produttive nella fascia orientale etnea”, spiega Mario Mattia, primo Tecnologo dell’Osservatorio Etneo INGV

L’evento ha riaperto il dibattito sulla ricostruzione: ricostruire “dov’era e com’era” o optare per soluzioni alternative?

“La ricerca, condotta attraverso metodi tipici degli studi antropologici, ovvero il dialogo, la raccolta di testimonianze orali e l’osservazione attenta delle emozioni, delle pratiche, dei gesti dei sopravvissuti, ha evidenziato che la scelta innovativa della SCRAE, indirizzata verso una strategia di prevenzione definita “delocalizzazione selettiva”, ha considerato aspetti fondamentali spesso trascurati nelle politiche di ricostruzione post-disastro. Il primo è l’adattamento socio-culturale delle famiglie colpite, che hanno progressivamente riorganizzato il proprio rapporto con il territorio, riconfigurando gli orizzonti di senso legati all’abitare in una zona a rischio sismico. Il secondo è l’importanza della mediazione istituzionale, una mediazione che, nel caso preso in esame, è stata capace di trovare un punto di incontro tra le esigenze dei cittadini e le necessità dello Stato. E, infine, l’analisi della leva economica, in quanto la valutazione dei beni perduti e l’erogazione delle somme necessarie alla ripresa hanno favorito una sintonizzazione non solo rispetto alle politiche dell’abitare, ma anche rispetto alla percezione culturale del rischio”, aggiunge Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania.

“Dove ha tremato, tornerà a tremare”, affermava nel ‘700 il naturalista Leclerc de Buffon.

Gli autori dello studio sottolineano come la “delocalizzazione selettiva” rappresenti una strategia promettente per affrontare eventi calamitosi ricorrenti come terremoti, eruzioni vulcaniche, fenomeni bradisismici e alluvioni.

“Al di là degli aspetti economici, la priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree del mondo esposte a rischi naturali ricorrenti”, conclude Mario Mattia.

Il gruppo di ricerca, consapevole della necessità di coinvolgere attivamente le comunità locali, proseguirà gli studi per sviluppare modelli di delocalizzazione partecipata e resiliente.

Link allo studio

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) 

Università di Catania

Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE)

Con il titolo e nell’articolo: foto INGV-UNICT

L'articolo Etna: abitare in zone sicure, la “delocalizzazione selettiva” proviene da Il Vulcanico.

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