Luoghi Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/luoghi/ Il Blog di Gaetano Perricone Tue, 16 Jul 2024 06:36:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 Le Guide dell’Etna rassicurano: nessuna problematica per le eruzioni, potete visitare il vulcano con noi, con tranquillità https://ilvulcanico.it/le-guide-delletna-rassicurano-nessuna-problematica-per-le-eruzioni-potete-visitare-il-vulcano-con-noi-con-tranquillita/ Tue, 16 Jul 2024 06:36:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25074 di Vincenzo Greco * Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun […]

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di Vincenzo Greco *
Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun disagio né alla popolazione locale né ai numerosi turisti, i quali vengono quotidianamente accompagnati lungo percorsi attentamente selezionati e situati a distanza di sicurezza dalle zone interessate dai fenomeni vulcanici.
L’attività del vulcano rientra nei normali cicli eruttivi caratteristici del vulcanismo etneo, e non presenta alcun aspetto eccezionale o anomalo. Questi cicli eruttivi, sebbene possano sembrare impressionanti, sono del tutto normali e gestiti con la massima attenzione e professionalità da parte delle autorità competenti.
Desideriamo rassicurare tutti i potenziali visitatori che le nostre escursioni sono pianificate con scrupolosa cura e in stretta collaborazione con esperti vulcanologi, garantendo così un’esperienza sicura e affascinante. Il fenomeno delle eruzioni, oltre a non rappresentare alcun pericolo imminente, offre uno spettacolo naturale di straordinaria bellezza, in grado di affascinare tutti coloro che decidono di affidarsi a noi per vivere questa avventura unica.
Pertanto, invitiamo chiunque sia interessato a visitare l’Etna a farlo con tranquillità, certi che la sicurezza e il benessere dei nostri ospiti sono la nostra priorità assoluta.
* Guida Vulcanologica Etna Nord 
L’ultimo comunicato dell’INGV O.E. dopo l’attività di stanotte, all’alba di oggi 16 luglio 2024
COMUNICATO DI ATTIVITA’ VULCANICA del 2024-07-16 04:16 (UTC) 06:16 ora locale
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, comunica che dall’analisi delle telecamere di sorveglianza si è osservato che l’attività di fontana di lava del Cratere Voragine [che nella notte ha prodotto una colonna eruttiva alta circa 6000 m s.l.m. che si è propagata in direzione Est con segnalazione di ricaduta di cenere negli abitati di Viagrande e Acicastello] si è gradualmente esaurita per poi cessare intorno alle 00:10 UTC, mantenendo una modesta attività stromboliana sino alle 03:00 circa UTC. Per ciò che riguarda la colata lavica [attività cominciata stanotte e che è tracimata dall’orlo nord occidentale del cratere Bocca Nuova con il fronte a una quota di 3000 m slm circa.prodotta nel corso dell’evento di fontana] appare ancora debolmente alimentata. Dal punto di vista sismico, l’ampiezza media del tremore vulcanico, dopo aver raggiunto i valori massimi tra le 19:40 e le 23:00 UTC di ieri, ha quindi mostrato un trend in decremento ed alle 03:30 UTC circa ha raggiunto l’intervallo dei valori medi, ove tuttora permane. Le sorgenti del tremore sono confinate nell’area dei crateri sommitali ad una elevazione di circa 3000 m sopra il livello del mare. L’attività infrasonica è bassa, con eventi localizzati prevalentemente al cratere di sud-est. Per quanto riguarda le deformazioni del suolo, a partire dalle 00:00 UTC non si registrano variazioni significative.
Con il titolo e nella gallery: le meravigliose immagini di Vincenzo Greco dell’ultima attività dell’Etna

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Sua Altezza l’Etna! Storia delle vette regine del vulcano Patrimonio dell’umanità https://ilvulcanico.it/sua-altezza-letna-storia-delle-vette-regine-del-vulcano-patrimonio-dellumanita/ Thu, 11 Jul 2024 04:32:29 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25043 di Santo Scalia “Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record. Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di […]

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di Santo Scalia

Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record.

Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di tre anni, infatti, all’interno del cratere denominato La Voragine è cominciata una moderata attività di spattering; un conetto di scorie ha iniziato a manifestare una allegra attività di lancio di scorie incandescenti che è andata intensificandosi nel corso delle successive settimane.

L’accumulo di scorie ha generato un piccolo cono piroclastico che ha raggiunto alcune decine di metri di altezza. L’attività eruttiva, che ha prodotto anche una colata di lava che si è riversata all’interno del vicino cratere Bocca Nuova, è cresciuta fino a raggiungere lo stato di parossismo, con altissime fontane di lava ed una colonna eruttiva di parecchi chilometri di altezza.

Grafico del tremore vulcanico registrato alla stazione Cratere del Piano (ECPN) dall’Ingv

Un nuovo episodio parossistico si è manifestato la mattina del 7 luglio: a riattivarsi è stato lo stesso cratere all’interno della Voragine. Al termine dell’attività, i depositi piroclastici aggiuntisi a quelli del parossismo precedente, hanno fatto sì che il nuovo valore dell’altezza del vulcano abbia raggiunto i 3.369 metri s.l.m. (3). Va detto però che tale valore è stato ottenuto «secondo i rilievi effettuati da drone […]. Le classiche tecniche topografiche, in particolare quelle più accurate, non sono utilizzabili in ambienti pericolosi come l’area craterica sommitale etnea di questi giorni, dovendo ridurre al minimo il tempo di permanenza in alta quota del personale. I droni riescono a superare queste difficoltà, poiché possono essere pilotati da zone relativamente sicure e permettono il rilievo di aree anche molto ampie».

Il Cratere di Sud-Est (a sinistra) ed il Cratere di Nord-Est (a destra). La seconda e la terza cima sull’Etna (Foto S. Scalia)

In precedenza il punto più alto dell’intero vulcano era rappresentato dal Cratere di Sud-Est (o SEC), il più giovane dei crateri terminali etnei: nato nel 1971 come uno sprofondamento, si è clonato creando un nuovo cono parallelo (per anni denominato Nuovo Cratere di Sud-Est o NSEC), ha generato parecchie nuove bocche (quella orientale e quella detta della Sella), e si è ricompattato in un unico cono ed è cresciuto fino a raggiungere l’altezza di 3.357 metri. Ha impiegato quasi di mezzo secolo, ma è stato il più alto di tutti per quasi tre anni.

Ancor prima, il Nord-Est, (nato il 27 maggio 1911) – di 60 anni più anziano del Sud-Est (nato il 18 maggio 1971) – ha detenuto il record di altezza a partire dal 1978, con i 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate dallo stesso cratere tra il 1977 ed il 1978.

Ma andiamo un po’ indietro nel tempo: per i greci l’Etna era tanto alto da raggiungere il cielo, anzi, era una “colonna del cielo” (cfr. Pindaro, Ode Pitica Ia, 518 – 438 a.C).

Nel 1558 il monaco domenicano Tommaso Fazello, nella sua opera De rebus siculis decades duæ scriveva: «Celsior est cæteris, qui sunt in Siciliæ, montibus. […] Est enim altitudinis p.m. supra 30 […]», la cui traduzione rileviamo dall’edizione palermitana del 1830: «Egli è più alto di tutti gli altri monti che sono in Sicilia. […] È d’altezza più di trenta miglia […]», valore confermato anche da Don Pietro Carrera nel suo Il Mongibello descritto in libri tre del 1636.

«Ascensum triginta circiter millia passuum ad plus habet» è la stima secondo Filoteo degli Omodei nell’Ætnæ topographia, incendiorumque Ætnæorum historia del 1591. Qualche secolo dopo, nel 1793, l’abate Francesco Ferrara, nell’opera Storia generale dell’Etna ci informa del valore dell’altezza del monte, pari a «[…] circa 1610 tese sulla superficie del mare vicino».

Una misura più “scientifica” l’abbiamo nel 1815 dal canonico Giuseppe Recupero che dedica un paragrafo alla «Altezza assoluta di Mongibello determinata col Quadrante geometrico»: «secondo la nostra canna d’architettura due mila duecento ottantacinque canne e sei palmi, che ridotte in tese parigine vengono a fare due mila trecento venti sei  tese, e quattro piedi» (vedi Storia naturale e generale dell’Etna, cap. IV).

Carta volcanologica e topografica dell’Etna di Émile Chaix – 1892 (dalla BNF)

Nel 1892 il geografo Émile Chaix (1856 – 1924) realizzò una Carta volcanologica e topografica dell’Etna nella quale il punto più alto dell’Etna viene posto al Gran Cratere (allora ce n’era solo uno!) ad una altezza di 3313 metri, valore riportato uguale l’anno dopo nella carta di Wagner & Debes.

Carta IGM in scala 1:50.000 (1895)

Nel 1895 l’Istituto Geografico Militare italiano – IGM – nella carta in scala 1:50.000 indica un valore di 40 metri inferiore, pari a 3273 metri.

Il valore rimane praticamente invariato nella carta del 1919 edita dal Touring Club Italiano (3274 metri) mentre scende a 3263 nella carta IGM in scala 1:25000 del 1932.

il Cratere di Nord-Est, il punto più alto dell’Etna dal 1978 al 2021 (foto S. Scalia)

Il 1964 è un anno di grande fermento per la sommità dell’Etna: nel corso degli episodi eruttivi di aprile e luglio si genera un nuovo cratere, il cosiddetto Cratere del ’64, che diviene il nuovo punto di massima altezza con 3323 metri. Tale misura verrà indicata  invariata nelle carte topografiche dell’ IGM 1:25.000 del 1969 e 1:50.000 (a colori) del 1983, oltre che nella carta del Touring Club Italiano del 1984. Queste ultime due non avevano ancora recepito il nuovo valore raggiunto dal Cratere di Nord-Est, che già, a partire dal 1978, era divenuto il punto più alto dell’Etna, con i suoi 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate tra il 1977 ed il 1978.

Successivamente, in seguito a vari crolli avvenuti lungo gli orli del cratere di Nord-Est, il valore dell’altezza era man mano divenuto inferiore, fino a raggiungere i 3326 nel 2018 e infine 3320 metri nel 2019.

Riferimenti:

  • Etna: il ritorno in scena della Voragine (A.I.V. 2 luglio 2024)
  • Quando La Voragine fa sul serio: gli episodi parossistici del 4-5 e 7 luglio 2024 (A.I.V. 8 luglio)
  • La Voragine fa la voce grossa … e diventa la nuova vetta dell’Etna! (INGV vulcani 10 luglio 2024)

Con il titolo: la nuova cima dell’Etna: 3.369 metri (attenzione: la prospettiva inganna…)

 

 

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I Campi Flegrei sulla rivista dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) https://ilvulcanico.it/i-campi-flegrei-sulla-rivista-dellassociazione-vulcanologica-europea-l-a-v-e/ Wed, 03 Jul 2024 06:03:07 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24998 di Santo Scalia I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia. L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed […]

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di Santo Scalia

I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia.

L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed espone le caratteristiche storiche e vulcanologiche della conosciutissima area campana.

Il titolo a pag. 14 della Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 del luglio 2024)

La conoscenza e la competenza del Prof. Tanguy (ricercatore di vulcanologia presso l’Université Paris VI e l’Istituto di Fisica del Globo di Parigi) hanno arricchito di contenuti la traccia da me proposta e che espongo nelle righe seguenti.

*  *  *

Ad ovest della città di Napoli, nel golfo di Pozzuoli, si trova una vasta area denominata Campi Flegrei. L’attributo flegrei (ϕλεγραῖος, “ardente”) fu utilizzato già dai primi coloni greci, a causa delle particolari manifestazioni naturali che ivi accadevano.

Nei Campi Flegrei gli antichi greci ravvisarono le tracce tangibili della sconfitta subita dai Giganti, che dopo aver tentato di scalare l’Olimpo – nella mitologica Gigantomachia –furono ivi precipitati dal vittorioso Zeus.

Il geografo greco Strabone di Amasea (vissuto all’incirca tra il 63 a.C. ed il 23 a.C.), nel capitolo IX del libro V della sua opera Geografia, descrivendo la regione campana infatti così scriveva: «[…] i Romani vi collocarono una colonia, e cambiarono il suo nome in Puteoli, a causa  dei pozzi che sono abbondanti nelle vicinanze, o secondo altri, per la puzza che mandano le acque in tutto l’area che si estende fino a Baja ed al territorio di Cuma, pieno di solfo, di fuoco e di acque calde. E alcuni tengono che per questo motivo il territorio di Cuma sia stato detto Flegreo; e che questi fuochi e queste acque calde abbiano dato luogo a ciò che si racconta dei Giganti colpiti dal fulmine e atterrati in quella regione» (traduzione dell’A. da Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 – BNF).

E poco dopo Strabone aggiunge: «Appena sopra la città si eleva un altopiano conosciuto col nome di  Forum Vulcani e circondato su tutti i lati da colline vulcaniche, da cui escono densi vapori estremamente fetidi attraverso numerose bocche: inoltre tutta la superficie di questo altopiano è ricoperta di zolfo in polvere, apparentemente sublimato dall’azione di questi fuochi sotterranei» (1).

La vasta area denominata Campi Flegrei, una “caldera con vulcani monogenici”, «[…] non è un vulcano con un cratere centrale, ma un insieme di numerosi coni, distribuiti all’interno e sui bordi di un’area quasi circolare, ampia circa 12×15 km» (3). Dal punto di vista della tettonica la sua origine deriverebbe dall’interazione tra l’apertura del Mar Tirreno e la microplacca Adriatica (4).

All’interno della caldera si trovano località molto conosciute, come Agnano, il Lago d’Averno, il cratere degli Astroni, la famosissima Solfatara, il Monte Nuovo ed altre ancora. E, sempre all’interno della caldera, si trovano anche diverse migliaia di abitanti!

Tra 40.000 e 36.000 anni fa (mille più, mille meno!), quando fortunatamente l’area non era così densamente popolata come lo è adesso, ma era presumibilmente abitata da pochissimi esemplari di Homo Sapiens, nell’area flegrea avvenne la più catastrofica eruzione mai avvenuta nel bacino del Mediterraneo, almeno nel corso dell’ultimo milione di anni (5). Probabilmente in seguito all’arrivo di nuovo magma nella riserva sotterranea, una repentina espulsione di materiale concomitante al collasso della sommità di uno stratovulcano causò delle enormi esplosioni che produssero ceneri e pomici che dilagarono in numerosi flussi piroclastici.

E’ questa l’attività che generò la cosiddetta Ignimbrite Campana, detta anche Tufo Grigio Campano, un deposito che mostra uno spessore variabile tra i 20 ed i 30 metri, su una superficie di oltre 7.000 km2; tale deposito oggi si ritrova in tutta la piana campana, fino all’Appennino, e financo a Salerno oltre la penisola Sorrentina! Attività così violente come quella appena descritta, per fortuna, non si sono più manifestate in tempi storici.

A quell’epoca non si era ancora formato il Monte Vesuvio; tralasciando le successive attività quali quelle avvenute a Vivara e Fiumicello nell’area dell’isola di Procida, un’altra attività importante si è avuta tra 15.000 e 12.000 anni fa: certamente non paragonabile a quella dell’Ignimbrite Campana, questa, detta del Tufo Giallo Napoletano, interessò comunque tutta l’area dei Campi Flegrei e, più ad est, del Golfo di Napoli, avendo sparso una ventina di km3 di magma su un’area di oltre 350 km2.

In tempi successivi, fino a circa 1.500 anni fa, un gran numero di coni vulcanici sono sorti all’interno della caldera dei Campi Flegrei: Pisani, Montagna Spaccata, Gauro, Miseno, Nisida; alcuni di questi sono stati in parte già smantellati dall’azione delle onde marine; successivamente apparvero altri centri eruttivi, Agnano, Monte Spina, Solfatara, Astroni, Averno ed altri ancora.

In tempi storici, l’area flegrea divenne sede di numerosi miti. Virgilio, ad esempio, pose l’accesso agli inferi proprio presso il Lago d’Averno: il nome del lago, infatti, sta a significare “senza uccelli”, in quanto quelli che inavvertitamente si trovavano a volarvi sopra cadevano morti, a causa dei vapori mefitici che si sprigionavano dalla sua superficie.

L’ultima eruzione: 1538

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: già da una trentina d’anni un notevole innalzamento della costa in prossimità di Pozzuoli segnava uno dei fenomeni precursori di una possibile attività eruttiva. Negli ultimi due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era anche intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi (6), le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua, che caddero anche a Napoli.

Monte Nuovo ed il Lago d’Averno oggi (Foto Jean-Claude Tanguy)

La gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri.

Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio. Infine, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate (3).

La Solfatara

La Solfatara di Pozzuoli è probabilmente il più conosciuto dei vulcani dei Campi Flegrei. Vicinissimo a luoghi storici quali le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma, l’ Anfiteatro Flavio e il Tempio di Serapide, presenta fenomeni che denotano immediatamente la sua natura vulcanica, quali le fumarole, le mofete ed i vulcanetti di fango ribollente.

Immagine aerea della Solfatara (Foto Jean-Claude Tanguy)

Il luogo rappresentò una visita obbligatoria per i viaggiatori del “Grand Tour, ed in seguito fu un’ambientazione unica e fantastica per scene di tanti film. Purtroppo è stata anche sede di una terribile tragedia, in seguito alla quale fu determinata la sua chiusura al pubblico: il 12 settembre del 2017, un bambino di 11 anni, sfuggito al controllo dei genitori, è caduto in una voragine nei pressi della cosiddetta fungaia; nel tentativo di salvarlo, a causa delle esalazioni, anche padre e madre sono morti per asfissia.

Di recente sono stati eseguiti dei lavori per rendere sicura la visita della Solfatara, in vista di una sua restituzione alla fruizione del pubblico. Purtroppo il perdurate del trend crescente del bradisismo, e la notevole sismicità nell’area flegrea, ne hanno, per adesso, sconsigliato la riapertura.

Il bradisismo

L’area flegrea incentrata attorno alla città di Pozzuoli è, storicamente, interessata da notevoli fenomeni bradisismici, movimenti lenti di deformazione del suolo, strettamente correlati con la presenza di magma sotto la caldera e con i suoi spostamenti.

Nel periodo che va dal 1982 al 1984 una crisi bradisismica, caratterizzata anche da un’intensa sismicità, apportò gravi danni ad alcuni edifici di Pozzuoli. Precedentemente, tra il 1970 ed il 1972, l’area flegrea (in particolare l’area di Pozzuoli) è stata interessata da crisi bradisismiche che causarono un sollevamento totale di circa 3.5 metri, al quale seguì l’abbandono dell’area del Rione Terra.

La situazione oggi

Variazioni di quota (in cm.) della stazione RITE (Pozzuoli – Rione Terra) dal 2000 al maggio 2024 (7)

Dopo le crisi degli anni ’70 e ’80 si è avuto un periodo di generale subsidenza che, a partire dal 2005, ha presentato un’inversione del fenomeno, determinando un costante sollevamento del suolo, tutt’ora in atto.

Come mostra chiaramente il grafico pubblicato dalla Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano (nel Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024), nel periodo temporale che va dal 2005 al 2024, si registra un costante innalzamento che sfiora i 130 cm. alla stazione del Rione Terra di Pozzuoli.

Attualmente, come indicato nella pagina web dell’Osservatorio Vesuviano, il livello di allerta è “giallo” (https://www.ov.ingv.it/index.php/flegrei-stato-attuale ).

Recentemente il ministro per la Protezione civile italiana, Nello Musumeci, ha affermato: «L’attività vulcanica connessa al bradisismo appare in costante evoluzione. Non si esclude che, se dovesse perdurare tale situazione, si possa passare al livello di allerta arancione».

Bisognerà essere pronti a reagire velocemente nel caso in cui i parametri, costantemente monitorati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dovessero presentare significative variazioni, tali da lasciar presumere che la probabilità di una prossima attività eruttiva possa notevolmente aumentare.

Nel caso di una attività eruttiva nell’area, tutto dipenderà non soltanto dal momento in cui accadrà, ma dalla sua tipologia, dallo sviluppo dell’eruzione, dalla sua intensità ma soprattutto dal luogo in cui si aprirà un eventuale nuovo cratere.

Bibliografia (citata nel testo)

  • Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 (BNF)
  • Cosmographie Universelle d’André Thevet, Vol. 1, 1575 (BNF)
  • Vulcani d’Italia, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 2007
  • Dictionnaire des Volcans, J.C. Tanguy e D. Decobecq, Gisserot 2009
  • Volcanoes of Europe, D. Jerram, A. Scarth e J.C. Tanguy, Dunedin 2017
  • Dell’incendio di Pozzuolo nel MDXXXVIII, Delli Falconi Marco Antonio, Napoli 1538
  • Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024 – A cura della Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano

Letture consigliate:

  • I Campi Flegrei, G. De Lorenzo, 1909
  • La solfatara di Pozzuoli – vulcano, M. Sirpettino, Franco di Mauro 1990
  • Campi Flegrei, Campania Felix, il Golfo di Napoli tra storia ed eruzioni, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, Campania Felix, Guida alle escursioni dei vulcani napoletani, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, A Restless Caldera in a Densely Populated Area, AA.VV. 2022
  • Campi Flegrei – storie di uomini e vulcani, L. Giacomelli e R. Scandone, 2023

Con il titolo: Napoli e la caldera dei Campi Flegrei (Wikimedia Commons, pubblico dominio)

 

 

 

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Che magnifico spettacolo gli anelli dell’Etna! https://ilvulcanico.it/che-magnifico-spettacolo-gli-anelli-delletna/ Mon, 08 Apr 2024 05:30:16 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24889 di Giovinsky Aetnensis In questi giorni il nostro magnifico vulcano ci delizia con degli anelli di gas a vortice, i Volcanic vortex rings che vengono espulsi da un nuovo pozzo craterico (Pit Crater) posto a nord est del cratere di Sud Est. Sembrano venire fuori come un respiro affannoso questi anelli, che poi veleggiano sopra […]

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di Giovinsky Aetnensis

In questi giorni il nostro magnifico vulcano ci delizia con degli anelli di gas a vortice, i Volcanic vortex rings che vengono espulsi da un nuovo pozzo craterico (Pit Crater) posto a nord est del cratere di Sud Est. Sembrano venire fuori come un respiro affannoso questi anelli, che poi veleggiano sopra la montagna modellandosi sempre più fino a poi sfaldarsi.

L’Etna, “colonna del cielo”, é un vulcano in continua mutazione che non stanca mai, suscita sempre meraviglia e stupore per gli osservatori appassionati come me ed é sempre una grande emozione quando si pratica l’escursionismo

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Mompileri: storia, arte, religione a 355 anni dalla “grande ruina”. Il giorno del dolore e della speranza https://ilvulcanico.it/mompileri-storia-arte-religione-a-355-anni-dalla-grande-ruina-il-giorno-del-dolore-e-della-speranza/ Tue, 12 Mar 2024 05:52:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24753  di Santo Scalia  Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669,  Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata. Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano […]

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 di Santo Scalia 

Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata.

Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano e le popolazioni che, con fatica, lì vivevano.

Dopo l’eruzione del 1447 – che come riferisce Matteo Selvaggio fece poco danno – a dire del Canonico Francesco Ferrara, storico di Trecastagni, «l’Etna godette d’una lunga calma; i suoi fuochi restarono assopiti per quasi 90 anni».

Il Canonico riporta che «A’ 24 Marzo del 1536 verso il tramontar del Sole una nera nube al di dentro rosseggiante coprì il cratere»; successivamente colate di lava si riversarono in direzione di Randazzo, poi verso i paesi di Bronte e Adernò [così allora veniva denominato Adrano, n.d.A.] ed infine, il giorno 26, «[…] come dice una relazione manuscritta fatta a Mompiliere, si aprirono 12 voragini tra il Monte Manfrè, e Vituri [oggi Monte Vetore, n.d.A.] nella parte meridionale dell’Etna, dalle quali un gran fiume di lava vomitato si diresse verso il sud» [1].

Due episodi particolari vengono riferiti, sempre dal Ferrara: la distruzione della Chiesa di San Leone e la tragica morte del medico di Piazza Armerina, Francesco Negro. Ecco cosa scrive il Canonico: «La Chiesa di S. Leone che era nel bosco in quel giorno colle scosse fu interamente appianata, e poco dopo sopragiunta la lava, le sue rovine furono sepolte sotto un fiume di fuoco».

Ed ancora: «Francesco Negro Filosofo, e Medico della Città di Piazza, da Lentini erasi portato a veder da vicino l’eruzione; o colpito da un colpo di fumo, o dalle enormi pietre che erano state eruttate dalle voragini, a cui egli erasi forse molto avvicinato, perì miseramente».

Da Storia naturale e generale dell’Etna di Giuseppe Recupero, 1815

Un tempo, traccia di questa eruzione – come riportato da Giuseppe Recupero [2] – si trovava anche nella cisterna del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi; oggi quella tavola non è più visibile.

Se nel 1536 la minaccia lavica non fu grande per Mompileri, l’anno successivo, «[…] agli 11 del mese stesso [maggio, n.d.A.], alle Fontanelle sotto la Schiena dell’Asino, aprironsi molte voragine che vomitaron torrenti di lava maggiori dell’anno precedente. […] Lasciato illeso S. Nicolò l’Arena giunsero a Nicolosi, e Mompiliere». (F. Ferrara, op. cit.)

Stavolta la colata lavica raggiunse Mompileri e, come riporta ancora il Ferrara, «sulle mura della cui Chiesa maggiore fermossi un braccio del torrente infuocato il dì 19 maggio»; l’evento è sorprendente: gran parte dell’abitato venne risparmiato e il popolo gridò al miracolo; si decise di lasciare ben visibili le intrusioni di quella lava nella parete interna della chiesa.

Ma è nel marzo del 1669 che il vulcano segnerà definitivamente il destino dell’abitato di Mompileri, delle sue chiese e di tanti casali etnei (Guardia, Malpasso, San Giovanni di Galermo, Mascalucia, Camporotondo, San Pietro Clarenza, Misterbianco, Li Plachi). Lunedì 11 marzo 1669 «[…] s’aprì il Monte con gagliarde scosse, e cominciò da due bocche à vomitar fuori fiamme con tanta furia, e pioggia di pietre infocate in aria, che passavano l’altezza di cento canne» [3]. L’autore aggiunge un dato impressionante: «[…] trà lo spatio di poche hore mandò fuori tanta materia, che bruggiò, e ricoperse affatto trè Casali: La Guardia, Mompelieri, e Malpasso».

Alcuni paesani, sotto il rapido incalzare della colata, provarono a mettere in salvo le più preziose tra le opere d’arte vanto di Mompileri: portarono via dalla chiesa madre il gruppo marmoreo dell’’Annunziata (statue che, a detta di Tomaso Tedeschi, «eran stupore dell’arte; se pure da humane, e non d’Angeliche mani furono scolpite») ma, a causa del pochissimo tempo a loro disposizione, dovettero presto abbandonare le statue al loro destino. Anche la statua lignea di San Michele Arcangelo, che era custodita in una cappella lì vicino, fu portata fuori ma abbandonata davanti al fronte lavico che stava per raggiungerli. L’altra statua di marmo, quella della Madonna delle Grazie, rimase sull’altare della chiesa: non ci fu neppure il tempo per tentare di metterla in salvo!

Da Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669 di Carlo Mancino

Carlo Mancino, nella sua “Narrativa del fuoco uscito da Mongibello” [4], così ci descrive quelle opere: «[…] vi erano tre Statue di finissimo marmo, di grandezza del naturale. Una del Angelo Gabriele, l’altra di Nostra Signora Annunciata, e la terza della Regina delle gratie col bambino in braccio. Tutte, e tre di sì bella, ed esquisita manufattura, che prescindendo d’essere Statue Sacre, valutavano più di centomila scudi, per essere state le più belle statue di tutta Italia; che per ammirarle, havevano venuto li primi Scultori, e Pittori d’Europa, stimandoli d’ogni perfettione […]»

Il 12 marzo del 1669 l’antica Mompileri scomparve travolta dalla lava.

Affresco sulla parete esterna del primo Santuario di Mompileri (foto S. Scalia)

Come dovesse apparire il gruppo marmoreo dell’Annunciazione possiamo vederlo grazie ad un affresco posto sulla parete esterna del primo Santuario, edificato sulla colata lavica, proprio sopra alla chiesa distrutta, nei primi anni del ‘700.

L’Annunciazione di Mompileri, dipinto attribuito a Giacinto Platania (Chiesa di Massa Annunziata – Foto S. Scalia)

Un’altra riproduzione del gruppo marmoreo, attribuita al pittore acese Giacinto Platania, si può ammirare presso la Chiesa Maria SS. Annunziata, proprio nel paese di Massannunziata: l’Arcangelo Gabriele sta a sinistra, in atto di inginocchiarsi e porgere dei gigli (simbolo della castità e della purezza); Maria, a destra, sorpresa dalla novella, quasi si schermisce ed è raffigurata con una corona sul capo.

Nel 1678, ad Amsterdam, vedeva la luce la terza edizione della famosissima opera Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher (di lui abbiamo ampiamente trattato su questo blog, ilVulcanico.it). In questa nuova edizione, la prima dopo il catastrofico evento, Kircher dà una concisa descrizione degli eventi accaduti in Sicilia, e sottolinea anch’egli la bellezza e la fama delle statue perdute.

Ancora una descrizione delle mirabili statue la troviamo nella Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano [5], cronaca manoscritta del 1752: «Lo Foco caminò nella Terra di Mompileri, che arrivava a n.° 3 M[ila] Anime, […] et quello che più importa, ricchissima di Statue di Marmo. […] La merviglia di dette statue [era] che havendo venuti Spagnoli, Francisi et altri, non pottero mai copiari il vestito di detto Angelo, basta qui, direi, che foro la maraviglia di tutta Italia, et più […]».

Tutto era andato perduto, o così sembrava. Qualcosa invece si era salvato, e fu successivamente ritrovato. Per descrivere questi ritrovamenti, riporto alcuni passi tratti dal l’opuscolo Maria sull’Etna [6]: «Alcuni mesi dopo l’eruzione, alcuni uomini venuti a verificare cosa possa essersi salvato dalla furia della lava, ritrovano il simulacro [di San Michele Arcangelo, n.d.A.] in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi; gli stessi, secondo gli antichi racconti, si sarebbero riuniti dopo averlo oltrepassato. Il simulacro viene portato nel sito abitativo di Massa Annunziata».

Nel 1704 «Il 18 Agosto, sotto la spessa coltre lavica, avviene il sospirato ritrovamento della statua della Madonna delle Grazie. I cercatori arrivano, probabilmente trascinandosi carponi e, man mano rimuovendo detriti e frammenti della struttura della chiesa crollata sotto il grave peso della lava e possono contemplare per la prima volta la statua della Madonna dal suo lato sinistro».

Infine, nel 1955, scavando in una cava di ghiara [rena rossa, n.d.A] nelle vicinanze del Santuario si «ritrova la testa del simulacro della Madonna Annunziata. Nei giorni successivi viene ritrovata la testa del simulacro dell’Arcangelo Gabriele ed altri frammenti dello stesso gruppo marmoreo.».

E’ però il ritrovamento del 1704 ad aver assunto un’aura di miracolo.

La statua della Madonna delle Grazie, che la tradizione popolare vorrebbe fosse stata ritrovata intatta, ancora sull’altare, aveva invece subito gli insulti causati dall’eruzione e dalle difficilissime operazioni per riportarla in superficie: il marmo era stato deteriorato dal calore della lava ed era rotta in più pezzi (tutti però ritrovati). Fu abilmente ricomposta nel corso dell’Ottocento e dipinta con vernici colorate, anche per nascondere all’occhio ciò che le tragiche vicende subite avevano causato [7].

Nel settembre del 2021, a cura dell’associazione Mascalucia Doc A.C., un’associazione no profit – finanziata solamente con il supporto economico dato dai suoi soci e dalle attività commerciali che volontariamente la sostengono – è stata pubblicata la “fanzineMompileri, stupore dell’arte. Cos’è una fanzine? E’ un termine derivato dalla lingua inglese, una lingua molto diversa dalla nostra ma, per certi versi, più semplice e con una più accentuata capacità di sintesi: così, dai termini magazine – che per noi è “rivista” – e fan, diminutivo di fanatic – che in italiano sta per “appassionato” –  è nato il sostantivo fanzine, contrazione di fanatic magazine [8].

Nella lingua italiana tale neologismo, più precisamente “anglicismo”, è stato accolto al femminile: una “fanzine” è quindi una rivista realizzata da appassionati, che prestano la loro opera a titolo assolutamente gratuito, e lo fanno con l’entusiasmo di chi ha a cuore la diffusione della conoscenza, in questo caso la conoscenza del proprio territorio e della sua storia, e nel caso particolare del territorio che è stato definito delle tre emmeMompileri, Massannunziata e Mascalucia.

La prima fanzine associativa aperiodica, il numero 1, è stata interamente dedicata alla storia dello sfortunato casale di Mompileri, ricoperto dalle lave etnee nel 1669. Si tratta di una «fanzine composta da 50 pagine tutte a colori che ripercorre la storia, gli avvenimenti e tutte le verità inerenti il sito storico-religioso di Mompileri».

Dal 3 aprile del 2022 – dopo una coraggiosa e superba opera di restauro, l’opera (dagli esperti sempre più convintamente attribuita alla mano del Gagini) è stata restituita all’aspetto originale ed è possibile ammirarla… così come lo facevano i fedeli di più di 355 anni fa. “É come se l’avessimo ritrovata per la seconda volta” ha commentato Don Alfio Giovanni Privitera, rettore “pro-tempore”, come egli ama definire se stesso, che fortemente ha auspicato questo restauro. Rimosso lo strato di colorazioni ottocentesche, è riapparso il simulacro nella sua splendida semplicità di marmo arricchito da fregi dorati.

La statua lignea dopo il restauro (foto S. Scalia)

Ma l’opera di Don Alfio Privitera non si è arrestata con questo traguardo importante dal punto di vista storico, culturale, artistico e religioso: la statua lignea di San Michele Arcangelo, che, come già ricordato, al tempo dell’eruzione fu portata fuori dalla vicina cappella ma lasciata davanti al fronte lavico e che fu in seguito ritrovata intatta in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi di lava, è stata oggetto di un accurato restauro, “un altro motivo di meraviglia!”, come affermato dal Rettore.

Il 15 luglio del 2023 l’opera lignea (realizzata nel 1654, solo 15 anni prima della catastrofica eruzione), è stata restituita alla comunità svelando particolari che col tempo si erano perduti (vedi fotogallery).

Il simulacro dell’Arcangelo, patrono di Massannunziata, è custodito la Chiesa di Maria SS. Annunziata della frazione di Mascalucia.

Un sentito e doveroso ringraziamento va al Rettore Don Alfio Giovanni Privitera per la sua disponibilità e squisita cortesia e all’Associazione Mascalucia DOC per il prezioso lavoro svolto per la conoscenza e la salvaguardia del territorio mascaluciese.

Riferimenti bibliografici:

  • [1] Francesco Ferrara, Storia generale dell’Etna – 1793
  • [2] Giuseppe Recupero, Storia naturale e generale dell’Etna – 1815
  • [3] Bonaventura la Rocca – Relatione del nuovo incendio fatto da Mongibello – 1670
  • [4] Carlo Mancino, Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo

 del 1669

  • [5] Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano, cronaca manoscritta del 1752 e

pubblicata nel 1929 dal Canonico Vincenzo Raciti Romeo «per accrescere il patrimonio della storia di Acireale»

  • [6] Maria sull’Etna (opuscolo del 2019 curato dal Santuario Madonna della Sciara in

occasione del 350° della conservazione del simulacro della Madonna sotto la lava)

  • [7] Il restauro del simulacro marmoreo cinquecentesco della Madonna della Sciara

(pubblicato a cura del Santuario Madonna della Sciara nell’aprile del 2022)

  • [8] Mompileri, stupore dell’arte (fanzine pubblicata nel 2021 a cura dell’Associazione

Mascalucia DOC)

  • [9] Il restauro del simulacro di San Michele Arcangelo (opuscolo del 2023 curato dal

Santuario Madonna della Sciara in occasione della celebrazione inaugurale del 13 Luglio 2023)

Con il titolo: A prospect of Mount Ætna with its eruption in 1669  (Mary Evans Picture Library), un prospetto del Monte Etna con la sua eruzione del 1669

L'articolo Mompileri: storia, arte, religione a 355 anni dalla “grande ruina”. Il giorno del dolore e della speranza proviene da Il Vulcanico.

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11 gennaio 1693: il grande e terribile terremoto nelle epigrafi di Catania https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/ Thu, 11 Jan 2024 05:48:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24554  di Santo Scalia  In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com). Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non […]

L'articolo 11 gennaio 1693: il grande e terribile terremoto nelle epigrafi di Catania proviene da Il Vulcanico.

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 di Santo Scalia 

In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com).

Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, a Malta e persino in Tunisia. Il primo forte evento si verificò di sera, il 9 gennaio 1693, attorno alle ore 21:00 GMT (il tempo medio di Greenwich); il secondo avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT, ed ebbe effetti veramente catastrofici.

Catania, la più grande e popolata città presente nell’area di massima distruzione, fu “atterrata” e pagò il più alto tributo di vite umane: circa 12.000 vittime (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora). In totale, furono registrati circa 54.000 morti, di cui 5.045 (il 51%) a Ragusa; 1.840 (pari al 30%) ad Augusta; 3.000 (il 25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica (*).

Il devastante avvenimento fu così terribile che i catanesi, nel corso dell’opera di ricostruzione della loro città e negli anni seguenti, hanno voluto inciderne il ricordo nel marmo, a perenne memoria di quanto accaduto in quel tragico anno.

L’epigrafe più nota ai catanesi, probabilmente, è quella posta in Via Antonino di Sangiuliano: lì una targa marmorea, posta sulla parete dell’edificio, tra i numeri civici 235 e 237, a pochissimi metri d’altezza, “ricorda i terremoti del 9 e 11 gennaio 1693 e i loro devastanti effetti, ammonendo i catanesi a fuggire nelle campagne in caso di scosse, ma anche a vigilare sulla città esposta a saccheggi e ruberie” (*).

Meno conosciuta, anche se esposta agli occhi di tutti coloro che ammirano la Cattedrale catanese, è la lapide situata nel Giardino della basilica (sul prospetto dell’aula capitolare): A Dio Uno e Trino / Il giorno 9 gennaio del 1693 un forte terremoto scosse Catania tutta, il giorno 11 dello stesso mese la distrusse, tolse la vita a 16.000 cittadini, fugò i rimasti incolumi, attrasse i forestieri a rubare. Queste cose ci ammoniscono di scegliere al primo terremoto un rifugio nei campi e di custodire la Città. Nell’anno della salute 1725″.  [traduzione dal sito internet mimmorapisarda.it]

Sempre nella Cattedrale, ma al suo interno, si trovano altre due epigrafi che riguardano il sisma: una posta nel monumento funebre di Francesco Antonio Carafa (vescovo di Catania dal 1687 al 1692), l’altra in quello del suo successore Andrea Riggio (vescovo di Catania dal 1693 al 1717).

Di queste, la prima si trova nel transetto sinistro: Don Francesco Carafa, già Arcivescovo di Lanciano poi Vescovo di Catania, vigilantissimo, pio, sapiente, umilissimo, padre dei poveri, pastore così amante delle sue pecorelle, che poté allontanare da Catania due sventure da parte dell’Etna, prima del terremoto [del 1693]. Dopo di che morì. Giace in questo luogo. Fosse vissuto ancora, così non sarebbe caduta Catania”. (Anno Domini 1695)” .

La seconda è invece nella cosiddetta Cappella di Sant’Agata, nell’abside destra. L’epigrafe è posta alla base del mausoleo e tramanda la memoria della ricostruzione della chiesa distrutta dal terremoto: L’illustrissimo e reverendissimo signor don Andrea Riggio, vescovo di Catania, nell’anno della salvezza 1693 in cui tutta la città fu scossa dalle fondamenta da un esiziale terremoto, consigliato dalla divina Provvidenza, dedicatosi, come per la lapide, al generale restauro dei sacri edifici, affinché fosse di ornamento all’angolo di questa cappella e per il culto eterno di sant’Agata, eresse per sé questa mole sepolcrale. Nell’anno 1705”  

A poca distanza dalla Cattedrale si trova un’altra delle chiese principali della città, la Basilica Collegiata di Maria Santissima dell’Elemosina, meglio conosciuta come Basilica della Collegiata. Qui si trovano altre due epigrafi in tema, uno sulla facciata, l’altro all’interno, posto sul primo pilastro a sinistra: “Il ciantro [= primicerio] don Giovanni Francesco Lullo conferì decoro alla cappella regia degli Aragonesi, distrutta dal terremoto, ripristinata dall’operosità del capitolo, avendo adornato soprattutto l’interno e reso decoroso l’esterno. Anno 1768 dal parto della Vergine [= dalla nascita di Cristo]”.

“Qui dove aveva prescelto, / fu sepolto / don Giuseppe Mazza Tedeschi / patrizio catanese / che / questo tempio abbattuto dal terremoto / per restituire all’integrità / con abbondanza di denaro / offrì la sua opera. – Morì nell’anno del Signore 1744”.

Un’altra epigrafe, meno nota rispetto alle altre, a causa della posizione nella quale è apposta, si trova poco più in là, in via dei Crociferi, nel cosiddetto Arco delle Monache (sul lato rivolto a nord): “A Dio Ottimo Massimo. La pietà delle monache vinse la ferocia del terremoto e quelle cose che l’11 gennaio 1693 vennero distrutte dalla enormità di quello, ora sono state ricostruite dall’ardore delle vergini: questo ingente arco segna la vittoria che, sotto il vessillo di don Andrea Riggio Saladino vescovo di Catania, una così grande guida della Chiesa, e della sorella Maria Stella Motta abadessa, le militanti spose di Cristo riportarono, con questo grande edificio, contro le offese del tempo e della terra. 1704”

Sin qui le epigrafi poste all’esterno di edifici o all’interno di chiese. Altre testimonianze si trovano all’interno di strutture private, alcune accessibili, altre invece no.

Nella centralissima via Etnea di Catania si trova il Palazzo San Demetrio, ai 4 Canti, nella cui Corte una lapide ricorda la ricostruzione dell’edificio, ad appena un anno dal terremoto: “A Dio Ottimo Massimo. Nell’anno primo dai terremoti siciliani, dal territorio ormai restaurato nel 1694, primo fra tutti don Eusebio Massa, barone della terra di san Gregorio e ricevitore della valle dei boschi, costruì i recenti edifici che vedete in questo quadripartito teatro di vie, primizie della rinascente Catania. Ospite, da qui trai buon auspicio e parti sano e salvo. “

In via Antonio di Sangiuliano, all’interno di un palazzo dove oggi ha la sua sede il Centro di Assistenza Fiscale di una associazione di categoria, è apposta l’epigrafe che riporta gli utili consigli che il protomedico Nicolò Tezzano, professore di medicina, aristocratico e filantropo, suggeriva ai cittadini catanesi: “A Dio Uno e Trino.  Nell’anno del Signore 1693, nei giorni 9 e 11 di Gennaio, un ingente terremoto sconvolse Catania e poi apportò funesta morte a diciottomila persone. Perciò, o cittadino, temi Dio e quando la terra si scuote, fuggì verso un luogo aperto o fermati sotto gli architravi. Ciò il protomedico Don Nicolò Tezzano scriveva”.

Delle due epigrafi alle quali non ho potuto accedere, una si troverebbe “sulla porta s’ingresso di palazzo Biscari (piazza San Placido)”; il testo sulla lapide riporterebbe le seguenti parole (vedi riferimenti bibliografici, n. 7):

Si nescis lege, luge, memor esto / IX ianuarii MDCXCIII terraemotus ingens Cata/nam cuncussit totam XI / eiusdem destruxit sexdec(em) / civium millia occidit, vivos fugavit, exteros excitavit / ad furta: haec moneat in primo / quod absit, motu terrae cam/pos omnes habitent, Urbem / custodiant. / MDCXCVI. La cui traduzione suona così: “Se non sai leggi, piangi, sii memore. Il 9 gennaio 1693 un ingente terremoto scosse tutta Catania. L’11 dello stesso mese la distrusse e uccise sedicimila cittadini, mise in fuga i sopravvissuti, indusse gli stranieri ai furti. In primo luogo ciò sia di monito a quel che manca: dopo un terremoto tutti abitino le campagne e custodiscano la città. 1696”.

Analogamente, in via Vittorio Emanuele, lì dove un tempo si trovava l’Albergo Savona, all’interno del cortile, dovrebbe trovarsi la seguente epigrafe (7):

IX Ianuarii 1693. Ingenti terremotu Catana excussa est: XI eiusdem hora minus XXI rursus vehementer agressa tota ruit ac sexdecim civium millia aedificiis obruti interiere. Haec monitura post epost bula affixa est ut primis motus terrae ictus fatum ne denuo subeant. Año Dñi 1693. “9 gennaio 1693, Catania è stata scossa da un ingente terremoto. L’11 dello stesso mese alle 21 circa, di nuovo aggredita fortemente, rovinò tutta e morirono sedicimila cittadini sepolti dagli edifici. Questa targa è stata affissa come futuro monito dopo l’evento affinché, come fu per i primi, altri non subiscano di nuovo il destino dell’urto del terremoto. Anno Domini 1693”.

L’evento rimase impresso anche nella mente degli abitanti della città di Acireale dove, su una popolazione di circa dodicimila anime, si contarono oltre settecento vittime. Diventarono così famosi i seguenti versi:

L’espressione “a vintin’ura” non deve trarre in inganno: non si tratta infatti delle “ore ventuno”, come erroneamente si potrebbe intendere, bensì, come già indicato, delle ore 13:30 circa: nel secolo XVII era in uso la cosiddetta “ora all’italiana”, un modo differente di misurare il tempo rispetto a quello cui siamo adesso abituati.

Anche in questa città si trovano testimonianze del tragico avvenimento: nella Basilica San Sebastiano, all’interno di un medaglione di calcare, sospeso al pilastro destro del prospetto, si trovano incise le parole: “A Dio Ottimo Massimo. Questo tempio, crollato nel 1693 per un terribile terremoto, risorge più decorosamente nel 1699, testimonianza ai secoli eterni”.

Sempre ad Acireale, non su una epigrafe, ma incise su una lamina d’oro custodita nel Tesoro di Santa Venera, nella Cattedrale, si trovano le seguenti parole (6): “DIVÆ VENERÆ, PATRONÆ, / OB SERVATAM VITAM / IN ORRIBILI TERREMOTV, IN AN: 1693 / HOC AMORIS SIGNVM / ACENSIS POPVLVS / D. D. D.”.

Infine, e anche in questo caso non si tratta di epigrafe, ma di dipinto, a Mascalucia, nella Chiesa della Madonna Bambina (2): In sudore vultus mei, ab ingenti terremotu, hanc patriam liberavi, anno 1693 cioè: “Nel sudore della mia fronte ho liberato questa patria dall’ingente terremoto dell’anno 1693”.

Prima di chiudere questa rassegna di testimonianze sul terremoto del 1693, voglio esprimere il mio ringraziamento alla Dott.sa Rina Stracuzzi per le trascrizioni, alla Prof.sa Maria Grazia Spadaro Cucinotta per le traduzioni e all’amico Antonino Cupitò per la disponibilità e l’impegno dimostrato. Lungi dall’essere esaustiva, questa rassegna vuole essere un punto di partenza per lo studio delle testimonianze epigrafiche relative al terremoto del Seicentonovantatrè. Spero che tra i lettori qualcuno sia a conoscenza di altri riferimenti, e che voglia condividerli. Le immagini allegate a questo articolo, ove non indicato espressamente, sono dell’Autore.

Bibliografia

  • VV. – La Sicilia dei terremoti – 1997
  • VV. – Mompileri, stupore dell’arte – a cura dell’Associazione Mascalucia-Doc – 2021
  • Anonimo siracusano – Il gran terremoto del 1693 a Siracusa – 1993
  • Boschi E., Guidoboni E. – Catania Terremoti e lave – dal mondo antico alla fine del Novecento – 2001
  • Burgos Alessandro – Distinta relatione dello spaventoso eccidio… – 1693
  • Di Natale M.C., Vitella M. – Il tesoro di Santa Venera ad Acireale – 2017
  • Nicolosi Salvatore – Apocalisse in Sicilia, il terremoto del 1693 – 1982
  • Nicosia Ivan – La Catania destrutta – 2018
  • Trigilia Lucia – 1693 Iliade funesta – la ricostruzione delle città del Val di Noto – 1994

 

Sitografia

(*) Ingv – Il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693 nella Sicilia orientale

Ingv – Catalogo dei forti terremoti in Italia 461 a.C. – 1997

Con il titolo: particolare da un’antica stampa tedesca (Fonte Ingv)

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I viaggi di Mirco: quello strano incontro nel borgo fantasma https://ilvulcanico.it/i-viaggi-di-mirco-quello-strano-incontro-nel-borgo-fantasma/ Fri, 15 Dec 2023 05:35:51 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24488 di Mirco Mannino Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia. Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 […]

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di Mirco Mannino

Mirco Mannino

Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia.

Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 paesi tra la provincia di Catania, Enna e Caltanissetta.

Ripartito tra il 16 Ottobre e il 6 Novembre 2023, ho deciso di tracciare come una sorta di compasso, che da Centuripe prosegue verso sud/ sud-ovest, toccando i comuni di Catenanuova, Ramacca, Aidone, San Michele di Ganzaria, Mazzarino e Riesi. “Il compasso” avrebbe dovuto proseguire poco più a sud verso Butera, ma per motivi logistici il comune non ha potuto in quest’occasione offrirmi la sua ospitalità, ma sarà sicuramente per la prossima.

Per incominciare al meglio questo percorso, ho deciso, come buon auspicio, di trascorrere la prima notte in tenda, presso ciò che rimane del Castello di Poira, situato tra i territori di Paternò e Centuripe. Un luogo che, a mio avviso, potrebbe essere definito come “una porta” verso l’entroterra siculo. Curioso come, tra l’altro, nel corso della notte, sogno di trovarmi esattamente lì, su quello stesso luogo, ma con l’unica caratteristica che il poggio su cui il castello si ergeva era bagnato dal mare, un mare cristallino che mi invitava ad immergirmi. Che fosse un sogno di buon auspicio?

La mattina dopo, il 17 ottobre, il viaggio ha veramente inizio.

Ma come posso sintetizzare in poche righe venti giorni di viaggio?  Piuttosto che fare una lista della spesa inutile, prolissa, e che non darebbe dignità e valore a nessun luogo, mi limito a raccontare un unico grande episodio che per me è stato sorprendente.

Erano i primi giorni dalla mia partenza da Catania, quando mi trovavo a Libertinia, un borgo rurale di epoca fascista appartenente al territorio di Ramacca. Girando per il borgo con il mio modo di fare inequivocabile (zainetto in spalla, e con tra le mani un treppiede e la macchina fotografica) ho destato subito la curiosità in tante persone, le quali, chi una e chi l’altra, mi hanno tutte quante suggerito di vedere un altro borgo molto interessante situato lì nei pressi, ma che nessuno fu in grado di dirmi come effettivamente si chiamasse.

Basta che esci poco poco dal borgo, guardi in direzione delle colline, e ti vedi spuntare alcuni gruppi di case, dove adesso non ci vive più nessuno – mi dice un signore. E’ stato costruito bene o male nel periodo di Libertinia… o forse un poco più tardi – mi racconta una signora molto cortese, la quale poi mi ha dato una bottiglia d’acqua fresca e un po’ di frutta.

Rapito dalla curiosità sono salito subito in macchina, alla ricerca di questo borgo di cui mai avevo sentito parlare fino a quel momento. Effettivamente dopo un paio di curve, vedo in lontananza una schiera di case che pareva uscita da un set cinematografico. Parcheggio proprio vicino a una stradella che si snoda in direzione del borgo e decido di proseguire a piedi, sotto il sole delle due di pomeriggio.

Faceva caldo, molto caldo. Mi sono cambiato per bene in modo da avere addosso solo abiti da escursione (così da non sporcare i vestiti buoni), e ho bevuto preventivamente una bella dose di acqua, così da avere una buona riserva per il deserto di colline spoglie che avrei attraversato di lì a poco. Perché sì, sebbene fossimo a ottobre, tutte le colline dell’entroterra apparivano uniformemente aride, senza neanche un poco di verde. Mano a mano che passeggio, il borgo si fa sempre più vicino, mostrandosi a me con una forma perfettamente rettangolare, quasi tracciata col righello, con due file di case posizionate sul lato corto e forse più di dieci case (tutte uguali) nel lato lungo.

Quando il borgo si fa veramente vicino, mi accorgo che lì nei pressi vi è una mandria di mucche, guidata da un mandriano le cui urla avevo cominciato ad udirle qualche centinaio di metri prima. Piuttosto che andare verso il caseggiato e destare sospetti in lui, ho preferito avvicinarmi e cercare di avere un dialogo. L’uomo,  sulla sessantina, dai modi molto rudi, camminava a petto nudo sotto il sole, con dei calzoni evidentemente troppo larghi per la sua costituzione, tanto che quando camminava, gli si vedeva palesemente il fondoschiena.

Gli spiego che ero venuto fin lì per dare un’occhiata al borgo e fare delle foto, e che sono state proprio alcune persone di Libertinia a consigliarmi questo luogo. Il mandriano, fattosi sospettoso, comincia a pormi delle domande ben precise, quali di dove fossi, con che macchina fossi venuto e di che colore fosse, giustificandosi che  alcuni “curiosi” di Catania, tempo addietro, era venuti fin lì per poi dimostrarsi dei truffatori, rubandogli il bestiame nella notte.

Da come parlava, si intuiva facilmente che quell’uomo raramente aveva a che fare con gli umani. Per rassicurarlo gli do tutte le informazioni da lui richieste (tutte false, ovviamente) e lo rassicuro dicendogli di voler solo fare un giro di qualche minuto, per poi tornarmene sulla mia strada.

Durante tutto il nostro dialogo, oltre alle varie vacche e vitelli che scorrazzavano nel campo, esattamente tra me e lui giaceva a terra il cadavere di una mucca, morta forse da una settimana, in avanzato stato di decomposizione. Io cerco di essere quanto più indifferente possibile alla faccenda, al pari del mandriano, che impassibile mi ascoltava. Gli chiedo se sapesse qualcosa del borgo, e lui mi risponde dicendo che si chiama Mandre Bianche. Finalmente, riesco a scoprire il nome di quel luogo. Quando mi viene detto il nome, mi risovviene subito alla memoria la storia della fondazione di Libertinia, che fu costruita per volere del Barone Pasquale Gesualdo Libertini sul suo feudo, il feudo di Mandre Rosse.

I conti tornano. Dopo aver finalmente ottenuto il lasciapassare dal mandriano, che si comportava come se il feudo fosse il suo, vado finalmente a curiosare un po’ nel borgo, ma mi accorgo ben presto che tutte le case erano state utilizzate come stalle. Le case erano abbastanza spaziose e si componevano di due piani, forse si trattavano di case plurifamiliari. Accanto ad ogni casa vi era un cubo di cemento, probabilmente da adibire o a pollaio o a stalla, mentre attorno ad ogni proprietà vi era inoltre un giardino. Non v’era traccia né di chiesa, né di posta, né di nessun servizio. Doveva trattarsi di un luogo solo ad uso abitativo, evidentemente.

Mentre passeggio per Mandre Bianche, il mandriano porta tutte le vacche all’interno del borgo, adibito praticamente a un’unica grande stalla. Quando vado per salutarlo, quello mi dà a parlare, per la prima volta in tono abbastanza amichevole. Mi chiede se conosco un tale macellaio della Via Plebiscito, ma  non gli ho saputo rispondere. Poi, scherzando, mi dice :”La prossima volta portala qualche ragazza da Catania”, poi, chiacchierando un poco, arriva a chiedermi grattandosi il capo: “E a servitù come siamo messi?” Io, credendo di aver intuito dove volesse arrivare a parare, faccio finta di non capire, costringendolo a costruire la domanda per intero. Così, mi domanda:

Intendo: la fidanzata? La fidanzata ce l’hai? La servitù è importante…

Mai avevo udito una cosa simile: associare il concetto di fidanzata a quello di serva. Sarà che forse quell’uomo vive lontano dalla società e si sia dimenticato cosa voglia dire vivere in un contesto fatto di persone, oltre che di sole vacche. Ad ogni modo, rispondo con il mio solito fare evasivo, né un sì né un no, ci salutiamo, e pian piano faccia strada verso la macchina, ripercorrendo quel deserto di colline a ritroso. Potevano essere le tre di pomeriggio, e questa giornata, lunghissima, senza saperlo mi avrebbe regalato tantissime altre esperienze.

Il viaggio era appena ricominciato.

 

Con il titolo: Mirco Mannino a Libertinia (tutte le foto dell’autore dell’articolo) 

 

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Alla scoperta dell’Etna con le guide vulcanologiche https://ilvulcanico.it/alla-scoperta-delletna-con-le-guide-vulcanologiche/ Sat, 09 Dec 2023 06:26:50 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24475 (Gaetano Perricone). Dal sito nazionale delle Guide Alpine, pubblichiamo integralmente questo comunicato con una interessantissimo intervista al nostro caro amico Vincenzo Greco, eccellente guida vulcanologica sull’Etna che abbiamo seguito fin dall’inizio di questo suo lavoro (fu il più giovane d’Italia quando cominciò), che è prezioso contributore con articoli di particolare successo de IlVulcanico.it e che […]

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(Gaetano Perricone). Dal sito nazionale delle Guide Alpine, pubblichiamo integralmente questo comunicato con una interessantissimo intervista al nostro caro amico Vincenzo Greco, eccellente guida vulcanologica sull’Etna che abbiamo seguito fin dall’inizio di questo suo lavoro (fu il più giovane d’Italia quando cominciò), che è prezioso contributore con articoli di particolare successo de IlVulcanico.it e che anche nelle risposte, piene di competenza ed equilibrio, sulla sua attività sul più alto vulcano attivo d’Europa Patrimonio dell’umanità e sui rischi in ambiente vulcanico per escursionisti sprovveduti e avventati, conferma le sue capacità e la grossa esperienza ormai acquisita sul campo. Un’intervista chiara e preziosa, da leggere anche per chi l’Etna lo conosce bene. 

Vincenzo Greco al lavoro

Fonte: Ufficio Stampa Guide Alpine Italiane – Comunicato stampa (https://www.guidealpine.it/blog/)

Osservare da vicino un cratere, le colate di lava e scoprire grotte vulcaniche. Ecco alcune delle incredibili esperienze che è possibile vivere con una Guida Vulcanologica, figura professionale specializzata per accompagnare turisti ed escursionisti nelle aree vulcaniche attive. Vincenzo Greco, guida Vulcanologica sull’Etna, cresciuto ai piedi del vulcano e studente di Geologia all’Università di Catania, ci racconta come si vive da vicino un vulcano.

Vincenzo, come sei diventato guida vulcanologica?

Mio nonno era Guida Alpina, è stato il primo ad operare sul versante Nord dell’Etna. Mio zio è vulcanologo, mio padre lavora sull’Etna e io ho vissuto la mia infanzia sull’Etna. La mia passione è il vulcano in generale: l’ho vissuto da quando sono sono nato, ho studiato Geologia e ho preso la decisione di fare questo lavoro nella mia vita. Sin dalle prime volte che mi sono trovato a condurre gruppi sul vulcano, è stato come se lo avessi fatto da una vita.

Vincenzo Greco nel febbraio 2017, con il diploma di guida vulcanologica

Quante sono oggi le guide vulcanologiche nella zona?

Stiamo crescendo. Nella sessione d’esame di ottobre del Collegio Guide alpine Sicilia si sono abilitate 36 nuove guide vulcanologiche, che andranno a sommarsi quelle già abilitate negli anni precedenti: a breve potremmo essere oltre settanta nella zona. Il Collegio Siciliano conta inoltre 17 Guide alpine attive ad oggi più alcune in seconda iscrizione.

Chi sono i vostri clienti?

L’interesse per il vulcano sta crescendo: lavoriamo con turisti, sia in gruppi organizzati sia singoli. Poi ci sono clienti che richiedono percorsi particolari e in questi casi si vede il valore aggiunto della guida vulcanologica, ma è perlopiù un mercato straniero. Di norma il turista viene in Sicilia con infradito e ombrellone, pensando al mare, e molti immaginano in questi termini anche un’escursione sul vulcano nonostante sia alto 3000 metri.

La poca consapevolezza della quota e dell’ambiente montano è un problema?

Spesso sì. L’approccio da “turista” è sempre più diffuso anche sulle Alpi o su altre montagne, però qui lo si vive molto di più: classicamente c’è qualcuno che da Taormina vede L’Etna e dice “ora salgo” ma non si informa a sufficienza e arriva con abbigliamento o attrezzatura inadeguati. Sta cambiando nell’approccio alla montagna in generale e i social hanno un ruolo decisivo in questo: molti si avvicinano a questi ambienti attirati da foto o video, va di moda mettere sui social le emozioni che si provano e viene a mancare quell’approccio consapevole che porta a valutare l’attrezzatura, le condizioni ambientali etc.

Che escursioni offre l’Etna, come livelli di difficoltà?

Il vulcano offre enormi spazi e non è troppo complicato avvicinarsi ad un vulcano soprattutto nelle aree prossime ai paesi ai crateri laterali. Possiamo organizzare attività semplici per le famiglie o per piccoli gruppi, magari con avvicinamento tramite mezzi di trasporto, o escursioni di media difficoltà che portano a toccare 3000 metri con visita di diversi crateri e grotte. Le escursioni in cima sono più dure e solo pochi le scelgono.

Quali sono le difficoltà specifiche di un vulcano?

C’è una difficoltà in più rispetto alla quota. Nel contesto sommitale di un vulcano attivo bisogna fare particolare attenzione alle esalazioni di zolfo e anidride carbonica. Sconsigliamo di salire al di sotto dei 12 anni, perché  essendo più vicino al terreno, il bambino respira molto più gas rispetto ad un adulto. La stessa cosa vale per i cani.

Che cosa puoi dire dello scialpinismo sull’Etna?

Molti vengono sull’Etna per lo scialpinismo, oggi capita che ci sia più neve qui che al Nord. L’anno scorso ricordo che la strada è stata chiusa per 15 giorni occlusa da 2 metri di neve caduti in una notte. Si poteva partire da quota 1000 metri con le pelli di foca, in alcuni punti anche da quota 600, e si arrivava in cima a 3300 metri: in Sicilia è un fatto con pochi precedenti.

Qual è la stagione più nevosa sull’Etna?

Febbraio. Ma l’anno scorso, aveva nevicato molto anche a dicembre e abbiamo sciato quattro mesi, fino ad aprile, in alcune zone fino a giugno. Non c’è più la stagionalità classica. Ad esempio questo autunno abbiamo avuto un’anomalia con temperature alte e poche precipitazioni.

Oltre alle Guide vulcanologiche, anche le Guide alpine possono accompagnare sui vulcani. Cosa vi distingue?

Probabilmente l’interpretazione dell’ambiente vulcanico. Non è una cosa facile da imparare, la formazione delle guide vulcanologiche prevede moduli di stampo scientifico di vulcanologia, geologia, petrologia e petrografia. Insomma, materie inerenti all’ambito geologico, utili ad acquisire la capacità di interpretare i fenomeni vulcanologici che su una montagna normale non ci sono. C’è anche un aspetto culturale: il cliente vuole sapere tutto del vulcano e la guida deve saper rispondere anche a domande scientifiche. La Guida Alpina, invece, può accompagnare ad esempio nelle ascensioni scialpinistiche o escursioni sciistiche, ambiti riservati alla sua professione. Per entrambi c’è una sensibilità che si sviluppa con l’esperienza sul campo, ad esempio saper capire i segnali che precedono il risveglio di un cratere o l’evolvere di un fenomeno particolare. Per questo fine giornata, tra guide vulcanologiche e guide alpine, qui in zona siamo soliti condividere informazioni rilevanti, ad esempio se notiamo qualcosa di diverso nelle fumarole, nelle emissioni dei gas, nella produzione di fratture, nella disposizione dei crateri interni.

Ci fai un esempio?

Attorno al 10 di agosto scorso, stavamo facendo regolarmente escursioni con i gruppi. Da un paio di giorni io e alcuni colleghi notavamo delle strutture di debolezza nuove sul cratere di sud Est, delle fratture ortogonali con forte incremento dell’emissione di gas. In base alla nostra esperienza abbiamo preferito avvisare di non proseguire perché temevamo un’eruzione imminente. Il 15 di agosto, 5 giorni dopo, è partita una fontana di lava, alta 800 metri.

Se dovessi consigliare un itinerario, secondo te il più bello della zona?

L’itinerario che porta al cratere sommitale è sicuramente molto bello, in questo periodo abbiamo il plus dell’eruzione. Facciamo anche escursioni apposite per vedere le eruzioni, ovviamente parlo di colate. Quella che consiglio maggiormente è però un’escursione di stampo geologico sul versante Nord, che mostra come funziona il vulcano e permette di vedere fratture, grandi crateri e grotte.

Con il titolo: la lava e la neve, i contrasti (foto di Vincenzo Greco, anche le altre di questo articolo) 

 

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Etna, snow and fire. Il fuoco dal vulcano sul bianco mantello della grande muntagna https://ilvulcanico.it/etna-snow-and-fire-il-fuoco-dal-vulcano-sul-bianco-mantello-della-grande-muntagna/ Fri, 01 Dec 2023 05:47:23 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24435 di Rosario Catania Il vulcano L’Etna il vulcano attivo più alto d’Europa, che da poco ha compiuto il decimo anniversario di riconoscimento come patrimonio dell’umanità, iscritto nella World Heritage List dell’Unesco. Un vulcano, una montagna, che non smette mai di regalare emozioni da entrambi  i punti di vista, con nevicate alternate alle eruzioni che rappresentano […]

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di Rosario Catania

Il vulcano

L’Etna il vulcano attivo più alto d’Europa, che da poco ha compiuto il decimo anniversario di riconoscimento come patrimonio dell’umanità, iscritto nella World Heritage List dell’Unesco. Un vulcano, una montagna, che non smette mai di regalare emozioni da entrambi  i punti di vista, con nevicate alternate alle eruzioni che rappresentano di fatto due elementi opposti.

Gli elementi

Il filosofo Empedocle postula l’esistenza di quattro radici fondamentali, che nella tradizione successiva saranno conosciute come i quattro elementi, che rappresentano l’origine di tutte le cose formate dunque dalla loro mescolanza. Quattro elementi, quattro forze, dove nessuna è dominante sulle altre, ma insieme aggregano e disgregano ogni cosa esistente. Dunque aria, acqua, terra e fuoco sono presenti su questo vulcano, dalle sue origini proprio nell’acqua, prendendo forma aerea, creando nuova terra poi modellata dal fuoco, dal vento e dalla stessa acqua. L’elemento fuoco sull’Etna è rappresentato fondamentalmente dalla lava, prima magma incandescente, che dalle viscere della Terra si fa strada ricco di gas fino a raggiungere la superficie ed esplodere con tutta l’energia e la vitalità di un pianeta vivo.

Lo stato attuale

L’ area sommitale dell’Etna è oggi occupata da quattro crateri, con la Voragine e la Bocca Nuova, che si sono formate all’interno del Cratere Centrale rispettivamente nel 1945 e 1968, il Cratere di Nord-Est, che esiste dal 1911, e infine il Cratere di Sud-Est, nato nel 1971, che recentemente è stato il più attivo dei quattro crateri. Questa configurazione contrasta notevolmente con quella di circa un secolo fa, quando in cima all’Etna si trovava il solo il Cratere Centrale.
La sera del 12 novembre 2023 l’Etna è tornata in eruzione, dopo un periodo di “preparazione” tra anelli di gas, boati e un costante tremore a livelli medio-alti. Spettacolari fontane di lava alte centinaia di metri e una densa nube eruttiva carica di materiale piroclastico (cenere e lapilli), poi ricaduto sul fianco orientale del vulcano, hanno reso scenografico un evento naturale, osservato e fotografato da centinaia di appassionati, seppur con notevole disagio per quei paesi colpiti direttamente dal “fallout” di lapilli di varie dimensioni. Il protagonista di questo scenario di creatore di nuova terra è proprio il Cratere di sud-est. Nel suo ultimo comunicato, la notte del 30 novembre, l’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ci ha informato “che dall’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza, si osserva che continua l’attività stromboliana al cratere di Sud-Est. Tale attività, a carattere variabile sia in intensità sia in frequenza delle singole esplosioni, produce delle modeste emissioni di cenere, che in accordo con il modello previsionale, si disperdono rapidamente in direzione Est e comunque in prossimità dell’area sommitale”. 

La scenografia

Come in un set cinematografico, l’Etna ha allestito un palcoscenico perfetto e non solo il 12 novembre,
indossando un mantello bianco di soffice neve e velandosi con le nubi d’alta quota, per rendere l’atmosfera a volte cupa, altre mistica, con i riverberi rossi dell’ attività interna al cratere, che nel frattempo continuava. Oggi, mentre scrivo, episodi di attività stromboliana si alternano a frequenze quasi regolari come per descrivere il respiro del vulcano.

Il pubblico

Non è quello delle grandi occasioni, perché questo vulcano è osservato, fotografato e studiato continuamente, da personale specializzato (INGV e Parco dell’ Etna), da appassionati assidui e da semplici curiosi. Dunque potremmo definirlo un sorvegliato speciale, perché nel tempo ha dato atto di sorprendere con i suoi cambi di stato alcune volte senza un chiaro e netto preavviso strumentale. Un pubblico vario per età genere e provenienza, tra studiosi, turisti, atleti, politici, personali illustri, ecc, che percorrono il lungo e in largo La sua superficie di oltre 1250 km quadrati.
Tra questi anch’io, i miei affetti, gli amici con cui condivido le giornate osservando sua maestà l’Etna, appena svegli e quando ne abbiamo occasione o bisogno. Si perché spesso ne sentiamo il bisogno, come una sorta di richiamo alla Natura, un benessere psicofisico, talvolta morboso, ma che personalmente interpreto come senso di appartenenza. Del resto siamo polvere di stelle, lo è questo pianeta, lo è questo vulcano. Apparteniamo a quei quattro elementi con cui ho aperto questo breve viaggio nella conoscenza profonda del proprio esistere.

L’ appartenenza

Mi piace concludere il viaggio con il mio senso di appartenenza, penso largamente condiviso, come nel pensiero dello scrittore, sceneggiatore e drammaturgo Vitaliano Brancati, di cui riporto un passo da Il Bell’Antonio.
“Finalmente Antonio rimase solo e poté guardare a suo agio i cari tetti di Catania, quei tetti neri, disseminati di giare, di fichi secchi e di biancheria, sui quali il vento di marzo, al tramonto, sferra calci da cavallo, le cupole che, nelle sere di festa, scintillano come mitre d’oro; le gradinate deserte dei teatri all’aperto; gli alberi di pepe del giardino pubblico; il cielo della provincia, basso e intimo come un soffitto, sul quale le nuvole si dispongono in vecchi disegni familiari; l’Etna accovacciato fra il mare e l’interno della Sicilia, con sulle zampe, la coda e il dorso, decine di paesetti neri che vi stanno arrampicati con stento”. (Il bell’Antonio – V.Brancati)
Link video YouTube
Foto e video di Rosario Catania

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L’artigiano per la pace e l’ambiente: dalla CNA Palermo 3200 piante di ulivo per fare rivivere la natura offesa dagli incendi https://ilvulcanico.it/lartigiano-per-la-pace-e-lambiente-dalla-cna-palermo-3200-piante-di-ulivo-per-fare-rivivere-la-natura-offesa-dagli-incendi/ Thu, 23 Nov 2023 06:19:59 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24403 di Francesco Palazzo Estate. Il sole splende alto nel cielo terso. La natura rigogliosa vegeta selvaggia e ordinata. La nostra Sicilia fa bella mostra dei suoi panorami. Ma una mano assassina approfitta del vento che si è appena levato e dà fuoco alle sterpaglie. Il vento si fa più impetuoso e violento ed il fuoco […]

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di Francesco Palazzo

Estate. Il sole splende alto nel cielo terso. La natura rigogliosa vegeta selvaggia e ordinata. La nostra Sicilia fa bella mostra dei suoi panorami. Ma una mano assassina approfitta del vento che si è appena levato e dà fuoco alle sterpaglie. Il vento si fa più impetuoso e violento ed il fuoco diventa inarrestabile. Sono tre giorni di fiamme incontrollabili, sono tre giorni di inferno, sono tre giorni in cui non resiste niente, ci sono pure due morti, fra i quali una ragazza di circa quarant’anni che era andata a salvare i suoi cavalli rinchiusi in una stalla avviluppata dalle vampate. Poi tutto si placa, perché il vento cessa e il fuoco non ha più materiale da bruciare. Resta un paesaggio desolato. Niente più alberi niente più vegetazione. Il deserto. E non osiamo pensare che orrenda fine possano avere fatto tutti gli animali e animaletti che popolavano i terreni percossi dal fuoco, conigli, serpi, lucertole, anche volatili di piccola e grande taglia. Il fuoco. Cosa si scatena nella mente di certi uomini? Se appartenenti al genere umano possono definirsi, visto l’enorme danno che provocano con le loro azioni a tutto l’ecosistema, al patrimonio ambientale e naturalistico e perfino alle persone.

Foto ricordo con piantine d’ulivo per i vertici della CNA Palermo: da sinistro Enzo Geloso, vicepresidente vicario: Pippo Glorioso, segretario e Giuseppe La vecchia, presidente

A fronte di tutto questo disastro però si è sviluppato un movimento nella società civile che con sdegno ha rigettato tali azioni e con immensa solidarietà si è dato un obiettivo: ricostruire, ripartire, fare rivivere la bellezza, l’armonia della natura, dei luoghi, delle aziende agricole, delle comunità forestali e montane.

Con prontezza e grande slancio si è presentata in prima fila la CNA, la Confederazione Nazionale Artigiani, di Palermo con in testa il suo segretario, Pippo Glorioso, approvato e sollecitato dal presidente nazionale Dario Costantini, venuto apposta in Sicilia per incontrare una delegazione di sindaci dei comuni della zona colpita dalle fiamme, con i quali è stato stretto un patto di solidarietà che nella giornata del 20 novembre 2023 ha visto la realizzazione della prima parte. Infatti, davanti alle scolaresche e con la benedizione del Vescovo di Cefalù, S.E. Mons. Giuseppe Marciante, il segretario Pippo Glorioso, il presidente Giuseppe La Vecchia ed il vice presidente vicario Enzo Geloso hanno consegnato ai sindaci dei diciotto comuni madoniti presenti  3.200 piante di ulivo la cui piantumazione è iniziata subito. Inoltre, il prossimo 2 dicembre è prevista la consegna di un mezzo antincendio di ultima generazione regalato sempre dalla CNA di Palermo, a testimonianza dell’impegno sia nella ricostruzione sia nella prevenzione che si sono voluti intestare gli artigiani.

Il vescovo di Cefalù Monsignor Giuseppe Marciante nel suo intervento durante l’iniziativa CNA

Gli artigiani sono costruttori di pace e l’ulivo è l’albero della pace. Lunedì 20 novembre è stato un giorno di vera festa. Tempo terso, radioso.

Il Vescovo di Cefalù ha parlato di nuovi semi di vita, esortando tutti i presenti alla partecipazione alla vita sociale del territorio. I sindaci, seguendo il suo invito, si sono detti pronti a passare dalle parole all’impegno, dalla disperazione alla rinascita coinvolgendo tutte le forze in campo, ma soprattutto puntando sulle nuove generazioni. E le nuove generazioni sono state coinvolte nella piantumazione di una quercia realizzata utilizzando la terra ferita proveniente da tutti i territori interessati dagli incendi. Un gesto fortemente simbolico. Nella speranza che disastri del genere non si debbano più verificare.

 

 

Con il titolo: Pippo Glorioso, segretario CNA Palermo, presenta la donazione degli ulivi ai sindaci del comprensorio. Le foto gentilmente concesse da Mario Leone

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