Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/ Il Blog di Gaetano Perricone Mon, 10 Nov 2025 07:50:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 Siamo tutti prigionieri, tutti. Basta “Un semplice incidente” https://ilvulcanico.it/siamo-tutti-prigionieri-tutti-basta-un-semplice-incidente/ Mon, 10 Nov 2025 07:50:36 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25975 di Antonella De Francesco Un semplice incidente, l’ultima fatica del regista iraniano Jafar Panahi, insignito della Palma d’oro al festival di Cannes, è un capolavoro. È un coltello che ti entra dentro e che ti fa sentire tutta l’angoscia della prigionia, l’ingiustizia e la spietatezza del regime che cambia per sempre la vita della gente […]

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di Antonella De Francesco

Un semplice incidente, l’ultima fatica del regista iraniano Jafar Panahi, insignito della Palma d’oro al festival di Cannes, è un capolavoro.

È un coltello che ti entra dentro e che ti fa sentire tutta l’angoscia della prigionia, l’ingiustizia e la spietatezza del regime che cambia per sempre la vita della gente e lo fa con una semplicità disarmante, partendo da un evento assolutamente banale. In quel momento iniziale in cui la telecamera inquadra il protagonista, Vahid, mentre guida la sua auto nell’oscurità, la vittima è un cane investito che resta fuori dall’inquadratura  Si avverte lo schianto ma non si vede la vittima. È solo un povero cane … Ricordatevi di questo buio e di questo fuori campo nel finale, perché lì resterà fuori dalla vostra vista il carnefice, anche se ne sentirete la presenza e ne riconoscerete l’identità senza vederlo.

È questo il miracolo che compie Pahani alla fine della sua pellicola: di averci reso tutti prigionieri, capaci di riconoscere il nostro aguzzino anche senza vederlo! Il film si basa proprio sulla paura che resta in chi ha subito la prigionia: una paura legata al buio delle bende sugli occhi, al rumore dei passi dei carcerieri, alle voci, alle umiliazioni e alle torture rimaste senza volto, ma indelebili e nitide nella memoria di chi le ha subite. È un film sul senso di vendetta, sul perdono e sulla pietà e su come ciascuno di noi sviluppi nella vita la sua personale capacità di provarle, oppure no. È a tratti anche una commedia grottesca che ci conduce con il sorriso nella quotidianità di un paese in cui regna la corruzione e nell’orrore che si compie tutti i giorni. E sul finale è un grido disperato perché venga fermata questa spirale di violenza che si perpetra da troppo tempo e non solo in Iran.

Jafar Panahi con la Palma d’Oro a Cannes

Jafar Panahi potrebbe essere definito geniale se non fosse che quello che racconta è reale e non si è inventato nulla. Qui non si tratta di una trovata cinematografica, né di un brutto sogno che possiamo lasciarci alle spalle, perché i carcerieri del regime esistono davvero e i prigionieri pure. Panahi lo sa bene e dopo questo film, anche i più distratti tra noi non possono ignorarlo. Da vedere assolutamente

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Lazzaro Spallanzani e l’Etna https://ilvulcanico.it/lazzaro-spallanzani-e-letna/ Sun, 09 Nov 2025 07:08:54 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25946 di Santo Scalia Di Lazzaro Spallanzani (per l’esattezza di Lazaro Nicola Francesco Spallanzani) sicuramente avrete sentito parlare: se non per le sue ricerche sulla fecondazione artificiale, della quale è ritenuto il padre scientifico, probabilmente, tramite telegiornali e notiziari, per l’Istituto Nazionale Malattie Infettive di Roma, che porta il suo nome, o per l’Istituto Spallanzani di […]

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di Santo Scalia

Di Lazzaro Spallanzani (per l’esattezza di Lazaro Nicola Francesco Spallanzani) sicuramente avrete sentito parlare: se non per le sue ricerche sulla fecondazione artificiale, della quale è ritenuto il padre scientifico, probabilmente, tramite telegiornali e notiziari, per l’Istituto Nazionale Malattie Infettive di Roma, che porta il suo nome, o per l’Istituto Spallanzani di Rivolta d’Adda (Cremona), o ancora per il nome dell’Istituto Comprensivo di Scandiano, città natale dello scienziato.

INMI, Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma

Meno probabile, forse, è che ne abbiate sentito parlare come di uno dei tantissimi uomini di scienza che, tra l’altro, abbia visitato il vulcano Etna e che di questa visita ci abbia lasciato una descrizione.

Lazzaro, il cui nome ricorda miracolosi eventi evangelici, nacque nelle terre dell’odierna Provincia di Reggio Emilia, come già detto a Scandiano, il 12 gennaio 1729. Per volere del padre intraprese inizialmente studi letterari e a soli otto anni, vestì l’abito clericale.

In seguito, sempre per l’insistenza del padre, si indirizzò allo studio della giurisprudenza, nonostante la sua predilezione per le scienze naturali. Nel corso della sua vita si occupò di biologia, fisica e matematica; ma non solo, si interessò della riproduzione degli esseri viventi (confutando la tesi della generazione spontanea), di filosofia, di retorica, di storia naturale e della lingua greca.

Nel corso degli anni si convinse della grande utilità e dell’importanza del viaggio come metodo di indagine naturalistica. Fu così che nel giugno 1788, all’età di 59 anni, intraprese un viaggio nelle regioni dell’Italia meridionale, interessandosi particolarmente allo studio dei vulcani.

Esplorò quindi i Campi Flegrei, il Vesuvio, lo Stromboli e le altre isole dell’arcipelago delle Eolie, e il 3 settembre salì sull’Etna raggiungendo la vetta. Era il tempo del Grand Tour, particolare, e costosa, esperienza educativa in voga tra i più abbienti giovani studiosi europei.

Già prima di lui infatti, e durante il suo stesso secolo, altri illustri uomini di scienza e viaggiatori avevano eseguito e descritto l’ascensione alla vetta del vulcano siciliano: Johann Hermann von Riedsel; William Hamilton; Jean Paul Louis Laurent Houel; Patrick  Brydone; Friederich Münter; Deodat Dolomieu e altri ancora.

Il frutto delle sue osservazioni fu pubblicato a Pavia, in sei volumi, tra il 1792 ed il 1797, con il titolo Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino.

Ed è proprio sulla sua ascensione all’Etna che punteremo la nostra attenzione, avvalendoci dell’edizione milanese pubblicata nel 1825, un quarto di secolo dopo la morte dello scienziato. La descrizione dell’ascensione comincia nel capitolo VII:

«[…] Mi avviai la mattina del giorno 3 di settembre [1729 n.d.A.] al monte Etna, accompagnato tra gli altri da Carmelo Pugliesi e Domenico Mazzagaglia, due guide peritissime di quelle strade. […] Alle ore 10 del mattino pervenuto al villaggio di Nicolosi io mi ritrovava presso a Monte Rosso, che prima era un piano, dove nel 1669 si aperse la nuova voragine, e ne sgorgò la formidabile lava, che del continuo fluendo al basso arrivò fino al mare, dove fece una specie di promontorio. […] Si sa che questo monte è bicipite, così formato in quella eruzione, e in allora da’ paesani venne appellato Monte della Ruina, e dappoi Monte Rosso, probabilmente per varie sue parti di questo colore macchiate

Com’era d’uso a quel tempo la tappa successiva fu il Monastero Benedettino di San Nicolò La Rena, «[…] gradito ospizio pe’ forestieri che viaggiano all’Etna […]» dove il viaggiatore ebbe modo di riposare e rifocillarsi. Solo qualche ora di pausa, quindi:

«[…] prima che finisse il giorno giunsi alla Grotta delle Capre, tanto ricantata, quantunque non dia che un meschino alloggiamento di foglia e di paglia per restarvi la notte. […]»

Il viaggio continua nel successivo capitolo VIII: «Tre ore prima del giorno escito co’ miei compagni dalla Grotta delle Capre […] continuai il mio viaggio all’Etna. […] Dalla sua cima si alzavano due bianche colonne di fumo […]».

E finalmente lo studioso si trovò di fronte al Cono sommitale del vulcano: «Mi restava a valicare quel tratto che propriamente dee dirsi il cono dell’Etna, e che a retta linea ha di lunghezza un miglio, o poco più. Ripidissimo era ed insieme disegualissimo [sic] per le ammucchiate scorie che lo ingombravano».

Impiegò ben tre ore, in mezzo a mille difficoltà che così descrisse: «[…] nello scorrere o piuttosto strascinarmi sul rimanente di quella cima di monte, tra per non potere ascenderlo dirittamente, e per essere pendente in guisa che ad ogni momento doveva aggrapparmi a mani e a piedi; e struggendomi in sudore e trafelando, era necessitato di fermarmi, e prendere opportuni e replicati riposi. […]».

Poi, dopo aver affrontato ancora innumerevoli sforzi, «[…] superato quel luogo, e riacquistata a poco a poco la primiera presenza di mente, in breve d’ora mi ritrovai finalmente al vertice dall’Etna, e cominciava già a scorgere’ gli orli del cratere.[…]»

Sedutosi sul ciglio della depressione, lo scienziato cominciò ad eseguire le sue osservazioni: le pareti del baratro, la sua forma, l’apertura incandescente al fondo di essa, il fumo che da essa esalava. Gli vennero in mente le descrizioni dello stesso luogo eseguite in precedenza dal Cardinale Pietro Bembo e dal Domenicano Tommaso Fazello; una volta recuperate le forze, e volendo rientrare al Monastero prima che facesse notte, riprese la via del ritorno:

«[…] Ma non senza rincrescimento mi convenne in fine di allontanarmi da quella scena incantata, per aver divisato di dormire l’entrante notte a S. Niccolò dell’Arena, troppo memore del disagiato letto durissimo fornitomi dalla Grotta delle Capre […]».

L’opera di Spallanzani fu pubblicata, oltre che in Italia tra il 1792 ed il 1795, anche fuori dai confini nazionali: nel 1795, a Berna, apparve Voyages dans les Deux Siciles et dans quelques parties des Appennins; nel 1798, a Londra, fu pubblicato Travels in the Two Sicilies and some parts of the Appennines e l’anno successivo, a Parigi, fu data alle stampe l’opera con lo stesso titolo di quella bernese.

A partire dal 1769 lo scienziato si trasferì nella città di Pavia, nella cui Università insegnò Storia Naturale e diresse il locale Museo universitario. A Pavia Spallanzani morì l’11 febbraio 1799, dopo aver compiuto i 70 anni.

La città di Pavia, dove Spallanzani ha vissuto per trent’anni, ha mantenuto il vivo il ricordo della sua presenza realizzando nel 1972, il Collegio Lazzaro Spallanzani, con l’intenzione di ricordare l’illustre docente dell’Ateneo pavese. Inoltre l’Università di Pavia ha intitolato allo scienziato il suo Dipartimento di Biologia e Biotecnologie.

Oggi, a Scandiano, si trova il Centro Studi Lazzaro Spallanzani, fondato con l’intendo di “approfondire gli studi su Lazzaro Spallanzani, sul suo tempo, sulla sua vita di scienziato settecentesco”.

Nel 1979, nella ricorrenza del 180° anniversario dalla sua scomparsa, anche la filatelia ha voluto rendere omaggio allo scienziato, con l’emissione di un francobollo commemorativo e di una busta primo giorno di emissione (o first day cover):

L’opera di Spallanzani è stata riproposta in libreria nuovamente nel 1988 da Edizioni Giada, con la preziosa introduzione del vulcanologo Salvatore Cucuzza Silvestri. Successivamente, nel 1994, l’editore CUEN, ha pubblicato la sola parte relativa all’ascensione del 1788 con il titolo Viaggio all’Etna, avvalendosi della collaborazione del vulcanologo Paolo Gasparini.

La mia biblioteca personale accoglie le versioni elettroniche (ebooks) di tutte le edizioni citate nel testo (Pavia, Berna, Londra, Parigi e Milano), mentre i due volumi (quelli del 1988 e del 1994) trovano posto negli scaffali della mia biblioteca cartacea.

Con il titolo: Jose Armet Portanell, Lazzaro Spallanzani osserva un’eruzione del Monte Etna (particolare da MeisterDrucke) 

 

 

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Linate, 8 ottobre 2021. La negligenza. Gli errori. La strage. “La Memoria e il Debito”. Un documentario da Oscar https://ilvulcanico.it/linate-8-ottobre-2021-la-negligenza-gli-errori-la-strage-la-memoria-e-il-debito-un-documentario-da-oscar/ Mon, 13 Oct 2025 05:00:27 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25911 di Gaetano Perricone “Bastava pochissimo perché non succedesse. Sarebbe bastato pochissimo”. “Non era possibile morire in questo modo”. “Prima succede un fatto, poi si scrive … Forse non si è fatto abbastanza per i familiari”. “La sicurezza degli aeroporti è fatta dagli uomini”. “C’è differenza tra vivere e sopravvivere”. “Il primo anno è per rompere […]

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di Gaetano Perricone

“Bastava pochissimo perché non succedesse. Sarebbe bastato pochissimo”. Non era possibile morire in questo modo”. “Prima succede un fatto, poi si scrive … Forse non si è fatto abbastanza per i familiari”. La sicurezza degli aeroporti è fatta dagli uomini”. “C’è differenza tra vivere e sopravvivere”. “Il primo anno è per rompere tutti i fili della vita. All’inizio del secondo anno sai che non c’è più niente da rompere”“Approfittiamo di quello che abbiamo, cerchiamo di essere felici e andare avanti”. “Però un desiderio ce l’ho: condividere un abbraccio con tutti voi”.

Una testimonianza dopo l’altra. Senza sosta, incalzanti. Commuovono, indignano. Sono le voci e le parole dei parenti delle vittime, di esperti e investigatori. Chiare e forti, dolorosissime, implacabili. Coraggiose. Dirompenti nella loro immensa dignità. Da mozzare il fiato. Rendono in pieno, senza filtri, il senso di vuoto per perdite devastanti, ingiuste, inaccettabili. Lo fanno per 94 minuti, l’intera durata dello straordinario documentario La Memoria e il Debito, scritto e diretto da Francesca La Mantia e Massimiliano Napoli, produzione indipendente che squarcia il velo di un lungo, troppo lungo silenzio sull’incidente aereo sulla pista dell’aeroporto milanese di Linate l’8 ottobre 2001, con 118 vittime – elencate nei titoli di coda – il più grave mai accaduto in Italia. Non ho alcuna esitazione a esprime il mio umilissimo giudizio di cronista di vecchio mestiere su quest’opera, che ho avuto l’opportunità di vedere in privato, senza timore di essere tacciato di eccessivo entusiasmo: merita sicuramente di concorrere per l’Oscar dedicato a questo tipo di produzioni e mi piacerebbe molto essere buon profeta.

Copio e incollo, dal comunicato stampa, la efficace sintesi di questo lavoro estremamente importante, venuto alla luce pubblicamente l’8 ottobre 2025“Proiettato in occasione del ventiquattresimo anniversario della tragedia all’aeroporto di Linate, il film restituisce un racconto intenso e necessario su uno dei più gravi disastri dell’aviazione civile europea. Attraverso testimonianze dirette, materiali d’archivio e immagini esclusive delle indagini, il documentario ricostruisce le circostanze dell’incidente, in cui persero la vita 118 persone ridando voce e dignità alle vittime e ai loro familiari ma anche all’unico superstite, Pasquale Padovano”.

Un momento della presentazione

Tutto questo, il documentario La Memoria e il Debito lo fa con asciuttezza estremamente professionale, senza indulgere neanche per un attimo alla compassionevole retorica che spesso caratterizza queste operazioni televisive o cinematografiche di recupero della memoria sulle grandi tragedia. Le immagini sono scioccanti al punto giusto, senza inutile spettacolarità, restituiscono tutta la incredibile gravità di un incidente spaventoso e assurdo nella sua dinamica: due aerei, uno più grande e uno più piccolo, che si scontrano in pista in una situazione di visibilità quasi nulla per la nebbia. Il più piccolo va in pezzi, il più grande finisce la sua corsa in fiamme contro un hangar dell’aeroporto senza radar. Sconvolgente la catena di errori, di negligenze, di carenze, emerse nell’inchiesta giudiziaria, culminata in una serie di condanne dei responsabili, cancellate da un indulto.

E insieme alla immagini, montate con grande bravura per tenere incollati gli occhi dello spettatore allo schermo, come ho già scritto è la potenza evocativa, fortissima e drammaticissima, delle parole, delle testimonianze, a rendere questo documentario meravigliosamente unico nel suo genere. Profondamente toccante la parte dedicata al Bosco dei faggi, costituito dai 118 alberi voluti e piantati dalla comunità delle 118 vittime. Emozionante l’idea di cominciare e finire questo lavoro dalla sala per il tango con la testimonianza del compagno di una vittima, incontrata lì per la prima volta. Commovente la presenza-assenza, silenziosa ma intensissima, di Pasquale Padovano, unico sopravvissuto, in realtà la 119esima vittima per tutte le conseguenze che ancora porta addosso. E poi c’è tanto altro che non anticipo.

Francesca La Mantia, regista bagherese

Ho avuto il grande piacere e il prezioso arricchimento di conoscere qualche tempo fa Francesca La Mantia, docente di Italiano e latino, sceneggiatrice e regista cinematografica e teatrale, scrittrice originaria di Bagheria, splendida cittadina alla porte di Palermo, che ha dato i natali a grandi personaggi della cultura italiana come il pittore Renato Guttuso, il regista Giuseppe Tornatore, il poeta Ignazio Buttitta. Ho letto, scrivendoci su con entusiasmo, un suo bellissimo libro, Un uomo senza paura, dedicato alla triste storia di Cosimo Cristina, corrispondente da Termini Imerese del giornale L’Ora a me carissimo – ci sono cresciuto come giornalista e come uomo – , primo giornalista assassinato dalla mafia il 5 maggio 1960. Rimasi molto colpito non solo dalla ricca documentazione storica e dunque dalle capacità di ricerca di Francesca, ma anche dalla sua grande passione civile.

Caratteristiche che emergono con forza anche nel  documentario. Ho fatto un paio di domande a Francesca La Mantia: perché questo lavoro, perché quel titolo. Le sue lapidarie e incisive risposte: “Mi sono voluta cimentare in questo film perché quanto accaduto è stato coperto dall’oblio per troppi anni e per questo volevo togliere la nebbia. Il debito è nei confronti delle persone che non ci sono più e sul sangue dei quali sono migliorate le regole in tutti gli aeroporti. Verissimo: c’è voluta la tragedia di Linate dell’8 ottobre 2001 per spingere gli organismi responsabili a potenziare le strutture e le procedure di sicurezza in tante piste italiane.

Non mi resta che citare doverosamente chi va citato, con un abbraccio affettuoso e solidale ai parenti delle vittime. Autori, come già detto, sono Francesca La Mantia e Massimiliano Napoli. Il documentario è prodotto da Piero De Vecchi per DenebMedia, – in collaborazione con Bravagente Sound Agency, Filmservice, Video Elf, Torrevado studio; con il contributo di Daniela Comini, Laura Mazzola, Andrea Quadrini e il supporto di Paola e Maria Laura Baronti, Franco Carlo Guzzi Gruppo Consorti Rotary Club Massa Carrara, Serena Pruno Paola, Daniela e Andrea Venturini – e realizzato grazie al sostegno di centinaia di donatori attraverso la piattaforma Produzioni dal Basso. Una raccolta fondi in “crowdfunding”, fondamentale per la realizzazione. La Memoria e il Debito sarà nelle sale cinematografiche a gennaio 2026, andatelo a vedere.

 

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Una battaglia dopo l’altra, dei diritti contro il potere che prevarica https://ilvulcanico.it/una-battaglia-dopo-laltra-dei-diritti-contro-il-potere-che-prevarica/ Sun, 05 Oct 2025 09:33:22 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25901 di Antonella De Francesco Un film che non si dimentica l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, che per la verità ha fatto tutti capolavori indimenticabili ( Il filo nascosto, Magnolia, Il petroliere, solo per citarne alcuni). Una battaglia dopo l’altra, tratto dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, è una magnifica allucinazione collettiva sulle rivoluzioni che […]

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di Antonella De Francesco
Un film che non si dimentica l’ultima fatica di Paul Thomas Anderson, che per la verità ha fatto tutti capolavori indimenticabili ( Il filo nascosto, Magnolia, Il petroliere, solo per citarne alcuni). Una battaglia dopo l’altra, tratto dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, è una magnifica allucinazione collettiva sulle rivoluzioni che abbiamo o non abbiamo fatto, sul mondo in cui viviamo, in cui potere (politico e militare) e diritti si contrappongono, il primo a voler prevaricare l’altro. E niente suona più attuale di così, anche alla luce degli ultimi fatti di politica internazionale e nazionale in cui le piazze si animano, la protesta rinasce, perché la coscienza è desta.
Non parlerò della tecnica filmica perfetta, delle riprese con camere mobili per cui ti schianti con i protagonisti e addirittura avverti il vuoto d’aria per una discesa a tutta velocità (la sequenza dell’inseguimento meriterebbe di per se già già l’Oscar), del sottofondo musicale per mano di Jonny Greenwood che sottolinea, esalta e accompagna tutto il film nel suo ritmo serrato e a tratti ossessivo, né delle interpretazioni memorabili dei protagonisti Leonardo Di Caprio, Sean Penn, Benicio Del Toro, Teyana Taylor, perché mi preme sottolineare la profondità del contenuto dietro la parodia.
In questi giorni ci siamo chiesti tutti a chi giovino le manifestazioni di piazza, ecco il film ce lo spiega. Forse troppo a lungo noi come Leonardo Di Caprio nei panni di Bon Ferguson, padre amorevole ma frustrato dal fallimento della sua rivoluzione perché “in fondo il mondo non è cambiato poi tanto”, abbiamo voluto proteggere i nostri ragazzi dalle guerre, dal caos, dalle piazze rumorose, in un clima di pace apparente in cui il bene prevale sul male e i diritti hanno la meglio sulle ingiustizie.
Le rivoluzioni ce le siamo lasciate alle spalle con la complicità degli studi a scuola che per lo più le hanno ignorate. Ma Anderson ci mostra quello che da mesi forse ormai nessuno può far finta di non vedere: il mondo è in guerra di nuovo in quel percorso ciclico della storia che troppo spesso dimentichiamo. Anderson ci mostra le piazze in fiamme e gli oppressi che urlano per i loro diritti, che sfilano e protestano per dire no. E quelle immagini rimandano a quelle di questi giorni in cui quei figli che volevamo proteggere dalla violenza, quegli “ sdraiati” con le cuffie che a malapena ti rispondono quando entri in camera loro, ecco proprio loro vogliono dire no.
Non vi svelerò il finale ma il senso è chiaro: l’unico ricongiungimento possibile è quello dell’abbraccio, quel “riconoscimento” tra padri e figli, perché si torna sempre lì ed è da lì che si riparte . Finché ci saranno diritti calpestati, migranti respinti, guerre senza ragione, bambini uccisi, donne violate ci saranno piazze pronte ad esprimere dissenso in una battaglia dopo l’altra. Stavolta saranno i giovani a combatterla: è questa per Anderson l’unica certezza e per noi anche l’ultima speranza.
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(Gaetano Perricone). “Noi abbiamo fallito, figlia mia. Ma spero che voi riuscirete a cambiare il mondo”.
Che magnifico filmone, ragazzi! Capolavoro non lo definisco, so che sono in tanti ad arricciare il naso quando si scrive così, in effetti accade troppo spesso, di un film, di un libro, di un’opera d’arte comunque. Ma che per me sia strepitoso lo scrivo senz’altro.
Grandissimo cinema, al top. Difficile immaginare che “Una battaglia dopo l’altra”, adrenalinico apologo della rivoluzione necessaria e perfino inevitabile magistralmente diretto da Paul Thomas Anderson, regista dagli ottimi precedenti, non faccia incetta di premi alla prossima cerimonia degli Oscar: come miglior film dell’anno, per l’attualissima tematica – la lotta per la vita e i diritti fondamentali di neri e messicani contro l’orrendo e feroce imperversare del suprematismo bianco negli Stati Uniti – e qualità tecnica; per gli effetti speciali, eccezionali e coinvolgenti; per la infinita bravura degli attori di un cast davvero superlativo, i nemici Leonardo di Caprio-Bob e Sean Penn-colonnello Lockjaw, Benicio Del Toro-Carlos e le splendide donne guerriere, Teyana Taylor-Perfidia, Regina Hall- Deandra e Chase Infiniti- Willa; una colonna sonora fantastica; il bellissimo, commovente finale, dedicato all’importanza della trasmissione tra le generazioni, tra genitori e figli, dell’inestinguibile, indispensabile, vitale voglia di migliorare il mondo e l’umanità, la qualità del vivere. Che è stata ed è l’essenza di ogni rivoluzione.
Solo il clima politico trumpiano, certamente non favorevole ai contenuti espressi dal film, potrebbe fermare la conquista di diverse statuette per “Una battaglia dopo l’altra”; ma le giurie di Los Angeles hanno dimostrato negli anni di non lasciarsi condizionare nelle loro scelte dal potere della Casa Bianca.
Sono rimasto due ore e quaranta, 160 minuti, incollato alla poltrona del cinema con gli occhi allo schermo, spettacolo elettrizzante ed entusiasmante, senza distrarmi neanche un attimo, per quello che non ho esitazioni a definire uno dei film più belli che abbia mai visto. Me lo sono goduto da solo, ormai sono piacevolmente abituato. Unico neo, incomprensibile: è vero che era lo spettacolo delle 16, ma quattro persone me compreso in una sala da 336 posti (li ho contati facilmente) per un film del genere sono un dato scoraggiante. E’ la conferma che la gente sempre di più preferisce tenersi lontana da argomenti che in qualche modo possono inviate alla riflessione.
Ripropongo, qui a seguire, il link pubblicato sul mio blog con la meravigliosa recensione della mia cara amica Antonella De Francesco, che ancora una volta mi ha sapientemente invogliato alla visione. Se vi piace il bel cinema, con tutte le sue componenti, non potete mancare di vedere questo film.

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Lo “scruscio” del vulcano: le magnifiche immagini INGV del caldissimo agosto dell’Etna https://ilvulcanico.it/lo-scruscio-del-vulcano-le-magnifiche-immagini-ingv-del-caldissimo-agosto-delletna/ Wed, 03 Sep 2025 12:20:40 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25883 FONTE: https://ingvvulcani.com/ Il nuovo, spettacolare video realizzato il 28 Agosto 2025 da personale dell’INGV Osservatorio Etneo e pubblicato sul canale YouTube di INGVVulcani. Il video mostra alcuni momenti dell’attività eruttiva appena conclusasi, in particolare la colata di lava emessa da quota 2890 m, sul versante sud occidentale dell’ Etna e l’attività stromboliana al cratere di […]

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FONTE: https://ingvvulcani.com/

Il nuovo, spettacolare video realizzato il 28 Agosto 2025 da personale dell’INGV Osservatorio Etneo e pubblicato sul canale YouTube di INGVVulcani. Il video mostra alcuni momenti dell’attività eruttiva appena conclusasi, in particolare la colata di lava emessa da quota 2890 m, sul versante sud occidentale dell’ Etna e l’attività stromboliana al cratere di Sud Est.

Il video è stato realizzato in occasione della visita di personale INGV-Osservatorio Etneo al teatro eruttivo in area sommitale dell‘Etna nel mattino del 28 agosto. L’attività stromboliana al Cratere di Sud-Est è notevolmente aumentata rispetto ai giorni precedenti, con frequenti esplosioni da una bocca principale nella parte occidentale del cono. Dalla bocca effusiva a quota 2980 m esce una colata lavica ben alimentata; contemporaneamente continua l’emissione di lava da una bocca effusiva a quota 3200 m sul fianco meridionale del Cratere di Sud-Est. Nell’ultima parte di questo video si può apprezzare il suono dell’attività stromboliana, a volte con detonazioni molto forti.

 

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Etna, Ferragosto 2025, emozioni forti. Il fuoco che cammina https://ilvulcanico.it/etna-ferragosto-2025-emozioni-forti-il-fuoco-che-cammina/ Sat, 16 Aug 2025 09:52:38 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25872 di Giovinsky Aetnensis  Per la gioia di lettori e visualizzatori del Vulcanico.it, ecco un altro strepitoso video della bravissima Giovinsky Aetnensis che ancora una volta ci regala emozioni forti con immagini semplici, bellissime, di grande forza evocativa della colata lavica di Ferragosto 2025. Il fuoco che cammina, lo scruscio della lava che scorre, la meravigliosa […]

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di Giovinsky Aetnensis 

Per la gioia di lettori e visualizzatori del Vulcanico.it, ecco un altro strepitoso video della bravissima Giovinsky Aetnensis che ancora una volta ci regala emozioni forti con immagini semplici, bellissime, di grande forza evocativa della colata lavica di Ferragosto 2025. Il fuoco che cammina, lo scruscio della lava che scorre, la meravigliosa macchina geologica del vulcano Patrimonio Mondiale dell’umanità che si manifesta in tutta la sua affascinante potenza. Null’altro da aggiungere, solo guardare. Grazie sempre alla cara Giovinsky per la disponibilità e soprattutto per il preziosissimo lavoro divulgativo (Gaetano Perricone) 

Poche, ma belle e sentite le parole di Giovinsky: “Caro Gaetano, con le parole non riesco ad esprimere quelle emozioni che provo quando sono in quota a seguire la mia amata Etna, credo che non esistano aggettivi e parole per descrivere quello che sento dentro di me. Posso solamente provare a dirti che in un scatto o ripresa video cerco di catturare le sensazioni, i profumi di quel momento; per poterle riviverle in qualsiasi altro momento”.

Per la descrizione scientifica, ecco l’ultimo comunicato dell’INGV-OE (Osservatorio Etneo), delle ore 16,46 del 15 agosto 2025

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, comunica che l’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza e satellitari e le osservazioni vulcanologiche, indicano che il flusso lavico alimentato dalla bocca eruttiva posta alla quota stimata di 2980 mt s.l.m. è ancora attivo. In particolare, alle ore 08:00 GMT di oggi, il flusso lavico aveva un’estensione stimata di 500 mt e si stava propagando in direzione Sud. Il fronte più avanzato si attestava alla quota di 2770 mt s.l.m.. Continua con intensità variabile la modesta attività esplosiva al cratere di Sud-Est con episodica produzione di cenere che si disperde rapidamente in area sommitale.
Il tremore vulcanico si è mantenuto nella fascia dei valori medi con ampie oscillazioni, solo occasionalmente ha raggiunto di poco i valori alti. Le localizzazioni delle sorgenti ricadono tra i 2800 e i 3000 metri di quota in una zona compresa tra cratere di Sud Est e cratere di Nord Est. L’attività infrasonica è moderata con eventi localizzati al cratere di Sud Est e al cratere di Nord Est in entrambi i casi l’ampiezza degli eventi è bassa. Il conteggio e la localizzazione degli eventi infrasonici potrebbero essere influenzati dalle condizioni meteorologiche. I segnali delle reti di monitoraggio delle deformazioni del suolo non mostrano variazioni significative

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“L’Etna non è solo madre. A volte è anche giudice” https://ilvulcanico.it/letna-non-e-solo-madre-a-volte-e-anche-giudice/ Sat, 02 Aug 2025 04:45:45 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25809 di Irene Randazzo Ci sono storie che non appartengono solo a chi le ha vissute, ma anche a chi le ha ascoltate. Mio marito, Pippo Raiti, custodisce nella memoria una di queste storie. La porta con sé fin da bambino, come un dono ricevuto davanti al fuoco durante le sere d’inverno, quando suo padre, Francesco […]

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di Irene Randazzo

Ci sono storie che non appartengono solo a chi le ha vissute, ma anche a chi le ha ascoltate. Mio marito, Pippo Raiti, custodisce nella memoria una di queste storie. La porta con sé fin da bambino, come un dono ricevuto davanti al fuoco durante le sere d’inverno, quando suo padre, Francesco Raiti, appartenente ad una delle più note famiglie di pastori di Castiglione di Sicilia – con la voce bassa e lo sguardo lontano – rievocava i racconti della sua infanzia. Ce n’era uno in particolare, che ogni volta lo commuoveva: quello dell’alba tragica del 2 agosto 1929, sul versante nord dell’Etna, quando un’improvvisa e terribile esplosione del cratere di Nord-Est provocò la morte del giovane Angelino Samperi, il quale aveva organizzato un’escursione notturna per raggiungere la vetta e vedere l’alba insieme ad alcuni parenti ed amici per festeggiare la maturità liceale appena conseguita. Con lui trovò la morte anche Giovanni Bonaccorso.

Francesco Raiti

Avevo dieci anni” raccontava suo padre “con tuo nonno Turi e i miei fratelli Vincenzo, Carmelino e Peppino, eravamo  in montagna in contrada Pitarrona. Nel periodo estivo, subito dopo la tosatura, le greggi si portavano in quota dove vi erano i pascoli migliori. L’Etna per i pastori era casa e mistero, sapevamo rispettarla, la guardavamo con fiducia, come si guarda una madre severa”. Francesco, faceva delle pause, mantenendo lo sguardo fisso e lontano, come a non voler perdere la nitidezza del ricordo,  accendeva l’ennesima sigaretta della giornata con gesto meccanico che sapeva di abitudine e riprendeva a raccontare: “Quella notte mentre tutti dormivamo si sentì un fragoroso boato che ci svegliò. Io dal  giaciglio in cui dormivo accanto a mio fratello Vincenzo, sentivo i più grandi parlare tra loro dell’impressionante esplosione. Vincenzo aveva esclamato: “scassau a Muntagna”. Poco dopo  cadde nuovamente il silenzio, ignari di ciò che era accaduto si riprese a dormire. Io avevo sentito le lore parole concitate ed ebbi paura ma abbracciai Vincenzo. “Non ti scantari”, mi tranquillizzò e ricominciai a dormire. Vicino a lui mi sentivo protetto e al sicuro. Mio padre quella notte non c’era perchè nel pomeriggio era sceso in paese per fare rifornimento di provviste”.

Mio marito racconta sempre del rapporto particolare tra suo padre Francesco e il fratello Vincenzo, maggiore di lui di ventidue anni. Egli era il più grande dei fratelli e lui lo adorava, ne andava fiero, anche perché tra la civiltà pastorale era riconosciuto da tutti come il mito dei pastori castiglionesi. Vincenzo, purtroppo, perse la vita nel 1932 a soli trentaquattro anni, a causa di una rovinosa caduta da una giumenta imbizzarrita. Francesco alla morte di Vincenzo aveva solo tredici anni e, a distanza di tempo, quando  nominava il fratello, la sua voce diventava tremolante. Anche quella sera in cui raccontava di quella tragica notte, la sua voce diventò mesta nel ricordarlo, tanto che fece una pausa, come a riprendere fiato, come a voler ricacciare in gola quella forte emozione. Interruppe il racconto, afferrò il cucchiaio che serviva a girare il fuoco nel bracciere e con fare lento lo mescolò, mentre il fuoco ricominciò a ravvivvarsi, così come i ricordi di quella notte che sembravano riaffiorare come le scintille di quel fuoco. Poi riprese il racconto.

Lapide delle due vittime al cimitero di Piedimonte Etneo

Ancor prima che facesse giorno, Vincenzo mi svegliò e mi affidò un importante compito. Andare a recuperare alcune pecore gravide che si erano spinte troppo in alto verso Monte Pizzillo, “U chianu ‘i Campani”, i due Pizzi. Quelle pecore a fine agosto sarebbero state pronte per figliare e non si poteva rischiare che si spingessero ancora più in alto. Per farlo mi indicò un preciso percorso, attraverso Monterosso, Montenero, “a Spinedda” e “i netti di Monte Frumento”,  per giungere infine verso Monte Pizzillo. Ero orgoglioso di questa specie di missione e felice perché Vincenzo l’aveva affidata a me e non a Carmelino o Peppino, seppure più grandi: ciò voleva dire che lui si fidava di me ed io ne ero fiero. Così presi il bastone di “Pirainaro” con i nodi bruciati che Vincenzo aveva fatto con tanta cura per me, chiamai Bosco, mio compagno di giochi, spettacolare esemplare di cane pastore a pelo bianco, e imboccai il sentiero per Monterosso. Da qui tagliai le lave del 1923, del 1911, arrivai a Montenero e salii verso “la Spinedda”. Arrivato nei pressi di Monte Frumento sentii il suono dei campanacci delle pecore provenire da Monte Pizzillo, ero vicino pensai. Continuai a salire. Ad un tratto notai uno strano atteggiamento di Bosco, era evidente che avvertiva la presenza di qualcosa o qualcuno ed ecco che anch’io iniziai ad intravedere l’incedere di una piccola carovana. Il sole era già alto, l’ora dell’alba era già passata. Fu allora che vidi qualcosa che non ho mai più dimenticato. Una cavalcatura scendeva lentamente, sul dorso penzolava il corpo di un giovane, riuscivo a intravedere il volto pallido, gli occhi chiusi. Gli uomini lo accompagnavano in silenzio, i loro vestiti erano laceri, sporchi di cenere vulcanica, sapevano di disperazione, era come se il dolore scendesse insieme a loro. Fu in quel momento, vedendo quel corpo sulla cavalcatura  e i volti di quegli uomini che collegai la loro presenza con l’esplosione avvenuta nella notte.  Rimasi pietrificato dalla paura, immobile aspettai il passaggio di quella processione, con lo stesso rispetto misto a pietà e paura che usavo avere il Venerdì Santo al passaggio del Cristo morto. Ad un tratto il mio sgomento fu scosso dalla domanda di uno di quegli uomini che mi si avvicinò e mi chiese quale fosse il sentiero più agevole per raggiungere la Caserma Pitarrona; indicai loro il sentiero e poi mestamente proseguii verso Monte Pizzillo. Avevo comunque un compito da portare a termine. Ripresi poi la strada del ritorno ma non avevo più quella spensieratezza che avevo invece all’inizio, sentivo che qualcosa era cambiato dentro di me. Giunto alla Caserma Pitarrona, gli altri sapevano già di quanto accaduto, il corteo era passato di lì. Dopo qualche giorno la notizia si diffuse  a Castiglione e nei paesi etnei, tutti rimasero colpiti della tragedia in cui avevano trovato la morte il giovane Angelino Samperi e Giovanni Bonaccorso, quest’ultimo era stato ritrovato dai soccorritori il giorno dopo. Entrambi erano di Piedimonte Etneo”.

Francesco Raiti e il figlio Pippo

Mio marito, bambino, ascoltava in silenzio. Lo immaginava  – suo padre a dieci anni, immobile tra le rocce, con gli occhi fissi su quel corteo di tragedia – e gli si stringeva il cuore. In quella scena c’era tutto: la bellezza e la crudeltà della natura, l’incanto spezzato di una giovinezza e la consapevolezza improvvisa della fragilità umana. “Da quel giorno” diceva suo padre, “non ho più guardato l’Etna allo stesso modo. Ho capito che non è solo madre. A volte, è anche giudice.

La tomba di Piedimonte Etneo dove sono seppelliti Samperi e Bonaccorso

Oggi, mentre scrivo queste righe, immagino di sentire l’eco della voce di Francesco Raiti, mio suocero. È una testimonianza che non deve andare perduta. Perché non è solo un ricordo di famiglia: è anche parte della memoria di un territorio, di una generazione che viveva a contatto con la montagna e ne accettava i doni e i pericoli. Mio marito oggi ha più anni di quanti ne avesse suo padre quando raccontava quella storia. Francesco morì improvvisamente a soli sessant’anni, nel 1980. Ogni volta però che torna con la memoria a quelle sere d’inverno, al fuoco nel braciere e alla voce bassa e ferma del padre che narrava, si commuove come allora. “Non era solo un racconto” mi ha detto una volta, mentre guardava il profilo dell’Etna all’orizzonte, “era una consegna. Mio padre non voleva spaventarmi, né cercava di impressionarmi. Voleva solo che sapessi che la vita è fragile, anche quando è giovane. Che la bellezza e il dolore camminano insieme. E che la memoria è un dovere e che “A Muntagna va rispettata”.

A volte, io e Pippo, restiamo in silenzio a guardare la montagna dal balcone di casa. In quel silenzio, so che lui sta rivedendo il bambino che era suo padre, fermo sul sentiero, tra le sciare di Timparossa, Montenero, Monte Frumento, Monte Pizzillo, mentre passava il mulo con quel giovane ferito, e tutto intorno taceva. Quel bambino non dimenticò. E neppure il figlio ha dimenticato.

Con il titolo: le lapidi di Samperi e Bonaccorso sull’Etna

 

 

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Etna, 2 agosto 1929. Quella tragedia che turbò il mondo https://ilvulcanico.it/etna-2-agosto-1929-quella-tragedia-che-turbo-il-mondo/ Sat, 02 Aug 2025 04:40:36 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25823 di Santo Scalia Mio padre, linguaglossese per nascita, aveva ancora 10 anni quando, il due di agosto del 1929, in paese giunse, passando di bocca in bocca, la triste notizia: in cima all’Etna una comitiva di escursionisti era stata sorpresa da un’improvvisa esplosione, c’erano dei feriti e, forse, anche dei morti! A portare la notizia […]

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di Santo Scalia

Mio padre, linguaglossese per nascita, aveva ancora 10 anni quando, il due di agosto del 1929, in paese giunse, passando di bocca in bocca, la triste notizia: in cima all’Etna una comitiva di escursionisti era stata sorpresa da un’improvvisa esplosione, c’erano dei feriti e, forse, anche dei morti!

A portare la notizia erano stati alcuni giovani, laceri, stravolti, stanchi, che fortunatamente non erano stati colpiti dai massi scagliati dall’esplosione e che, precipitosamente, erano scesi in paese. Da Piedimonte Etneo accorsero, trafelati, uomini della Milizia e parenti degli escursionisti, in attesa di notizie sui loro amici e congiunti, e tra questi anche “u patrozzu” (il padrino, n.d.A.) di mio padre, sperando che le voci che davano suo figlio per morto non fossero vere.

Il giovane Angelino Samperi aveva da poco finito gli studi scolastici: a diciotto anni aveva conseguito la maturità liceale e aveva voluto festeggiare il traguardo raggiunto con una gita sulla cima del vulcano, anche per godere della vista dell’alba insieme ad amici e parenti.

La comitiva dei “piamuntisi” (così venivano, e vengono tutt’ora indicati gli abitanti del paese di Piedimonte Etneo) era partita da Linguaglossa e si era ripromessa di arrivare in prossimità del Cratere dell’Etna in tempo per assistere al sorgere del sole; del gruppo facevano parte anche Giovanni Bonaccorso (indicato erroneamente da alcune fonti come Bonaccorsi, o Buonaccorso, di 42 anni), padrino del giovane Samperi, e il Tenente della Milizia di Piedimonte Etneo.

Ma «[…] ad un tratto, dal cratere subterminale di NE, partì un boato spaventoso ed una colonna imponente di fumo e cenere si levò solenne nell’immensità del cielo. Lo spostamento d’aria determinato dallo scoppio, fu così forte che i dodici componenti la comitiva, furono ributtati di parecchi metri dal luogo ove si trovavano, e sbandati pietosamente in preda a terrore e a pazza fuga. Quando si poterono raccogliere in luogo più sicuro, e si contarono, trovarono con vivo dolore che due mancavano all’appello. Riavutisi, e fatte affannosamente le ricerche, rinvennero uno solo dei due: un povero giovane, ferito a morte, che invocava aiuto. Era quello stesso che aveva organizzato la gita per festeggiare la propria maturità, conseguita in quei giorni».

 Questa descrizione la troviamo nell’edizione del libro L’Etna e le sue meraviglie di Domenico Andronico, pubblicata nel 1930, alla pagina 182 (nelle successive edizioni l’evento non venne più riportato). Andronico aggiunge un altro particolare riguardante il “povero giovane, ferito a morte, che invocava aiuto”: «Portato a casa a dorso di mulo, vi morì lungo la discesa». Proprio quest’ultimo particolare trova riscontro in due testimonianze di persone che all’epoca dei fatti si trovavano sul versante settentrionale dell’Etna. Tra queste, un giovane pastore di Castiglione di Sicilia e un linguaglossese illustre, Carmelo Greco (vedi ilVulcanico del 27 gennaio 2019), conosciutissimo personaggio che fu “il presidente” del Club Alpino Italiano di Linguaglossa: reggente della locale Sottosezione fino al 1957, quando il Consiglio Centrale del C.A.I. deliberò che la Sottosezione di Linguaglossa si costituisse in Sezione; Greco ne fu poi il presidente, fino all’età di 92 anni, ed in seguito fu presidente onorario fino alla scomparsa, avvenuta il 17 dicembre del 2005.

Particolare della testimonianza del Cav. Carmelo Greco, presso la Sede del CAI Linguaglossa (foto S.Scalia)

Ricevuta l’onorificenza dell’Ordine al Merito della Repubblica nel 1993, Carmelo Greco fu per tutti il Cavaliere. E proprio nella Sede della Sezione che oggi porta il suo nome, appesa a una parete, c’è una sua annotazione olografa che riassume i tragici eventi del 1929, descritti da Carmelo, allora quasi coetaneo di Angelino: «[…] Samperi, trasportato a dorso di mulo, moriva prima di arrivare in paese (Linguaglossa) in seguito a rottura del dorso spinale».

Ancora Andronico, nella già citata opera del 1930, aggiunge: «L’altro compagno, un uomo di 42 anni, fu trovato morto, il giorno appresso, da una spedizione di soccorso». L’uomo, inizialmente disperso, era proprio il padrino del giovane Samperi, Giovanni Bonaccorso.

Una squadra di soccorso era stata immediatamente organizzata, ed era partita da Linguaglossa nella serata dello stesso 2 agosto. Gravemente ferito (frattura di 4 costole, lesioni polmonari) Bonaccorso era riuscito a fasciarsi una mano e la fronte sanguinante, ma non era sopravvissuto alla notte. Altri quattro componenti della spedizione, tra cui il Tenente della Milizia di Piedimonte Etneo, subirono delle ferite per fortuna non gravi, come riportato dal quotidiano L’Ora del 3-4 agosto.

Anche il Cavaliere Greco ha lasciato la sua testimonianza a proposito del Bonaccorso: «Bonaccorsi [sic], finito ai margini del cratere di nord-est, ferito in seguito a caduta, restava tutta la nottata a quella altezza soffocato da gas tossici». Accanto al foglio da lui sottoscritto sono esposte delle fotografie: «Le foto documentano la messa in opera delle due lapidi a ricordo della tragica disgrazia e in sostituzione delle prime, distrutte da eruzioni successive».

Personalmente, frequento la cima dell’Etna da più di mezzo secolo e ricordo di aver visto, nelle mie prime escursioni ai crateri, una targa di marmo semisepolta alla base del Cratere di Nord Est a ricordo di quell’evento; poi l’ho rivista spezzata e infine… non l’ho più trovata, seppellita da tonnellate di massi e brandelli di lava che nel corso degli anni ’80 portarono il cratere di Nord Est a diventare allora la cima più alta dell’Etna.

La targa che nei primi anni ’70 era ancora presente alla base del Cratere di Nord-Est e relativa trascrizione

Sul quotidiano palermitano Giornale di Sicilia (Anno LXIX N. 185) del 3-4 agosto 1929 la triste notizia fu annunciata dal Professore Gaetano Ponte, direttore “dell’istituto vulcanico [sic] dell’Etna”, con un comunicato che fu poi ripreso da vari altri quotidiani.

Titoli dei quotidiani Giornale di Sicilia e L’Ora

Lo stesso quotidiano, nell’edizione del 3-4 agosto 1929, riportava in seconda pagina il seguente titolo: «Ripresa di fenomeni eruttivi dell’Etna – La morte di uno studente e la scomparsa di un gitante» e due comunicati diramati dal Prof. Ponte. Il primo di essi   illustrava la situazione dell’attività vulcanica, mentre il secondo raccontava dell’evento osservato da Alfio Barbagallo, custode dell’Osservatorio, e dalle guide Signorelli e Mazzaglia che dal versante meridionale accompagnavano una comitiva di gitanti al cratere: «[…]  improvvisamente fu avvertito un forte boato che fece scuotere la terra, mentre una colonna densissima di fumo nera e soffocante si sprigionava dal piccolo cono di nord-est avvolgendo tutti quelli della comitiva e provocando grande panico. A brevissima distanza di tempo si udì un secondo e più forte boato seguito da uno scoppio di gas, di cenere e di lapilli che investirono i gitanti i quali, per lo spostamento dell’aria, si videro abbattuti parecchi metri lontano. Seguì un fuggi-fuggi e gli stessi muli divennero irrequieti e si lanciarono di corsa verso i dirupi. I colpiti dalla caduta e dai lapilli emettevano grida strazianti di aiuto. Poco dopo, quando il fumo in parte si era dileguato, i gitanti cominciarono a chiamarsi l’uno con l’altro finché si poterono riunire a 300 metri dal luogo in cui erano stati sorpresi. Ne mancavano però due: il giovane Sampietri in onore del quale era stata promossa la gita ed il signor Giovanni Buonaccorso di anni 40».

Come già sappiamo, Samperi fu ritrovato moribondo poco dopo l’esplosione, mentre Bonaccorso, come riportato dal Giornale di Sicilia, nel numero del 5-6 agosto, fu ritrovato il giorno dopo da una spedizione guidata da Attilio Castrogiovanni e Angelino Rinaldi, entrambi del CAI di Linguaglossa: “La seconda vittima dell’escursione sull’Etna – Il cadavere del prof. Bonaccorsi rintracciato”.

Ho reperito due ricostruzioni di fantasia di quel tragico evento nelle copertine di due settimanali dell’epoca: l’Illustrazione del Popolo del 18 agosto 1929 e La Domenica del Corriere (stessa data); la prima, illustrata da Ortelli, nella didascalia riporta: “Un gruppo di gitanti, avvicinatosi al cratere dell’Etna per godervi il meraviglioso spettacolo del sorgere del sole, fu sorpreso da un improvviso risveglio del vulcano. Emissioni di gas e di lapilli colpirono i gitanti, i quali per lo spostamento d’aria furono lanciati parecchi metri lontano: due furono le vittime e parecchi i feriti”. La seconda, con l’illustrazione di Beltrame, scrive: «Una tragica gita: per festeggiare la conseguita licenza liceale un giovane di Catania si recava col padre e altre dieci persone a compiere un’ascensione sull’Etna. Ma quando già la comitiva era presso il cratere un improvviso risveglio del vulcano provocava l’uscita di gas e lapilli che investivano i gitanti uccidendone due, tra cui il festeggiato, e ferendone quattro».

Oltre ai giornali dell’isola, anche la stampa nazionale si occupò dell’evento; il quotidiano La Stampa di Torino (Anno 63 Num. 186 – pag. 6) e Il Regime Fascista di Cremona, entrambi nell’edizione del 4 agosto, riportavano la stessa notizia: “Alle ore 4,30 di oggi, mentre il custode dell’Osservatorio etneo, Alfio Barbagallo, e le guide Signorelli e Masoglio accompagnavano una comitiva di gitanti sull’Etna che volevano assistere alla levata del sole, avvertirono un fragore assordante e, fra bagliori rossigni videro sollevarsi sul cratere di nord-est una immensa nube oscura. Poco dopo cadde una pioggia di grossi lapilli. La comitiva poté mettersi in salvo ritornando subito all’osservatorio. Più tardi, purtroppo, altri due escursionisti investiti dai gas solforici morirono per asfissia. Il fenomeno durò circa un quarto d’ora…”

La notizia dell’evento superò i confini nazionali: anche in Francia, sulle pagine dei giornali L’Ouest-Éclair (del 4 agosto) e Le Populaire (5 agosto) apparvero dei trafiletti sull’incidente.

L’eco dell’episodio varcò anche l’oceano: nell’edizione del 3 agosto 1929, l’americano The Ogden Standard Examiner, dello stato dello Utah, così come l’Elyria Chronicle Telegram dell’Ohio, riportano la notizia: “Catania, Sicily, August 3 – An 18-year-old student is dead, one man is missing and four are recovering from injuries today from a shower of stones and small fragments of lava, from the main crater of the world famous-volcano, Mount Etna, as a result of an explosion from the peak which yesterday resumed activity”.

 L’evento colpì vivamente gli abitanti di Linguaglossa e di Piedimonte Etneo; lo Sci CAI Valligiani di Linguaglossa nel suoLibro d’Ororicorda le edizioni della COPPA A. SAMPERI che negli anni 1949, 1950, 1951 e 1955 volle organizzare a memoria di Angelino; il Comune di Piedimonte, presso il cui cimitero sono sepolti entrambi gli sfortunati, “vittime dell’audacia”, nel suo organo ufficiale Piedimonte Notizie N. 74 del giugno 2007 dedica due pagine al ricordo dei concittadini periti nella sciagura. L’incidente è ricordato anche dal vulcanologo Boris Behncke nel sito internet italysvolcanoes.com [“1929 (2 August) – 2 young men killed by a sudden explosion at Northeast Crater whose causes are uncertain. It is possible that this event was similar to those of 1979 and 1987”] ed è citato anche nel volume L’Etna e il mondo dei vulcani di Patanè, La Delfa e Tanguy, pubblicato a Catania dall’editore Maimone nel 2004.

Grazie alla cortesia dell’amico Antonio Cavallaro Monti, studioso e storico linguaglossese, abbiamo la possibilità di vedere due eccezionali fotografie della comitiva, scattate nel corso dell’ascesa verso la sommità del vulcano.

Oggi le spoglie di Angelino e Giovanni riposano in una tomba, simbolicamente realizzata con pietre vulcaniche, nel Cimitero di Piedimonte Etneo.

Altri eventi funesti sono avvenuti presso i crateri sommitali dell’Etna negli anni successivi: il 12 settembre del 1979, presso il cratere denominato Bocca Nuova, a causa di un’improvvisa esplosione freatomagmatica perirono 9 persone e 20 rimasero ferite. Il 15 aprile del 1987, in prossimità del Cratere di Sud-Est, i morti furono due.

Oggi la Protezione Civile vieta di raggiungere la zona sommitale del vulcano se non accompagnati dalle Guide Alpine Vulcanologiche e, in base allo stato di agitazione, il divieto può divenire assoluto. Resta, per quanti sforzi e quanti progressi si siano fatti, l’imprevedibilità di certi fenomeni vulcanici: nel settembre del ’79 dello scorso secolo, quando si verificò in quell’area il più tragico degli incidenti mortali, le guide erano presenti e nulla poterono fare nel prevenire l’evento.

La «suprema visione di bellezze incomparabili» impone dei rischi, a volte anche mortali.

Un sentito ringraziamento va alla Sezione del Club Alpino Italiano di Linguaglossa, alla Famiglia Greco (erede e detentrice dell’immenso archivio di documenti che fu del Cavaliere Greco), agli amici Antonio Cavallaro Monti e Pippo Raiti che tanto mi sono stati di aiuto nella ricostruzione degli eventi e nella stesura di questo testo.

Con il titolo: particolare dalla Domenica del Corriere del 18 agosto 1929 (Collezione S.Scalia) 

 

 

 

 

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Nasce “Etna Social Hub”. Per un ambiente digitale più sano https://ilvulcanico.it/nasce-etna-social-hub-per-un-ambiente-digitale-piu-sano/ Sun, 27 Jul 2025 05:08:48 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25797 di Antonio De Luca Trattare l’Etna sui social è un fronte su cui sono impegnato ormai da svariati anni. Quando ho visto nascere i primi siti per la condivisione di immagini e notizie, ho capito subito le enormi potenzialità di questa nuova tecnologia, tuttavia non mi ero ancora imbattuto nel suo lato più negativo: la […]

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di Antonio De Luca

Trattare l’Etna sui social è un fronte su cui sono impegnato ormai da svariati anni. Quando ho visto nascere i primi siti per la condivisione di immagini e notizie, ho capito subito le enormi potenzialità di questa nuova tecnologia, tuttavia non mi ero ancora imbattuto nel suo lato più negativo: la disinformazione, l’allarmismo e la discordia che aleggiano tra i vari utenti che vivono il web. Un nemico subdolo che può creare dei danni enormi.

Ma i social non hanno colpa propria, sono semplicemente uno strumento neutro, la cui efficacia è determinata dall’uso che se ne fa. Ho iniziato il mio progetto Passione Etna nel 2009, inizialmente con le idee poco chiare, il primo video voleva raccontare più un’escursione tra amici che altro, ma poi ha preso i connotati di un vero e proprio documentario, ancora acerbo, ma che mi ha spinto a rafforzare l’impegno verso la divulgazione, perseguendo una comunicazione sempre più responsabile.

Con il tempo la mia speranza di poter contribuire a un ambiente digitale più sano è rimasta una costante. Non sempre è facile, a volte abbiamo assistito, proprio a causa dei social, a delle vere e proprie valanghe mediatiche di grande impatto, che hanno fatto male all’Etna e alla sua fruizione. Valanghe da cui mi sono spesso sentito travolgere, ma mai abbastanza da rimanerne sepolto. In fondo, proprio grazie ai social ho conosciuto anche tante persone che condividono la passione verso l’Etna con me e che hanno un modo di vedere questo vulcano che sento in linea con il mio.

Con alcuni di questi amici è nata l’idea di organizzare un evento che mettesse insieme quel che di buono lega questo vulcano con i social e con le persone che curano le tante pagine ad esso dedicate. Si chiamerà Etna Social Hub, proprio perché sarà un punto di incontro, dal vivo, di tutte le persone che si impegnano ogni giorno alla diffusione di informazioni corrette sul nostro vulcano e il cui merito va riconosciuto. L’incontro si svolgerà domenica 28 settembre 2025 presso l’Ecomuseo del Castagno dell’Etna di Fornazzo, una struttura con significative potenzialità ancora non pienamente valorizzate.

Sono previsti interventi, proiezioni ed aree espositive che arricchiranno vari momenti della giornata. I diversi partecipanti racconteranno il vulcano attraverso le loro attività: ci saranno sia divulgatori che artisti; tutte persone che stimo per il loro operato e che potranno mostrare un lato dell’Etna particolare, personale, quindi unico. Il nostro obiettivo è chiaro: dimostrare il potenziale dei social media come strumenti efficaci di divulgazione, capaci di rendere le informazioni sul territorio più accessibili e coinvolgenti, in armonia con i canali ufficiali. Aspetto determinante di questa iniziativa infatti è riconoscere nel lavoro istituzionale dell’Università e della Ricerca la fonte primaria da cui attingere informazioni, sottolineandone sempre il valore.

Il nostro è un evento che considero “aperto”, in continuo divenire, con la speranza che possa ripetersi in futuro e magari coinvolgere a rotazione tutte le persone che nutrono un legame con l’Etna, perché da tutti c’è qualcosa da imparare. Inoltre ci sarà tanto spazio anche per i ragazzi, con attività che partiranno la mattina e si concluderanno con la premiazione del miglior cortometraggio dedicato al vulcano. Chissà, magari il primo di una lunga serie.

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La fiamma eterna dell’Etna giovedì 24 luglio si accenderà a Manhattan https://ilvulcanico.it/la-fiamma-eterna-delletna-giovedi-24-luglio-si-accendera-a-manhattan/ Tue, 22 Jul 2025 06:20:16 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25786 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Il 24 luglio l’Etna arriva a Manhattan con un evento che unisce arte, scienza e territorio Negli spazi della galleria d’arte contemporanea TOTAH, nel cuore di New York, il prossimo 24 luglio si terrà il finissage di “Etna Eternal Flame”, progetto internazionale promosso e curato dall’associazione culturale Basaltika, che per oltre un anno ha trasformato il […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Il 24 luglio l’Etna arriva a Manhattan con un evento che unisce arte, scienza e territorio

Negli spazi della galleria d’arte contemporanea TOTAH, nel cuore di New York, il prossimo 24 luglio si terrà il finissage di “Etna Eternal Flame”, progetto internazionale promosso e curato dall’associazione culturale Basaltika, che per oltre un anno ha trasformato il vulcano attivo più alto d’Europa in un palcoscenico di arte “site-specific” e ricerca geologica.

Al centro dell’evento il contributo dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV – OE), con l’intervento del Direttore Stefano Branca, chiamato a raccontare come si sono evoluti nel tempo i metodi di rappresentazione delle eruzioni storiche dell’Etna a partire dal XVI secolo fino all’avvento della fotografia al pubblico newyorkese e a portare la voce della ricerca italiana oltreoceano:

Il coinvolgimento dell’INGV”, spiega Branca, “ha dato profondità scientifica e autorevolezza al progetto. L’Etna non è solo uno spettacolo naturale, ma un laboratorio a cielo aperto di fenomeni geologici che meritano di essere compresi e valorizzati anche attraverso l’arte contemporanea”.

Il progetto Etna Eternal Flame, avviato tra il 2023 e il 2024 sull’Etna Sud a quota 1980 metri, ha visto la partecipazione di quattro artisti di fama internazionale: lo scultore newyorkese Aleksandar Duravcevic, l’artista tedesco Johannes Pfeiffer, la pittrice siciliana Samantha Torrisi e la fotografa Oriana Tabacco, presidente di Basaltika e docente di Storia dell’Arte.

Le opere, installate nel teatro lavico dell’eruzione del 2001, hanno dialogato con il paesaggio vulcanico per oltre un anno, diventando un raro esempio di arte contemporanea su un vulcano attivo.

L’evento newyorkese, curato da Ysabel Pinyol Blasi della Monira Foundation e sostenuto dalla Fondazione Orestiadi di Gibellina, rappresenta la conclusione simbolica di questo percorso.

Durante l’incontro verrà presentato anche un video documentativo dell’intero progetto, introdotto da Oriana Tabacco, che sottolinea: “Il nostro intento era portare il vulcano oltre i suoi confini geografici, renderlo simbolo di rinascita, trasformazione e bellezza. L’arte è stato il mezzo, la scienza il fondamento”.

L’evento sarà trasmesso in diretta streaming sui canali social ufficiali di Basaltika, consolidando l’obiettivo di diffusione internazionale del progetto.

Etna Eternal Flame è stato realizzato con il patrocinio del Parco dell’Etna, dell’INGV – OE, del Comune di Nicolosi e dell’Associazione Italiana di Vulcanologia (AIV).

Infowww.basaltika.it

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)

Parco dell’Etna

Comune di Nicolosi

Associazione Italiana di Vulcanologia (AIV) 

Con il titolo: l’installazione “Prometheus 2023” di Johannes Pfeiffer (foto dal web)

L'articolo La fiamma eterna dell’Etna giovedì 24 luglio si accenderà a Manhattan proviene da Il Vulcanico.

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