Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/ Il Blog di Gaetano Perricone Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 Gino Menza, caduto sull’Etna un secolo fa https://ilvulcanico.it/gino-menza-caduto-sulletna-un-secolo-fa/ Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25324 di Santo Scalia Gino Menza, chi si ricorda di lui? Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa. Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni […]

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di Santo Scalia

Gino Menza, chi si ricorda di lui?

Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa.

La Valle del Bove, nel corso delle prime fasi dell’eruzione 1991-93 (foto S. Scalia)

Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni nella Valle del Bove: infatti, a Gino Menza erano dedicati un rifugio (distrutto poi definitivamente, dopo anni di abbandono, nel corso dell’eruzione del 1991-93) e una Croce di ferro posta ai piedi del Monte Zoccolaro, scomparsa anch’essa nel corso della stessa eruzione.

Per i più giovani, invece, il nome di Menza probabilmente non dice nulla, essendo scomparso il suo ricordo anche dalle carte topografiche.  È quindi un nostro impegno quello di tramandare conoscenze e ricordi che altrimenti andrebbero perduti.

Gino Menza era un attivo socio della sezione catanese del Club Alpino Italiano, il C.A.I. Il 18 gennaio del 1925 mentre era impegnato in una attività alpinistica sulla parete del Monte Zoccolaro, nella bassa Valle del Bove, perse la vita cadendo insieme ad altri due suoi compagni, Umberto Sapienza e Filippo Perciabosco. Gino morì in seguito alla caduta, mentre i due suoi amici si salvarono.

“Sciagura di escursionisti sull’Etna”, così titolava il quotidiano La Stampa di Torino del 20 gennaio di quell’anno, riportando la tragica notizia: «I giovani Menza, Perciaboschi Flippo e Sapienza Umberto erano ieri mattina partiti in automobile per Zafferana, donde avrebbero dovuto iniziare l’ascensione del monte Pomiciara [sic!], posto sulle falde orientali dell’Etna. I giovani, dopo una faticosa ascensione, raggiunsero felicemente la vetta. Quindi si accingevano alla discesa lungo il primo canalone che conduce alla profonda valle del Bove. Il canalone era completamente ghiacciato. I tre giovani si tenevano accordati, ma uno di essi, il Sapienza, prima che gli altri fossero pronti, si lasciò andare per la pericolosa discesa, tirandosi dietro i compagni. I tre ruzzolarono per 300 metri precipitando fino al fondo del burrone. Il Perciaboschi riportò fortunatamente contusioni non molto gravi e, visti i compagni in grave stato, si diede a gridare chiamando aiuto. Un’altra comitiva di gitanti, che si trovava in fondo alla valle del Bove, e colla quale era il prof. Beccari, immediatamente accorso sul posto recando aiuto. Il Menza era moribondo, mentre il Sapienza era irriconoscibile per le numerose lesioni riportate al viso ed agli arti. Il Perciaboschi venne subito trasportato a dorso di mulo, mentre il Sapienza venne portato in barella. Sul posto si recarono le autorità per le necessarie constatazioni di legge e per disporre la rimozione del cadavere del povero Menza».

Altre fonti, però, precisano che i tre «[…] in cordata, arrampicano lungo un canalone ghiacciato della Serra del Salifizio all’interno della Valle [del Bove, n.d.A.]» (da una delle pagine web della sezione C.A.I. di Catania).

Un po’ di confusione rimane, in merito all’esatta dinamica dell’incidente: dallo stesso sito, in una pagina successiva, apprendiamo che «[…] Gino Menza, […] aveva perso la vita nel 1925 durante una discesa della parete della Serra del Salifizio, mentre si trovava in cordata con altri due escursionisti».

Allora, si trattava di un’arrampicata o di una discesa? Poco importa, rimane il tragico esito dell’escursione, col decesso del solo Menza e il ferimento degli altri due compagni di avventura.

Altre testimonianze verbali, da me raccolte nel tempo, confermerebbero la seconda tesi: sembra infatti che durante la discesa i tre fossero legati in cordata e che aprisse la discesa Umberto Sapienza, che scavava i gradini; seguiva Perciabosco e in ultimo, Gino Menza. Ma all’improvviso Sapienza iniziò a scivolare trascinando nella rovinosa caduta i compagni di cordata, e tutti e tre, dopo un salto spaventoso, andarono a sbattere contro un masso alla base del Trifoglietto. Vennero raccolti dai compagni di gita che avevano invece seguito un percorso più sicuro. Sapienza e Perciabosco erano feriti ma il giovane Menza era morto.

Accanto Alla Croce Menza, agosto 1981

Sul luogo dell’incidente, per iniziativa sella Sezione catanese del CAI, venne in seguito collocata una Croce metallica, che rimarrà nella valle fino al 1992: la più lunga eruzione del XX secolo, quella del 1991-93, la farà sparire per sempre.

La distruzione del Rifugio Menza, da un frame di un servizio televisivo della RAI (realizzato da Giovanni Tomarchio)

Al nome di Menza è legata anche la realizzazione, nei primi anni degli anni trenta del secolo scorso, di un rifugio a quota 1680, circa 300 m ad est del cosiddetto Castello del Trifoglietto. Anche il rifugio, comunque da tempo in stato di abbandono, è stato sepolto completamente dalle lave della stessa eruzione.

Quella del Rifugio Menza è però un’altra storia, che si può leggere nell’ottimo articolo di  Grazia Musumeci.

Con il titolo: particolare della Croce Menza in Valle del Bove, non più esistente (foto S. Scalia)

 

(Gaetano Perricone). Voglio aggiungerle due mie parole. Questo bellissimo, emozionante articolo è memoria collettiva di tutti i figli dell’Etna, nativi e acquisiti, che hanno imparato a considerare il Rifugio Menza una vera leggenda del nostro vulcano Patrimonio dell’umanità. E dunque facciomo ancora una volta i complimenti di vero cuore al grandissimo Santo Scalia, che rende viva e palpitante questa memoria con il suo straordinario archivio e la sua appassionata penna o tastiera come oggi si deve dire, ma siamo anche molto contenti di ospitare sul Vulcanico.it l’eccellente articolo sulla storia del Rifugio dell’amica Grazie Musumeci, anima etnea davvero speciale 

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Here, qui e ora. Casa, dolce casa https://ilvulcanico.it/here-qui-e-ora-casa-dolce-casa/ Sun, 12 Jan 2025 10:09:36 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25315 di Antonella De Francesco Ho visto il film Here, del regista Robert Zemeckis. Ci sono andata spinta dalla curiosità, dal momento che avevo letto molto sulla genesi del film in gran parte prodotto grazie alla IA, Intelligenza Artificiale. Girato con un’unica macchina da presa fissa nell’ambiente principale di una casa, il film sintetizza mezzo secolo […]

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di Antonella De Francesco
Ho visto il film Here, del regista Robert Zemeckis.
Ci sono andata spinta dalla curiosità, dal momento che avevo letto molto sulla genesi del film in gran parte prodotto grazie alla IA, Intelligenza Artificiale. Girato con un’unica macchina da presa fissa nell’ambiente principale di una casa, il film sintetizza mezzo secolo di storia, che, se ci pensate è già questo un miracolo e l’intento spiega la velocità delle sequenze e la brevità dei dialoghi. Perché la vera protagonista del film è la casa (here: il qui e ora dell’esistenza di ciascuno di noi). Una casa come tante tra le cui mura accadono vite, si incrociano destini, si allargano famiglie, si vivono dolori e si festeggiano ricorrenze.
Pare banale a dirsi e, per certi versi démodé, dal momento che oggi la maggior parte di noi erra per il mondo sette giorni su sette e rientra a casa quasi solo per dormire. Che ne è stato della “ casa” ? Sono sicura che almeno i boomers come me ne hanno una nel cuore. Per costoro il film Here è una carezza amara che ci proietta in quel domani in cui anche noi non ci saremo più ma lei (la casa) sì, e al suo interno vivranno forse ancora le nostre voci, il fragore delle nostre risate, i nostri sogni irrealizzati, le speranze disattese, le lacrime nascoste, le parole urlate e quelle appena sussurrate.
Cosa ricorderemo della casa e della vita? Dove alloggeranno i ricordi quando vivremo soprattutto nel passato e non avremo più contezza del presente ? Chi avremo accanto a ricordarci cosa siamo stati? Il perché dei nostri errori, la ragione delle nostre decisioni ? Capite bene che non è un film per tutti e bisogna attrezzarsi per il finale.
Ma se avete una “casa” nel cuore, se siete sensibili e vi affezionate ai luoghi, se date valore ai ricordi, anche a quelli in apparenza più insignificanti, andate a vedere il film: vi commuoverà (straordinari Tom Hanks e Robin Whright) e vi farà ripensare a tutto ciò che avete vissuto e alla casa del cuore che, anche se non l’abitate più, ancora custodisce la parte più intima di voi e dei vostri cari.

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Etna: abitare in zone sicure, la “delocalizzazione selettiva” https://ilvulcanico.it/etna-abitare-in-zone-sicure-la-delocalizzazione-selettiva/ Sun, 12 Jan 2025 07:23:19 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25308 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali

Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata dalla Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE). La decisione è motivata dalla ripetuta sismicità dell’area che rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili.

L’inedita strategia di “delocalizzazione selettiva” ha attirato l’attenzione di un gruppo di ricerca interdisciplinare dell’Università di Catania e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che ha condotto lo studio Risk Faults – Relocation, Displacement, and Homemaking on the Slopes of Mount Etna”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Antropologia Pubblica’.

Mario Mattia

“Nella notte del 26 dicembre 2018, un terremoto di magnitudo 5.02 ha colpito il fianco orientale dell’Etna, con epicentro nei pressi dell’abitato di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea (Catania). Nonostante la magnitudo moderata, la ridotta profondità del sisma ha provocato ingenti danni a case e attività produttive nella fascia orientale etnea”, spiega Mario Mattia, primo Tecnologo dell’Osservatorio Etneo INGV

L’evento ha riaperto il dibattito sulla ricostruzione: ricostruire “dov’era e com’era” o optare per soluzioni alternative?

“La ricerca, condotta attraverso metodi tipici degli studi antropologici, ovvero il dialogo, la raccolta di testimonianze orali e l’osservazione attenta delle emozioni, delle pratiche, dei gesti dei sopravvissuti, ha evidenziato che la scelta innovativa della SCRAE, indirizzata verso una strategia di prevenzione definita “delocalizzazione selettiva”, ha considerato aspetti fondamentali spesso trascurati nelle politiche di ricostruzione post-disastro. Il primo è l’adattamento socio-culturale delle famiglie colpite, che hanno progressivamente riorganizzato il proprio rapporto con il territorio, riconfigurando gli orizzonti di senso legati all’abitare in una zona a rischio sismico. Il secondo è l’importanza della mediazione istituzionale, una mediazione che, nel caso preso in esame, è stata capace di trovare un punto di incontro tra le esigenze dei cittadini e le necessità dello Stato. E, infine, l’analisi della leva economica, in quanto la valutazione dei beni perduti e l’erogazione delle somme necessarie alla ripresa hanno favorito una sintonizzazione non solo rispetto alle politiche dell’abitare, ma anche rispetto alla percezione culturale del rischio”, aggiunge Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania.

“Dove ha tremato, tornerà a tremare”, affermava nel ‘700 il naturalista Leclerc de Buffon.

Gli autori dello studio sottolineano come la “delocalizzazione selettiva” rappresenti una strategia promettente per affrontare eventi calamitosi ricorrenti come terremoti, eruzioni vulcaniche, fenomeni bradisismici e alluvioni.

“Al di là degli aspetti economici, la priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree del mondo esposte a rischi naturali ricorrenti”, conclude Mario Mattia.

Il gruppo di ricerca, consapevole della necessità di coinvolgere attivamente le comunità locali, proseguirà gli studi per sviluppare modelli di delocalizzazione partecipata e resiliente.

Link allo studio

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) 

Università di Catania

Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE)

Con il titolo e nell’articolo: foto INGV-UNICT

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Etna: i parossismi della Voragine tra luglio e agosto 2024 raccontati dalla “Revue de L.A.V.E.” https://ilvulcanico.it/etna-i-parossismi-della-voragine-tra-luglio-e-agosto-2024-raccontati-dalla-revue-de-l-a-v-e/ Wed, 01 Jan 2025 06:41:34 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25269 di Santo Scalia L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) è un’associazione culturale a carattere scientifico, nata per permettere agli appassionati di vulcanologia di ritrovarsi e promuovere gli scambi scientifici nel campo delle scienze della Terra, contribuendo alla promozione della ricerca vulcanologica. Nel corso di quasi un quarto del secolo corrente, ho avuto il piacere e l’onore di […]

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di Santo Scalia

L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) è un’associazione culturale a carattere scientifico, nata per permettere agli appassionati di vulcanologia di ritrovarsi e promuovere gli scambi scientifici nel campo delle scienze della Terra, contribuendo alla promozione della ricerca vulcanologica.

Nel corso di quasi un quarto del secolo corrente, ho avuto il piacere e l’onore di aver pubblicato sulla Revue de L.A.V.E. otto articoli, sei dei quali scritti “a quattro mani” insieme allo stimato vulcanologo francese Jean-Claude Tanguy.

Nell’ultimo numero pubblicato dall’Associazione, il n° 216 del dicembre 2024, è presente un breve riepilogo degli eventi vulcanici avvenuti all’Etna nel volgere di due mesi (luglio e agosto dello stesso anno): in questo intervallo, infatti, il vulcano ha prodotto 6 eventi parossistici dal cratere denominato La Voragine, arrecando notevoli problemi alle popolazioni che vivono nei settori meridionale e orientale, causando di conseguenza importanti danni economici.

Il mese di settembre è stato invece caratterizzato da una moderata attività localizzata nel Cratere subterminale di Nord-Est, mentre un settimo evento parossistico è stato prodotto il 10 novembre, sempre dal cratere Voragine. Quest’ultimo però, a cause delle proibitive condizioni meteorologiche, è stato rilevato soltanto attraverso le misurazioni strumentali e non è stato osservato visivamente, eccezione fatta per una fortunata visione dagli oblò di un aereo in transito ad alta quota.

Nella fotogallery, accessibile tramite la splendida foto di apertura, si può consultare l’articolo in lingua francese recentemente pubblicato da L’Association Volcanologique Européenne.

Per comodità di lettura di seguito viene riportata una versione dell’articolo tradotto in lingua italiana:

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I parossismi della Voragine dellEtna tra luglio e agosto 2024

Santo Scalia & Jean-Claude Tanguy

Figura 1 – Colate e depositi conseguenti al parossismo del 23 luglio 2024 (fonte: INGV – Osservatorio Etneo)

“La Voragine” (in francese le gouffre) è il principale ed il più costante tra i crateri permanenti sulla sommità dell’Etna (figura 1). Così come i suoi vicini (il Cratere Nord-Est del 1911, la Bocca Nuova nata nel 1968 e ancora il Cratere di Sud-Est formatosi nel 1971), e al contrario degli innumerevoli coni che ritroviamo sui fianchi che hanno avuto un’esistenza temporanea, questi crateri sommitali sono sempre soggetti a risvegliarsi.

Ed è stato proprio il 3 aprile 2021 che la Voragine ha prodotto la sua ultima emissione di ceneri e, poi, non ha mostrato più alcun segno di attività. Ma, nella notte tra il 13 ed il 14 agosto 2024, è iniziata una debole attività di spattering che ha costruito un piccolo cono di scorie saldate, seguita poi dall’emissione di una colata lavica fuoriuscita da una fessura sul fianco sud-orientale del cono, colata che cominciò a riempire la vicina depressione della Bocca Nuova.

Nel pomeriggio del 4 luglio, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, emetteva un comunicato: «[…] l’attività stromboliana al cratere Voragine è evoluta a fontana di lava e produce una colonna che raggiunge l’altezza di circa 4500 m. slm e si propaga in direzione SE. E’ stata altresì segnalata la ricaduta di cenere su diversi abitati dell’area sudorientale etnea e fino a Catania».

Così come già tante volte in passato, di nuovo i paesi pedemontani del settore meridionale si risvegliano ricoperti da una nera coltre di materiale piroclastico (localmente denominato “rina”) che causa notevoli danni alla circolazione veicolare, alla navigazione aerea, alle colture ed alla respirazione (figura 2 e figura 3).

Figura 5 – L’alba del 7 luglio vista da Ragalna (Foto © Santo Scalia)

L’attività parossistica, iniziata alle 16:15 UTC del giorno 4, si esaurisce intorno alle 01:50 UTC del giorno 5, anche se una fase stromboliana prosegue fino alle prime luci dell’alba dello stesso giorno (figura 5)

Segue soltanto un breve riposo, durato appena un giorno, e l’attività esplosiva alla Voragine riprende nel pomeriggio del 6; dopo un altro giorno, ecco che all’incirca alle 22:00 UTC, l’Ingv di Catania registra un nuovo «graduale incremento dell’attività stromboliana a carico del cratere Voragine»; come era prevedibile, poche ore dopo, l’Istituto diffonde un nuovo comunicato che puntualizza che «[…] l’attività stromboliana al Cratere Voragine si è ulteriormente intensificata ed al momento è in atto una fontana di lava. Tale attività produce delle emissioni di cenere che, in accordo con il modello previsionale, si disperdono in direzione ESE».

Figura 4 – Tremore vulcanico registrato alla stazione ECPN (Etna Cratere del Piano) al primo parossismo (INGV-OE)

Questa volta sono le località del settore SE (Zafferana, Milo, ecc.) a trovarsi sotto la ricaduta delle piroclastiti. La colonna eruttiva, salita fino a 9 km, si esaurisce dopo circa 7 ore. Questi due forti parossismi hanno modificato profondamente la morfologia della zona sommitale. Le misurazioni effettuate con i droni hanno evidenziato un’altitudine massima di 3369 m s.l.m. per il bordo più alto della Voragine (invece di 3354 m sulla punta del Cratere SE, che precedentemente deteneva il record).

Un nuovo sussulto si registra nei giorni 10 e 11 luglio, quando un aumento del tremore vulcanico e dell’attività stromboliana fanno presagire un imminente terzo parossismo. L’attività però non raggiunge un’intensità tanto elevata da poterla annoverare tra i parossismi dell’anno. A complicare il già complesso quadro eruttivo, ecco che anche il Cratere di Nord-Est (nato nel 1911 e da tempo quiescente) dà segni di ripresa: a partire dai giorni intorno alla metà del mese, produce sporadiche esplosioni con emissione di cenere che si è disperde velocemente al di sopra dei crateri sommitali.

Figura 6 – Il terzo parossismo: immagine  dalla webcam termica da Bronte, versante ovest (INGV-OE): la macchia chiara, a destra, rivela la colata di lava

Ma non è ancora finita: nelle prime ore serali del 15 luglio aumentano tremore e attività stromboliana ancora una volta alla Voragine, e poco dopo sfociano in un’intensa attività parossistica (figura 6). E’ il terzo parossismo registrato nel giro di una decina di giorni. Una colata lavica si diparte dall’orlo occidentale dell’antico Cratere Centrale, interrompe la pista di quota 3000 e si arresta poco più a valle. I due crateri BN1 e BN2 (della Bocca Nuova) vengono ormai ricoperti dai prodotti fuoriusciti dalla Voragine. Ulteriori disagi si ripropongono nuovamente per i paesi del versante sud-orientale del vulcano, a causa della ricaduta di scorie e ceneri.

La colonna eruttiva raggiunge i 6000 m di altezza e l’attività parossistica, presto ritornata ad attività stromboliana, cessa nelle prime ore del 16 luglio.

Figura 7 – Registrazione del tremore vulcanico (stazione ECPN, INGV-OE) nel corso del mese di luglio 2024

Nel frattempo la sporadica emissione di volute di cenere continua dal Cratere di Nord-Est, mentre l’attività stromboliana dalla Voragine, ancora una volta, nella notte tra il 22 ed il 23 luglio, evolve in fontane di lava. Le esplosioni raggiungono un’altezza di varie centinaia di metri e una colonna eruttiva che si è attestata intorno agli 8 km s.l.m., disperdendosi inizialmente a ESE e ruotando dopo a SSE. E’ stata segnalata ricaduta di materiale fine in località Rifugio Sapienza, Piano Vetore, Contrada Milia, Nicolosi, Tremestieri Etneo e Catania. È il quarto parossismo consecutivo prodotto dal Cratere La Voragine in poco meno di un mese.

Il terzo picco (12 luglio) non raggiunge l’intensità di 100 mV e non viene annoverato tra i “parossismi”

Figura 8 – Mappa termica della zona sommitale dopo il 4 agosto 2024 (INGV-OE)

Nei giorni successivi, il nuovo cono prodotto dalla Voragine emette superbe volute di cenere nera e, malgrado l’impressione che il vulcano avesse ritrovato un certo equilibrio, nella prima mattina del 4 agosto, appena un mese dopo il primo parossismo, ricomincia la rapida crescita dell’attività, evolvendo in fontane di lava (5° parossismo). La colonna eruttiva si innalza nel cielo terso per 10 km di altezza e gli abitanti della zona orientale devono nuovamente subire danni a causa delle piroclastiti: nel paese di Zafferana Etnea, a 11 km dalla bocca eruttiva, i finestrini di diverse auto sono stati infranti dalla caduta di scorie di notevoli dimensioni! Alla sommità del vulcano, una colata lavica straripa verso NO e una colata reomorfica, costituita da brandelli di lava ancora caldi che si saldano tra loro fino a fluire, scorre tra il CNE e la Voragine (figura 8).

Trascorrono solo una decina di giorni, ed ecco che nuovamente, nel tardo pomeriggio del 14 agosto, il tracciato del tremore vulcanico si impenna in poche ore: s’intensifica l’attività stromboliana al cratere La Voragine, ed evolve rapidamente in fontana di lava (figura 9); poi, nel giro di circa cinque ore, dopo che nella fase più intensa la colonna eruttiva ha raggiunto un’altezza di circa 9.5 km s.l.m., tutto ritorna alla norma.

Figura 9 – le fontane e le colate di lava viste da Bronte nella notte tra il 14 ed il 15 agosto – Foto © Marisa Liotta.

Ancora una volta il versante meridionale, fino a Catania, viene ricoperto dai prodotti eruttati; ancora una volta l’aeroporto catanese diviene impraticabile, e nuovamente si assiste ad un trabocco lavico dall’orlo occidentale del cratere Bocca Nuova. Tutto “secondo copione”, si potrebbe dire, ed il sesto parossismo della serie viene archiviato.

I paesi pedemontani etnei, oltre ai disagi dovuti alle ricadute di scorie e di cenere, sono stati più volte messi in allarme da frequenti boati simili a quelli provocati da esplosioni: preoccupanti ma innocue manifestazioni acustiche (shockwawe), causate da violente decompressioni di grosse bolle di gas ad una velocità superiore a quella del suono. Un altro effetto di questi parossismi è stato l’aumento spettacolare dell’altezza dell’Etna con la rapida crescita del nuovo cono all’interno del cratere. Una recente rilevazione, effettuata tramite drone, ha dato il valore di 3403 m sul livello del mare (vedi Bollettino INGV del 15 settembre): un nuovo record a paragone dei 3357 metri del Cratere di Sud-est.

Un ringraziamento va a Boris Behncke e all’INGV-Osservatorio Etneo per la documentazione vulcanologica, a Giorgio Costa e a Marisa Liotta per le loro eccellenti foto.

APPENDICE

Scritti dell’Autore pubblicati dalla Revue de L’Association Volcanologique Européenne nel corso degli ultimi 25 anni:

Etna 1928: la destruction de Mascali – Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 77, febbraio  1999)

Images retrouvées du paroxysme de l’Etna le 4-5 juillet 1964 – Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 88, gennaio  2001)

La volcanologie sur l’Etna – Santo Scalia  (Revue de L.A.V.E. n° 191, settembre  2018) [vedi ilVulcanico del 7 ottobre 2018]

Etna: l’éruption de Noël 2018 – Boris Behncke, Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy  (Revue de L.A.V.E. n° 193, marzo  2019) [vedi ilVulcanico del 21 aprile 2019]

Il y a 350 ans: l’éruption de l’Etna en 1669  – Jean-Claude Tanguy et Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 194, giugno 2019) [vedi ilVulcanico del 12 luglio 2019]

L’Etna en mai et jullet 2019 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 195, settembre 2019)

Les paroxysmes de l’Etna en février-mars 2021 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 201, giugno 2021) [vedi IlVulcanico del 20 luglio 2021]

Les Champs Phlégréens – Jean-Claude Tanguy et Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 214, giugno 2024) [vedi ilVulcanico del 3 luglio 2024]

Les paroxysmes de « la Voragine » (Etna) en juillet – août 2024 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 216, dicembre 2024)

Con il titolo: la fontana di lava del 7 luglio dalla Voragine dell’Etna (foto © Giorgio Costa)

 

 

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Il Conclave dei peccatori https://ilvulcanico.it/il-conclave-dei-peccatori/ Tue, 31 Dec 2024 07:32:18 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25259 di Antonella De Francesco Se volete chiudere l’anno in bellezza andando al cinema vi consiglio il thriller Conclave del regista Edward Berger. Un film ben fatto, ben costruito, ben recitato che vede la presenza di ottimi attori tra i quali Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini. Il film tratta della designazione del […]

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di Antonella De Francesco
Se volete chiudere l’anno in bellezza andando al cinema vi consiglio il thriller Conclave del regista Edward Berger.
Un film ben fatto, ben costruito, ben recitato che vede la presenza di ottimi attori tra i quali Ralph Fiennes, Stanley Tucci, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini.
Il film tratta della designazione del successore al Papa defunto, in un contesto che da subito mette a confronto la maestosità e la preziosità dei luoghi con l’ambizione degli uomini, anche di quei pastori di anime dai quali ci aspetteremmo rigore, lealtà e soprattutto profonda religiosità. La fotografia, curata da Stefhanie Fontaine, è superba con le sue inquadrature geometriche e perfette, dove il rigore delle forme architettoniche (con ricostruzioni della Cappella Sistina e del Vaticano interamente eseguite a Cinecittà e della Regia di Caserta con il suo magnifico scalone) fanno da sfondo alla disposizione dei 118 Cardinali più potenti al mondo, rigida ed esemplare, mentre tra i colori la fanno da padrone il bianco del candore che abbiamo dimenticato e il rosso porpora cardinalizio.
La canonica, sempre in penombra, è più simile ad un bunker nel quale si sente la cupezza del segreto, del non detto, del nascondimento di sé, più che l’intimo raccoglimento in preghiera. Pressoché nessuno dei cardinali tratteggiati da Berger è scevro da passioni e ambizioni; nessuno è senza colpa e senza peccato.
In nessuno c’è perfezione interiore e il rigore morale sembra essere più di facciata che di sostanza. La forma e la ritualità sopravvivono nei luoghi antichi e maestosi mentre tra i capi della Chiesa si è persa la sostanza. La chiusura del conclave diventa simbolo della chiusura della Chiesa verso il resto del mondo e mentre si decide il successore del sommo pontefice, nelle piazze esplodono ordigni che sovvertono l’ordine precostituito.
Quello che accade fuori dal conclave non sembra turbare i cardinali in alcun modo e, anzi, si fa in modo che i più non ne vengano neanche informati. La chiesa ha un problema: negli anni ha perduto credibilità, fa fatica ad andare al passo con i tempi, alcuni ne vorrebbero il ritorno al passato più bigotto, più coercitivo, più conservatore come esprime magnificamente Sergio Castellitto nei panni del cardinale Goffredo Tedesco nella sua “arringa” in difesa d’una Chiesa che nega le altre religioni e si impegna in una nuova guerra santa contro gli infedeli. Ma c’è anche, per fortuna, chi, come il cardinale Lawrence (magistralmente interpretato da Ralph Fiennes) è più progressista e capisce che la salvezza e la rinascita della Chiesa possono essere trovate solamente nell’ unità, nel dialogo, nell’apertura al progresso , alle richieste mutate dei fedeli nel mondo che cambia. Tutti loro hanno per la gran parte ormai perduto la certezza della loro fede, nascondono segreti molto pesanti per paura di non poter essere eletti, anteponendo l’ambizione personale ai bisogni della collettività. Questa tensione pervade tutto il film dall’inizio alla fine mentre il plot piano piano si fa chiaro grazie all’ostinata ricerca della verità da parte del cardinale Lawrence che vorrebbe fosse eletto il più meritevole. Ma nel corso del film le previsioni sono sovvertite e perfino il ruolo delle suore (tra cui va annoverata l’ottima Isabella Rossellini nei panni di sorella Agnes) , al principio così marginale se paragonato a quello dei cardinali, a poco a poco viene rivalutato, messo in rilievo al punto da diventare fondamentale per l’esito della votazione e dell’ investitura finale .
Ma la vera perla del film è il finale di cui non vi parlerò. Lì troverete il colpo di genio del regista. La Chiesa, pur costretta al segreto, dovrà fare i conti con un epilogo al quale neanche noi eravamo preparati, dovrà piegarsi all’accettazione piena dell’individuo e delle sue qualità e capacità oltre i pregiudizi, oltre la morale comune e oltre le nostre divisioni legate a sterili e anacronistiche visioni del mondo. Da non perdere

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L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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Polifemo, millenario tra gli ulivi, con il suo olio della pace https://ilvulcanico.it/polifemo-millenario-tra-gli-ulivi-con-il-suo-olio-della-pace/ Sun, 17 Nov 2024 06:13:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25210 di Pippo Raiti  Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco […]

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di Pippo Raiti 
Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco distante dalla Cuba Bizantina e dal fiume Alcantara, “vive” proprio uno di quei grandi ulivi secolari, il cui nome è Polifemo (secondo una datazione presunta, sembra che la sua età si aggiri intorno ai 1200 anni). Nome mitologico dovuto all’imponenza del suo tronco, alle sue salde e pronunciate radici che lo legano indissolubilmente alla terra da cui trae il suo nutrimento. Le sue estese fronde, come braccia tese verso l’Etna, sembrano volerla ringraziare per il prezioso dono.
Per la sua veneranda età esso rappresenta esso rappresenta la memoria storia di vite di un tempo lontano e di un tempo più o meno recente: ogni suo nodo, ogni sua contorsione, rappresenta una voce narrante e i suoi racconti sono preziosi insegnamenti. Chissà quante genti hanno raccolto e goduto dei suoi frutti. Quante storie, quante leggende, quanti misteri sono racchiusi tra quei nodi, quante mani hanno raccolto le sue drupe e quanti canti di donne chine hanno hanno ascoltato le sue fronde.
Chissà quale soddisfazione sta provando quell’umile contadino che oltre mille anni fa mise a dimora un ramoscello di ulivo, chissà le storie che avrà sentito, le gioie, i lamenti di chi puntualmente ogni anno si apprestava alla raccolta delle sue drupe. Chissà quante lingue diverse, quanti popoli diversi si sono avvicendati e chissà quante leggende sono state narrate all’ombra delle sue fronde.
Sono tutti questi quesiti che, chissà fin da bambino, mi ponevo nella mente quando accompagnavo  mio padre in campagna e proprio lì, seduto all’ombra dell’ulivo fantasticavo di storie lontane. Man mano crescevo e, attraverso gli studi, quei chissà trovarono spiegazioni storiche e anche lo studio dei miti greci mi fecero scoprire della leggenda della nascita della pianta di ulivo e di come ad esso venne riconosciuto il simbolo di pace.
Ecco che, come spesso accade da adulto, si verifica un ritorno agli studi passati, dettato dal desiderio di voler rendere omaggio a quell’ulivo  che, come un anziano merita di essere raccontato, affinché divenga memoria di un tempo lontano e, attraverso la sua leggenda, divenga memoria contemporanea di un mondo sempre più in bilico tra guerra e pace.
Da qui nasce l’idea dell’olio della pace, prodotto esclusivamente dalla raccolta delle sue olive,  cosicché il perdurare di quest’ulivo secolare diventi metafora dei valori che devono insistere e resistere come le radici profonde di Polifemo.

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Partenope, che viene dal mare e prende a morsi la vita https://ilvulcanico.it/partenope-che-viene-dal-mare-e-prende-a-morsi-la-vita/ Tue, 29 Oct 2024 07:07:44 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25198 di Antonella De Francesco  L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Partenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, […]

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di Antonella De Francesco 
L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Partenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, insomma di vita vissuta.
L’ennesimo omaggio del regista alla sua splendida e detestabile Napoli che ci mostra attraverso gli occhi di Partenope. La storia prende vita dall’acqua perché è lì che nasce Partenope, viene dal mare come la figura mitologica protettrice di Napoli ed è il mare che fa da sfondo costante alla vicenda: che si tratti di amore, di rimpianti, di lutti o di semplici riflessioni, il mare condiziona la vita di chi ci abita e lo attrae con una forza e una prepotenza che dura per sempre.
Partenope, interpretata da Celeste Dalla Porta, è la storia di una donna bellissima e libera che non indietreggia mai davanti ad una nuova esperienza, ma piuttosto vi partecipa con grande curiosità. La sua straripante bellezza non condiziona il suo modo di essere, perché lei non è solo quello, lei è anche altro: è colta, legge, è riflessiva, studia per trovare risposte e quindi, al di là di quello che la sua beltà suscita negli altri, questa donna si salva, sopravvivendo al tempo che passa e al fisiologico sfiorire della sua divina beltà, a differenza delle altre figure femminili, l’attrice Greta Cool, interpretata da Luisa Ranieri e il suo agente Lidia Rocca, interpretata da Isabella Ferrari che dalla bellezza hanno tratto tutto per vivere e che inevitabilmente, allo sfiorire di questa, si ritrovano sconfitte perché intente a lottare unicamente nel vano tentativo di mantenerla ad ogni costo.
Su questo Sorrentino è fin troppo chiaro: la bellezza sfiorisce anche nelle persone più belle e perfette, la vita non fa sconti, alla giovinezza, che forse dura troppo poco, segue inesorabilmente l’età adulta. Ma la giovinezza, se pur fugace, resta per ciascuno di noi come in È stata la mano di Dio, il tempo delle illusioni, dei primi amori, anche di quelli mancati, dell’ingenuità, dei sogni, delle amicizie fraterne, delle domande, degli affetti familiari, delle esperienze e anche, ahi noi, della scoperta del dolore. Alla nostra giovinezza tutti facciamo ritorno di tanto in tanto per trovare conforto, ricordare un tempo diverso in cui niente ci mancava, in cui il tempo era disteso davanti a noi, in cui cercavamo le risposte. Ma come spesso si dice c’è una ricetta per non avere rimpianti o averne pochi: vivere con pienezza. Buttarsi nella vita, prenderla a morsi, sperimentare, lasciarsi andare, perdersi per poi ritrovarsi, per non doversi dire, un giorno, che è troppo tardi.
Nella vita dovremo scegliere e cercare di capire, sperimentare come Partenope, cambiare l’assetto se è necessario, senza smettere mai di cercare le risposte anche quando ci sembrerà di non avere più domande. Solo così, voltandoci indietro, sorrideremo alla vita passata e a noi stessi, come Partenope adulta (Stefania Sandrelli) e saremo indulgenti verso gli errori che inevitabilmente avremo commesso, continuando a sorprenderci della vita che ancora c’è da vivere.
Partenope è un film esagerato e al tempo stesso indimenticabile: dal ballo a tre sulle note di Riccardo Cocciante “era già tutto previsto” che ricorda i meravigliosi Jules e Jim di Francois Truffaut, allo stupore davanti alla creatura gigantesca di acqua e sale di Spielbergeriana memoria, figlio del professore (ottimoSilvio Orlando), alle scene barocche dal retrogusto felliniano di Partenope e Tesorone (il mefistotelico Beppe Lanzetta) .
Per questo va visto e per tanto altro, perché a ciascuno questo film riserva la sua intima visione.
Con il titolo e nell’articolo: Partenope, scene dal film

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Iddu, il super boss che fece la vita du surciu in mezzo a tanti ominicchi https://ilvulcanico.it/iddu-il-super-boss-che-fece-la-vita-du-surciu-in-mezzo-a-tanti-ominicchi/ Thu, 10 Oct 2024 18:46:54 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25189 di Antonella De Francesco Iddu racconta la storia della latitanza di Matteo Messina Denaro, magistralmente interpretato da un Elio Germano immenso, come ce la possiamo immaginare perché, per ammissione degli stessi registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la verità è solo il punto di partenza, non la destinazione. Non ci sarà alcuna fascinazione alla vista […]

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di Antonella De Francesco
Iddu racconta la storia della latitanza di Matteo Messina Denaro, magistralmente interpretato da un Elio Germano immenso, come ce la possiamo immaginare perché, per ammissione degli stessi registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, la verità è solo il punto di partenza, non la destinazione.
Non ci sarà alcuna fascinazione alla vista del boss più ricercato d’Italia, perché Iddu è rappresentato come un miserabile, iniziato in tenera età alla criminalità dal padre, da cui è ossessionato anche dopo la sua morte e per colpa del quale è costretto a nascondersi  facendo la vita du surciu. Il suo strapotere, esercitato per mezzo dei pizzini, ha dell’inverosimile, se non fosse che a tal riguardo i due registi non si sono inventati proprio nulla.
Non sta meglio dell’ultimo padrino la sorella, nel film Stefania, che vive anche lei isolata e infelice, vittima di una società patriarcale che le ha negato il primato e la reggenza, malgrado per crudeltà non sia seconda a nessuno. Poi c’è Catello, interpretato da Toni Servillo, che rappresenta il malavitoso di provincia, ex sindaco e padrino del boss, alla ricerca di favori in spregio alle regole e alla legalità. Infine, c’è lo stato, con i servizi segreti, condannato per la sua complicità che ha permesso la latitanza in Sicilia del boss per quasi trent’anni.
In definitiva tutti i personaggi vengono smitizzati, ridotti a figure quasi grottesche e rappresentati come ominicchi con vite per nulla invidiabili, prigionieri delle loro ossessioni e senza affetti. Iddu non riesce neanche a riconoscere il figlio come suo ma forse (voglio crederci) per non obbligarlo alla sua successione e lasciarlo ancora alla beata ingenuità di un bambino che accarezza un agnello, quell’agnello che invece il padre obbligò  lui stesso a sgozzare con ferocia.
Se si pensa che il film è stato girato prima della cattura di Matteo Messina Denaro, allora lo si può intendere come un’ipotesi brillante che con ironia sovverte i luoghi comuni e si sostituisce alla narrazione popolare che fa dei boss mafiosi e dei criminali in genere degli eroi. Da vedere
Con il titolo: Elio Germano nei panni del boss Matteo Messina Denaro. All’interno dell’articolo, una scena del film 

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Nei panni di Cianuzzu, il primo vero pentito di mafia. Also in English https://ilvulcanico.it/nei-panni-di-cianuzzu-il-primo-vero-pentito-di-mafia-also-in-english/ Wed, 25 Sep 2024 05:20:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25167 “Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo […]

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“Il giudice e il boss”: stasera a Palermo è in programma al cinema Rouge et Noir (ore 20,30) l’anteprima nazionale dell’atteso film di Pasquale Scimeca, girato in gran parte sulle Madonie. Il film racconta la lotta a Cosa Nostra del giudice Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979, quarantacinque anni fa. Per Marco Gambino, bravissimo attore palermitano trapiantato a Londra e mio caro cugino, un altro ruolo importante e di grande interesse: quello di Luciano Cianuzzu Raia, il primo vero pentito di mafia. Ecco, per i lettori del Vulcanico, la sua breve, ma intensa testimonianza (Gaetano Perricone)

di Marco Gambino

Nel 1969 si tenne a Bari il primo processo di mafia. Non sono in molti  a ricordarsi di quella che fu la tappa miliare dell’operato di un giudice indomito: Cesare Terranova. Alla sbarra erano presenti ben 64 imputati fra cui i temutissimi Luciano Leggio più noto come Liggio, Salvatore Riina, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano.

Quella volta la mafia vinse. I sanguinari furono assolti con una sentenza bomba che suscitò infinite polemiche. Ma Terranova non si arrese continuando la sua lotta alla mafia fino al fatidico 25 Settembre 1979, quarantacinque anni fa quando lui ed il suo fidato Lenin Mancuso vennero barbaramente trucidati a Palermo.

Pasquale Scimeca, nel suo film Il Giudice e il boss, ha scelto di raccontare la prima parte della vita di Terranova, quella meno conosciuta, illuminata dalla sua scelta coraggiosa di trasferirsi a Corleone. Lui voleva conoscere da vicino la mafia, in anni in cui se ne negava l’esistenza, voleva provare ad affrontarla vis a vis , in quello che fino ad allora era stato il suo incontrastato territorio.

Cianuzzu Raia é l’autista di Riina, Provenzano e Bagarella, testimone eccellente di vendette e omicidi. Cianuzzu un giorno, braccato dalla sua stessa vita, decide di confessare tutto al giudice Terranova e gli promette che al processo parlerà, dirà nomi e cognomi sfidando lo sguardo letale di Leggio che non lo mollerà un secondo. Cosi su di lui, primo pentito di mafia, si accendono i riflettori. Da uomo assoldato al potere mafioso, custode di nomi e trame inconfessabili, Raia diventa l’attesissima star del processo di Bari. Interpretare lo stato d’animo di un uomo tormentato, padre di famiglia, gregario di criminali, e pentito (forse) suo malgrado, è stato per me meraviglioso e complesso. Non capita spesso che un ruolo ti scuota fino alle midolla. Quando succede vuol dire che è tuo e che per quella volta sei un attore “insostituibile”.


BEING CIANUZZU RAIA, THE FIRST MAFIA REPENTANT  

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