Ambiente Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/ambiente/ Il Blog di Gaetano Perricone Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 Gino Menza, caduto sull’Etna un secolo fa https://ilvulcanico.it/gino-menza-caduto-sulletna-un-secolo-fa/ Sat, 18 Jan 2025 06:07:56 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25324 di Santo Scalia Gino Menza, chi si ricorda di lui? Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa. Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni […]

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di Santo Scalia

Gino Menza, chi si ricorda di lui?

Questo era il quesito che mi ponevo sette anni fa, in occasione del 93° anniversario della sua tragica scomparsa sull’Etna, e che mi ripongo oggi, nell’occorrenza del centesimo anno dalla sua scomparsa.

La Valle del Bove, nel corso delle prime fasi dell’eruzione 1991-93 (foto S. Scalia)

Per i più anziani il nome MENZA evoca indimenticabili, faticose ma bellissime escursioni nella Valle del Bove: infatti, a Gino Menza erano dedicati un rifugio (distrutto poi definitivamente, dopo anni di abbandono, nel corso dell’eruzione del 1991-93) e una Croce di ferro posta ai piedi del Monte Zoccolaro, scomparsa anch’essa nel corso della stessa eruzione.

Per i più giovani, invece, il nome di Menza probabilmente non dice nulla, essendo scomparso il suo ricordo anche dalle carte topografiche.  È quindi un nostro impegno quello di tramandare conoscenze e ricordi che altrimenti andrebbero perduti.

Gino Menza era un attivo socio della sezione catanese del Club Alpino Italiano, il C.A.I. Il 18 gennaio del 1925 mentre era impegnato in una attività alpinistica sulla parete del Monte Zoccolaro, nella bassa Valle del Bove, perse la vita cadendo insieme ad altri due suoi compagni, Umberto Sapienza e Filippo Perciabosco. Gino morì in seguito alla caduta, mentre i due suoi amici si salvarono.

“Sciagura di escursionisti sull’Etna”, così titolava il quotidiano La Stampa di Torino del 20 gennaio di quell’anno, riportando la tragica notizia: «I giovani Menza, Perciaboschi Flippo e Sapienza Umberto erano ieri mattina partiti in automobile per Zafferana, donde avrebbero dovuto iniziare l’ascensione del monte Pomiciara [sic!], posto sulle falde orientali dell’Etna. I giovani, dopo una faticosa ascensione, raggiunsero felicemente la vetta. Quindi si accingevano alla discesa lungo il primo canalone che conduce alla profonda valle del Bove. Il canalone era completamente ghiacciato. I tre giovani si tenevano accordati, ma uno di essi, il Sapienza, prima che gli altri fossero pronti, si lasciò andare per la pericolosa discesa, tirandosi dietro i compagni. I tre ruzzolarono per 300 metri precipitando fino al fondo del burrone. Il Perciaboschi riportò fortunatamente contusioni non molto gravi e, visti i compagni in grave stato, si diede a gridare chiamando aiuto. Un’altra comitiva di gitanti, che si trovava in fondo alla valle del Bove, e colla quale era il prof. Beccari, immediatamente accorso sul posto recando aiuto. Il Menza era moribondo, mentre il Sapienza era irriconoscibile per le numerose lesioni riportate al viso ed agli arti. Il Perciaboschi venne subito trasportato a dorso di mulo, mentre il Sapienza venne portato in barella. Sul posto si recarono le autorità per le necessarie constatazioni di legge e per disporre la rimozione del cadavere del povero Menza».

Altre fonti, però, precisano che i tre «[…] in cordata, arrampicano lungo un canalone ghiacciato della Serra del Salifizio all’interno della Valle [del Bove, n.d.A.]» (da una delle pagine web della sezione C.A.I. di Catania).

Un po’ di confusione rimane, in merito all’esatta dinamica dell’incidente: dallo stesso sito, in una pagina successiva, apprendiamo che «[…] Gino Menza, […] aveva perso la vita nel 1925 durante una discesa della parete della Serra del Salifizio, mentre si trovava in cordata con altri due escursionisti».

Allora, si trattava di un’arrampicata o di una discesa? Poco importa, rimane il tragico esito dell’escursione, col decesso del solo Menza e il ferimento degli altri due compagni di avventura.

Altre testimonianze verbali, da me raccolte nel tempo, confermerebbero la seconda tesi: sembra infatti che durante la discesa i tre fossero legati in cordata e che aprisse la discesa Umberto Sapienza, che scavava i gradini; seguiva Perciabosco e in ultimo, Gino Menza. Ma all’improvviso Sapienza iniziò a scivolare trascinando nella rovinosa caduta i compagni di cordata, e tutti e tre, dopo un salto spaventoso, andarono a sbattere contro un masso alla base del Trifoglietto. Vennero raccolti dai compagni di gita che avevano invece seguito un percorso più sicuro. Sapienza e Perciabosco erano feriti ma il giovane Menza era morto.

Accanto Alla Croce Menza, agosto 1981

Sul luogo dell’incidente, per iniziativa sella Sezione catanese del CAI, venne in seguito collocata una Croce metallica, che rimarrà nella valle fino al 1992: la più lunga eruzione del XX secolo, quella del 1991-93, la farà sparire per sempre.

La distruzione del Rifugio Menza, da un frame di un servizio televisivo della RAI (realizzato da Giovanni Tomarchio)

Al nome di Menza è legata anche la realizzazione, nei primi anni degli anni trenta del secolo scorso, di un rifugio a quota 1680, circa 300 m ad est del cosiddetto Castello del Trifoglietto. Anche il rifugio, comunque da tempo in stato di abbandono, è stato sepolto completamente dalle lave della stessa eruzione.

Quella del Rifugio Menza è però un’altra storia, che si può leggere nell’ottimo articolo di  Grazia Musumeci.

Con il titolo: particolare della Croce Menza in Valle del Bove, non più esistente (foto S. Scalia)

 

(Gaetano Perricone). Voglio aggiungerle due mie parole. Questo bellissimo, emozionante articolo è memoria collettiva di tutti i figli dell’Etna, nativi e acquisiti, che hanno imparato a considerare il Rifugio Menza una vera leggenda del nostro vulcano Patrimonio dell’umanità. E dunque facciomo ancora una volta i complimenti di vero cuore al grandissimo Santo Scalia, che rende viva e palpitante questa memoria con il suo straordinario archivio e la sua appassionata penna o tastiera come oggi si deve dire, ma siamo anche molto contenti di ospitare sul Vulcanico.it l’eccellente articolo sulla storia del Rifugio dell’amica Grazie Musumeci, anima etnea davvero speciale 

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Etna: abitare in zone sicure, la “delocalizzazione selettiva” https://ilvulcanico.it/etna-abitare-in-zone-sicure-la-delocalizzazione-selettiva/ Sun, 12 Jan 2025 07:23:19 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25308 FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata […]

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FONTE: https://www.ingv.it/stampa-e-urp/stampa/comunicati-stampa

Un innovativo studio multidisciplinare analizza la delicata situazione di coloro che abitano e lavorano in aree soggette a rischi naturali

Promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica dell’Etna e nelle sue immediate vicinanze, evitando la ricostruzione nelle aree già colpite. Questa la linea adottata dalla Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE). La decisione è motivata dalla ripetuta sismicità dell’area che rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili.

L’inedita strategia di “delocalizzazione selettiva” ha attirato l’attenzione di un gruppo di ricerca interdisciplinare dell’Università di Catania e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) che ha condotto lo studio Risk Faults – Relocation, Displacement, and Homemaking on the Slopes of Mount Etna”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Antropologia Pubblica’.

Mario Mattia

“Nella notte del 26 dicembre 2018, un terremoto di magnitudo 5.02 ha colpito il fianco orientale dell’Etna, con epicentro nei pressi dell’abitato di Fleri, nel comune di Zafferana Etnea (Catania). Nonostante la magnitudo moderata, la ridotta profondità del sisma ha provocato ingenti danni a case e attività produttive nella fascia orientale etnea”, spiega Mario Mattia, primo Tecnologo dell’Osservatorio Etneo INGV

L’evento ha riaperto il dibattito sulla ricostruzione: ricostruire “dov’era e com’era” o optare per soluzioni alternative?

“La ricerca, condotta attraverso metodi tipici degli studi antropologici, ovvero il dialogo, la raccolta di testimonianze orali e l’osservazione attenta delle emozioni, delle pratiche, dei gesti dei sopravvissuti, ha evidenziato che la scelta innovativa della SCRAE, indirizzata verso una strategia di prevenzione definita “delocalizzazione selettiva”, ha considerato aspetti fondamentali spesso trascurati nelle politiche di ricostruzione post-disastro. Il primo è l’adattamento socio-culturale delle famiglie colpite, che hanno progressivamente riorganizzato il proprio rapporto con il territorio, riconfigurando gli orizzonti di senso legati all’abitare in una zona a rischio sismico. Il secondo è l’importanza della mediazione istituzionale, una mediazione che, nel caso preso in esame, è stata capace di trovare un punto di incontro tra le esigenze dei cittadini e le necessità dello Stato. E, infine, l’analisi della leva economica, in quanto la valutazione dei beni perduti e l’erogazione delle somme necessarie alla ripresa hanno favorito una sintonizzazione non solo rispetto alle politiche dell’abitare, ma anche rispetto alla percezione culturale del rischio”, aggiunge Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania.

“Dove ha tremato, tornerà a tremare”, affermava nel ‘700 il naturalista Leclerc de Buffon.

Gli autori dello studio sottolineano come la “delocalizzazione selettiva” rappresenti una strategia promettente per affrontare eventi calamitosi ricorrenti come terremoti, eruzioni vulcaniche, fenomeni bradisismici e alluvioni.

“Al di là degli aspetti economici, la priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree del mondo esposte a rischi naturali ricorrenti”, conclude Mario Mattia.

Il gruppo di ricerca, consapevole della necessità di coinvolgere attivamente le comunità locali, proseguirà gli studi per sviluppare modelli di delocalizzazione partecipata e resiliente.

Link allo studio

Link utili:

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) 

Università di Catania

Struttura Commissariale Ricostruzione Area Etnea (SCRAE)

Con il titolo e nell’articolo: foto INGV-UNICT

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Etna: i parossismi della Voragine tra luglio e agosto 2024 raccontati dalla “Revue de L.A.V.E.” https://ilvulcanico.it/etna-i-parossismi-della-voragine-tra-luglio-e-agosto-2024-raccontati-dalla-revue-de-l-a-v-e/ Wed, 01 Jan 2025 06:41:34 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25269 di Santo Scalia L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) è un’associazione culturale a carattere scientifico, nata per permettere agli appassionati di vulcanologia di ritrovarsi e promuovere gli scambi scientifici nel campo delle scienze della Terra, contribuendo alla promozione della ricerca vulcanologica. Nel corso di quasi un quarto del secolo corrente, ho avuto il piacere e l’onore di […]

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di Santo Scalia

L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) è un’associazione culturale a carattere scientifico, nata per permettere agli appassionati di vulcanologia di ritrovarsi e promuovere gli scambi scientifici nel campo delle scienze della Terra, contribuendo alla promozione della ricerca vulcanologica.

Nel corso di quasi un quarto del secolo corrente, ho avuto il piacere e l’onore di aver pubblicato sulla Revue de L.A.V.E. otto articoli, sei dei quali scritti “a quattro mani” insieme allo stimato vulcanologo francese Jean-Claude Tanguy.

Nell’ultimo numero pubblicato dall’Associazione, il n° 216 del dicembre 2024, è presente un breve riepilogo degli eventi vulcanici avvenuti all’Etna nel volgere di due mesi (luglio e agosto dello stesso anno): in questo intervallo, infatti, il vulcano ha prodotto 6 eventi parossistici dal cratere denominato La Voragine, arrecando notevoli problemi alle popolazioni che vivono nei settori meridionale e orientale, causando di conseguenza importanti danni economici.

Il mese di settembre è stato invece caratterizzato da una moderata attività localizzata nel Cratere subterminale di Nord-Est, mentre un settimo evento parossistico è stato prodotto il 10 novembre, sempre dal cratere Voragine. Quest’ultimo però, a cause delle proibitive condizioni meteorologiche, è stato rilevato soltanto attraverso le misurazioni strumentali e non è stato osservato visivamente, eccezione fatta per una fortunata visione dagli oblò di un aereo in transito ad alta quota.

Nella fotogallery, accessibile tramite la splendida foto di apertura, si può consultare l’articolo in lingua francese recentemente pubblicato da L’Association Volcanologique Européenne.

Per comodità di lettura di seguito viene riportata una versione dell’articolo tradotto in lingua italiana:

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I parossismi della Voragine dellEtna tra luglio e agosto 2024

Santo Scalia & Jean-Claude Tanguy

Figura 1 – Colate e depositi conseguenti al parossismo del 23 luglio 2024 (fonte: INGV – Osservatorio Etneo)

“La Voragine” (in francese le gouffre) è il principale ed il più costante tra i crateri permanenti sulla sommità dell’Etna (figura 1). Così come i suoi vicini (il Cratere Nord-Est del 1911, la Bocca Nuova nata nel 1968 e ancora il Cratere di Sud-Est formatosi nel 1971), e al contrario degli innumerevoli coni che ritroviamo sui fianchi che hanno avuto un’esistenza temporanea, questi crateri sommitali sono sempre soggetti a risvegliarsi.

Ed è stato proprio il 3 aprile 2021 che la Voragine ha prodotto la sua ultima emissione di ceneri e, poi, non ha mostrato più alcun segno di attività. Ma, nella notte tra il 13 ed il 14 agosto 2024, è iniziata una debole attività di spattering che ha costruito un piccolo cono di scorie saldate, seguita poi dall’emissione di una colata lavica fuoriuscita da una fessura sul fianco sud-orientale del cono, colata che cominciò a riempire la vicina depressione della Bocca Nuova.

Nel pomeriggio del 4 luglio, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, emetteva un comunicato: «[…] l’attività stromboliana al cratere Voragine è evoluta a fontana di lava e produce una colonna che raggiunge l’altezza di circa 4500 m. slm e si propaga in direzione SE. E’ stata altresì segnalata la ricaduta di cenere su diversi abitati dell’area sudorientale etnea e fino a Catania».

Così come già tante volte in passato, di nuovo i paesi pedemontani del settore meridionale si risvegliano ricoperti da una nera coltre di materiale piroclastico (localmente denominato “rina”) che causa notevoli danni alla circolazione veicolare, alla navigazione aerea, alle colture ed alla respirazione (figura 2 e figura 3).

Figura 5 – L’alba del 7 luglio vista da Ragalna (Foto © Santo Scalia)

L’attività parossistica, iniziata alle 16:15 UTC del giorno 4, si esaurisce intorno alle 01:50 UTC del giorno 5, anche se una fase stromboliana prosegue fino alle prime luci dell’alba dello stesso giorno (figura 5)

Segue soltanto un breve riposo, durato appena un giorno, e l’attività esplosiva alla Voragine riprende nel pomeriggio del 6; dopo un altro giorno, ecco che all’incirca alle 22:00 UTC, l’Ingv di Catania registra un nuovo «graduale incremento dell’attività stromboliana a carico del cratere Voragine»; come era prevedibile, poche ore dopo, l’Istituto diffonde un nuovo comunicato che puntualizza che «[…] l’attività stromboliana al Cratere Voragine si è ulteriormente intensificata ed al momento è in atto una fontana di lava. Tale attività produce delle emissioni di cenere che, in accordo con il modello previsionale, si disperdono in direzione ESE».

Figura 4 – Tremore vulcanico registrato alla stazione ECPN (Etna Cratere del Piano) al primo parossismo (INGV-OE)

Questa volta sono le località del settore SE (Zafferana, Milo, ecc.) a trovarsi sotto la ricaduta delle piroclastiti. La colonna eruttiva, salita fino a 9 km, si esaurisce dopo circa 7 ore. Questi due forti parossismi hanno modificato profondamente la morfologia della zona sommitale. Le misurazioni effettuate con i droni hanno evidenziato un’altitudine massima di 3369 m s.l.m. per il bordo più alto della Voragine (invece di 3354 m sulla punta del Cratere SE, che precedentemente deteneva il record).

Un nuovo sussulto si registra nei giorni 10 e 11 luglio, quando un aumento del tremore vulcanico e dell’attività stromboliana fanno presagire un imminente terzo parossismo. L’attività però non raggiunge un’intensità tanto elevata da poterla annoverare tra i parossismi dell’anno. A complicare il già complesso quadro eruttivo, ecco che anche il Cratere di Nord-Est (nato nel 1911 e da tempo quiescente) dà segni di ripresa: a partire dai giorni intorno alla metà del mese, produce sporadiche esplosioni con emissione di cenere che si è disperde velocemente al di sopra dei crateri sommitali.

Figura 6 – Il terzo parossismo: immagine  dalla webcam termica da Bronte, versante ovest (INGV-OE): la macchia chiara, a destra, rivela la colata di lava

Ma non è ancora finita: nelle prime ore serali del 15 luglio aumentano tremore e attività stromboliana ancora una volta alla Voragine, e poco dopo sfociano in un’intensa attività parossistica (figura 6). E’ il terzo parossismo registrato nel giro di una decina di giorni. Una colata lavica si diparte dall’orlo occidentale dell’antico Cratere Centrale, interrompe la pista di quota 3000 e si arresta poco più a valle. I due crateri BN1 e BN2 (della Bocca Nuova) vengono ormai ricoperti dai prodotti fuoriusciti dalla Voragine. Ulteriori disagi si ripropongono nuovamente per i paesi del versante sud-orientale del vulcano, a causa della ricaduta di scorie e ceneri.

La colonna eruttiva raggiunge i 6000 m di altezza e l’attività parossistica, presto ritornata ad attività stromboliana, cessa nelle prime ore del 16 luglio.

Figura 7 – Registrazione del tremore vulcanico (stazione ECPN, INGV-OE) nel corso del mese di luglio 2024

Nel frattempo la sporadica emissione di volute di cenere continua dal Cratere di Nord-Est, mentre l’attività stromboliana dalla Voragine, ancora una volta, nella notte tra il 22 ed il 23 luglio, evolve in fontane di lava. Le esplosioni raggiungono un’altezza di varie centinaia di metri e una colonna eruttiva che si è attestata intorno agli 8 km s.l.m., disperdendosi inizialmente a ESE e ruotando dopo a SSE. E’ stata segnalata ricaduta di materiale fine in località Rifugio Sapienza, Piano Vetore, Contrada Milia, Nicolosi, Tremestieri Etneo e Catania. È il quarto parossismo consecutivo prodotto dal Cratere La Voragine in poco meno di un mese.

Il terzo picco (12 luglio) non raggiunge l’intensità di 100 mV e non viene annoverato tra i “parossismi”

Figura 8 – Mappa termica della zona sommitale dopo il 4 agosto 2024 (INGV-OE)

Nei giorni successivi, il nuovo cono prodotto dalla Voragine emette superbe volute di cenere nera e, malgrado l’impressione che il vulcano avesse ritrovato un certo equilibrio, nella prima mattina del 4 agosto, appena un mese dopo il primo parossismo, ricomincia la rapida crescita dell’attività, evolvendo in fontane di lava (5° parossismo). La colonna eruttiva si innalza nel cielo terso per 10 km di altezza e gli abitanti della zona orientale devono nuovamente subire danni a causa delle piroclastiti: nel paese di Zafferana Etnea, a 11 km dalla bocca eruttiva, i finestrini di diverse auto sono stati infranti dalla caduta di scorie di notevoli dimensioni! Alla sommità del vulcano, una colata lavica straripa verso NO e una colata reomorfica, costituita da brandelli di lava ancora caldi che si saldano tra loro fino a fluire, scorre tra il CNE e la Voragine (figura 8).

Trascorrono solo una decina di giorni, ed ecco che nuovamente, nel tardo pomeriggio del 14 agosto, il tracciato del tremore vulcanico si impenna in poche ore: s’intensifica l’attività stromboliana al cratere La Voragine, ed evolve rapidamente in fontana di lava (figura 9); poi, nel giro di circa cinque ore, dopo che nella fase più intensa la colonna eruttiva ha raggiunto un’altezza di circa 9.5 km s.l.m., tutto ritorna alla norma.

Figura 9 – le fontane e le colate di lava viste da Bronte nella notte tra il 14 ed il 15 agosto – Foto © Marisa Liotta.

Ancora una volta il versante meridionale, fino a Catania, viene ricoperto dai prodotti eruttati; ancora una volta l’aeroporto catanese diviene impraticabile, e nuovamente si assiste ad un trabocco lavico dall’orlo occidentale del cratere Bocca Nuova. Tutto “secondo copione”, si potrebbe dire, ed il sesto parossismo della serie viene archiviato.

I paesi pedemontani etnei, oltre ai disagi dovuti alle ricadute di scorie e di cenere, sono stati più volte messi in allarme da frequenti boati simili a quelli provocati da esplosioni: preoccupanti ma innocue manifestazioni acustiche (shockwawe), causate da violente decompressioni di grosse bolle di gas ad una velocità superiore a quella del suono. Un altro effetto di questi parossismi è stato l’aumento spettacolare dell’altezza dell’Etna con la rapida crescita del nuovo cono all’interno del cratere. Una recente rilevazione, effettuata tramite drone, ha dato il valore di 3403 m sul livello del mare (vedi Bollettino INGV del 15 settembre): un nuovo record a paragone dei 3357 metri del Cratere di Sud-est.

Un ringraziamento va a Boris Behncke e all’INGV-Osservatorio Etneo per la documentazione vulcanologica, a Giorgio Costa e a Marisa Liotta per le loro eccellenti foto.

APPENDICE

Scritti dell’Autore pubblicati dalla Revue de L’Association Volcanologique Européenne nel corso degli ultimi 25 anni:

Etna 1928: la destruction de Mascali – Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 77, febbraio  1999)

Images retrouvées du paroxysme de l’Etna le 4-5 juillet 1964 – Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 88, gennaio  2001)

La volcanologie sur l’Etna – Santo Scalia  (Revue de L.A.V.E. n° 191, settembre  2018) [vedi ilVulcanico del 7 ottobre 2018]

Etna: l’éruption de Noël 2018 – Boris Behncke, Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy  (Revue de L.A.V.E. n° 193, marzo  2019) [vedi ilVulcanico del 21 aprile 2019]

Il y a 350 ans: l’éruption de l’Etna en 1669  – Jean-Claude Tanguy et Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 194, giugno 2019) [vedi ilVulcanico del 12 luglio 2019]

L’Etna en mai et jullet 2019 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 195, settembre 2019)

Les paroxysmes de l’Etna en février-mars 2021 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 201, giugno 2021) [vedi IlVulcanico del 20 luglio 2021]

Les Champs Phlégréens – Jean-Claude Tanguy et Santo Scalia (Revue de L.A.V.E. n° 214, giugno 2024) [vedi ilVulcanico del 3 luglio 2024]

Les paroxysmes de « la Voragine » (Etna) en juillet – août 2024 – Santo Scalia et Jean-Claude Tanguy (Revue de L.A.V.E. n° 216, dicembre 2024)

Con il titolo: la fontana di lava del 7 luglio dalla Voragine dell’Etna (foto © Giorgio Costa)

 

 

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L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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Polifemo, millenario tra gli ulivi, con il suo olio della pace https://ilvulcanico.it/polifemo-millenario-tra-gli-ulivi-con-il-suo-olio-della-pace/ Sun, 17 Nov 2024 06:13:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25210 di Pippo Raiti  Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco […]

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di Pippo Raiti 
Gli ulivi grandi, quelli contorti e nodosi sopravvissuti alla storia, ci raccontano gli antichi popoli che con la loro cultura hanno reso la nostra isola uno splendido mosaico di civiltà: Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni. A Castiglione di Sicilia, in contrada Brahaseggi, all’interno di un fondo agricolo di proprietà privata, poco distante dalla Cuba Bizantina e dal fiume Alcantara, “vive” proprio uno di quei grandi ulivi secolari, il cui nome è Polifemo (secondo una datazione presunta, sembra che la sua età si aggiri intorno ai 1200 anni). Nome mitologico dovuto all’imponenza del suo tronco, alle sue salde e pronunciate radici che lo legano indissolubilmente alla terra da cui trae il suo nutrimento. Le sue estese fronde, come braccia tese verso l’Etna, sembrano volerla ringraziare per il prezioso dono.
Per la sua veneranda età esso rappresenta esso rappresenta la memoria storia di vite di un tempo lontano e di un tempo più o meno recente: ogni suo nodo, ogni sua contorsione, rappresenta una voce narrante e i suoi racconti sono preziosi insegnamenti. Chissà quante genti hanno raccolto e goduto dei suoi frutti. Quante storie, quante leggende, quanti misteri sono racchiusi tra quei nodi, quante mani hanno raccolto le sue drupe e quanti canti di donne chine hanno hanno ascoltato le sue fronde.
Chissà quale soddisfazione sta provando quell’umile contadino che oltre mille anni fa mise a dimora un ramoscello di ulivo, chissà le storie che avrà sentito, le gioie, i lamenti di chi puntualmente ogni anno si apprestava alla raccolta delle sue drupe. Chissà quante lingue diverse, quanti popoli diversi si sono avvicendati e chissà quante leggende sono state narrate all’ombra delle sue fronde.
Sono tutti questi quesiti che, chissà fin da bambino, mi ponevo nella mente quando accompagnavo  mio padre in campagna e proprio lì, seduto all’ombra dell’ulivo fantasticavo di storie lontane. Man mano crescevo e, attraverso gli studi, quei chissà trovarono spiegazioni storiche e anche lo studio dei miti greci mi fecero scoprire della leggenda della nascita della pianta di ulivo e di come ad esso venne riconosciuto il simbolo di pace.
Ecco che, come spesso accade da adulto, si verifica un ritorno agli studi passati, dettato dal desiderio di voler rendere omaggio a quell’ulivo  che, come un anziano merita di essere raccontato, affinché divenga memoria di un tempo lontano e, attraverso la sua leggenda, divenga memoria contemporanea di un mondo sempre più in bilico tra guerra e pace.
Da qui nasce l’idea dell’olio della pace, prodotto esclusivamente dalla raccolta delle sue olive,  cosicché il perdurare di quest’ulivo secolare diventi metafora dei valori che devono insistere e resistere come le radici profonde di Polifemo.

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Etna, la quinta parossistica emozione in un mese https://ilvulcanico.it/etna-la-quinta-parossistica-emozione-in-un-mese/ Tue, 06 Aug 2024 04:42:26 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25155 di Giovinsky Aetnensis Un’eruzione davvero intensa quella della notte del 4 agosto. Fino alle 3 del mattino mi trovavo al Rifugio Santa Barbara a riprendere le bellissime esplosioni stromboliane che si intensificavano dal Cratere Voragine dell’Etna. Decisi di tornare a casa ma alle 5 venni svegliata da un amico e in fretta e furia tornai […]

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di Giovinsky Aetnensis

Un’eruzione davvero intensa quella della notte del 4 agosto. Fino alle 3 del mattino mi trovavo al Rifugio Santa Barbara a riprendere le bellissime esplosioni stromboliane che si intensificavano dal Cratere Voragine dell’Etna. Decisi di tornare a casa ma alle 5 venni svegliata da un amico e in fretta e furia tornai lassù, dove mi trovavo qualche ora prima.

L’emozione fu stratosferica. Alte fontane di lava e la nube di cenere all’alba abbracciavano il cielo. Salii a Monte Nero degli Zappini per girare qualche clip video. Rimasi incantata a godermi lo spettacolo. Non ci si abitua mai a così tanta bellezza.

Fu la quinta emozione parossistica nel giro di un mese

 

 

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Le Guide dell’Etna rassicurano: nessuna problematica per le eruzioni, potete visitare il vulcano con noi, con tranquillità https://ilvulcanico.it/le-guide-delletna-rassicurano-nessuna-problematica-per-le-eruzioni-potete-visitare-il-vulcano-con-noi-con-tranquillita/ Tue, 16 Jul 2024 06:36:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25074 di Vincenzo Greco * Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun […]

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di Vincenzo Greco *
Alla luce delle recenti informazioni divulgate da numerose testate giornalistiche nazionali e internazionali, desideriamo fornire chiarimenti e rassicurazioni riguardo alla situazione del vulcano Etna, noto per essere uno dei vulcani più attivi al mondo. È importante sottolineare che non esistono problematiche rilevanti riguardanti l’Etna. Le recenti eruzioni non hanno provocato alcun disagio né alla popolazione locale né ai numerosi turisti, i quali vengono quotidianamente accompagnati lungo percorsi attentamente selezionati e situati a distanza di sicurezza dalle zone interessate dai fenomeni vulcanici.
L’attività del vulcano rientra nei normali cicli eruttivi caratteristici del vulcanismo etneo, e non presenta alcun aspetto eccezionale o anomalo. Questi cicli eruttivi, sebbene possano sembrare impressionanti, sono del tutto normali e gestiti con la massima attenzione e professionalità da parte delle autorità competenti.
Desideriamo rassicurare tutti i potenziali visitatori che le nostre escursioni sono pianificate con scrupolosa cura e in stretta collaborazione con esperti vulcanologi, garantendo così un’esperienza sicura e affascinante. Il fenomeno delle eruzioni, oltre a non rappresentare alcun pericolo imminente, offre uno spettacolo naturale di straordinaria bellezza, in grado di affascinare tutti coloro che decidono di affidarsi a noi per vivere questa avventura unica.
Pertanto, invitiamo chiunque sia interessato a visitare l’Etna a farlo con tranquillità, certi che la sicurezza e il benessere dei nostri ospiti sono la nostra priorità assoluta.
* Guida Vulcanologica Etna Nord 
L’ultimo comunicato dell’INGV O.E. dopo l’attività di stanotte, all’alba di oggi 16 luglio 2024
COMUNICATO DI ATTIVITA’ VULCANICA del 2024-07-16 04:16 (UTC) 06:16 ora locale
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo, comunica che dall’analisi delle telecamere di sorveglianza si è osservato che l’attività di fontana di lava del Cratere Voragine [che nella notte ha prodotto una colonna eruttiva alta circa 6000 m s.l.m. che si è propagata in direzione Est con segnalazione di ricaduta di cenere negli abitati di Viagrande e Acicastello] si è gradualmente esaurita per poi cessare intorno alle 00:10 UTC, mantenendo una modesta attività stromboliana sino alle 03:00 circa UTC. Per ciò che riguarda la colata lavica [attività cominciata stanotte e che è tracimata dall’orlo nord occidentale del cratere Bocca Nuova con il fronte a una quota di 3000 m slm circa.prodotta nel corso dell’evento di fontana] appare ancora debolmente alimentata. Dal punto di vista sismico, l’ampiezza media del tremore vulcanico, dopo aver raggiunto i valori massimi tra le 19:40 e le 23:00 UTC di ieri, ha quindi mostrato un trend in decremento ed alle 03:30 UTC circa ha raggiunto l’intervallo dei valori medi, ove tuttora permane. Le sorgenti del tremore sono confinate nell’area dei crateri sommitali ad una elevazione di circa 3000 m sopra il livello del mare. L’attività infrasonica è bassa, con eventi localizzati prevalentemente al cratere di sud-est. Per quanto riguarda le deformazioni del suolo, a partire dalle 00:00 UTC non si registrano variazioni significative.
Con il titolo e nella gallery: le meravigliose immagini di Vincenzo Greco dell’ultima attività dell’Etna

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Sua Altezza l’Etna! Storia delle vette regine del vulcano Patrimonio dell’umanità https://ilvulcanico.it/sua-altezza-letna-storia-delle-vette-regine-del-vulcano-patrimonio-dellumanita/ Thu, 11 Jul 2024 04:32:29 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25043 di Santo Scalia “Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record. Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di […]

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di Santo Scalia

Sua altezza l’Etna”: è solo un gioco di parole per dire che stiamo per parlare dell’altezza del nuovo cratere cresciuto sull’orlo orientale del cratere La Voragine del vulcano Etna, e che ha registrato un nuovo record.

Tutto è cominciato nelle prime ore del 14 giugno 2024. Dopo un silenzio di più di tre anni, infatti, all’interno del cratere denominato La Voragine è cominciata una moderata attività di spattering; un conetto di scorie ha iniziato a manifestare una allegra attività di lancio di scorie incandescenti che è andata intensificandosi nel corso delle successive settimane.

L’accumulo di scorie ha generato un piccolo cono piroclastico che ha raggiunto alcune decine di metri di altezza. L’attività eruttiva, che ha prodotto anche una colata di lava che si è riversata all’interno del vicino cratere Bocca Nuova, è cresciuta fino a raggiungere lo stato di parossismo, con altissime fontane di lava ed una colonna eruttiva di parecchi chilometri di altezza.

Grafico del tremore vulcanico registrato alla stazione Cratere del Piano (ECPN) dall’Ingv

Un nuovo episodio parossistico si è manifestato la mattina del 7 luglio: a riattivarsi è stato lo stesso cratere all’interno della Voragine. Al termine dell’attività, i depositi piroclastici aggiuntisi a quelli del parossismo precedente, hanno fatto sì che il nuovo valore dell’altezza del vulcano abbia raggiunto i 3.369 metri s.l.m. (3). Va detto però che tale valore è stato ottenuto «secondo i rilievi effettuati da drone […]. Le classiche tecniche topografiche, in particolare quelle più accurate, non sono utilizzabili in ambienti pericolosi come l’area craterica sommitale etnea di questi giorni, dovendo ridurre al minimo il tempo di permanenza in alta quota del personale. I droni riescono a superare queste difficoltà, poiché possono essere pilotati da zone relativamente sicure e permettono il rilievo di aree anche molto ampie».

Il Cratere di Sud-Est (a sinistra) ed il Cratere di Nord-Est (a destra). La seconda e la terza cima sull’Etna (Foto S. Scalia)

In precedenza il punto più alto dell’intero vulcano era rappresentato dal Cratere di Sud-Est (o SEC), il più giovane dei crateri terminali etnei: nato nel 1971 come uno sprofondamento, si è clonato creando un nuovo cono parallelo (per anni denominato Nuovo Cratere di Sud-Est o NSEC), ha generato parecchie nuove bocche (quella orientale e quella detta della Sella), e si è ricompattato in un unico cono ed è cresciuto fino a raggiungere l’altezza di 3.357 metri. Ha impiegato quasi di mezzo secolo, ma è stato il più alto di tutti per quasi tre anni.

Ancor prima, il Nord-Est, (nato il 27 maggio 1911) – di 60 anni più anziano del Sud-Est (nato il 18 maggio 1971) – ha detenuto il record di altezza a partire dal 1978, con i 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate dallo stesso cratere tra il 1977 ed il 1978.

Ma andiamo un po’ indietro nel tempo: per i greci l’Etna era tanto alto da raggiungere il cielo, anzi, era una “colonna del cielo” (cfr. Pindaro, Ode Pitica Ia, 518 – 438 a.C).

Nel 1558 il monaco domenicano Tommaso Fazello, nella sua opera De rebus siculis decades duæ scriveva: «Celsior est cæteris, qui sunt in Siciliæ, montibus. […] Est enim altitudinis p.m. supra 30 […]», la cui traduzione rileviamo dall’edizione palermitana del 1830: «Egli è più alto di tutti gli altri monti che sono in Sicilia. […] È d’altezza più di trenta miglia […]», valore confermato anche da Don Pietro Carrera nel suo Il Mongibello descritto in libri tre del 1636.

«Ascensum triginta circiter millia passuum ad plus habet» è la stima secondo Filoteo degli Omodei nell’Ætnæ topographia, incendiorumque Ætnæorum historia del 1591. Qualche secolo dopo, nel 1793, l’abate Francesco Ferrara, nell’opera Storia generale dell’Etna ci informa del valore dell’altezza del monte, pari a «[…] circa 1610 tese sulla superficie del mare vicino».

Una misura più “scientifica” l’abbiamo nel 1815 dal canonico Giuseppe Recupero che dedica un paragrafo alla «Altezza assoluta di Mongibello determinata col Quadrante geometrico»: «secondo la nostra canna d’architettura due mila duecento ottantacinque canne e sei palmi, che ridotte in tese parigine vengono a fare due mila trecento venti sei  tese, e quattro piedi» (vedi Storia naturale e generale dell’Etna, cap. IV).

Carta volcanologica e topografica dell’Etna di Émile Chaix – 1892 (dalla BNF)

Nel 1892 il geografo Émile Chaix (1856 – 1924) realizzò una Carta volcanologica e topografica dell’Etna nella quale il punto più alto dell’Etna viene posto al Gran Cratere (allora ce n’era solo uno!) ad una altezza di 3313 metri, valore riportato uguale l’anno dopo nella carta di Wagner & Debes.

Carta IGM in scala 1:50.000 (1895)

Nel 1895 l’Istituto Geografico Militare italiano – IGM – nella carta in scala 1:50.000 indica un valore di 40 metri inferiore, pari a 3273 metri.

Il valore rimane praticamente invariato nella carta del 1919 edita dal Touring Club Italiano (3274 metri) mentre scende a 3263 nella carta IGM in scala 1:25000 del 1932.

il Cratere di Nord-Est, il punto più alto dell’Etna dal 1978 al 2021 (foto S. Scalia)

Il 1964 è un anno di grande fermento per la sommità dell’Etna: nel corso degli episodi eruttivi di aprile e luglio si genera un nuovo cratere, il cosiddetto Cratere del ’64, che diviene il nuovo punto di massima altezza con 3323 metri. Tale misura verrà indicata  invariata nelle carte topografiche dell’ IGM 1:25.000 del 1969 e 1:50.000 (a colori) del 1983, oltre che nella carta del Touring Club Italiano del 1984. Queste ultime due non avevano ancora recepito il nuovo valore raggiunto dal Cratere di Nord-Est, che già, a partire dal 1978, era divenuto il punto più alto dell’Etna, con i suoi 3350 metri raggiunti in seguito alla serie di 18 attività parossistiche consecutive manifestate tra il 1977 ed il 1978.

Successivamente, in seguito a vari crolli avvenuti lungo gli orli del cratere di Nord-Est, il valore dell’altezza era man mano divenuto inferiore, fino a raggiungere i 3326 nel 2018 e infine 3320 metri nel 2019.

Riferimenti:

  • Etna: il ritorno in scena della Voragine (A.I.V. 2 luglio 2024)
  • Quando La Voragine fa sul serio: gli episodi parossistici del 4-5 e 7 luglio 2024 (A.I.V. 8 luglio)
  • La Voragine fa la voce grossa … e diventa la nuova vetta dell’Etna! (INGV vulcani 10 luglio 2024)

Con il titolo: la nuova cima dell’Etna: 3.369 metri (attenzione: la prospettiva inganna…)

 

 

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I Campi Flegrei sulla rivista dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) https://ilvulcanico.it/i-campi-flegrei-sulla-rivista-dellassociazione-vulcanologica-europea-l-a-v-e/ Wed, 03 Jul 2024 06:03:07 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24998 di Santo Scalia I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia. L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed […]

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di Santo Scalia

I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia.

L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed espone le caratteristiche storiche e vulcanologiche della conosciutissima area campana.

Il titolo a pag. 14 della Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 del luglio 2024)

La conoscenza e la competenza del Prof. Tanguy (ricercatore di vulcanologia presso l’Université Paris VI e l’Istituto di Fisica del Globo di Parigi) hanno arricchito di contenuti la traccia da me proposta e che espongo nelle righe seguenti.

*  *  *

Ad ovest della città di Napoli, nel golfo di Pozzuoli, si trova una vasta area denominata Campi Flegrei. L’attributo flegrei (ϕλεγραῖος, “ardente”) fu utilizzato già dai primi coloni greci, a causa delle particolari manifestazioni naturali che ivi accadevano.

Nei Campi Flegrei gli antichi greci ravvisarono le tracce tangibili della sconfitta subita dai Giganti, che dopo aver tentato di scalare l’Olimpo – nella mitologica Gigantomachia –furono ivi precipitati dal vittorioso Zeus.

Il geografo greco Strabone di Amasea (vissuto all’incirca tra il 63 a.C. ed il 23 a.C.), nel capitolo IX del libro V della sua opera Geografia, descrivendo la regione campana infatti così scriveva: «[…] i Romani vi collocarono una colonia, e cambiarono il suo nome in Puteoli, a causa  dei pozzi che sono abbondanti nelle vicinanze, o secondo altri, per la puzza che mandano le acque in tutto l’area che si estende fino a Baja ed al territorio di Cuma, pieno di solfo, di fuoco e di acque calde. E alcuni tengono che per questo motivo il territorio di Cuma sia stato detto Flegreo; e che questi fuochi e queste acque calde abbiano dato luogo a ciò che si racconta dei Giganti colpiti dal fulmine e atterrati in quella regione» (traduzione dell’A. da Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 – BNF).

E poco dopo Strabone aggiunge: «Appena sopra la città si eleva un altopiano conosciuto col nome di  Forum Vulcani e circondato su tutti i lati da colline vulcaniche, da cui escono densi vapori estremamente fetidi attraverso numerose bocche: inoltre tutta la superficie di questo altopiano è ricoperta di zolfo in polvere, apparentemente sublimato dall’azione di questi fuochi sotterranei» (1).

La vasta area denominata Campi Flegrei, una “caldera con vulcani monogenici”, «[…] non è un vulcano con un cratere centrale, ma un insieme di numerosi coni, distribuiti all’interno e sui bordi di un’area quasi circolare, ampia circa 12×15 km» (3). Dal punto di vista della tettonica la sua origine deriverebbe dall’interazione tra l’apertura del Mar Tirreno e la microplacca Adriatica (4).

All’interno della caldera si trovano località molto conosciute, come Agnano, il Lago d’Averno, il cratere degli Astroni, la famosissima Solfatara, il Monte Nuovo ed altre ancora. E, sempre all’interno della caldera, si trovano anche diverse migliaia di abitanti!

Tra 40.000 e 36.000 anni fa (mille più, mille meno!), quando fortunatamente l’area non era così densamente popolata come lo è adesso, ma era presumibilmente abitata da pochissimi esemplari di Homo Sapiens, nell’area flegrea avvenne la più catastrofica eruzione mai avvenuta nel bacino del Mediterraneo, almeno nel corso dell’ultimo milione di anni (5). Probabilmente in seguito all’arrivo di nuovo magma nella riserva sotterranea, una repentina espulsione di materiale concomitante al collasso della sommità di uno stratovulcano causò delle enormi esplosioni che produssero ceneri e pomici che dilagarono in numerosi flussi piroclastici.

E’ questa l’attività che generò la cosiddetta Ignimbrite Campana, detta anche Tufo Grigio Campano, un deposito che mostra uno spessore variabile tra i 20 ed i 30 metri, su una superficie di oltre 7.000 km2; tale deposito oggi si ritrova in tutta la piana campana, fino all’Appennino, e financo a Salerno oltre la penisola Sorrentina! Attività così violente come quella appena descritta, per fortuna, non si sono più manifestate in tempi storici.

A quell’epoca non si era ancora formato il Monte Vesuvio; tralasciando le successive attività quali quelle avvenute a Vivara e Fiumicello nell’area dell’isola di Procida, un’altra attività importante si è avuta tra 15.000 e 12.000 anni fa: certamente non paragonabile a quella dell’Ignimbrite Campana, questa, detta del Tufo Giallo Napoletano, interessò comunque tutta l’area dei Campi Flegrei e, più ad est, del Golfo di Napoli, avendo sparso una ventina di km3 di magma su un’area di oltre 350 km2.

In tempi successivi, fino a circa 1.500 anni fa, un gran numero di coni vulcanici sono sorti all’interno della caldera dei Campi Flegrei: Pisani, Montagna Spaccata, Gauro, Miseno, Nisida; alcuni di questi sono stati in parte già smantellati dall’azione delle onde marine; successivamente apparvero altri centri eruttivi, Agnano, Monte Spina, Solfatara, Astroni, Averno ed altri ancora.

In tempi storici, l’area flegrea divenne sede di numerosi miti. Virgilio, ad esempio, pose l’accesso agli inferi proprio presso il Lago d’Averno: il nome del lago, infatti, sta a significare “senza uccelli”, in quanto quelli che inavvertitamente si trovavano a volarvi sopra cadevano morti, a causa dei vapori mefitici che si sprigionavano dalla sua superficie.

L’ultima eruzione: 1538

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: già da una trentina d’anni un notevole innalzamento della costa in prossimità di Pozzuoli segnava uno dei fenomeni precursori di una possibile attività eruttiva. Negli ultimi due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era anche intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi (6), le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua, che caddero anche a Napoli.

Monte Nuovo ed il Lago d’Averno oggi (Foto Jean-Claude Tanguy)

La gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri.

Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio. Infine, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate (3).

La Solfatara

La Solfatara di Pozzuoli è probabilmente il più conosciuto dei vulcani dei Campi Flegrei. Vicinissimo a luoghi storici quali le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma, l’ Anfiteatro Flavio e il Tempio di Serapide, presenta fenomeni che denotano immediatamente la sua natura vulcanica, quali le fumarole, le mofete ed i vulcanetti di fango ribollente.

Immagine aerea della Solfatara (Foto Jean-Claude Tanguy)

Il luogo rappresentò una visita obbligatoria per i viaggiatori del “Grand Tour, ed in seguito fu un’ambientazione unica e fantastica per scene di tanti film. Purtroppo è stata anche sede di una terribile tragedia, in seguito alla quale fu determinata la sua chiusura al pubblico: il 12 settembre del 2017, un bambino di 11 anni, sfuggito al controllo dei genitori, è caduto in una voragine nei pressi della cosiddetta fungaia; nel tentativo di salvarlo, a causa delle esalazioni, anche padre e madre sono morti per asfissia.

Di recente sono stati eseguiti dei lavori per rendere sicura la visita della Solfatara, in vista di una sua restituzione alla fruizione del pubblico. Purtroppo il perdurate del trend crescente del bradisismo, e la notevole sismicità nell’area flegrea, ne hanno, per adesso, sconsigliato la riapertura.

Il bradisismo

L’area flegrea incentrata attorno alla città di Pozzuoli è, storicamente, interessata da notevoli fenomeni bradisismici, movimenti lenti di deformazione del suolo, strettamente correlati con la presenza di magma sotto la caldera e con i suoi spostamenti.

Nel periodo che va dal 1982 al 1984 una crisi bradisismica, caratterizzata anche da un’intensa sismicità, apportò gravi danni ad alcuni edifici di Pozzuoli. Precedentemente, tra il 1970 ed il 1972, l’area flegrea (in particolare l’area di Pozzuoli) è stata interessata da crisi bradisismiche che causarono un sollevamento totale di circa 3.5 metri, al quale seguì l’abbandono dell’area del Rione Terra.

La situazione oggi

Variazioni di quota (in cm.) della stazione RITE (Pozzuoli – Rione Terra) dal 2000 al maggio 2024 (7)

Dopo le crisi degli anni ’70 e ’80 si è avuto un periodo di generale subsidenza che, a partire dal 2005, ha presentato un’inversione del fenomeno, determinando un costante sollevamento del suolo, tutt’ora in atto.

Come mostra chiaramente il grafico pubblicato dalla Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano (nel Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024), nel periodo temporale che va dal 2005 al 2024, si registra un costante innalzamento che sfiora i 130 cm. alla stazione del Rione Terra di Pozzuoli.

Attualmente, come indicato nella pagina web dell’Osservatorio Vesuviano, il livello di allerta è “giallo” (https://www.ov.ingv.it/index.php/flegrei-stato-attuale ).

Recentemente il ministro per la Protezione civile italiana, Nello Musumeci, ha affermato: «L’attività vulcanica connessa al bradisismo appare in costante evoluzione. Non si esclude che, se dovesse perdurare tale situazione, si possa passare al livello di allerta arancione».

Bisognerà essere pronti a reagire velocemente nel caso in cui i parametri, costantemente monitorati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dovessero presentare significative variazioni, tali da lasciar presumere che la probabilità di una prossima attività eruttiva possa notevolmente aumentare.

Nel caso di una attività eruttiva nell’area, tutto dipenderà non soltanto dal momento in cui accadrà, ma dalla sua tipologia, dallo sviluppo dell’eruzione, dalla sua intensità ma soprattutto dal luogo in cui si aprirà un eventuale nuovo cratere.

Bibliografia (citata nel testo)

  • Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 (BNF)
  • Cosmographie Universelle d’André Thevet, Vol. 1, 1575 (BNF)
  • Vulcani d’Italia, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 2007
  • Dictionnaire des Volcans, J.C. Tanguy e D. Decobecq, Gisserot 2009
  • Volcanoes of Europe, D. Jerram, A. Scarth e J.C. Tanguy, Dunedin 2017
  • Dell’incendio di Pozzuolo nel MDXXXVIII, Delli Falconi Marco Antonio, Napoli 1538
  • Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024 – A cura della Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano

Letture consigliate:

  • I Campi Flegrei, G. De Lorenzo, 1909
  • La solfatara di Pozzuoli – vulcano, M. Sirpettino, Franco di Mauro 1990
  • Campi Flegrei, Campania Felix, il Golfo di Napoli tra storia ed eruzioni, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, Campania Felix, Guida alle escursioni dei vulcani napoletani, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, A Restless Caldera in a Densely Populated Area, AA.VV. 2022
  • Campi Flegrei – storie di uomini e vulcani, L. Giacomelli e R. Scandone, 2023

Con il titolo: Napoli e la caldera dei Campi Flegrei (Wikimedia Commons, pubblico dominio)

 

 

 

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Schizzi dalla Voragine etnea https://ilvulcanico.it/schizzi-dalla-voragine-etnea/ Thu, 20 Jun 2024 05:41:36 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24988 di Giovinsky Aetnensis Dal 14 giugno 2024 é in corso un’attività eruttiva intracraterica di spattering(schizzi) al cratere sommitale Voragine dell’Etna, dal 16 giugno il piccolo conetto di scorie interno al cratere che si era formato si é smantellato e le esplosioni sono aumentate d’intensità. Ecco un piccolo video che documenta quest’attività (Gaetano Perricone). Grato come […]

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di Giovinsky Aetnensis

Dal 14 giugno 2024 é in corso un’attività eruttiva intracraterica di spattering(schizzi) al cratere sommitale Voragine dell’Etna, dal 16 giugno il piccolo conetto di scorie interno al cratere che si era formato si é smantellato e le esplosioni sono aumentate d’intensità. Ecco un piccolo video che documenta quest’attività

(Gaetano Perricone). Grato come sempre alla nostra carissima, bravissima e appassionatissima Giovinsky per questo suo video piccolo, ma estremamente significativo e per il valore vivo e concreto della documentazione offerta ai lettori del Vulcanico. Più valore ancora ha in questo momento per me: visto da lontano, dal mio forzato osservatorio milanese, lo spettacolo del nostro vulcano Patrimonio dell’Umanità è molto più emozionante 

 

 

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