Personaggi Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/personaggi/ Il Blog di Gaetano Perricone Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 L’Etna nel ‘700: il canonico puntese Giuseppe Recupero https://ilvulcanico.it/letna-nel-700-il-canonico-puntese-giuseppe-recupero/ Mon, 02 Dec 2024 06:33:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25233 di Rosario Catania Introduzione Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia […]

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di Rosario Catania

Introduzione

Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi  miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.

Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero

Joseph canonicus Recupero. Letterato e naturalista, nato a San Giovanni La Punta, il 19 aprile 1720, ivi morto il 4 agosto 1778 (Fonte wiki).

Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.

Il lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese. In questa incisione, allegata alla Storia naturale e generale dell’Etna di Recupero, viene raffigurato il percorso delle acque.

E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).

Fondata da Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Fu un luogo di incontro tra letterati, storici, filosofi, naturalisti, fisici e medici. L’Accademia era dotata di un museo-laboratorio, suddiviso in naturalia e artificialia era dotato di strumenti di ricerca all’avanguardia per i tempi, e di una tipografia, che stampava i lavori degli accademici. A lungo fu segretario dell’Accademia Giuseppe Recupero, canonico e geologo, che si dedicò allo studio della vulcanologia ed in particolare allo studio dei fenomeni naturali derivati dall’attività dell’Etna. L’Accademia cessò di esistere nel 1790 (Fonte Accademie siciliane: un confronto col Settecento)

L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).

Storia naturale e generale de’Etna, tomo primo e tomo secondo, opera postuma, pubblicata da Agatino Recupero, nel 1815.

Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.

Particolare della veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è stata rappresentata anche la città di Adernò dal lato sud-occidentale. Il Recupero scrisse: “Territorio di Adernò. (…). Poco prima d’arrivare al ponte di carcaci si stringe molto il letto del fiume, e si chiama il passo del pecorajo, perchè dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna, e si profonda in maniera, che non si vedono le sue acque, nè si ode il loro romoreggiore, come se quivi il fiume si nascondesse, (…) .

San Giovanni La Punta città natale del Recupero

San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.

Carta oryctographica di Mongibello realizzata dal Recupero. Si trova sulla BNF Gallica (biblioteca nazionale di Francia). La prima dettagliata topografia del territorio etneo si deve a Giuseppe Recupero che, alla fine del Settecento, realizza una carta topografica completa di scala grafica presenza di toponimi e indicazione dell’orografia, con piccoli tratti sistemati a spina di pesce ai lati della dorsale montuosa. Con la Carta Topografica dell’Etna Recupero passa da una rappresentazione “pittorica” (generalmente una veduta prospettica) alla rappresentazione in pianta e in scala. Rimangono però ancora alcune difficoltà che saranno superate dalla carta topografica e geologica dello scienziato Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), realizzata grazie all’aiuto di validi collaboratori, durante quasi 10 anni di lavoro in Sicilia (fonte Unescoparcoetna).

Altri riconoscimenti

Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.

Busto del canonico Giuseppe Recupero in Piazza Raddusa a San Giovanni La Punta e dentro il giardino Bellini di Catania. Il Giardino Bellini (o Villa Bellini) è uno dei due giardini più antichi e uno dei quattro parchi principali di Catania. Localmente è spesso indicato semplicemente come ‘a Villa (Foto a sinistra di Rosario Catania, a destra di Santo Scalia).

Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo

Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte

 

 

Bibliografia

Giuseppe Recupero – adranoantologia

Etna: le grandi eruzioni

Giuseppe Recupero – Wikipedia

Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books

Facebook Storia del Regno di Sicilia 

Archivi della Scienza

Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books

Accademia degli Etnei – Google Search

RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani

Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico

Carta oryctographica di Mongibello per la sua storia naturalo scritta / da Giuseppe Recupero,… | Gallica

ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1

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Evoluzione geologica del Monte Etna

Oronimi Etnei – Il nome dei crateri dell’Etna 

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E Sir Anthony Hopkins mi sorrise: “Il tuo costume è molto più bello del mio”. Also in english https://ilvulcanico.it/e-sir-anthony-hopkins-mi-sorrise-il-tuo-costume-e-molto-piu-bello-del-mio/ Sun, 21 Jul 2024 04:54:25 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=25099 di Marco Gambino Primo giorno di riprese sul set di “Those about to die” in cui interpreto il Senatore Supulcius. Oggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  “ The remains of the day” o più  recentemente , il padre straziante di “The father” . Lui, […]

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di Marco Gambino

Primo giorno di riprese sul set di Those about to die” in cui interpreto il Senatore SupulciusOggi si gira con Sir Anthony Hopkins. Il mito assoluto. Lui, il terribile Hannibal ma anche l’impeccabile devoto  maggiordomo di  The remains of the dayo più  recentemente , il padre straziante di The father” . Lui, l’attore straordinario che spaventa e commuove intere generazioni.

Ma com’e’ ? Tu lo hai mai incontrato? chiedo a Rupert Penry-Jones che nella serie interpreta il console Marsus.

“E’ un uomo eccezionale ancor prima ancora di essere la star che è, vedrai”-

Rupert, come si evince dal nome, è super inglese e proviene da tre generazioni di attori. I suoi genitori hanno calcato il palcoscenico per anni insieme ad Hopkins  e sua madre dice che è un uomo umilissimo e generoso.

Giriamo allo Studio 5 di Cinecittà, quello immenso di Fellini. Una scena in cui noi, i patrizi, siamo schierati davanti alla portantina dove Sir Anthony, nei panni dell’imperatore Vespasiano, salirà dopo un lungo monologo. Lo aspettiamo in silenzio. Quando arriva c’è un brivido generale. Eccolo il mito in carne ed ossa, il suo inconfondibile sorriso con gli occhi. Azzurrissimi. Ha 86 anni ma ha la  vivacità di un ragazzo tutta concentrata in quello sguardo magnetico.

Oh thank God my taxi is here – esordisce additando la portantina. Il silenzio si rompe in una risata generale. Roland Emmerich, il regista, si avvicina per salutarlo, ma lui va dritto verso Rupert e lo abbraccia. Gli dice che non dimenticherà mai i suoi genitori, quando insieme a loro calcava i palcoscenici di tutta l’Inghilterra, gli anni più importanti della sua vita d’attore, quelli che lo hanno forgiato.

Lo guardo mentre recita e vorrei rubargli tutto. Le pause, la misura, il gesto, il controllo.

Alla fine della scena siamo tutti intorno a lui che racconta. Dice che un giorno a Los Angeles, quando era appena uscito Il silenzio degli innocenti, chiese al suo autista di fermarsi. Tutti quei cartelli in autostrada con la sua faccia in primo piano lo avevano sconvolto. Com’era possibile  che lui, un povero ragazzo originario del Galles, fosse finito al centro dell’attenzione mondiale? Un salto che a lui in quel momento,  fermo sotto una di quelle gigantografie, appariva incomprensibile. Ma sono proprio io quello ?– continuava a ripetersi mentre l’autista gli diceva che  non c’erano dubbi, fino a prova contraria lui era  proprio Mr Anthony Hopkins.

Mentre si allontana verso la macchina ho un impulso di quelli, per me, rarissimi. Allora lo blocco. Tony posso chiederti una foto?But of course”- mi risponde. Mentre siamo li per quei pochi secondi non so cosa dirgli.

Ma è lui a scuotermi dall’imbarazzo. “Your costume is way nicer than mine” (Il tuo costume è molto più bello del mio). E mi sorride con gli occhi.

 

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Sir Anthony Hopkins smiled at me: “Your costume is much nicer than mine”

First day of filming on the set of “Those About to Die” in which I play Senator Supulcius. Today, we’re shooting with Sir Anthony Hopkins. The absolute legend. He, the terrifying Hannibal, but also the impeccable, devoted butler in “The Remains of the Day” or, more recently, the heartbreaking father in “The Father” He, the extraordinary actor who has frightened and moved entire generations.

But what is he like? Have you ever met him? I ask Rupert Penry-Jones, who plays Consul Marsus in the series.

– He is an exceptional man even before being the star that he is, you’ll see.

Rupert, as his name suggests, is super English and comes from three generations of actors. His parents have shared the stage for years with Hopkins, and his mother says he is a very humble and generous man.

We are filming at Studio 5, the enormous one used by Fellini. A scene where we, the patricians, are lined up in front of the litter where Sir Anthony, playing Emperor Vespasian, will climb after a long monologue. We wait for him in silence. When he arrives, there is a general shiver. Here he is, the legend in flesh and blood, his unmistakable smile with his eyes. Piercingly blue. He is 86 years old but has the vitality of a young man, all concentrated in his magnetic gaze.

– Oh thank God my taxi is here, -he says, pointing to the litter. The silence breaks into general laughter. Roland Emmerich, the director, approaches to greet him, but he goes straight to Rupert and hugs him. He says he will never forget his parents when he shared the stage with them all over England, those were the  most important years of his acting life, the ones that shaped him.

I watch him as he acts and wish I could steal everything from him. His pauses, his measure, his gesture, his control.

At the end of the scene, we are all around him, listening to his stories. He says that one day in Los Angeles, when “The Silence of the Lambs” had just come out, he asked his driver to stop the car on the side of the motorway. All those billboards lining the highway with his face in the foreground had surprised  him. – How was it possible that he, a poor child  from Wales, had ended up at the center of worldwide attention? A leap that, at that moment, standing under one of those giant images, seemed incomprehensible to him. Is that really me? – he kept asking himself while the driver assured him there was no doubt, he was indeed Mr. Anthony Hopkins.

As he walks away towards the car, I have one of those impulses that are very rare for me. So, I stop him – Tony, can I ask you for a photo? – But of course – he replies. While we’re there for those few seconds, I don’t know what to say to him. But he shakes me out of the embarrassment. – Your costume is way nicer than mine –

And he smiles at me with his eyes.

Con il titolo e nella gallery: Marco Gambino durante le riprese romane di “Those about to die”

(Gaetano Perricone). Sono particolarmente grato al mio carissimo cugino Marco Gambino, eccellente attore palermitano da una vita trapiantato a Londra, per questo suo nuovo, prezioso contributo a questo blog. Una testimonianza deliziosa e davvero speciale sul suo incontro sul set con un “mostro sacro” del cinema mondiale, uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Non so se Marco sia il primo palermitano ad avere lavorato con Sir Anthony Hopkins, posso  immaginarlo senza però averne alcuna certezza: in ogni caso credo sia una notizia prestigiosa per la cultura della città dove entrambi siamo nati e cresciuti insieme. Grazie di cuore a Marco Gambino, cugino con il quale siamo legatissimi – lo dico con orgoglio e grande affetto – , per questo bel regalo che ha fatto a me e ai lettori del Vulcanico 

 

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Noi, allievi del grande Franco Salvo. Che c’insegnò a pensare, a dialogare, a coltivare la memoria. E a non guardare nessuno dall’alto in basso https://ilvulcanico.it/noi-allievi-del-grande-franco-salvo-che-cinsegno-a-pensare-a-dialogare-a-coltivare-la-memoria-e-a-non-guardare-nessuno-dallalto-in-basso/ Thu, 21 Dec 2023 08:10:49 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24510 (Gaetano Perricone). “Era bello Franco Salvo, col vestito della festa, che veniva ogni mattina, a parlarci della Cina. E dei suoi blue jeans croccanti, quando fu sottotenente, dell’esercito dei fanti, in Oriente e in Occidente. Ogni volta che parlava, delle sue peripezie, della madre e della zia, già la testa ci fumava …”. In queste […]

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(Gaetano Perricone). “Era bello Franco Salvo, col vestito della festa, che veniva ogni mattina, a parlarci della Cina. E dei suoi blue jeans croccanti, quando fu sottotenente, dell’esercito dei fanti, in Oriente e in Occidente. Ogni volta che parlava, delle sue peripezie, della madre e della zia, già la testa ci fumava …”. In queste simpatiche strofe in rima baciata della canzone che, noi alunni della III C del Liceo Classico Umberto I di Palermo, scrivemmo e cantammo in occasione della cena una sera di luglio del 1974 per festeggiare la nostra maturità scolastica, sta tutto il grande affetto, la stima, la riconoscenza, come ben sottolinea il mio amico della vita Franco Palazzo nell’ottimo articolo che segue, che sentivamo per il professore Franco Salvo, grandissimo docente di Storia e Filosofia di quel liceo, una vera leggenda per i palermitani della mia generazione.

I tre volumi del manuale di storia Salvo-Rotolo

Io quelle strofe le canticchio ogni tanto ancora oggi, con tanto affetto e nostalgia, ricordando spesso quanto il professore Salvo sia stato importante, fondamentale non soltanto per la mia formazione culturale e per la mia crescita da adolescente in un periodo di enormi cambiamenti, ma anche per la mia vita. Prendendoci per mano all’inizio degli anni d’oro del liceo, accompagnandoci e illuminandoci con le sue ammalianti spiegazioni condite da aneddoti sempre deliziosi e arguti, alla scoperta del  fascinosissimo mondo della filosofia e in una meravigliosa cavalcata nella storia – indimenticabile il suo manuale cult in tre volumi “La città dell’uomo”, scritto insieme all’altro gran professore Filippo Rotolo – , Franco Salvo c’insegnò, anzi direi inculcò dentro la nostra anima,  quattro cose di straordinario valore e preziosissime per il nostro futuro: cercare sempre di pensare e ragionare con la nostra testa; dialogare sempre, comunque cercare di farlo, con tutti, anche quando sembra impossibile; amare la storia (ancora oggi la amo moltissimo, è mia passione prioritaria) e coltivare profondamente la memoria, con la consapevolezza di scuola “braudeliana” che non è possibile comprendere il presente senza conoscere il passato. E poi la quarta, a mio avviso la più importante,  assai radicata dentro di me: non guardare mai nessuno dall’alto in basso, porgere sempre la mano a chi è in difficoltà, considerare priorità l’idea dell’uguaglianza tra gli  esseri umani e il valore della solidarietà. 

Ecco, se fossi stato venerdì 15 dicembre nell’aula magna del mio amatissimo liceo avrei ricordato così il mio grande professore di storia e filosofia, del quale vado molto orgoglioso. Purtroppo, non vivendo più da 25 anni a Palermo, non mi è stato possibile essere presente, ma dentro di me gli insegnamenti di Franco Salvo sono ancora vivi e incisivi e mi hanno tanto aiutato anche nel mestiere di giornalista che cerco dignitosamente di fare da 45 anni. E dunque gli devo un GRAZIE a caratteri cubitali, con il cuore pieno di nostalgia ed emozione, che mi piace molto resti per sempre qui tra le pagine del mio blog.

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di Francesco Palazzo

Il 28 dicembre 1983, a soli 67 anni di età, moriva a Palermo il prof. Francesco Paolo Salvo, più noto a tutti come Franco Salvo.

In occasione del quarantennale della morte, alcuni alunni ed ex alunni, giovani del Liceo Umberto I di Palermo, la scuola dove il prof. Salvo insegnò dal 1945 al 1981, hanno avvertito la necessità di rendergli omaggio e di ringraziarlo, sebbene non siano stati suoi diretti discenti, delle pagine memorabili da lui lasciate, tratte soprattutto dal libro di cosiddetta educazione civica, Dalla Magna Charta alla Costituzione Italiana, edito per la prima volta nel 1959, un manuale pensato per introdurre i giovani lettori allo studio – appunto – della Costituzione Italiana e che ha rappresentato una assoluta novità nel panorama della manualistica scolastica di quegli anni.

Dopo la bella introduzione ai “lavori” di Rolando, uno studente Erasmus da poco “maturatosi” all’Umberto, la prof.ssa Livia Romano ha fatto un excursus sulla formazione scientifica del prof. Salvo e sulle vicende della sua vita, corredato da un interessante supporto fotografico. Abbiamo così scoperto e/o rinfrescato la memoria, che il Nostro era stato prima allievo e poi assistente universitario del grande filosofo e pedagogista Vito Fazio-Allmayer, il quale, a sua volta, dal 1914 al 1918 aveva insegnato presso il liceo Umberto I; che durante la II Guerra Mondiale fu fatto prigioniero dagli inglesi e che fu deportato in Africa settentrionale e che in quella triste situazione di prigioniero di guerra, per continuare a considerarsi un essere vivente, organizzò una scuola con tanto di segretario e di bidello, di cui lui era il rettore, e tenne una serie di simposi filosofici ai suoi commilitoni prigionieri, tra cui il prof. Caracciolo, che poi fu anche preside dell’Umberto dal 1969 (fino al 1968 era stato preside il prof. Renato Composto, che in occasione dei moti studenteschi aveva ingiustamente acquisito fama di reazionario) al 1976.

Abbiamo anche conosciuto alcune delle lettere che il professore scrisse durante la prigionia alla carissima moglie Gemma Barcellona, una insigne storica dell’arte, lettere che sono state messe a disposizione dal prof. Beppe Cipolla, prima allievo di Franco Salvo e poi genero, avendo sposato la figlia Giusi. Attraverso la lettura di queste lettere, scopriamo un animo profondo e gentile, sensibile osservatore delle cose del mondo, a tal punto da individuare convintamente nell’amore il vero motore dell’universo. Insospettabile, soprattutto per un pensatore che si diceva marxista. Però noi ricordiamo bene quanto rispetto dimostrasse nei confronti dei suoi interlocutori, dal preside al bidello all’alunno, sia bravo che scecco.

Sono intervenuti altri ex alunni del professore, tra cui anche Maurizio Cancila, ora affermato architetto, che non ha mancato di ricordare i tempi del liceo ed i meriti di Franco Salvo come formatore ed istruttore.

Certamente, anche se non abbiamo esternato i nostri ricordi e la nostra nostalgia, abbiamo ricordato le frasi che lui amava ripetere, da: “Io, Franco Salvo” a “In interiore homine habitat veritas” a “la filosofia è quella scienza con la quale e senza la quale si rimane tale e quale” a “o tempora o mores, che non significa era il tempo delle more” a “sursum corda, che non significa acqua alle corde”. E tanti racconti, tanti aneddoti. Da quando ci raccontava delle sue esperienze in prigionia (la lavata dei blue jeans, che a causa della penuria d’acqua poco venivano risciacquati e quindi, una volta asciutti, stavano in piedi da soli) ai suoi esami di licenza liceale (ai suoi tempi si chiamavano così, non di maturità) allorquando si presentò privo del documento di riconoscimento e pertanto, per essere ammesso, dichiarò e certificò da se stesso la sua identità con le parole: “io sono io in quanto so di essere io”.

Ricordi e ricordi ma soprattutto tanta, tanta riconoscenza.

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I viaggi di Mirco: quello strano incontro nel borgo fantasma https://ilvulcanico.it/i-viaggi-di-mirco-quello-strano-incontro-nel-borgo-fantasma/ Fri, 15 Dec 2023 05:35:51 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24488 di Mirco Mannino Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia. Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 […]

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di Mirco Mannino

Mirco Mannino

Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia.

Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 paesi tra la provincia di Catania, Enna e Caltanissetta.

Ripartito tra il 16 Ottobre e il 6 Novembre 2023, ho deciso di tracciare come una sorta di compasso, che da Centuripe prosegue verso sud/ sud-ovest, toccando i comuni di Catenanuova, Ramacca, Aidone, San Michele di Ganzaria, Mazzarino e Riesi. “Il compasso” avrebbe dovuto proseguire poco più a sud verso Butera, ma per motivi logistici il comune non ha potuto in quest’occasione offrirmi la sua ospitalità, ma sarà sicuramente per la prossima.

Per incominciare al meglio questo percorso, ho deciso, come buon auspicio, di trascorrere la prima notte in tenda, presso ciò che rimane del Castello di Poira, situato tra i territori di Paternò e Centuripe. Un luogo che, a mio avviso, potrebbe essere definito come “una porta” verso l’entroterra siculo. Curioso come, tra l’altro, nel corso della notte, sogno di trovarmi esattamente lì, su quello stesso luogo, ma con l’unica caratteristica che il poggio su cui il castello si ergeva era bagnato dal mare, un mare cristallino che mi invitava ad immergirmi. Che fosse un sogno di buon auspicio?

La mattina dopo, il 17 ottobre, il viaggio ha veramente inizio.

Ma come posso sintetizzare in poche righe venti giorni di viaggio?  Piuttosto che fare una lista della spesa inutile, prolissa, e che non darebbe dignità e valore a nessun luogo, mi limito a raccontare un unico grande episodio che per me è stato sorprendente.

Erano i primi giorni dalla mia partenza da Catania, quando mi trovavo a Libertinia, un borgo rurale di epoca fascista appartenente al territorio di Ramacca. Girando per il borgo con il mio modo di fare inequivocabile (zainetto in spalla, e con tra le mani un treppiede e la macchina fotografica) ho destato subito la curiosità in tante persone, le quali, chi una e chi l’altra, mi hanno tutte quante suggerito di vedere un altro borgo molto interessante situato lì nei pressi, ma che nessuno fu in grado di dirmi come effettivamente si chiamasse.

Basta che esci poco poco dal borgo, guardi in direzione delle colline, e ti vedi spuntare alcuni gruppi di case, dove adesso non ci vive più nessuno – mi dice un signore. E’ stato costruito bene o male nel periodo di Libertinia… o forse un poco più tardi – mi racconta una signora molto cortese, la quale poi mi ha dato una bottiglia d’acqua fresca e un po’ di frutta.

Rapito dalla curiosità sono salito subito in macchina, alla ricerca di questo borgo di cui mai avevo sentito parlare fino a quel momento. Effettivamente dopo un paio di curve, vedo in lontananza una schiera di case che pareva uscita da un set cinematografico. Parcheggio proprio vicino a una stradella che si snoda in direzione del borgo e decido di proseguire a piedi, sotto il sole delle due di pomeriggio.

Faceva caldo, molto caldo. Mi sono cambiato per bene in modo da avere addosso solo abiti da escursione (così da non sporcare i vestiti buoni), e ho bevuto preventivamente una bella dose di acqua, così da avere una buona riserva per il deserto di colline spoglie che avrei attraversato di lì a poco. Perché sì, sebbene fossimo a ottobre, tutte le colline dell’entroterra apparivano uniformemente aride, senza neanche un poco di verde. Mano a mano che passeggio, il borgo si fa sempre più vicino, mostrandosi a me con una forma perfettamente rettangolare, quasi tracciata col righello, con due file di case posizionate sul lato corto e forse più di dieci case (tutte uguali) nel lato lungo.

Quando il borgo si fa veramente vicino, mi accorgo che lì nei pressi vi è una mandria di mucche, guidata da un mandriano le cui urla avevo cominciato ad udirle qualche centinaio di metri prima. Piuttosto che andare verso il caseggiato e destare sospetti in lui, ho preferito avvicinarmi e cercare di avere un dialogo. L’uomo,  sulla sessantina, dai modi molto rudi, camminava a petto nudo sotto il sole, con dei calzoni evidentemente troppo larghi per la sua costituzione, tanto che quando camminava, gli si vedeva palesemente il fondoschiena.

Gli spiego che ero venuto fin lì per dare un’occhiata al borgo e fare delle foto, e che sono state proprio alcune persone di Libertinia a consigliarmi questo luogo. Il mandriano, fattosi sospettoso, comincia a pormi delle domande ben precise, quali di dove fossi, con che macchina fossi venuto e di che colore fosse, giustificandosi che  alcuni “curiosi” di Catania, tempo addietro, era venuti fin lì per poi dimostrarsi dei truffatori, rubandogli il bestiame nella notte.

Da come parlava, si intuiva facilmente che quell’uomo raramente aveva a che fare con gli umani. Per rassicurarlo gli do tutte le informazioni da lui richieste (tutte false, ovviamente) e lo rassicuro dicendogli di voler solo fare un giro di qualche minuto, per poi tornarmene sulla mia strada.

Durante tutto il nostro dialogo, oltre alle varie vacche e vitelli che scorrazzavano nel campo, esattamente tra me e lui giaceva a terra il cadavere di una mucca, morta forse da una settimana, in avanzato stato di decomposizione. Io cerco di essere quanto più indifferente possibile alla faccenda, al pari del mandriano, che impassibile mi ascoltava. Gli chiedo se sapesse qualcosa del borgo, e lui mi risponde dicendo che si chiama Mandre Bianche. Finalmente, riesco a scoprire il nome di quel luogo. Quando mi viene detto il nome, mi risovviene subito alla memoria la storia della fondazione di Libertinia, che fu costruita per volere del Barone Pasquale Gesualdo Libertini sul suo feudo, il feudo di Mandre Rosse.

I conti tornano. Dopo aver finalmente ottenuto il lasciapassare dal mandriano, che si comportava come se il feudo fosse il suo, vado finalmente a curiosare un po’ nel borgo, ma mi accorgo ben presto che tutte le case erano state utilizzate come stalle. Le case erano abbastanza spaziose e si componevano di due piani, forse si trattavano di case plurifamiliari. Accanto ad ogni casa vi era un cubo di cemento, probabilmente da adibire o a pollaio o a stalla, mentre attorno ad ogni proprietà vi era inoltre un giardino. Non v’era traccia né di chiesa, né di posta, né di nessun servizio. Doveva trattarsi di un luogo solo ad uso abitativo, evidentemente.

Mentre passeggio per Mandre Bianche, il mandriano porta tutte le vacche all’interno del borgo, adibito praticamente a un’unica grande stalla. Quando vado per salutarlo, quello mi dà a parlare, per la prima volta in tono abbastanza amichevole. Mi chiede se conosco un tale macellaio della Via Plebiscito, ma  non gli ho saputo rispondere. Poi, scherzando, mi dice :”La prossima volta portala qualche ragazza da Catania”, poi, chiacchierando un poco, arriva a chiedermi grattandosi il capo: “E a servitù come siamo messi?” Io, credendo di aver intuito dove volesse arrivare a parare, faccio finta di non capire, costringendolo a costruire la domanda per intero. Così, mi domanda:

Intendo: la fidanzata? La fidanzata ce l’hai? La servitù è importante…

Mai avevo udito una cosa simile: associare il concetto di fidanzata a quello di serva. Sarà che forse quell’uomo vive lontano dalla società e si sia dimenticato cosa voglia dire vivere in un contesto fatto di persone, oltre che di sole vacche. Ad ogni modo, rispondo con il mio solito fare evasivo, né un sì né un no, ci salutiamo, e pian piano faccia strada verso la macchina, ripercorrendo quel deserto di colline a ritroso. Potevano essere le tre di pomeriggio, e questa giornata, lunghissima, senza saperlo mi avrebbe regalato tantissime altre esperienze.

Il viaggio era appena ricominciato.

 

Con il titolo: Mirco Mannino a Libertinia (tutte le foto dell’autore dell’articolo) 

 

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Alla scoperta dell’Etna con le guide vulcanologiche https://ilvulcanico.it/alla-scoperta-delletna-con-le-guide-vulcanologiche/ Sat, 09 Dec 2023 06:26:50 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24475 (Gaetano Perricone). Dal sito nazionale delle Guide Alpine, pubblichiamo integralmente questo comunicato con una interessantissimo intervista al nostro caro amico Vincenzo Greco, eccellente guida vulcanologica sull’Etna che abbiamo seguito fin dall’inizio di questo suo lavoro (fu il più giovane d’Italia quando cominciò), che è prezioso contributore con articoli di particolare successo de IlVulcanico.it e che […]

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(Gaetano Perricone). Dal sito nazionale delle Guide Alpine, pubblichiamo integralmente questo comunicato con una interessantissimo intervista al nostro caro amico Vincenzo Greco, eccellente guida vulcanologica sull’Etna che abbiamo seguito fin dall’inizio di questo suo lavoro (fu il più giovane d’Italia quando cominciò), che è prezioso contributore con articoli di particolare successo de IlVulcanico.it e che anche nelle risposte, piene di competenza ed equilibrio, sulla sua attività sul più alto vulcano attivo d’Europa Patrimonio dell’umanità e sui rischi in ambiente vulcanico per escursionisti sprovveduti e avventati, conferma le sue capacità e la grossa esperienza ormai acquisita sul campo. Un’intervista chiara e preziosa, da leggere anche per chi l’Etna lo conosce bene. 

Vincenzo Greco al lavoro

Fonte: Ufficio Stampa Guide Alpine Italiane – Comunicato stampa (https://www.guidealpine.it/blog/)

Osservare da vicino un cratere, le colate di lava e scoprire grotte vulcaniche. Ecco alcune delle incredibili esperienze che è possibile vivere con una Guida Vulcanologica, figura professionale specializzata per accompagnare turisti ed escursionisti nelle aree vulcaniche attive. Vincenzo Greco, guida Vulcanologica sull’Etna, cresciuto ai piedi del vulcano e studente di Geologia all’Università di Catania, ci racconta come si vive da vicino un vulcano.

Vincenzo, come sei diventato guida vulcanologica?

Mio nonno era Guida Alpina, è stato il primo ad operare sul versante Nord dell’Etna. Mio zio è vulcanologo, mio padre lavora sull’Etna e io ho vissuto la mia infanzia sull’Etna. La mia passione è il vulcano in generale: l’ho vissuto da quando sono sono nato, ho studiato Geologia e ho preso la decisione di fare questo lavoro nella mia vita. Sin dalle prime volte che mi sono trovato a condurre gruppi sul vulcano, è stato come se lo avessi fatto da una vita.

Vincenzo Greco nel febbraio 2017, con il diploma di guida vulcanologica

Quante sono oggi le guide vulcanologiche nella zona?

Stiamo crescendo. Nella sessione d’esame di ottobre del Collegio Guide alpine Sicilia si sono abilitate 36 nuove guide vulcanologiche, che andranno a sommarsi quelle già abilitate negli anni precedenti: a breve potremmo essere oltre settanta nella zona. Il Collegio Siciliano conta inoltre 17 Guide alpine attive ad oggi più alcune in seconda iscrizione.

Chi sono i vostri clienti?

L’interesse per il vulcano sta crescendo: lavoriamo con turisti, sia in gruppi organizzati sia singoli. Poi ci sono clienti che richiedono percorsi particolari e in questi casi si vede il valore aggiunto della guida vulcanologica, ma è perlopiù un mercato straniero. Di norma il turista viene in Sicilia con infradito e ombrellone, pensando al mare, e molti immaginano in questi termini anche un’escursione sul vulcano nonostante sia alto 3000 metri.

La poca consapevolezza della quota e dell’ambiente montano è un problema?

Spesso sì. L’approccio da “turista” è sempre più diffuso anche sulle Alpi o su altre montagne, però qui lo si vive molto di più: classicamente c’è qualcuno che da Taormina vede L’Etna e dice “ora salgo” ma non si informa a sufficienza e arriva con abbigliamento o attrezzatura inadeguati. Sta cambiando nell’approccio alla montagna in generale e i social hanno un ruolo decisivo in questo: molti si avvicinano a questi ambienti attirati da foto o video, va di moda mettere sui social le emozioni che si provano e viene a mancare quell’approccio consapevole che porta a valutare l’attrezzatura, le condizioni ambientali etc.

Che escursioni offre l’Etna, come livelli di difficoltà?

Il vulcano offre enormi spazi e non è troppo complicato avvicinarsi ad un vulcano soprattutto nelle aree prossime ai paesi ai crateri laterali. Possiamo organizzare attività semplici per le famiglie o per piccoli gruppi, magari con avvicinamento tramite mezzi di trasporto, o escursioni di media difficoltà che portano a toccare 3000 metri con visita di diversi crateri e grotte. Le escursioni in cima sono più dure e solo pochi le scelgono.

Quali sono le difficoltà specifiche di un vulcano?

C’è una difficoltà in più rispetto alla quota. Nel contesto sommitale di un vulcano attivo bisogna fare particolare attenzione alle esalazioni di zolfo e anidride carbonica. Sconsigliamo di salire al di sotto dei 12 anni, perché  essendo più vicino al terreno, il bambino respira molto più gas rispetto ad un adulto. La stessa cosa vale per i cani.

Che cosa puoi dire dello scialpinismo sull’Etna?

Molti vengono sull’Etna per lo scialpinismo, oggi capita che ci sia più neve qui che al Nord. L’anno scorso ricordo che la strada è stata chiusa per 15 giorni occlusa da 2 metri di neve caduti in una notte. Si poteva partire da quota 1000 metri con le pelli di foca, in alcuni punti anche da quota 600, e si arrivava in cima a 3300 metri: in Sicilia è un fatto con pochi precedenti.

Qual è la stagione più nevosa sull’Etna?

Febbraio. Ma l’anno scorso, aveva nevicato molto anche a dicembre e abbiamo sciato quattro mesi, fino ad aprile, in alcune zone fino a giugno. Non c’è più la stagionalità classica. Ad esempio questo autunno abbiamo avuto un’anomalia con temperature alte e poche precipitazioni.

Oltre alle Guide vulcanologiche, anche le Guide alpine possono accompagnare sui vulcani. Cosa vi distingue?

Probabilmente l’interpretazione dell’ambiente vulcanico. Non è una cosa facile da imparare, la formazione delle guide vulcanologiche prevede moduli di stampo scientifico di vulcanologia, geologia, petrologia e petrografia. Insomma, materie inerenti all’ambito geologico, utili ad acquisire la capacità di interpretare i fenomeni vulcanologici che su una montagna normale non ci sono. C’è anche un aspetto culturale: il cliente vuole sapere tutto del vulcano e la guida deve saper rispondere anche a domande scientifiche. La Guida Alpina, invece, può accompagnare ad esempio nelle ascensioni scialpinistiche o escursioni sciistiche, ambiti riservati alla sua professione. Per entrambi c’è una sensibilità che si sviluppa con l’esperienza sul campo, ad esempio saper capire i segnali che precedono il risveglio di un cratere o l’evolvere di un fenomeno particolare. Per questo fine giornata, tra guide vulcanologiche e guide alpine, qui in zona siamo soliti condividere informazioni rilevanti, ad esempio se notiamo qualcosa di diverso nelle fumarole, nelle emissioni dei gas, nella produzione di fratture, nella disposizione dei crateri interni.

Ci fai un esempio?

Attorno al 10 di agosto scorso, stavamo facendo regolarmente escursioni con i gruppi. Da un paio di giorni io e alcuni colleghi notavamo delle strutture di debolezza nuove sul cratere di sud Est, delle fratture ortogonali con forte incremento dell’emissione di gas. In base alla nostra esperienza abbiamo preferito avvisare di non proseguire perché temevamo un’eruzione imminente. Il 15 di agosto, 5 giorni dopo, è partita una fontana di lava, alta 800 metri.

Se dovessi consigliare un itinerario, secondo te il più bello della zona?

L’itinerario che porta al cratere sommitale è sicuramente molto bello, in questo periodo abbiamo il plus dell’eruzione. Facciamo anche escursioni apposite per vedere le eruzioni, ovviamente parlo di colate. Quella che consiglio maggiormente è però un’escursione di stampo geologico sul versante Nord, che mostra come funziona il vulcano e permette di vedere fratture, grandi crateri e grotte.

Con il titolo: la lava e la neve, i contrasti (foto di Vincenzo Greco, anche le altre di questo articolo) 

 

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Beatles & Rolling Stones, l’autunno degli intramontabili giganti https://ilvulcanico.it/beatles-rolling-stones-lautunno-degli-intramontabili-giganti/ Tue, 07 Nov 2023 08:34:01 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24283 di Adolfo Fantaccini Vecchi ma non troppo. Anzi, assai poco. O nulla. Come se il destino avesse giocato con il passato remoto e un presente sempre asfittico, fra ombre indelebili e tracce graffianti di arcinota iconografia, ecco irrompere sulla scena musicale due novità gigantesche destinate a spostare l’inerzia del mercato, sempre più alla ricerca di […]

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di Adolfo Fantaccini

Vecchi ma non troppo. Anzi, assai poco. O nulla. Come se il destino avesse giocato con il passato remoto e un presente sempre asfittico, fra ombre indelebili e tracce graffianti di arcinota iconografia, ecco irrompere sulla scena musicale due novità gigantesche destinate a spostare l’inerzia del mercato, sempre più alla ricerca di idee e nuovi stili. La novità sta nel fatto che arriva dal passato, quello che in genere non ritorna, ma questa volta ripropone una qualità ormai sempre più astratta.

Hanno aspettato l’autunno, Beatles e Rolling Stones, per fare la voce grossa e ricreare una girandola di emozioni mai sopite. Come mai sommersa è la qualità di suoni e atmosfere di qualcosa che non è mai stato cancellato dal tempo. In fondo cos’è la qualità se non un rapporto fra la realizzazione e un’attesa, proprio perché esprime il livello di corrispondenza tra le aspettative e il prodotto stesso? I Rolling Stones, con Mick Jagger e Keith Richards 80enni, nonché Ronnie Wood 76enne, il 20 ottobre hanno pubblicato Hackney diamonds ed è stato subito un successo, al punto che l’album – con 101 mila copie vendute nei primi sette giorni dall’uscita – ha debuttato al terzo posto della Billboard 200, la classifica settimanale ufficiale dei dischi più venduti negli Stati Uniti. Grazie a questo exploit, pertanto, gli ‘Stones’ sono diventati i primi a conquistare la top 10 della classifica statunitense con un album in ciascuno degli ultimi sei decenni.

The Rolling Stones

Mick Jagger e compagni debuttarono per la prima volta nella top 10 a stelle e strisce nel 1964, con l’album ’12 x 5’ e solo negli anni ‘60 piazzarono tra le prime 10 posizioni ben 13 long playing. Solo un’artista, fra quelli in vita, può vantarsi di avere eguagliato il record dei Rolling Stones: è Barbra Streisand, l’unica ad aver piazzato un disco nella top 10 della Billboard 200 per ogni decennio, dagli anni ’60 agli anni 2010.

Poi arrivano i Beatles e lanciano il loro Now and then, la terza delle canzoni lasciate in eredità da John Lennon a Paul McCartney nel 1978, due anni prima di essere ucciso a New York, incise su musicassette. John infilò la musicassetta in una busta “Per Paul” e la consegnò a Yoko Ono che gliel’avrebbe donata nel 1994. Da quella musicassetta sono già state estrapolate, nel 1995, Free as a bird e Real love, inserite nella Beatles Anthology; adesso viene fuori Now and then, che è ben altra cosa dal punto di vista tecnologico e auditivo, perché il brano si può ascoltare – rispetto ai due precedenti pezzi – in hires, ossia in alta qualità, con il formato FLAC a 24 bit e 96 Khz.

La differenza, nella voce digitalizzata e rimasterizzata di Lennon, si sente. Eccome. Il brano, infatti, è scritto e cantato da John, poi sviluppato e lavorato da Paul, con George Harrison e Ringo Starr. La differenza sta proprio nel campionamento, oltre che nella bellezza, del brano. Qualità e talento sono spropositati, come nel caso degli Stones, non solo in relazione alle attuali offerte di mercato. E, cosa ancor più importante, grazie alla diffusione nelle varie piattaforme, anche i giovani hanno cominciato a chiedersi chi erano i Beatles, come cantavano gli Stadio. Dei Rolling Stones già sapevano tutto, ma forse non immaginavano che potessero impartire una lezione di energia pura a 80 anni suonati. Adesso sanno anche questo.

 

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Le splendide carte dell’anima di Annamaria Tosini. Dal 6 ottobre la mostra a Palermo, al Museo Riso https://ilvulcanico.it/le-splendide-carte-dellanima-di-annamaria-tosini-dal-6-ottobre-la-mostra-a-palermo-al-museo-riso/ Sun, 01 Oct 2023 05:21:33 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24018 (Gaetano Perricone). Con grande onore, enorme piacere e altrettanta commozione pubblico sul mio blog l’impeccabile comunicato stampa di presentazione di questa mostra bellissima e originalissima. L’autrice Annamaria Tosini, palermitana, scomparsa dieci anni fa quando ne aveva 83, era mia zia, la sorella di mia madre Liberia ed era soprattutto una donna stupenda e molto speciale. […]

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Da sinistra: Annamaria Tosini, il fratello Renato, la sorella Liberia elegantissimi al Teatro Massimo di Palermo. Foto dal mio album di famiglia

(Gaetano Perricone). Con grande onore, enorme piacere e altrettanta commozione pubblico sul mio blog l’impeccabile comunicato stampa di presentazione di questa mostra bellissima e originalissima. L’autrice Annamaria Tosini, palermitana, scomparsa dieci anni fa quando ne aveva 83, era mia zia, la sorella di mia madre Liberia ed era soprattutto una donna stupenda e molto speciale. Proveniente da una famiglia della borghesia imprenditoriale cittadina – mio nonno Pino aveva una famosa e frequentatissima cartoleria in via Cavour, in pieno centro di Palermo, ma anche una bella tipografia -, mostrò costantemente il suo innato talento artistico (ricordo anche che in famiglia mio zio Renato Tosini, il fratello, è stato un grande e apprezzato pittore) a familiari, amici, personalità della cultura cittadina e non solo. Tra i miei ricordi dell’adolescenza e della giovinezza, restano indimenticabili i magnifici incontri conviviali a casa della zia Annamaria in viale Regina Margherita, un vero e proprio salotto culturale  – tra gli altri frequentato da Carla Fracci con il marito Beppe Menegatti ogni volta che veniva a Palermo per un balletto – , insieme alle favolose feste e serate mondane nella villa di Casteldaccia. Rimase celebre quella organizzata in occasione di un Carnevale, con il sostegno fondamentale del marito, mio zio Francesco Gambino, al castello di Caccamo: ne parlarono molto i giornali, ricordo un bellissimo paginone del mio giornale L’Ora. Le tristi e dolorose vicende dell’ultima parte della sua vita, accennate nel comunicato stampa, non le hanno impedito di continuare a coltivare il suo straordinario talento artistico realizzando le affascinanti, raffinate sculture di carta esposte nella mostra, che verrà inaugurata venerdì 5 ottobre a Palazzo Riso a Palermo. Al di là della bellezza e originalità delle opere, per i vari motivi che qui ho esposto è per me un autentico privilegio e uno struggente tuffo nella memoria e negli affetti più cari raccontarvi, miei cari lettori del Vulcanico, di Annamaria Tosini, mia zia e delle sue splendide opere

FONTE: MUSEO RISO PALERMO

Nella Cappella dell’Incoronazione, il Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea Riso di Palermo, in collaborazione con la Fondazione Orestiadi di Gibellina presentano la mostra Annamaria Tosini. Carte dell’anima, finanziata dal Dipartimento dei Beni Culturali e Identità Siciliana, curata da Eva Di Stefano direttrice dell’Osservatorio Outsider Art. Con questa mostra le due istituzioni proseguono una collaborazione di lunga data e confermano la necessità di una continua attività di ricerca sugli artisti e sui modi oggi di fare arte presentandone gli aspetti più evidenti e quelli meno eclatanti.

Annamaria Tosini nel 1980. Foto di Alessandro Gambino

Annamaria Tosini (Palermo, 1930 – 2013), dotata di una esuberanza creativa che si esplicava nella quotidianità familiare e mondana, era nota per il mecenatismo in ambito musicale e per avere realizzato a Casteldaccia un giardino privato di notevole bellezza, il giardino delle emozioni pubblicato negli anni ’80 su varie riviste. Un rovescio di fortuna, il fallimento e poi la morte del marito, interrompe la sua vita brillante, provocando un crollo psichico.  Nell’ultima fase della sua esistenza è costretta a vivere in una struttura assistenziale. Per resistere al disagio inizia da autodidatta a dare vita alle sue creazioni utilizzando ciò che trova. Centinaia di raffinate e precarie sculture in carta e altre materie di recupero, realizzate con una tecnica originale iniziarono a popolare la sua stanza.

Le sue opere sono state esposte solo dopo la sua morte: nel 2013 all’Orto Botanico di Palermo, nel 2016 nel Castello di Cles (Trento), nel 2017 a Parma, nel 2018 a Milano, nel 2021 presso la Fondazione Orestiadi (Gibellina); nel 2022 al Musée Visionnaire, Zurigo. Sono in mostra circa trenta sculture di carta dell’artista, da alcune di grande formato a quelle più piccole. La mostra è corredata dalle  immagini del fotografo svizzero Urs Bosshard realizzate durante l’ultima mostra del 2022, che ha visto la presenza delle opere di Anna Maria Tosini al Musée Visionnaire di Zurigo e dal video “Annamaria” con regia di Marco Gambino.

La mostra è corredata da un quaderno in italiano e inglese a cura di Eva Di Stefano dove la stessa scrive: ….dagli anni 2000 Annamaria Tosini, per far fronte alla condizione esistenziale di sofferenza ed esclusione nella struttura in cui è ricoverata, inizia a realizzare opere in cui riversa le proprie fantasie, i propri ricordi e le impressioni suscitate dall’ascolto della musica che accompagna le sue giornate. Accartocciando, assemblando, incollando i poveri materiali che riesce a recuperare e riciclare: veline colorate, carta da sarto, carta da pacchi, carta stagnola, tovaglioli e fazzoletti, cartoni vari, pezzi di spago, nastri, fili di lana, frammenti di tessuto, vecchie mutande o vecchi foulard, sacchetti di plastica, piume di uccello, bucce essiccate, foglie etc. Con l’aggiunta di qualche tocco di colore a tempera, l’abilità delle sue mani, uno stile inconfondibile, l’artista plasma e trasforma quelle povere cose in creazioni fragili e preziose, delicate come porcellana, vulnerabili come la sua anima in pena. Nella precarietà dei materiali si riflette la precarietà dell’esistenza, ma anche la capacità trasformativa di uno spirito indomito, appassionato e libero nonostante le circostanze”  (Eva Di Stefano)

In uno stralcio della presentazione del catalogo della mostra, il bellissimo e delicato ritratto del figlio Marco Gambino, attore di valore e affermato: “Fragile, leggera, sottile. La carta velina piegata dal gesto convulso di mani nervose. Crea fiori, facce, corpi, visi, occhi, bocche. Vita. Vita che scorre. Annamaria si racconta così. Con la carta riassume ricordi di ebbrezze, passioni, turbamenti. Improvvisamente. Da un giorno all’altro china su un tavolo ingombro di colori, pennelli, nastri, ma anche bottiglie vuote , scatole, vassoi di cartone ritesse la sua storia. Una storia fatta di scoppi di luce, di ombre che passano e lasciano il segno. La sua piccola camera diventa un teatro in cui personaggi diversi si alternano a recitare il suo copione. Madri madonne, figli bambini, angeli musicanti, ballerine, giocolieri, funamboli è ancora giardini di rose, cappelli impossibili. La sua vita in una stanza. Come La Rosa di Gerico la pianta che ritorna alla vita quando trova l’acqua, continua a cantare con le sue opere una storia senza tempo”.

Museo Riso

Vernissage 5 ottobre ore 17,30; visitabile dal 6 ottobre al 15 novembre 2023

Orario d’ingresso
da lunedì a venerdì: 9:00 – 13:00

www.museoartecontemporanea.it   

Con il titolo e nell’articolo: una delle opere di Annamaria Tosini. Nella fotogallery, immagini dall’inaugurazione del 5 ottobre a Palazzo Riso

 

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L’ultimo saluto a Tanino Troja, leggendario bomber rosanero, gigante buono. Assenti le istituzioni della città https://ilvulcanico.it/lultimo-saluto-a-tanino-troja-leggendario-bomber-rosanero-gigante-buono-assenti-le-istituzioni-della-citta/ Thu, 22 Jun 2023 06:20:17 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23607 di Francesco Palazzo Due giorni dopo la sua scomparsa il 21 giugno si sono celebrati a Palermo, nella parrocchia Maria SS Madre della Chiesa a piazza S. Marino, viale Francia, i funerali di Tanino Troja, il Nordahl del Sud come giustamente era stato soprannominato per la sua potenza, per il suo micidiale colpo di testa, ma che […]

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di Francesco Palazzo

Francesco Palazzo in una foto recente con Tanino Troja

Due giorni dopo la sua scomparsa il 21 giugno si sono celebrati a Palermo, nella parrocchia Maria SS Madre della Chiesa a piazza S. Marino, viale Francia, i funerali di Tanino Troja, il Nordahl del Sud come giustamente era stato soprannominato per la sua potenza, per il suo micidiale colpo di testa, ma che aveva più di Nordahl, leggendario centravanti svedese a lungo del Milan e poi anche della Roma, una raffinatezza tecnica difficile da trovare in un atleta di quella stazza e, soprattutto, sapeva usare entrambi i piedi, tirava forte sia di destro sia di sinistro.

Il celebrante si è soffermato giustamente sulla bontà dell’uomo, proverbiale, universalmente riconosciuta dai compagni di squadra e dai concittadini della sua borgata, Resuttana, che spesso hanno trovato in lui aiuto anche materiale. Il sacedote ha voluto anche parlare dei grandi meriti sportivi del nostro Tanino e di quanto gli piacesse raccontare le sue imprese, accompagnandosi con l’esibizione di pagine di quotidiani, sportivi e non, dove venivano celebrati i prodigi della domenica (allora, ai suoi tempi, le partite si giocavano solo di domenica e tutte allo stesso orario, contemporaneamente). E cose da ricordare ne aveva, eccome! A cominciare dal gol segnato in amichevole a Palermo contro la Dinamo Mosca, i cui pali erano difesi dal sommo Lev Yashin, il “ragno nero”, pallone d’oro, portiere considerato da molti il più grande di ogni tempo; oppure allo storico gol in rovesciata segnato contro il Genoa, oppure all’altrettanto storico gol segnato di testa contro il Cagliari, portiere Albertosi, che valse la vittoria per il Palermo e l’unica sconfitta di tutto il campionato per il Cagliari di Gigi Riva.

14 dicembre 1969: lo storico gol di testa di Tanino Troja contro il Cagliari

La chiesa era gremita. Riempita da compagni di squadra, da giornalisti sportivi e da tifosi comuni che – glielo si leggeva negli occhi – vedevano ancora scorrere nelle loro menti le immagini delle gran giocate di  Tanino Troja. C’era il prof. Giuseppe Barbera, figlio del Presidentissimo Renzo; c’era il dott. Mirri, attuale presidente del Palermo Calcio, c’era Roberto Gueli, presidente dell’ordine dei giornalisti e gran firma del giornalismo sportivo Rai, c’era l’avv. Salvatore Matta (storico vice presidente e poi anche presidente), c’era Filippo Cammarata (storico dirigente amministratore), c’erano alcuni dei compagni di quel Palermo, con in testa il grande Graziano Landoni, c’era l’altrettanto grande – come giocatore prima e come allenatore poi – Ignazino Arcoleo, sempre in perfetta forma, tanto che secondo me sarebbe in grado di fare impallidire i centrocampisti dell’attuale Palermo Calcio, c’era il Sig. Gen. Giuseppe Governale, pure lui palermitano e tifosissimo del nostro campione. Ancora, c’era Pietro Ruisi, altro indimenticabile giocatore, c’era Benvenuto Caminiti, altra grande e storica penna del giornalismo sportivo, come Carlo Brandaleone, Guido Monastra, Mario Azzolini, c’era il popolare attore e grande tifoso Tony Sperandeo, quello di ghiaccioli all’arancia, u sapuri ri gol. E c’erano tanti altri che magari non ho riconosciuto – cosa per la quale mi scuso ma è dovuta anche al fatto che il tempo passa per tutti, anche per me – ma quello che purtroppo ho notato è che, al di fuori di tre giovanotti della primavera (almeno così mi è sembrato) non ci fossero giocatori dell’attuale squadra, come non c’era il cosiddetto Genio, ma in compenso c’era il grande Pinuzzu u tasciu, storico tifosissimo, armato di sciarpa, bandiera e – soprattutto – di maglia numero 9 regalatagli da Tanino in una memorabile occasione dopo uno dei suoi gran gol in casa.

La bara ieri in chiesa

Quella che secondo me mancava era la città, a cominciare dall’illustre signor sindaco. Palermo è una delle rare città che possano vantarsi di aver dato i natali ad un giocatore che ne è poi diventato una bandiera sportiva; Tanino Troja è stato e resterà per i palermitani come Francesco Totti è per i romani; Milano, Torino, Napoli, ecc. non si possono vantare di altrettanti campioni. E infine, mi meraviglia come non si sia sentito il dovere di omaggiare istituzionalmente un uomo buono, che era sempre pronto ad aiutare gli altri, e che per di più aveva saputo tenere alto il vessillo sportivo della città e con essa della Sicilia intera (aveva giocato anche nel Catania di don Carmelo Di Bella). Mi meraviglia come si sia diluita la memoria di tali meriti o forse le cose che ho raccontato non si considerano più meriti.

Comunque, alla fine della cerimonia, è stato un abbracciarsi di tutti con tutti, un saluto al grande Tanino ed una festa – sì, una festa, può sembrare assurdo che il funerale diventi una festa ma è stato così perché la gioia che ci ha regalato il Signor Centravanti ci ha fatto sognare e ci continua a far sognare; ci ha insegnato che nella vita si possono superare tutti gli ostacoli e si può essere vincenti, proprio come è stato per lui.

Ciao, carissimo Tanino

Con il titolo: il feretro di Tanino Troja ieri in chiesa per i funerali. Tutte le foto sono di Francesco Palazzo

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Confessioni di un centenario https://ilvulcanico.it/confessioni-di-un-centenario/ Sun, 11 Jun 2023 04:58:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23490 di Mirco Mannino Questo racconto ha inizio il 25 Aprile 2023, se dovessi parlare egoisticamente di me. In verità questa storia ha inizio molto prima: il 2 Aprile 1923, con la nascita di Attilio Domenico Scarcella a Misitano, piccola frazione di Casalvecchio Siculo, all’interno della Valle d’Agrò. Dopo aver vissuto gli orrori della Seconda Guerra […]

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di Mirco Mannino

Mirco Mannino

Questo racconto ha inizio il 25 Aprile 2023, se dovessi parlare egoisticamente di me. In verità questa storia ha inizio molto prima: il 2 Aprile 1923, con la nascita di Attilio Domenico Scarcella a Misitano, piccola frazione di Casalvecchio Siculo, all’interno della Valle d’Agrò.

Dopo aver vissuto gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e condotto una vita sacrificata, fatta di lavori di ogni genere, Attilio ha toccato la soglia dei cent’anni il 2 Aprile di quest’anno, con grande gioia dei suoi famigliari e dei propri concittadini.

Il 25 Aprile a Misitano è stata organizzata una gran festa da parte del Comune, con tanto di messa tenuta da Don Alessandro di Casalvecchio Siculo e banda al seguito. È in quell’occasione che io, con il desiderio di riprendere il mio viaggio lungo i paesi della Sicilia, ho avuto modo di conoscere il signor Attilio Scarcella, accompagnato dall’affetto di 5 figli e 11 nipoti. Qualche giorno dopo, sono stato invitato a pranzo dalla sua famiglia a Santa Teresa di Riva, e in quell’occasione ho avuto modo di poter parlarci a tu per tu, confrontandomi con una vera e propria memoria storica vivente. Che dire? Sentire parlare Attilio è come calarsi immediatamente in una Sicilia di un tempo che, sebbene cronologicamente non sia lontano, pare invece lontanissimo.

La bomboniera del centenario di Attilio

“A 14 anni me ne andai a vendemmiare a Sant’Alfio. Venivamo pagati 1 lira al giorno – mi racconta seduto sulla poltrona, con la coppola ben assestata sulla testa. – Una volta, pur di non pagare il biglietto del treno, ce la siamo fatta a piedi – prosegue Attilio, questa volta sorridendo, quasi divertito al pensiero di quell’avventura. – Ce la siamo fatta a piedi da Sant’Alfio fino a Misserio! Mentre camminavamo, c’era uno che per ingannare il tempo suonava una piccola fisarmonica, e tra una chiacchera e l’altra siamo arrivati all’alba a Misserio… Tutto per amore di non spendere quei soldi del biglietto, ma di portarli a casa alle nostre famiglie. Poi, continua: “La mia vita è sempre stata dura e sacrificata: scoccare i giardini con la zappa, dormire sulla paglia… Negli anni ’50 me ne andai a lavorare a Lentini negli aranceti, lo facevo per buscare un po’ di soldi per poter pagare le putiare al mio paese”.

– E la paga? – gli chiedo io allora incuriosito. – Quanto era la paga in quel periodo a Lentini?

500 lire al giorno – mi risponde secco lui. – E la zappa me la dovevo procurare io; non mi dava niente nessuno. Sai quanto costava una zappa all’epoca? – mi chiede con un sorriso ironico. – 500 lire! Costava quanto un’intera giornata di lavoro!”

– E com’era la riviera Jonica a quei tempi? – gli chiedo allora io.

“La riviera Jonica era tutta piena di agrumeti, e non c’era un pezzo di campagna che non fosse coltivato. Era una zona ricca di frutta: si caricavano i carretti di frutta a Misitano, e si andava a Messina al porto per esportarla”

– E le fiumare? – gli chiedo io incuriosito – Come erano le fiumare di un tempo? Io le vedo sempre secche… erano così pure ai suoi tempi?

La cerimonia dei festeggiamenti in chiesa

Macché – mi risponde Attilio, sventolando la mano – Erano torrenti ricchissimi d’acqua, tanto che d’inverno quando nevicava tanto, alcune persone non potevano manco uscire dalle loro case, tanta era la neve! – poi, continua – Una volta strade non ce n’erano. Si percorreva la fiumara fiume fiume, da Santa Teresa di Riva a Misitano – mi dice Attilio, e io nella mia testa cerco di immaginarmi come potessero essere quei luoghi un tempo, ora che questi stessi luoghi sono secchi e al tempo stesso spopolati. – Poi, finalmente vi fu la strada Casalvecchio-Antillo, dove io pure ho lavorato. Mi ricordo quando costruivamo la strada, che il sindaco diceva ”Lavorate, perché la strada è per voi”. E così era per davvero, la strada serviva a noi. Abbiamo sbancato una montagna, servendoci solo du’ picu e da’ pala, del piccone e della pala”. Poi, conclude amaramente: “Ora invece, ora che ci sono le strade e ci si può muovere con la macchina, le campagne sono spopolate, frazioni comprese. Una volta Misitano e Rimiti contavano 500 persone, ora a Misitano ci vive solo qualche famiglia…”

Poi, tocchiamo l’argomento della Seconda Guerra Mondiale. Attilio mi racconta che partì il 20 settembre 1942, per il 90esimo reggimento di fanteria, diretto a Sanremo. Dopo due giorni di viaggio, appena arrivato gli tagliarono i capelli, dato le divise militari, per poi spostarsi verso il distaccamento presso Val di Brosio, in provincia di Imperia. Si facevano delle marce serrate in preparazione della guerra – mi racconta, guardandomi dritto negli occhi.

Poi vi fu l’8 settembre, ed egli a quel tempo si trovava ricoverato, in provincia di Savona, in quanto affetto da malaria. Poco dopo l’armistizio arrivarono i tedeschi, che avevano bisogno dell’ospedale, e mandarono via tutti quanti, Attilio compreso. “Io non sapevo dove andare – mi racconta Attiliovisto che la Sicilia era stata occupata dagli inglesi. C’era un abruzzese in ospedale che mi invitò a casa sua. “Scarcella, se a lei va bene può venire con me, sto in provincia di Teramo”. Siamo partiti di là il 14 settembre, facendo marce nelle campagne per tenerci lontano dalle strade rotabili percorse dai tedeschi. In una settimana circa siamo arrivati in Abruzzo. Dal 14 settembre 1943 al 12 luglio 1944 stesi là in provincia di Teramo, a casa di questo mio amico. Poi, quando i tedeschi incominciarono a ritirarsi, potei tornare in Sicilia dalla mia famiglia”.

La torta per il festeggiato

Infine, per non tediarlo dalla mia eccessiva quantità di domande, gliene pongo un’ultima:

– Uno dei suoi ricordi più particolari, che non si potrebbe mai scordare? “Eh – mi fa lui, sventolando con la mano e ghignando – ce n’è tantissimi... – poi, incomincia. “Quando ci furono le elezioni nel 1946, abbiamo trascorso una giornata intera a Casalvecchio senza poter votare. Alle 4 di pomeriggio ce ne siamo tornati a casa, per poi riscendere il giorno dopo. Tutto perché c’era un solo seggio – mi racconta. – Tutte le frazioni, compreso Casalvecchio centro, dovevano votare in un solo seggio! Si immagini – mi racconta dandomi del lei – che Casalvecchio a quel tempo contava 3000 abitanti, e le frazioni di Misitano e Rimiti contavano almeno 500 abitanti. Eravamo una fila lunghissima, lunga più di un chilometro… I Casalvecchioti, quando ci vedevano scendere dalle colline, dicevano i picurara ra codda stanno scinnennu, i pecorari dalla collina stanno scendendo”.

Dopo questa battuta, ci sediamo a tavola per pranzare tutti quanti insieme. Io sedevo alla destra di Attilio, e mentre mangiavamo mi ritenevo semplicemente onorato di aver avuto la possibilità di potermi confrontare con una memoria storica vivente.

Mentre oggi la modernità imperversa senza darci il tempo neanche di accettarla, o perlomeno di comprenderla, mentre ascoltavo le parole di questa memoria storica, non facevo altro che figurarmi l’immagine di quattro ragazzi, che per amore di risparmiare sul prezzo del biglietto del treno, decisero di farsi quasi 50 km a piedi, da Sant’Alfio a Misserio, quando oggi la maggior parte delle persone si fa 200 metri con la macchina pur di risparmiare il proprio fiato.

Con il titolo: Attilio Domenico Scarcella. Tutte le foto sono di Mirco Mannino

 

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Ad Astrosamantha il IX Premio Angelo D’Arrigo: un incontro tra due fantastiche storie stellari https://ilvulcanico.it/ad-astrosamantha-il-ix-premio-angelo-darrigo-un-incontro-tra-due-fantastiche-storie-stellari/ Wed, 31 May 2023 04:42:52 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23478 FONTE: Ufficio stampa Fondazione Angelo D’Arrigo Alle Ciminiere di Catania, nell’ambito di Etna Comics 2023, venerdì 2 giugno una serata con grandi ospiti che si alterneranno sul palco tra momenti di riflessione, emozionanti e d’intrattenimento È l’astronauta Samantha Cristoforetti la vincitrice del IX Premio Angelo D’Arrigo, che verrà consegnato venerdì 2 giugno 2023 nel corso […]

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FONTE: Ufficio stampa Fondazione Angelo D’Arrigo

Alle Ciminiere di Catania, nell’ambito di Etna Comics 2023, venerdì 2 giugno una serata con grandi ospiti che si alterneranno sul palco tra momenti di riflessione, emozionanti e d’intrattenimento

Samantha Cristoforetti

È l’astronauta Samantha Cristoforetti la vincitrice del IX Premio Angelo D’Arrigo, che verrà consegnato venerdì 2 giugno 2023 nel corso di una serata che si svolgerà, a partire dalle 20,30, nell’Anfiteatro delle Ciminiere di Catania, nell’ambito di Etna Comics 2023, XI edizione del Festival internazionale del gioco, del fumetto e della cultura pop.

Angelo D’Arrigo

Astrosamantha è la prima donna italiana entrata negli equipaggi dell’Agenzia spaziale europea e la prima donna europea scelta come comandante della Stazione spaziale internazionale. In occasione del Premio D’Arrigo sarà la principale protagonista di una serata che alternerà momenti di riflessione, emozionanti e d’intrattenimento. Sul palco dell’Anfiteatro delle Ciminiere, infatti, si avvicenderanno artisti, ospiti e testimonianze per ricordare il celebre deltaplanista, scienziato del volo ed etologo scomparso nel 2006 in un tragico incidente aereo. La serata, presentata dal giornalista Luca Pagliari, vedrà la partecipazione di Giorgio Vanni, celebre voce di tantissime sigle di cartoni animati, Lello Analfino dei Tinturia, I Lautari e i Beija Flor. Alla musica si alterneranno poi alcune letture che saranno affidate agli attori Ester Pantano e Aldo Leontini. Nel corso della serata interverrà anche il colonnello Francesco Torchia, capo del Reparto Medicina Aeronautica e Spaziale di Pratica di Mare (Roma). La regia sarà anche quest’anno a cura di Manolo Luppichini.

Oltre alla serata del 2 giugno, Samantha Cristoforetti sarà ospite della Fondazione D’Arrigo nella giornata successiva, sabato 3 giugno, quando sempre all’interno di Etna Comics, nella Sala Polifemo della Ciminiere, si svolgerà alle ore 11 un Talk Questions&Answers con pubblico della durata di circa 45 minuti dal titolo “AstroSamantha – Nello spazio oltre ogni limite”. All’incontro, moderato da Luca Pagliari, oltre all’astronauta prenderanno parte anche Laura Mancuso, presidente della Fondazione D’Arrigo, e l’astrofisico Luca Perri.

Laura Mancuso

Premiando Samantha Cristoforetti – spiega Laura Mancuso, presidente della Fondazione D’Arrigo – abbiamo messo in qualche modo in pratica gli insegnamenti di Angelo e siamo riusciti a superare i nostri limiti. Lo spazio è il tema di questa edizione e chi meglio di Astrosamantha poteva portarci fuori dal nostro pianeta e raccontarci le emozioni, i sacrifici e l’impegno di chi ha deciso di trascorrere la propria vita tra le stelle? Questa IX edizione del premio rappresenta una straordinaria occasione per celebrare le imprese di Samantha e ricordare quelle di Angelo, trovando anche i tanti punti in comune delle loro storie. L’opportunità di farlo ancora una volta nell’ambito di Etna Comics, per cui ringrazio Antonio Mannino, spero ci consentirà di riuscire soprattutto a suscitare l’interesse e la curiosità delle giovani generazioni”.

«Sono profondamente onorata – ha detto Samantha Cristoforettidi ricevere il premio Angelo D’Arrigo. Lo ricevo con immenso piacere, non perché immagini di poter anche solo sfiorare la grandezza della persona o l’intensità del suo vissuto, ma perché attraverso il premio, e soprattutto attraverso le attività della Fondazione a lui intitolata, continuano a vivere l’audacia, la sapienza, l’operosità paziente e meticolosa, l’amore per la natura, come per la tecnologia e la passione per il volo di una persona che ci ha mostrato il lato più nobile dello spirito umano»

LA FONDAZIONE ANGELO D’ARRIGO

La Fondazione Angelo D’Arrigo, ideatrice dell’omonimo premio, è stata costituita il 21 aprile 2006, a circa un mese dalla scomparsa del grande uomo a cui è intitolata. Ha, come scopi principali, la solidarietà concreta nei confronti di uomini e popoli emarginati e nell’indigenza materiale e culturale; la tutela di qualsiasi essere vivente, nel rispetto degli ecosistemi e delle varie culture; la promozione di iniziative di ricerca in campo scientifico, artistico, tecnologico e sportivo. Tutto ciò al di là di qualsiasi confine politico e senza pregiudizi di ordine ideologico o religioso. La Fondazione opera in tutto il mondo: dal Sud America al territorio italiano con progetti nelle scuole, per non disperdere e per mettere a disposizione delle nuove generazioni lo straordinario patrimonio di esperienze lasciato da Angelo d’Arrigo, come eredità suggestiva e impegnativa per il futuro.

 

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