Riflessioni Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/riflessioni/ Il Blog di Gaetano Perricone Thu, 12 Jan 2023 12:05:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 Prevenzione e sicurezza sismica in Sicilia Orientale: decostruzioni e rigenerazione urbanistica, ma anche ruolo attivo della popolazione https://ilvulcanico.it/prevenzione-e-sicurezza-sismica-in-sicilia-orientale-decostruzioni-e-rigenerazione-urbanistica-ma-anche-ruolo-attivo-della-popolazione/ Thu, 12 Jan 2023 06:33:32 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=22804 di Salvo Caffo* Si è tenuto a Catania presso l’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria della Cittadella Universitaria di Catania un incontro-conferenza stampa sul rischio sismico in Sicilia orientale e sulle azioni e proposte per la prevenzione e la sicurezza sismica. Aperto dal Rettore prof. Francesco Priolo e dal direttore del DICAR (Dipartimento Ingegneria Civile […]

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di Salvo Caffo*

Salvo Caffo, vulcanologo del Parco dell’Etna

Si è tenuto a Catania presso l’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria della Cittadella Universitaria di Catania un incontro-conferenza stampa sul rischio sismico in Sicilia orientale e sulle azioni e proposte per la prevenzione e la sicurezza sismica.

La locandina del Convegno

Aperto dal Rettore prof. Francesco Priolo e dal direttore del DICAR (Dipartimento Ingegneria Civile e Architettura) Prof. Matteo Ignaccolo, l’evento ha rappresentato lo spunto per approfondimenti sulla comunicazione e sulle nuove tecnologie messe in campo oggi in funzione del rischio sismico. A seguire gli interventi della prof.ssa Annalisa Greco (associato di Scienze delle costruzioni, Università di Catania), del dott. Rosario Fresta (presidente ANCE Catania), dell’ingegnere Mauro Scaccianoce (presidente Ordine degli Ingegneri di Catania), dell’architetto Sebastian Carlo Greco (presidente Ordine degli Architetti PPC di Catania), del geom. Agatino Spoto (presidente Collegio dei geometri e geometri laureati di Catania), del dott. Mauro Corrao (presidente Ordine Regionale dei Geologi Sicilia), del dott. Raffaele Azzaro primo ricercatore (Sezione Osservatorio Etneo, INGV Catania), dell’architetta Eleonora Bonanno (presidente Fondazione Architetti PPC Catania), dell’ingegnere Filippo Di Mauro (presidente Fondazione Ordine Ingegneri di Catania), dell’ingegnere Gaetano Laudani (ingegnere Capo Genio Civile Catania) e dell’ingegnere Salvatore Cocina (direttore generale della Protezione Civile Regione Siciliana). Un interessante Seminario Scientifico a cura del Prof.  Ivo Caliò, dell’Università di Catania, del Prof. Paulo B. Lorenço, University of Minho, e del Prof. Bassam Izzuddin, dell’Imperial College of London. ha mostrato ai tanti intervenuti l’enorme capacità tecnica di mettere in sicurezza gli edifici al fine di diminuirne la vulnerabilità.

Un momento del convegno

Nel richiamare la genesi delle norme che disciplinano la materia delle nuove costruzioni sino ai giorni nostri si è discusso delle capacità di mettere in sicurezza gli edifici storici, le scuole e l’edilizia privata e si è posto l’accento sulla necessità di adeguare i piani di PC dei comuni e su una mirata azione di comunicazione alla cittadinanza che spieghi la necessità di una pianificazione integrata che veda processi di rigenerazione urbanistica attraverso demolizioni e ricostruzioni e decostruzioni di manufatti obsoleti e di pessima qualità costruttiva. È stato posto l’accento sull’inadeguatezza strutturale dell’immenso costruito nel periodo 1960-1980 e sulla necessità di rivedere l’assetto urbanistico complessivo delle città e dei centri minori.

I terremoti del 1693 devastarono la Sicilia orientale, causando decine di migliaia di morti e feriti e lasciarono senza una casa centinaia di migliaia di persone. La sera del 9 gennaio 1693 un forte terremoto (Mn 6.2) colpì la Sicilia sud-orientale provocando danni gravissimi ad Augusta, Melilli, Floridia, Avola e Noto, e danni seri in diverse località delle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa. Questa scossa fu seguita nelle ore successive da numerose repliche fin quando, alle ore 13.30 dell’11 gennaio, un’altra violentissima scossa (Mn 7.4) devastò gran parte della Sicilia orientale e in particolare molte località del Val di Noto. Catania fu praticamente distrutta e contò 16.000 morti su una popolazione complessiva di 20000, Acireale, Augusta e circa settanta città e centri urbani nel ragusano, siracusano e catanese subirono danni gravissimi. I terremoti produssero anche vistosi sconvolgimenti del suolo in un’area molto vasta. I danni si estesero dalla Calabria meridionale a Malta e da Palermo ad Agrigento. Il terremoto fu fortemente avvertito in tutta la Sicilia, in Calabria settentrionale e in Tunisia. Effetti di maremoto si ebbero lungo la costa orientale della Sicilia da Messina a Siracusa. Le repliche continuarono per 2 anni e il processo di ricostruzione, durato alcuni decenni, fu accompagnato da un consistente flusso migratorio e segnò l’introduzione del barocco come canone architettonico. Diverse località furono ricostruite in luogo diverso e in alcuni casi (fra le tante Avola Vecchia, Noto Antica, Sortino Vecchia, Occhiolà-Grammichele) sono tuttora visibili tracce più o meno conservate dei centri abitati distrutti.

In Via Antonio di Sangiuliano a Catania, tra i numeri civici 235 e 237, accanto al Teatro Mario Sangiorgi, si può osservare una epigrafe che invita chi legge a tenere a mente quanto avvenne in quei due giorni del gennaio del 1693

È ormai convinzione condivisa che la riduzione del rischio non si risolve soltanto con norme e leggi e che l’azione dello Stato, delle Regioni dei Comuni e dell’intero Sistema di Protezione Civile deve essere accompagnata dalla funzione attiva dei cittadini, resi consapevoli delle caratteristiche di pericolosità del territorio in cui vivono. Il ruolo attivo e consapevole della popolazione può essere determinante ai fini della prevenzione dei rischi e della riduzione degli effetti di un evento calamitoso e concorre in modo decisivo alla risoluzione dell’emergenza.

Nella trecentotrentesima ricorrenza di questa catastrofe, il Dipartimento regionale di protezione civile ritiene di dover ricordare le vittime e le devastazioni con iniziative utili concernenti il rischio sismico e le sue possibili conseguenze, promuovendo per tutto l’anno numerosi momenti di riflessione, di informazione e di verifica sulla prevenzione sismica che coinvolgano anche i cittadini.

*Dirigente Vulcanologo Ente Parco dell’Etna

Con il titolo: da INGVTerremoti, stampa dell’epoca raffigurante la mappa della Sicilia con i luoghi colpiti dal terremoto del 1693. Questa può essere a buon diritto considerata una “antenata” delle moderne mappe macrosismiche [Fonte: Azzaro et al. (2008)

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Missili (e) sulla Polonia. Servizi poco segreti. E poi, anzi prima di tutti lo zio Sam https://ilvulcanico.it/missili-e-sulla-polonia-servizi-poco-segreti-e-poi-anzi-prima-di-tutti-lo-zio-sam/ Sat, 19 Nov 2022 07:22:02 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=22477 di Francesco Palazzo I recenti incontri segreti – che non sono più segreti perché evidentemente dovevano essere resi noti all’opinione pubblica mondiale – tra i capi dei servizi cosiddetti segreti di Usa e Russia hanno portato ad un riavvicinamento delle posizioni tra i due attori principali di questa guerra combattuta sulla testa (e a discapito) […]

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di Francesco Palazzo

I recenti incontri segreti – che non sono più segreti perché evidentemente dovevano essere resi noti all’opinione pubblica mondiale – tra i capi dei servizi cosiddetti segreti di Usa e Russia hanno portato ad un riavvicinamento delle posizioni tra i due attori principali di questa guerra combattuta sulla testa (e a discapito) della martirizzata Ucraina. Sembra che gli Stati Uniti stiano riuscendo a convincere i russi a pensare se non alla “pace” almeno ad un “cessate il fuoco”. D’altra parte, per convincere i russi a cominciare a riconsiderare le loro posizioni c’è voluta una dispendiosa e lunga dimostrazione militare con le strategie e con i mezzi bellici messi a disposizione degli ucraini. A questo punto occorre che anche Zelensky sia disposto a pensare alla pace.

Il presidente Usa Joe Biden

Il presidente ucraino, però, si trova tra due fuochi: da un lato Joe Biden che gli chiede di trovare un accordo e dall’altro i suoi compatrioti e soldati che pretendono di non sacrificare nemmeno un centimetro quadrato di suolo patrio. Quindi, bisogna convincere Zelensky: come fare? Ecco che i sunnominati capi dei servizi finti segreti di Stati Uniti e Russia mettono in piedi “l’operazione missili”. Due missili S-300, forse uno, di fabbricazione sovietica (il termine è corretto in quanto si tratta di una categoria di missili a lunga gittata entrata in “servizio” negli anni ’70), utilizzati sia dall’esercito russo sia da quello ucraino, sono caduti in Polonia, in una zona rurale situata a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, causando la distruzione di un deposito di grano e, soprattutto, l’uccisione di due agricoltori polacchi. Le immediate reazioni da parte polacca sono state di grande preoccupazione e tensione e, nelle more che si potesse stabilire come erano andate le cose, sia la Polonia sia le altre repubbliche confinanti con l’Ucraina, e principalmente la Lettonia, l’Estonia e l’Ungheria, hanno deplorato l’accaduto attribuendone la responsabilità alla Russia ed hanno convocato i rispettivi consigli di sicurezza invitando la Nato a mostrarsi e a dimostrarsi. Anche i governanti degli altri paesi aderenti all’Alleanza Atlantica si sono allarmati per il rischio di dover entrare in guerra a difesa del suolo patrio di un paese membro, secondo l’art. 5 del Trattato.

Jake Sullivan

Per fortuna, o forse è meglio dire per abilità del presidente americano Biden, o meglio ancora del suo consigliere alla sicurezza Jake Sullivan, la grave crisi è progressivamente rientrata: prima i russi hanno rilasciato una dichiarazione nella quale precisavano che i missili non erano stati lanciati da loro, poi Biden faceva sapere che l’intelligence americana aveva tracciato la rotta dei missili e che quindi era giunta alla conclusione che fosse altamente improbabile che i missili fossero stati lanciati dalle solite basi russe del mar Nero. Nel frattempo i missili caduti da due erano diventati uno e il presidente Biden con una neanche tanto energica “moral suasion” convinceva il presidente Duda a non agitarsi tanto. Per cui dal richiamo all’art. 5 si passava al richiamo all’art. 4 (che prevede la convocazione di un consiglio tra i paesi Nato) al richiamo a nessun articolo perché si attribuiva la paternità del missile all’Ucraina. Il presidente Zelensky ha prima fatto il “diavolo a quattro” ma poi, di fronte ad un vibrante richiamo del presidente Biden, ha virato su più miti consigli allineandosi alla posizione di tutti gli altri paesi Nato che avevano già derubricato l’accaduto come un mero incidente cui non dare grande importanza. Insomma, il mondo non vuole entrare in guerra, gli basta che la Russia si stia lambiccando a distruggere l’Ucraina.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

Tutto ciò a che cosa porta? Il presidente Zelensky dipende in tutto e per tutto degli aiuti occidentali, e in maniera specifica americani, e quindi è bene che si renda effettivamente conto di ciò, e pertanto il missile ucraino partito a sua insaputa gli avrà senz’altro fatto capire che non può avere tutto sotto controllo ma soprattutto che quello che dice lo zio Sam si fa. Nello stesso tempo, la lezione sarà pure servita agli altri paesi confinanti con l’Ucraina e facenti parte della Nato – e in generale a tutti i paesi europei – che a finire a fare la guerra ci si sta poco o niente e che quindi è sempre meglio stare attenti ad ubbidire allo zio Sam. Indirettamente – ma poi non tanto – la lezione sarà servita pure alla Russia, che sicuramente non ha nessun interesse ad entrare in guerra con la Nato. A meno che il presidente Putin non si voglia passare lo sfizio di lanciare qualcuna delle sue famose bombette nucleari.

Con il titolo: un’immagine del missile caduto in Polonia (dal web)

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L’eredità di Piero Angela: divulgare è vera cultura https://ilvulcanico.it/leredita-di-piero-angela-divulgare-e-vera-cultura/ Sun, 14 Aug 2022 05:43:43 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=22004 Se non sei in grado di spiegarlo in modo semplice, vuol dire che non lo capisci fino in fondo (A. Einstein)   di Maurizio Muraglia Alla figura di Piero Angela, così come a quella del figlio Alberto, è sempre stata associata la parola divulgazione. Non vi è chi non stia celebrando in queste ore la […]

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Se non sei in grado di spiegarlo in modo semplice,

vuol dire che non lo capisci fino in fondo
(A. Einstein)

 

di Maurizio Muraglia

Alla figura di Piero Angela, così come a quella del figlio Alberto, è sempre stata associata la parola divulgazione. Non vi è chi non stia celebrando in queste ore la straordinaria capacità divulgativa di padre e figlio. Ma se c’è qualcosa che si può fare per raccogliere l’implicito messaggio culturale che proviene dal lavoro di entrambi è, a mio parere, riflettere sul significato di questa parola e naturalmente su ciò che le si oppone.

Divulgare è un composto. Certamente il popolo, vulgus, e poi quel prefisso di (s) che, stando a fonti accreditate, indicherebbe una dimensione di diffusione: diffondere tra il popolo.  Come in ogni processo comunicativo, anche in quello divulgativo sono coinvolti tre elementi essenziali: chi divulga, ciò che è divulgato, presso chi è divulgato, ovvero di quale vulgus si parla. Viene in mente certamente l’insegnamento, forse l’atto divulgativo per eccellenza.

Il terzo elemento, cioè il vulgus, condiziona gli altri due, come spesso ripeteva Piero Angela quando sottolineava la centralità del pubblico. Ma cosa vuol dire parlare in modo che il pubblico capisca? Viene in mente qui il discorso politico, che si colora di populismo quando vuol farsi capire dal popolo. Ma a che prezzo? A prezzo di sacrificare la complessità delle questioni, che per definizione, appunto, è impopolare? E sacrificare la complessità non vorrà dire, per il politico, mentire al popolo? Non è certo edificante quest’accezione della parola divulgare.

Piero e Alberto Angela

Eppure, qualcosa occorre sacrificare per divulgare. Ma non certamente la verità delle cose. Quando ad essere sacrificata è la verità, non siamo in presenza di divulgazione, ma di raggiro. Ciò a cui occorre rinunciare per essere capiti dal popolo non è la verità, ma l’astrattezza e la pedanteria, due caratteristiche che possono riguardare tanto il discorso politico che quello culturale.

Divulgare vuol dire proprio rivisitare gli oggetti culturali, i discorsi, le questioni, i linguaggi da offrire al popolo in modo che, senza togliere ad essi nulla di essenziale, il popolo possa comprendere. Ecco la sapienza del divulgatore: comprendere egli stesso più in profondità ciò di cui parla. “Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi”, diceva Galileo, aforisma che ribalta nettamente il primato dell’accademia sulla divulgazione, perché attribuisce maggiore facilità al discorso accademico e maggiore difficoltà al discorso divulgativo. Angela lo disse fino alla fine: prima dovevo capire io.

Si osserva anche in classe, soprattutto in contesti popolari: molti docenti fanno fatica a spogliarsi del loro linguaggio accademico, sovente nozionisticamente pedante e quindi astratto, e ad occupare lo spazio concettuale e linguistico dei propri alunni. Perché accade ciò? La mia opinione, suffragata dall’esperienza pluridecennale in classe, è che il punto di crisi stia in una carenza di vera rielaborazione profonda del sapere che si insegna, e per rielaborazione intendo capacità di scomporre quel sapere nei suoi costitutivi basici, quelli da cui è partito per configurarsi nelle forme complesse in cui poi lo si è studiato all’università.

11 maggio 2021: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella conferisce a Piero Angela l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana,

Il cosiddetto “popolo” è raggiungibile attraverso questi costitutivi basici, che rappresentano la sua concreta dimensione esperienziale. Concetti quali collegamento, generazione, produzione, discesa, salita, ma anche stati d’animo come gioia, dolore, nostalgia, amore, e ancora vicino, lontano, alto, basso, giusto, ingiusto, naturale, artificiale e potrei continuare all’infinito, fanno parte del lessico esperienziale di base del popolo, e chi sa divulgare, proprio come ha saputo fare Piero Angela, non solo conosce bene il panorama cognitivo del pubblico medio, ma è capace di riscoprire negli oggetti culturali che sta maneggiando gli elementi che lo fondano al netto delle naturali (naturali, però) complessificazioni accademiche.

Insomma, un lavoro di grande intelligenza e serietà scientifica, che tanti eruditi e accademici dovrebbero prendere ad esempio per incrementare il loro senso di responsabilità verso il popolo piuttosto che l’elenco delle loro pubblicazioni per avanzare di carriera.

Con il titolo: Piero Angela nel programma televisivo che lo ha reso popolarissimo. Le altre foto da Ansa.it

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Ma quante nuove Guide al Centro Emozioni Vulcaniche … https://ilvulcanico.it/ma-quante-nuove-guide-al-centro-emozioni-vulcaniche/ Mon, 11 Jul 2022 05:01:54 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=21955 di Giuseppe Riggio Addio Vincenzino “custode dell’osservatorio”, Turi detto “marteddu”, Carmelo il pioniere, Antonio il coraggioso. Abbiamo scritto di voi. Ben prima siete stati ricordati dai grandi viaggiatori del passato. Patrick Brydone nel 1770 si affidò ciecamente al “Ciclope”, la guida dell’Etna che lo condusse – così racconta lo scozzese- per “luoghi mai calcati da […]

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di Giuseppe Riggio

Addio Vincenzino “custode dell’osservatorio”, Turi detto “marteddu”, Carmelo il pioniere, Antonio il coraggioso. Abbiamo scritto di voi. Ben prima siete stati ricordati dai grandi viaggiatori del passato. Patrick Brydone nel 1770 si affidò ciecamente al “Ciclope”, la guida dell’Etna che lo condusse – così racconta lo scozzese- per “luoghi mai calcati da piede umano”.

Per decenni, durante il Novecento, i professionisti etnei del turismo in montagna sono stati considerati anche gli affidabili osservatori dei fenomeni vulcanici, testimoni oculari che gli scienziati interpellavano rigorosamente prima di ogni sopralluogo. Da domani il mondo delle visite guidate sui vulcani siciliani cambierà molto. Racconteremo altre storie, probabilmente molto diverse da quelle del passato.

La guida Biagio Motta detto il Ciclope

La rivoluzione sta avvenendo sotto traccia, ma presto diventerà realtà. In pratica il Collegio regionale delle guide alpine e vulcanologiche è stato commissariato dall’Assessorato regionale al turismo e un professionista incaricato dalla Regione ha indetto una nuova selezione per 80 posti di Guida Vulcanologica. Considerato che l’intero Collegio attualmente conta 65 membri significa che entro due anni l’offerta di accompagnamento sarà più che raddoppiata tra Etna e Stromboli. Centoquarantacinque guide saranno quindi stabilmente disponibili, con la possibilità per ciascuna di loro di condurre gruppi da 20 turisti e quindi potenzialmente ogni mattina potrebbe mettersi in marcia un popolo composto da 2900 persone, desideroso di osservare da vicino l’attività dei vulcani attivi siciliani.

In pratica ovviamente non sarà così, ma suscita pensieri angoscianti, a chi ama i nostri coni fumanti, l’idea stessa che l’offerta di visite guidate possa raggiungere livelli di questo tipo. Cosa ne resterà dell’approccio individuale, personale, intimo a un ambiente che da sempre ha ispirato pensieri altissimi ed emozioni indimenticabili? Ma anche il ruolo stesso delle guide dell’Etna, con la loro storia pluri-secolare considerato che risultavano già organizzate nel 1880, ma attive – come abbiamo visto- anche nel diciottesimo secolo, quanto verrà stravolta da questa iniziativa dell’assessore regionale, Manlio Messina?

Da parte sua l’Assessore ha ovviamente spiegato le sue ragioni: la domanda turistica esiste ed è in aumento, perché non offrire posti di lavoro? Il ragionamento da un certo punto di vista non fa una grinza. Quello che non convince sono i numeri messi in campo, non la volontà assessoriale di offrire opportunità di lavoro. Immettere 80 nuovi operatori in soli due anni significherà un inevitabile congestionamento della fruizione su spazi che, ricordiamolo, sono molto limitati e governati da ordinanze dei vari sindaci che ne penalizzano ancora di più la fruizione.

La guida Antonio Nicoloso fotografato da Santo Scalia nel 2002

Di fatto la “riserva di caccia” attualmente garantita alle guide dalle discusse ordinanze sindacali si ferma a 2900 metri sul Mongibello e a circa 400 metri sul “faro del Tirreno”. Si tratta oltretutto di accompagnamento imposto dai sindaci e non scelto dagli escursionisti, come invece avviene su tutte le altre montagne italiane, anche quelle ben più impegnative e pericolose. Basti pensare a tutti i sentieri esposti e difficili esistenti sulle Alpi, oppure alla questione appena tragicamente emersa sulla Marmolada del crollo dei ghiacciai. Inoltre per i vulcani siciliani occorre considerare che si tratta di ambiti geograficamente molto limitati.

L’offerta che l’Assessorato regionale al turismo intende potenziare è infatti quella tipicamente rivolta alla fruizione dei crateri attivi siciliani, che esercitano una forza di attrazione magnetica, ma che di fatto sono vietati quasi stabilmente, perché nessuna autorità vuole ormai rischiare di prendersi una denuncia in caso di incidenti. I sindaci sostanzialmente preferiscono proibire a tutti (sulla carta), piuttosto che ritrovarsi facilmente in tribunale. Una parte delle guide etnee ha avanzato anche un ricorso al Tar per cercare di opporsi allo stravolgimento quantitativo del loro ambito lavorativo.

Facile bollare questo tipo di iniziative come una difesa da parte di chi già opera e guadagna contro i nuovi potenziali concorrenti. In realtà, come abbiamo visto, ci sono invece aspetti di non poco conto che coinvolgono il rapporto stesso del “popolo dei montanari” e degli appassionati con gli amati vulcani siciliani. La modalità in cui avverrà la fruizione di luoghi speciali quali sono l’Etna e lo Stromboli riguarda non solo i professionisti e i loro accompagnati. Ridurre i vulcani attivi a una sorta di angusto centro commerciale in cui affollarsi per osservare da lontano la presenza di una “star” dello spettacolo, non farà bene alla reputazione e al rispetto che è dovuto a territori di eccezionale bellezza e valore naturalistico. Così come la professione di guida non può essere a tal punto inflazionata, da ridursi a quella di esperto del grande centro commerciale in cui provare a vendere boccette contenenti brividi vulcanici.

Probabilmente basterebbe ridurre i posti da mettere a concorso a un numero ragionevolmente compatibile con i 65 professionisti già in attività per far valutare in maniera diversa tutta l’iniziativa assessoriale. Lasciando così oltretutto ulteriori spazi per assicurare nei prossimi anni il necessario ricambio generazionale. E nel frattempo mettere mano seriamente al dossier “fruizione vulcani attivi”, che resta una anomalia tutta siciliana, ridondante di divieti e proibizioni, mentre i veri pericoli si corrono su cime che sono ben lontane dalla nostra magnifica isola, ma dove -giustamente- gli stessi soccorritori sottolineano che il “rischio zero in montagna non esiste”.

Con il titolo: l’Etna e lo Stromboli (dal web) 

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Etna, padrone di casa e nemico sbagliato https://ilvulcanico.it/etna-padrone-di-casa-e-nemico-sbagliato/ Wed, 29 Jun 2022 04:55:30 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=21886 di Marco Neri “Marco, tra poco andrò in pensione. Vorrei lasciare un segno del mio lavoro presso l’INGV. Mi dai una mano?” Con queste parole, prima del Covid-19, in un tempo che sembra lontano come un’antica era geologica, il mio caro amico e collega Alfio Amantia mi confidava il suo desiderio. “Cos’hai in mano?”, risposi […]

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di Marco Neri

Marco Neri (foto di Santo Scalia)
Alfio Amantia

“Marco, tra poco andrò in pensione. Vorrei lasciare un segno del mio lavoro presso l’INGV. Mi dai una mano?”

Con queste parole, prima del Covid-19, in un tempo che sembra lontano come un’antica era geologica, il mio caro amico e collega Alfio Amantia mi confidava il suo desiderio.

“Cos’hai in mano?”, risposi io.

“Qualche migliaio di fotografie, dell’Etna e non solo!”, disse Alfio, scrutandomi con finta modestia.

A dire il vero, non ci ho pensato molto. Tra una battuta, un caffè ed una sbirciatina al computer ed ai cataloghi, abbiamo iniziato a sfogliare il suo archivio, veramente grande. Tanto grande che ci si poteva facilmente perdere, divagando pericolosamente tra ricordi, aneddoti e situazioni belle da raccontare, ma assai poco pratiche rispetto all’obiettivo che ci eravamo proposti. “Occhi chini e manu vacanti”, giravamo a vuoto, con gli occhi pieni di colori e forme, ma senza riuscire a tradurre ciò in un’idea concreta.

Poi siamo finiti dentro un album di foto con elicotteri, uomini in divisa, lave aggressive e profili affilati. Erano gli scatti che documentavano l’eruzione dell’Etna del 1991-1993 e subito abbiamo capito che quello era l’argomento giusto. Il “nostro” argomento.

Lo sentivamo nostro perché è stata una eruzione grande, impetuosa, violenta, ed eravamo entrambi abbastanza giovani da non avere mai avuto occasione di confrontarci prima con qualcosa di simile. E così abbiamo iniziato a selezionare le fotografie, molte delle quali erano diapositive, provando a dare un senso cronologico, ed anche emotivo, agli avvenimenti. Un lavoro di selezione, restauro e digitalizzazione del materiale tutto sommato non troppo difficile, anche se lungo e comunque complesso.

Poi, però, bisognava dare un senso a tutto questo lavoro. Occorreva trovare una forma, un mezzo, che fosse capace di utilizzare quel materiale rendendolo vivo ed attuale.

Ci ho pensato sopra un po’ e poi mi sono detto: è stato un evento eccezionale, per me così come per tutti coloro che hanno vissuto in prima persona quegli eventi. Non devo fare altro che raccontarli con i miei occhi di allora, tirando dentro emozioni stratificate nel mio animo ed apparentemente dimenticate. Quelle emozioni tornavano prepotenti alla mente esaminando panorami di lava immensa e violenta, scrutando i volti di persone care che non ci sono più, ammirando l’abilità tecnica e politica di grandi professionisti. Si può fare, dovevo solo riuscire a tornare un po’ il ragazzo che ero allora, con l’intero, inevitabile bagaglio di ingenuità ed entusiasmo.

L’entusiasmo ce l’ho ancora.

Il resto è venuto da sé, in modo naturale e veloce. Il libro Etna, il Nemico Sbagliato edito da EtaBeta, racconta di questa grande eruzione, ma non solo. Nel corso della sua progressione, la colata lavica ha attraversato luoghi stupendi come il Piano del Trifoglietto, il Salto della Giumenta, Monte Calanna e l’omonima valle, fino a superare Portella Calanna nelle ore più drammatiche, quando Zafferana Etnea sembrava ormai persa. Tutti questi luoghi sono raccontati anche per quello che rappresentano dal punto di vista geologico, ma senza entrare troppo nel tecnico.

L’eruzione, poi, con le azioni di contenimento e di deviazione della colata lavica che hanno, di fatto, salvato Zafferana Etnea, si presta a molteplici considerazioni, spesso di segno opposto. C’è chi l’ha vissuta come una sfida vinta e chi l’ha subita come un incubo angosciante. Chi l’ha vista come un successo tecnico-scientifico clamoroso e chi, al contrario, ha raccontato quei successi come avvenuti per intercessione divina. E non sono mancati, come accade ancora oggi, improvvisati “vulcanologi” dell’ultima ora sempre pronti alla critica feroce e un po’ gratuita.

Non mi permetto di giudicare. Esistono spazi in cui il diritto di critica è sacrosanto e ciò va tutelato. Quello che non dovrebbe mai mancare, però, è l’equilibrio, l’onestà intellettuale, l’empatia verso chi soffre così come verso chi è chiamato a rispondere e ad assumere decisioni immediate che implicano responsabilità enormi, forti principalmente della propria competenza tecnica e scientifica.

Di certo, bisognerebbe smetterla di vedere il vulcano come un nemico da combattere. Se da un lato la deviazione della colata lavica è stata un evidente successo, dall’altro ho l’impressione che, da quel momento in poi, si è progressivamente affermata nelle popolazioni etnee l’idea che il vulcano si possa “combattere” e “vincere”, piegandolo alle esigenze degli uomini. In realtà, gli interventi di contenimento e deviazione delle lave eseguiti nel 1992 furono possibili perché si aveva la ragionevole certezza che le colate deviate non avrebbero invaso altri territori urbanizzati, e che avrebbero ricoperto un’area confinata dentro la Valle del Bove. In qualunque altro luogo esterno alla valle, una deviazione simile avrebbe innescato contenziosi legali enormi.

L’unica cosa che possiamo intelligentemente fare è evitare di espandere i centri abitati a ridosso delle quote medio-alte del vulcano, le più esposte all’invasione di future colate laviche. Senza, mai dimenticare, comunque, che viviamo sulle falde di uno dei vulcani più attivi al mondo e che, quindi, non sarebbe certo strano se un domani neanche troppo lontano dovessero ripetersi eruzioni simili, se non peggiori, a quella del 1991-1993.

D’altra parte, l’Etna esiste da mezzo milione di anni, mentre l’uomo, forse, calpesta le sue pendici da appena qualche millennio. Quindi, chi è il padrone di casa?

Il libro “Etna, il Nemico Sbagliato”, si può acquistare qui:

https://www.etabeta-ps.com/scheda-libro/marco-neri/etna-il-nemico-sbagliato-979-12-5968-636-7-1490.html?fbclid=IwAR3Xt_kbtIxtgmwqIBgwqewvPUh990Ad8dThnH9dtHat6MjdND8T2QyIfis

Con il titolo: la copertina del nuovo libro di Marco Neri, con le foto di Alfio Amantia (nella gallery)

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Scuola: le proteste del settimo anno https://ilvulcanico.it/scuola-le-proteste-del-settimo-anno/ Mon, 30 May 2022 11:23:32 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=21821 di Maurizio Muraglia* Scioperare per protestare. La scuola lavora ogni giorno, e a ondate eleva il suo grido di dolore. Nel 2008 contro Gelmini, nel 2015 contro Renzi, nel 2022 contro Draghi. Ogni sette anni. Solo nel primo caso si trattava di una ministra e non di un presidente del consiglio. Infatti negli ultimi due […]

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di Maurizio Muraglia*

Scioperare per protestare. La scuola lavora ogni giorno, e a ondate eleva il suo grido di dolore. Nel 2008 contro Gelmini, nel 2015 contro Renzi, nel 2022 contro Draghi. Ogni sette anni. Solo nel primo caso si trattava di una ministra e non di un presidente del consiglio. Infatti negli ultimi due casi i ministri sono soltanto dei passacarte. Lo era per la verità anche Gelmini, in relazione a Berlusconi-Tremonti, ma chissà perché ci ricordiamo di Gelmini.

Scioperare è cosa buona e giusta, è un atto di democrazia. Il sindacato fa la sua parte, ed anche questa è cosa buona e giusta. Niente è fuori posto. Ma la politica non può cambiare, e se cambia cambia perché lo aveva messo in conto prima delle proteste e farà finta di averle ascoltate. Come ha fatto Bianchi quando ha tolto la seconda prova della maturità al ministero, ne ridusse il punteggio e la concesse alle commissioni. Pacca sulla spalla dei protestanti. Metodo semplice: scrivo il peggio, faccio protestare e poi arrivo dove volevo.

La politica scolastica degli ultimi vent’anni è figlia della saldatura tra politici e ventre molle popolare che di istruzione non gliene frega nulla. Lo stesso ventre molle che sostiene partiti populisti cui a loro volta della scuola non importa anche perché i loro massimi rappresentanti ne hanno fatto pochina. E si vede quando parlano. I partiti non populisti si costernano, si indignano, si impegnano poi gettano la spugna con gran dignità perché anche loro non sanno che pesci prendere e pur di stare al governo mangiano qualsiasi minestra, compresa quest’ultima inserita nel PNRR.

Le ragioni della protesta nel 2008, nel 2015 e nel 2022 sono diverse: tagli orizzontali feroci e riordino classista (2008), Buona scuola (2015) e adesso PNRR, ma se vai a guardare attentamente non manca la continuità: trattamento economico straccione, tagli alla spesa per la scuola, ambiguità delle politiche per il reclutamento. Attorno a questi tre tronchi irrisolti si avvolgono come rampicanti questioni via via emergenti, dall’alternanza scuola lavoro, al tentativo di differenziare le carriere, ai vari bonus premiali, alla formazione in servizio legata al salario e via discorrendo. I sindacati vengono riveriti a parole, ma la loro rilevanza, come quella delle associazioni professionali, in viale Trastevere è nulla. E certamente non è una bella notizia.

Ma la vera continuità sta ancora più a monte delle continuità, e sta nell’imbarbarimento progressivo della società (in)civile, che di cultura, educazione, apprendimento non sa più che farsene dal momento che ormai innalza altari alle nuove élites chiamate influencer e parcheggia i ragazzini a scuola per strappare un pezzo di carta come che sia. Una politica seria dovrebbe far crescere la società piuttosto che rispecchiarla. Invece sembra non siano più concepibili governi che non siano espressione di questa società che di sociale ormai ha soltanto i social. Né potevano cambiare la musica l’ammucchiata emergenziale di questo governo e l’attuale ministro “affettuoso”, che di affettuoso ha soltanto il modo di maneggiare il celebre ombrello di Altan (per i più giovani consultare Google digitando ombrello Cipputi).

*Insegnante presso Liceo Europeo Maria Adelaide di Palermo

Con il titolo e dentro l’articolo: la manifestazione del 30 maggio 2022 a Palermo (foto di Laura Mollica)

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Scuola, riflettori spenti. Ma l’iceberg della protesta è più importante della punta https://ilvulcanico.it/scuola-riflettori-spenti-ma-liceberg-della-protesta-e-piu-importante-della-punta/ Tue, 01 Mar 2022 16:53:16 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=21216 di Maurizio Muraglia* Sulle proteste degli studenti si sono spenti i riflettori. Da un lato l’irrompere sulla scena mediatica del conflitto russo-ucraino, dall’altro la sostanziale alzata di spalle, con qualche parola consolatoria, da parte degli ambienti ministeriali, hanno fatalmente rimesso un velo di irrilevanza sulle rivendicazioni studentesche, le cui ragioni però restano tutte, anche a […]

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di Maurizio Muraglia*

Sulle proteste degli studenti si sono spenti i riflettori. Da un lato l’irrompere sulla scena mediatica del conflitto russo-ucraino, dall’altro la sostanziale alzata di spalle, con qualche parola consolatoria, da parte degli ambienti ministeriali, hanno fatalmente rimesso un velo di irrilevanza sulle rivendicazioni studentesche, le cui ragioni però restano tutte, anche a riflettori spenti.

Nei cortei di qualche settimana fa, la protesta riguardava i percorsi ex alternanza scuola-lavoro – che oggi si chiamano Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento – e l’impianto del prossimo Esame di Stato, terzo in regime di pandemia. Le occasioni per scendere in piazza erano state essenzialmente due: la morte di Lorenzo Parelli nell’ultimo giorno di stage e l’intenzione del ministro di reintrodurre il secondo scritto.

Lorenzo Parelli, lo studente morto il 21 gennaio 2022 a 18 anni mentre svolgeva un apprendistato previsto dal suo percorso di studi.

Quando gli studenti si mobilitano, in genere, si ha sempre la sensazione che la loro misura sia colma di molto altro e che le motivazioni occasionali, pur serissime, assumano la funzione della classica goccia che fa traboccare il vaso. Per questo sono dell’avviso che l’iceberg sia sempre più importante della sua punta e che il malcontento dei nostri giovani provenga da più lontano. Sarebbe ingeneroso, tuttavia, non recare la dovuta attenzione anche alla punta.

Per quel che riguarda la questione dei famosi Percorsi, non è il decesso dello studente, per quanto dolorosissimo, a far pensare che la volontà della politica di curvare la scuola verso il lavoro provenga da un colossale fraintendimento pedagogico, di cui la scuola è simultaneamente vittima e concausa. Fin dall’introduzione dell’obbligatorietà di questi percorsi, risalente alla Legge 107 del 2015 chiamata “Buona scuola”, da più parti, incluso chi qui scrive, si sono levate voci di dissenso. Il lavoro dello studente consiste nello studiare. Studiare non è azione estranea al mondo, alla realtà, al lavoro. Solo quando studiare vuol dire star ripiegati sui libri per masticare idee posticce e restituirle tali e quali agli insegnanti in attesa di un voto, allora è possibile cominciare a vagheggiare una scuola più aperta alla vita e alla realtà. Ma l’impegno intellettuale esercitato a scuola, se improntato a spirito critico, basta a se stesso e alla realtà che circonda lo studente.

Quando stanno nelle aziende, gli studenti osservano e ascoltano, più o meno annoiati. Talvolta danno una mano. Quei luoghi non sono né scuola né lavoro, quindi non c’è alternanza di nulla. Le famose competenze trasversali potrebbero utilmente essere sviluppate con un insegnamento scolastico altamente rielaborativo e cooperativo, al servizio di seri progetti culturali, in tutti gli ordini di scuola. Ma dentro la scuola. Basterebbe qualche rappresentante del mondo del lavoro che fa visita a scuola per illustrare quel che c’è fuori, con funzione di orientamento postdiploma. Ma prima ancora del tragico fatto di cronaca era già possibile affermare che in mille modi la cultura del lavoro avrebbe potuto essere promossa a scuola senza entrare a gamba tesa sui curricoli scolastici, già erosi da mille progetti e mille tagli.

Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi

La questione dell’Esame di Stato si salda alla prima per il diffuso senso di frustrazione provato dagli studenti in questo ultimo biennio di scombussolamento sanitario e didattico. Hanno percepito nell’iniziativa ministeriale una forma di indifferenza verso il loro disagio ed un interesse precipuo per la loro valutazione. Molto se n’è discusso. Il ministro, tra i più paternalisti e chiusi al dialogo visti negli ultimi anni, ha congedato amabilmente gli studenti promettendo particolare attenzione nella valutazione ed esortandoli a non avere paura perché sono più bravi di quanto non pensino. E pertanto meritano un esame normale. Più paterno di così.

Ma le due questioni, pur sommate, non bastano da sole a scendere in piazza. C’è tanto altro, quello stesso altro che negli ultimi venti anni non è sostanzialmente cambiato e che per un buon decennio ha generato il rituale delle occupazioni. Il problema è che di questo altro non hanno un’idea ben chiara neppure gli studenti, come si vede dal velletarismo confuso delle loro dichiarazioni. Sono scontenti, sono a disagio, sono indignati, sono costernati. Ma poi gettano la spugna con gran dignità. Perché? Perché manca loro un nemico serio. Culturalmente ed educativamente serio.

Quando le forze dell’ordine li hanno picchiati ha fatto male. Ma non li hanno picchiati per le loro idee. Si sono creati disordini magari mal gestiti, ma certamente non era la polizia russa o cinese quella che manganellava. Non ci sono idee represse, ahimé. Il poliziotto esuberante verrà redarguito, ma lo studente è atteso alle idee. Quale visione complessiva della società e del sistema di istruzione è stato portato sotto il naso del ministro Bianchi? Quanto facile è stato per quest’ultimo liquidarsi le rappresentanze con una pacca sulle spalle?

Il problema è che questa generazione non ha davanti a sé una visione lucida e perentoria contro cui combattere. Non ha davanti una dittatura, non ha davanti un modello pedagogico e didattico coerente, non ha davanti adulti autoritari, e neppure tutto sommato un sistema di istruzione radicalmente elitario e selettivo. Non ha niente di tutto questo davanti. Non può coltivare utopie perché per farlo dovrebbe avere davanti a sé interlocutori riconoscibili per un’ideologia insopportabile contro cui lottare. Devono volare basso perché nessuno dà loro torto e nessuno dà loro ragione.

Una manifestazione studentesca del Sessantotto

I ministri sono figure effimere preoccupate di occupare la poltrona per più tempo possibile. I dirigenti scolastici sono troppo preoccupati di evitare i contagi per occuparsi di questioni educative e didattiche. Gli insegnanti cercano di instaurare un dialogo con i ragazzi, ma lo spessore culturale della maggior parte dei docenti in circolazione è opacizzato da preoccupazioni legate a test Invalsi, sicurezza sul lavoro, esamite spinta e burocrazia alle stelle. Stremati anche loro dalla trasformazione della scuola in un gigantesco ufficio disbriga pratiche. Questi ragazzi vorrebbero urlare qualcosa ma hanno due ordini di problemi: identificare il qualcosa ed i destinatari dell’urlo. Viviamo tempi di passioni burocratizzate e pacche sulle spalle. I loro colleghi oggi settantenni che fecero il Sessantotto probabilmente fecero molti errori. Ma a guardare questo spettacolo se li tengono ben stretti.

*Insegnante presso Liceo Europeo Maria Adelaide di Palermo

Con il titolo: un corteo di protesta dopo la morte di Lorenzo Parelli. Le foto dal web 

 

 

 

 

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Leggere Dante con intelletto e amore https://ilvulcanico.it/leggere-dante-con-intelletto-e-amore/ Sat, 15 Jan 2022 06:24:42 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=20942 di Maurizio Muraglia Il titolo del libro che ha rappresentato il contributo mio e di Laura Mollica alla celebrazione dell’anno dantesco – i settecento anni dalla sua morte – può riassumere la prospettiva di questa mia breve riflessione: Dante parla ancora? (Di Girolamo, 2021). Infatti l’interrogativo risulta d’obbligo quando si celebrano autori definiti “classici”: perché […]

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di Maurizio Muraglia

Maurizio Muraglia e Laura Mollica

Il titolo del libro che ha rappresentato il contributo mio e di Laura Mollica alla celebrazione dell’anno dantesco – i settecento anni dalla sua morte – può riassumere la prospettiva di questa mia breve riflessione: Dante parla ancora? (Di Girolamo, 2021). Infatti l’interrogativo risulta d’obbligo quando si celebrano autori definiti “classici”: perché sono tali? Perché hanno la possibilità di parlare ancora? La questione però necessita di una duplice ulteriore articolazione: parlare di che cosa e a chi?

Dante è un intellettuale appartenente a quel che convenzionalmente viene chiamato Medioevo, un’epoca chiaramente molto distante da noi. La distanza è sempre un problema, perché rende possibili avvicinamenti illusori, e spetta ai conoscitori dell’autore fare in modo che l’avvicinamento avvenga senza che venga tradita la storicità, appunto la distanza.

In questo 2021 appena concluso, a fronte di coloro che hanno voluto ricontemplare Dante nella sua medievalità per riproporlo senza grandi preoccupazioni di mediare o attualizzare, tanti hanno chiesto invece a Dante di parlare, come secondo me è giusto che si debba fare con un gigante della cultura. A questo punto torna la domanda iniziale: di che cosa e a chi ?

Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata

Ci sono temi che hanno una loro persistenza. La politica, ad esempio, ma anche la cultura o le emozioni umane. C’è un livello di avvicinamento possibile, a patto che Dante sia intervistato senza perdere di vista la distanza storica. Se si parla di approccio alle istituzioni oppure di desiderio amoroso o ancora di responsabilità individuale o di rapporto con le proprie radici culturali e identitarie, Dante può risultare eloquente anche al lettore di oggi. Un solo esempio: la faziosità politica, l’attitudine all’ideologia e al fanatismo possono essere tratti comuni al tempo di Dante e al nostro. In questo caso Dante potrebbe ancora parlare di qualcosa a qualcuno.

Ma c’è un tratto che rischia di essere sottovalutato. Dante non è principalmente un sociologo, un filosofo o un teologo. È un poeta. E se c’è bisogno di qualcosa a mio giudizio oggi è di poesia, cioè di capacità di rielaborare in profondità i contenuti della vita ordinaria. Dante è capace di trasfigurare il reale in poesia ovvero in immagini, suggestioni, emozioni. Il suo animo non è quello di un freddo ragionatore, ma contiene un incredibile mix, come egli stesso ama dire, di “intelletto e amore”. Il lettore accademico non può capire Dante, e neppure può capirlo il lettore sentimentale. Per far parlare Dante ancora occorre immaginare un’umanità in cui scienza ed emozioni siano perfettamente integrate. Un’umanità realmente umana.

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L’ultima notte de L’Ora con David Sassoli. Il mio ricordo di un uomo speciale https://ilvulcanico.it/lultima-notte-de-lora-con-david-sassoli-il-mio-ricordo-di-un-uomo-speciale/ Tue, 11 Jan 2022 12:20:54 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=20933 di Gaetano Perricone Ho un ricordo personale molto vivo di David Sassoli, giornalista di razza e presidente del Parlamento europeo, che ci ha lasciati sranotte all’1,15 per una grave disfunzione del sistema immunitario. Aveva 65 anni – era nato il 15 maggio del 1956, quindici giorni prima di me – lascia la moglie e due […]

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di Gaetano Perricone
Ho un ricordo personale molto vivo di David Sassoli, giornalista di razza e presidente del Parlamento europeo, che ci ha lasciati sranotte all’1,15 per una grave disfunzione del sistema immunitario. Aveva 65 anni – era nato il 15 maggio del 1956, quindici giorni prima di me – lascia la moglie e due figli, era una magnifica persona, “un orgoglioso italiano” come ha scritto di lui commossa la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen.
David Sassoli e Ursula Von Der Leyen
Un ricordo che ha una data precisa. Era la sera del 7 maggio 1992, poco meno di trent’anni fa, quando David, inviato del Tg3 per la popolare diretta serale della trasmissione Omnibus che quelli della mia generazione ricorderanno bene, venne nella redazione del giornale L’Ora a Palermo, nella via che oggi porta lo stesso nome. Il giorno dopo, quell’8 maggio del 1992 che per noi ragazzi dell’Ora resta un giorno scolpito nella mente e nel cuore, sarebbe uscito l’ultimo numero del giornale con quel titolo enorme e tristissimo: Arrivederci. David Sassoli provò a raccontare all’Italia cosa stava succedendo in quel piccolo ma grandissimo e glorioso giornale famoso nel mondo per le sue battaglie antimafia e perché la proprietà legata al PDS aveva deciso di chiuderlo poche settimane prima delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Lo fece con la ben nota grandissima professionalità, ma anche con altrettanto garbo e gentilezza, un suo tratto distintivo, e con solidarietà nei nostri confronti. Intervistò tra gli altri anche me, allora componente del Comitato di redazione: fui duro con la proprietà, forse lo misi in difficoltà, ma mi ringraziò, parlammo un po’ della vicenda L’Ora ma anche di noi, colleghi quasi gemelli, lui era venuto al mondo solo 15 giorni prima di me. Un ricordo che adesso mi commuove.
L’ultimo twitt del presidente del Parlamento Europeo, che stamattina viene pianto non solo dalle istituzioni dell’Unione, del nostro Paese, del giornalismo non solo italiano, da tantissima gente che aveva imparato ad apprezzarlo, è stato ieri per la collega Silvia Tortora, donna straordinaria che condusse una grande battaglia per la verità e la giustizia per suo papà Enzo, morta a soli 59 anni dopo una lunga malattia. Eccolo: “@DavidSassoli. Il mio cordoglio per la prematura scomparsa di Silvia Tortora. Una vita spesa per il garantismo, per la memoria del padre #Enzo vittima di malagiustizia, per un Paese più maturo e più civile”. Atroce, incredibilmente atroce il destino che ci ha strappato nel giro di 24 ore due persone grandi e speciali, che mai dimenticheremo.
Un ultimo pensiero: David Sassoli avrebbe potuto essere un grande presidente della Repubblica, degnissimo successore di Sergio Mattarella. Era preparatissimo, aveva grande esperienza nella politica e nelle istituzioni ai massimi livelli, un europeista convinto che arrivò ai vertici del Parlamento europeo, era una persona estremamente gentile e umana, piaceva tanto agli italiani al di là delle appartenenze come dimostra l’enorme cordoglio di queste ore. La vita, purtroppo, gli ha riservato altro. Che riposi in pace.

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Guide e ricercatori dell’Etna insieme per la sicurezza sul vulcano. Ciao Salvo, sarai con noi per sempre https://ilvulcanico.it/guide-e-ricercatori-delletna-insieme-per-la-sicurezza-sul-vulcano-ciao-salvo-sarai-con-noi-per-sempre/ Wed, 01 Dec 2021 05:42:04 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=20602 di Vincenzo Greco Sull’Etna, il nostro vulcano Patrimonio naturale dell’Umanità, il rapporto tra le guide e i ricercatori affonda le proprie radici in un mondo intriso di storia. Una storia antica ed affascinate, basata su una stretta collaborazione che ha contribuito ad ottenere i risultati che abbiamo oggi. Tutto ebbe inizio da Mario Gemmellaro (naturalista e geologo […]

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di Vincenzo Greco

Sull’Etna, il nostro vulcano Patrimonio naturale dell’Umanità, il rapporto tra le guide e i ricercatori affonda le proprie radici in un mondo intriso di storia. Una storia antica ed affascinate, basata su una stretta collaborazione che ha contribuito ad ottenere i risultati che abbiamo oggi.

Tutto ebbe inizio da Mario Gemmellaro (naturalista e geologo italiano di Nicolosi), che nel 1804, oltre a promuovere la costruzione in prossimità delle colate dell’eruzione del 1787 un rifugio di piccole dimensioni a quota 2940 mt. chiamato La Gratissima e successivamente la così detta Casa degli Inglesi o Casa Gemmellaro, primo Osservatorio Scientifico ad alta quota nel mondo, fu il primo ad organizzare ufficialmente il gruppo di Guide e Mulattieri dell’Etna. Saldo resta il ricordo delle vecchie guide del vulcano dirette discendenti dell’organizzazione di Gemmellaro, che hanno posto le basi dell’accompagnamento sull’Etna: da Antonio Contarino (Capo guida del gruppo delle Guide Etnee) a Salvatore Carbonaro (Capo guida del gruppo guide dei Monti Rossi), a Alfio, Giuseppe e Vincenzo Barbagallo, fino ai recenti Antonio Nicoloso, Turi Carbonaro e Alfio Ponte che ricordo, sul versante Sud del vulcano. E Tommaso Samperi, il Cav. Romeo, il Cav. Carmelo Greco, Luigi Patanè, Alfio Melita, Santo Lamari, Vincenzo Greco mio nonno (Capo guida), Franco Lo Coco, Franco Emmi, Domenico Domanti e Salvatore Ragonese sul versante Nord. Tutte grandi figure, personaggi importanti della storia dell’Etna che hanno sostenuto, collaborato e garantito un aiuto di estremo rilievo alla comunità scientifica nazionale ed internazionale.

Le guide Vincenzo Greco e Franco Lo Coco sull’Etna con Fanfan Le Guern

Oggi come in passato vista la spettacolarità e l’unicità dei fenomeni eruttivi etnei che alimentano il fascino e la curiosità dei visitatori è utile e fondamentale affidarsi a veri conoscitori del territorio e delle sue insidie. La guida rappresenta la “sentinella della Montagna“, colui che vive con passione il vulcano, che possiede un’esperienza importante maturata al seguito di una costante e continua frequenza del territorio. La ricerca, lì dove gli strumenti non arrivano, si avvale spesso dell’aiuto e dell’esperienza delle guide, come riferimento strettamente legato agli umori dell’Etna.

Sappiamo bene come il vulcano sia cambiato di recente a causa dei fenomeni parossistici prodotti frequentemente nel 2021. Io personalmente ho avuto modo di raccogliere i prodotti delle recenti attività sia per ricavare dati per i miei studi personali, sia per contribuire alle analisi e allo studio dei prodotti eruttivi all’Università e all’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Catania. Il 21 giugno 2021 abbiamo eseguito una campagna di campionamenti insieme al caro amico vulcanologo Boris Behncke da quota 2750 mt a quota 3000 mt sul versante Sud, che ha portato al rilevamento dì prodotti eruttivi di natura piroclastica (scorie e bombe vulcaniche) di diverse dimensioni, attraverso il quale è stato possibile calcolare la pericolosità dei proietti di ricaduta, tramite le caratteristiche fisico-morfologiche degli stessi, in accordo con la direzione e l’intensità dei venti, tenendo ovviamente presente l’energia eruttiva del fenomeno vulcanico in corso. Sono state inoltre campionate anche le colate di lava, prodotte dal parossismo al Cratere dì Sud Est del 21 giugno 2021, il 23esimo dal 13 dicembre 2020 e il 19esimo della serie iniziata il 16 febbraio 2021.

Vincenzo Greco e Boris Behncke sul vulcano il 21 giugno 2021

L’avvicinamento al teatro eruttivo è avvenuto attraverso un costante interscambio di opinioni e pensieri reciproci, ricavati dall’esperienza personale accresciuta nel corso dei giorni e delle ore spese a stretto contatto con fenomeni di questo tipo, mettendo in chiaro possibili e probabili scenari pericolosi per la nostra incolumità, in caso di repentini cambi dell’attività eruttiva. Qui ci si accorge dei limiti dell’essere umano che ha bisogno di riconoscere la propria fragilità, in un luogo che grazie alle attività sommitali del Cratere dì Sud Est ha subito estremi cambiamenti in un arco di tempo estremamente breve.

Questo ambiente consente di capire quanto sia importante affidare il proprio essere alla conoscenza legata al contatto stretto con i fenomeni in gioco, interpretandoli attraverso le conoscenze di chi lo vive e lo vede cambiare giornalmente sotto i propri piedi in costante sinergia con coloro che invece lo studiano e lo monitorano. Solo così si può ottenere una combinazione perfetta tra esperienza e scienza, che racchiude dentro di sé il grande potere di legare il passato con il presente.

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Quando è successa la terribile tragedia in Valle del Bove, che è costata la vita a Salvo Laudani, avevo già scritto questo articolo e lo avevo inviato a Gaetano e al Vulcanico. Sento di aggiungere un pensiero per la tragica scomparsa di questo figlio dell’Etna, un appassionato come tanti, esperto volontario del CNSAS, che ha perso la vita durante le operazioni di soccorso di un escursionista infortunato. Personalmente, venuto a conoscenza che l’intervento non si era concluso, tra l’altro in una condizione climatica complessa che può facilmente determinare problemi psico – fisici non indifferenti specie se si è esposti a lungo a temperature al dì sotto dello zero, mi sono recato sul posto prestando aiuto, così come già stavano facendo altri colleghi impegnati da ore, sia Guide Alpine che Vulcanologiche come Giuseppe Barbagallo (Peppe Kona), in supporto alle squadre di soccorritori.

L’unione dì più forze è di certo un’arma vincente, in questo caso le competenze tecnico – pratiche dei soccorritori (della Guardia dì Finanza e del CNSAS) unite all’esperienza e alla conoscenza capillare del territorio delle guide, hanno ridotto il rischio che la situazione prendesse una piega ben più grave, specie in condizioni di assenza di visibilità. La figura della guida non esiste soltanto per accompagnare i turisti in quota, ma è strettamente legata ai rischi dell’ambiente montano o vulcanico nel quale lavora. Siamo e saremo sempre pronti a prestare il nostro servizio e le nostre conoscenze, al fianco di tutti gli organi di soccorso e di Protezione Civile in caso di emergenza, al fine di mitigare quanto più possibile i rischi.

Mi stringo al grande dolore della famiglia, con nel cuore la rabbia di non aver potuto dire: “ce l’abbiamo fatta”… Ciao caro Salvo sono sicuro che sarai con noi sempre, specie tutte le volte che saremo sulla montagna che anche tu tanto amavi…

Con il titolo: escursione al cratere Centrale dell’Etna del 23 agosto 1956 (foto archivio Vincenzo Greco, guida alpina). Nella gallery, le foto del sopralluogo di Vincenzo Greco e Boris Behncke sul Cratere di Sud Est il 21 giugno 2021

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