di Maurizio Muraglia

Maurizio Muraglia e Laura Mollica

Il titolo del libro che ha rappresentato il contributo mio e di Laura Mollica alla celebrazione dell’anno dantesco – i settecento anni dalla sua morte – può riassumere la prospettiva di questa mia breve riflessione: Dante parla ancora? (Di Girolamo, 2021). Infatti l’interrogativo risulta d’obbligo quando si celebrano autori definiti “classici”: perché sono tali? Perché hanno la possibilità di parlare ancora? La questione però necessita di una duplice ulteriore articolazione: parlare di che cosa e a chi?

Dante è un intellettuale appartenente a quel che convenzionalmente viene chiamato Medioevo, un’epoca chiaramente molto distante da noi. La distanza è sempre un problema, perché rende possibili avvicinamenti illusori, e spetta ai conoscitori dell’autore fare in modo che l’avvicinamento avvenga senza che venga tradita la storicità, appunto la distanza.

In questo 2021 appena concluso, a fronte di coloro che hanno voluto ricontemplare Dante nella sua medievalità per riproporlo senza grandi preoccupazioni di mediare o attualizzare, tanti hanno chiesto invece a Dante di parlare, come secondo me è giusto che si debba fare con un gigante della cultura. A questo punto torna la domanda iniziale: di che cosa e a chi ?

Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata

Ci sono temi che hanno una loro persistenza. La politica, ad esempio, ma anche la cultura o le emozioni umane. C’è un livello di avvicinamento possibile, a patto che Dante sia intervistato senza perdere di vista la distanza storica. Se si parla di approccio alle istituzioni oppure di desiderio amoroso o ancora di responsabilità individuale o di rapporto con le proprie radici culturali e identitarie, Dante può risultare eloquente anche al lettore di oggi. Un solo esempio: la faziosità politica, l’attitudine all’ideologia e al fanatismo possono essere tratti comuni al tempo di Dante e al nostro. In questo caso Dante potrebbe ancora parlare di qualcosa a qualcuno.

Ma c’è un tratto che rischia di essere sottovalutato. Dante non è principalmente un sociologo, un filosofo o un teologo. È un poeta. E se c’è bisogno di qualcosa a mio giudizio oggi è di poesia, cioè di capacità di rielaborare in profondità i contenuti della vita ordinaria. Dante è capace di trasfigurare il reale in poesia ovvero in immagini, suggestioni, emozioni. Il suo animo non è quello di un freddo ragionatore, ma contiene un incredibile mix, come egli stesso ama dire, di “intelletto e amore”. Il lettore accademico non può capire Dante, e neppure può capirlo il lettore sentimentale. Per far parlare Dante ancora occorre immaginare un’umanità in cui scienza ed emozioni siano perfettamente integrate. Un’umanità realmente umana.

Maurizio Muraglia

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