cinema Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/cinema/ Il Blog di Gaetano Perricone Tue, 27 Feb 2024 09:04:19 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 La zona d’interesse: la normalità dell’orrore dietro quel muro, che fingiamo di ignorare https://ilvulcanico.it/la-zona-dinteresse-la-normalita-dellorrore-dietro-quel-muro-che-fingiamo-di-ignorare/ Tue, 27 Feb 2024 08:52:18 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24734 di Antonella De Francesco La zona di interesse di Jonathan Glazer è un film difficile da vedere ma che va visto. Già premiato al Festival di Cannes 2023 con il Premio Speciale della Giuria, è uno dei 5 migliori film dell’anno secondo il National Board of Review ed è candidato a 5 premi Oscar. Il […]

L'articolo La zona d’interesse: la normalità dell’orrore dietro quel muro, che fingiamo di ignorare proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
La zona di interesse di Jonathan Glazer è un film difficile da vedere ma che va visto.
Già premiato al Festival di Cannes 2023 con il Premio Speciale della Giuria, è uno dei 5 migliori film dell’anno secondo il National Board of Review ed è candidato a 5 premi Oscar. Il film, tratto dall’omonimo libro di Martin Amis, che non ho letto, per cui non posso valutare quanto gli sia fedele, narra la storia del comandante di Auschwitz Rudolf Höß e sua moglie Hedwig che realizzarono il loro sogno di una vita con una famiglia numerosa, una casa e un grande giardino in un terreno direttamente adiacente al muro del campo di Auschwitz.
Ci sono tanti pregevoli film sull’olocausto ma il punto di vista di Glazer è nuovo e geniale. L’orrore pervade l’intera pellicola dall’inizio alla fine ma non si vede, piuttosto si sente e nel sentirlo ciascuno spettatore ricostruisce le immagini che ben conosce dalla storia nella sua mente, interiorizzandole ancora di più. La famiglia di Höb si muove in una sorta di grande fratello che la osserva da lontano senza mai un primo piano, perché il regista non perde mai di vista quel muro e le riprese a tutto campo di fiori e di morte gli sono necessarie.
La famiglia vive e convive con latrati di cani, spari nella notte, urla strazianti senza mai distogliersi dal suo fare quotidiano e lo stupore per tanta normalità travalica ogni ragionevolezza e li condanna più di quanto potrebbero fare 1000 immagini di morte. Nessuno di loro si chiede cosa accada oltre quel muro perché lo sa già, pur non essendone turbato. La fabbrica di morte non li distoglie dai loro affetti familiari: un cane, i cavalli, i fiori concimati con i resti dei forni crematori. Accettano doni appartenuti a chi forse è già morto proprio dietro quel muro o sta per farlo nel buio della notte. E lo spettatore resta impietrito davanti a quei magnifici fiori coltivati con cura mentre pennacchi di fumo nero si levano sul cielo limpido che a volte si fa schermo rosso sulle note del sottofondo musicale perfetto di Mica Levi, di rintocchi metallici e rumori ovattati che scandiscono l’orrore.
Un’opera immensa sulla perdita di umanità e sulla banalità del male, ma anche sulla vicinanza di certi orrori che si compiono a poca distanza da noi e che tutti fingiamo di ignorare, intenti e assorbiti dalla nostra quotidianità. In un mondo che ipocritamente censura le immagini violente, Glazer ci fa rivivere tutto l’orrore della Shoah senza immagini e ci esorta a svegliare le nostre coscienze dal torpore di questi tempi, a non voltarci dall’altro lato e ad ascoltare le atrocità che si compiono tutti i giorni ad un passo dalle nostre stesse esistenze . Da non perdere !

L'articolo La zona d’interesse: la normalità dell’orrore dietro quel muro, che fingiamo di ignorare proviene da Il Vulcanico.

]]>
Past Lives, quelle vite passate che sono sempre presenti https://ilvulcanico.it/past-lives-quelle-vite-passate-che-sono-sempre-presenti/ Sun, 25 Feb 2024 10:41:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24724 di Antonella De Francesco Ci sarà capitato di vedere tre persone accanto e interrogarci su chi siano e quale sia il legame tra loro. Prende le mosse da qui il film Past Lives, esordio ( autobiografico) in cabina di regia della drammaturga sudcoreana (naturalizzata canadese e residente a New York) Celine Song. Un film sul […]

L'articolo Past Lives, quelle vite passate che sono sempre presenti proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Ci sarà capitato di vedere tre persone accanto e interrogarci su chi siano e quale sia il legame tra loro. Prende le mosse da qui il film Past Lives, esordio ( autobiografico) in cabina di regia della drammaturga sudcoreana (naturalizzata canadese e residente a New York) Celine Song.
Un film sul “sé” e sulle infinite possibilità che la vita ci offre e quelle che rendiamo reali tralasciando le altre. Un film su quello che resta dei rapporti profondi anche dopo, quando la vita ci ha portato altrove, dove mai avremmo pensato di arrivare. Un film sulle “seconde generazioni” che hanno dovuto, per scelta dei genitori, imparare a vivere altrove, sacrificando i propri legami e sotterrando le proprie radici .
Attraverso gli sguardi tutti e tre i protagonisti esprimono passioni, paure, gelosie, sempre in bilico tra passato e presente e senza futuro, perché quello resta un mistero. Ci sono storie che non finiscono mai, almeno dentro di noi. Che rimandano sempre una eco malinconica di chi eravamo, che, pur non impedendoci di vivere il presente, perché ciò che non è stato non poteva essere, condizionano la nostra esistenza.
A nulla vale dirsi “è finita” con le parole e con la distanza, sottraendoci il più possibile alla vista dell’altro. Malgrado i nostri sforzi nulla basta a interrompere quel flusso di emozioni che scorre libero dentro di noi. Persino il compagno che oggi amiamo non potrà mai colmare quella dolce nostalgia, quel pensiero intermittente rivolto a ciò che non è stato o che è stato ma non è più. Perché in quegli occhi resteremo per sempre quelli di un tempo, lì saremo sempre “ riconosciuti”, lì non avremo bisogno di parole, lì toccheremo l’altro senza sfiorarlo, lì troveremo la perfetta armonia di un istante o forse di tutta la vita .
Vale la pena tornare a cercarsi? Rivedersi ? Servirà a lenire la mancanza o piuttosto l’acuirà rendendola insopportabile ? Ognuno decida per sé e nessuno si permetta di dispensare consigli, perché non esiste una ricetta ma c’è un destino che si compie tutti i giorni e al quale nessuno può sottrarsi. Hae Sung e Nora sanno che in fondo non si lasceranno mai, neanche dopo il loro struggente addio e lo sa anche Arthur, il nuovo compagno di Nora perché bisogna avere l’umiltà di accettare che il passato permanga dentro di noi.
Da vedere, consigliato ai nostalgici

L'articolo Past Lives, quelle vite passate che sono sempre presenti proviene da Il Vulcanico.

]]>
Quei “Perfect Days” di un uomo qualunque, la sublime perfezione dell’adesso https://ilvulcanico.it/quei-perfect-days-di-un-uomo-qualunque-la-sublime-perfezione-delladesso/ Mon, 05 Feb 2024 06:25:40 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24670 di Antonella De Francesco Disponetevi all’attenta osservazione dei particolari, dei gesti quotidiani come rituali. Preparatevi al pensiero lento che ne scaturirà e apprezzerete Perfect days di Wim Wenders, più che legittimamente candidato all’Oscar 2024 insieme a Io capitano di Matteo Garrone. Da diverse angolazioni vi verrà presentata la vita di un uomo qualunque, Hirayama, magistralmente interpretato […]

L'articolo Quei “Perfect Days” di un uomo qualunque, la sublime perfezione dell’adesso proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Disponetevi all’attenta osservazione dei particolari, dei gesti quotidiani come rituali. Preparatevi al pensiero lento che ne scaturirà e apprezzerete Perfect days di Wim Wenders, più che legittimamente candidato all’Oscar 2024 insieme a Io capitano di Matteo Garrone.
Da diverse angolazioni vi verrà presentata la vita di un uomo qualunque, Hirayama, magistralmente interpretato da Kôji Yakusho (la storia è ambientata a Tokyo) e attraverso la ritualità dei suoi gesti quotidiani, descritti dal regista con grande meticolosità e da angolazioni diverse, capirete che in ogni vita non esiste mai un giorno identico all’altro e che, a ben guardare, esistono tanti giorni perfetti, scanditi, come da un metronomo, dalla loro stessa normalità mai banale e sempre ricca di dignità e di sorprese. Una lezione su come riconoscere i giorni perfetti, che per Wim Wenders sono quelli in cui regna l’armonia, quelli che sapremo vivere con dignità, quelli in cui ci accorgeremo delle piccole cose, quelli in cui le ombre rimarranno confinate e serviranno a mettere in risalto la luce.
Primi piani del protagonista alternati a scorci di una città infinita e tecnologicamente avanzata che parlano di solitudine, ma mai di disperazione, piuttosto di scelte di vita consapevoli. Hirayama ha lasciato andare tutto ciò che pesa. Di notte sogna quel che ha vissuto di giorno e non aspetta il futuro perché vive l’hic et nunc. Non c’è monotonia nella sua vita semplice perché lui è un attento osservatore del mondo esterno, coglie l’attimo con la sua macchina fotografica e ne scorge ogni minimo mutamento. Il suo respiro al mattino, quella boccata d’aria fresca prima di cominciare, è un inno alla vita: è lì che il protagonista ogni giorno sutura tutte le sue ferite interiori e rivolge a noi l’invito a fare lo stesso.
Sulle note di una magnifica colonna sonora con brani di Lou Reed, Van Morrison e Patti Smith, il protagonista assapora la sua quotidianità e si bea della luce, della pioggia, di un saluto, di un sorriso, di un buon libro letto a notte tarda prima di spegnere la luce e i pensieri. Non gli serve l’orologio al polso nei giorni di lavoro, ma lo porta con se la domenica, perché soltanto in quel giorno il tempo è veramente suo! La sua filosofia di vita sovverte il nostro modo di vivere caotico, distratto e veloce. La sua dignità è disarmante al pari della cura che mette in tutto quello che fa. La sua quotidianità parla di stabilità, quella che a noi manca .
Impariamo da Hiramaya a riconoscere i giorni perfetti e ad apprezzare la pienezza della nostra vita. Perfect days è un sublime film sull’adesso perché “Adesso è adesso”!

L'articolo Quei “Perfect Days” di un uomo qualunque, la sublime perfezione dell’adesso proviene da Il Vulcanico.

]]>
Quelle Povere creature libere, spregiudicate, irriverenti https://ilvulcanico.it/quelle-povere-creature-libere-spregiudicate-irriverenti/ Sun, 28 Jan 2024 17:42:17 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24655 di Antonella De Francesco È molto difficile parlare di un capolavoro come Povere creature di Yorgos Lanthimos, giustamente vincitore del Leone D’Oro al Festival di Venezia, premiato al Golden Globe per miglior film e migliore attrice protagonista (Emma Stone) e candidato con 11 nomination all’Oscar 2024. Chi conosce un po’ il regista ( tra i […]

L'articolo Quelle Povere creature libere, spregiudicate, irriverenti proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
È molto difficile parlare di un capolavoro come Povere creature di Yorgos Lanthimos, giustamente vincitore del Leone D’Oro al Festival di Venezia, premiato al Golden Globe per miglior film e migliore attrice protagonista (Emma Stone) e candidato con 11 nomination all’Oscar 2024.
Chi conosce un po’ il regista ( tra i suoi film The Lobster, La favorita) sa bene che è un regista poco convenzionale. Si tratta di una commedia assolutamente geniale in stile weird, tratta dall’omonimo romanzo del 1992 di Alasdair Gray, che racconta l’evoluzione di una giovane donna, Bella Baxter, riportata in vita da uno scienziato pazzo, Godwin (Willem Dafoe) che impianta il cervello di un neonato (il suo stesso figlio) nel suo corpo. La storia, ambientata in un’atmosfera assolutamente onirica tra Londra, Lisbona e Parigi, è rappresentata e recitata in modo ineccepibile .
Si tratta di un film denso di immagini, di contenuti, di rimandi dotti alla filosofia e di citazioni che travolge lo spettatore senza lasciargli scampo. Si sorride e si riflette e se ne esce inebriati, increduli, storditi, anche. Non ho letto il libro e non so quanto il film vi sia fedele, ma rappresentare in modo così irriverente l’evoluzione femminile di una mente bambina in un corpo adulto, secondo le fasi evolutive di Freud, seguire passo dopo passo la conquista della sua libertà senza alcun condizionamento sociale e morale fino alla scoperta della sessualità  davanti agli occhi rapiti degli uomini che però non sono in grado di fare i conti con tanta spudorata libertà senza confini, è assolutamente geniale!
Si, perché Bella Baxter mantiene il candore spregiudicato dei bambini in tutto quello che fa, attraverso i suoi occhi passa tutta l’innocenza e tutto il peccato, passa la sottomissione, la ribellione, la voglia di emancipazione e perfino la mercificazione del corpo femminile. Bella Baxter ride come una bambina e con la stessa ingenuità soffre quando scopre la povertà, la cattiveria e il dolore del mondo. Un monito agli uomini a non sottovalutare perfino le donne a prima vista più ingenue? La celebrazione della femminilità e del suo eterno potere di seduzione? La difesa del femminismo? La dimostrazione che le donne, non me ne vogliano gli uomini, sfuggono al loro controllo perché sono mentalmente più “libere”? Qualche allusione al tema dell’intelligenza artificiale, tanto in voga al momento? Ci troverete tutto questo oppure niente del genere o molto altro secondo la prospettiva con cui vi porrete davanti al grande schermo. In ogni caso non potrete rimanere indifferenti a questo concentrato potentissimo di irriverente e travolgente vitalità, un bagno ipnotico di surrealismo e di iperrealismo.
Da menzionare oltre agli attori tutti eccellenti, la fotografia di Robbie Ryan, la scenografia di James Price e Shona Heath, i costumi di Holly Waddington e gli effetti visivi di Simon Hughes.

L'articolo Quelle Povere creature libere, spregiudicate, irriverenti proviene da Il Vulcanico.

]]>
The old oak, la solidarietà che fa battere di nuovo tanti cuori induriti https://ilvulcanico.it/the-old-oak-la-solidarieta-che-fa-battere-di-nuovo-tanti-cuori-induriti/ Mon, 27 Nov 2023 06:17:05 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24426 di Antonella De Francesco Si riconferma il regista degli “ ultimi”, Ken Loach, nel Suo ultimo film: The old oak. E’ ambientato in una piccola cittadina del nord dell’Inghilterra (ma potrebbe essere ovunque nel mondo), un tempo abitata da minatori e oggi quasi del tutto disabitata, ridotta ad un posto di frontiera e senza attrattive, […]

L'articolo The old oak, la solidarietà che fa battere di nuovo tanti cuori induriti proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Si riconferma il regista degli “ ultimi”, Ken Loach, nel Suo ultimo film: The old oak.
E’ ambientato in una piccola cittadina del nord dell’Inghilterra (ma potrebbe essere ovunque nel mondo), un tempo abitata da minatori e oggi quasi del tutto disabitata, ridotta ad un posto di frontiera e senza attrattive, in cui le giornate dei pochi residenti sono tutte uguali, come i loro patimenti ed il vecchio pub di TJ è l’unico posto in cui condividere un minimo di socialità .
Una socialità circolare e di quartiere, chiusa e che non ammette intrusioni, ripiegata su se stessa, intenta a criticare e solo in apparenza a compatire. L’arrivo nella cittadina di un gruppo di profughi siriani in fuga dalla guerra, destabilizza la collettività, spezza gli equilibri, altera i rapporti e ne crea di nuovi e inaspettati. I cuori dei residenti, induriti dall’isolamento e fiaccati dalle battaglie di una vita per la sopravvivenza, sono forzati a battere di nuovo e per alcuni inizia la rinascita. La solidarietà per la perdita di TJ del suo unico amico (che è un momento del film forte e doloroso che non voglio spoilerare, girato con grande maestria) arriva proprio dai rifugiati, dagli ultimi degli ultimi e non dagli amici di una vita.
E da lì che si dipana una storia che ci mostra un mondo perso, senza speranza, di poveri senza un domani, di giovani aggressivi, di cani inferociti in cui è difficile ritrovare un briciolo di umanità. Sulla riva di un mare grigio che nel film rappresenta un punto- limite oltre il quale non si deve andare, TJ va ben due volte per morire ma invece ritorna a vivere grazie a piccoli miracoli, attimi in cui la sorte muta e volge alla speranza. E come in tutti i film di Ken Loach, non è la preghiera che può ancora salvarci ma piuttosto la solidarietà, il rispetto delle diversità, gli abbracci, la gentilezza, la gratitudine, i gesti inaspettati, quasi del tutto inesistenti al giorno d’oggi,  ma proprio per questo ancora più necessari. Il finale struggente è un abbraccio per tutti. Da vedere.

L'articolo The old oak, la solidarietà che fa battere di nuovo tanti cuori induriti proviene da Il Vulcanico.

]]>
Eroe esemplare del mare quel Comandante che affondò la nave nemica e ne salvò i superstiti https://ilvulcanico.it/eroe-vero-del-mare-quel-comandante-che-affondo-la-nave-nemica-e-ne-salvo-i-superstiti/ Mon, 06 Nov 2023 10:02:39 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24270 di Antonella De Francesco C’è la legge degli uomini e poi c’è la legge del mare: inconciliabili? C’è la guerra, i nemici e poi ci sono gli uomini da ambo le parti, puoi distinguerli ? C’è il comandante e ci sono i sottoposti, ci sono ordini e regole ma prima di tutto c’è il rispetto, […]

L'articolo Eroe esemplare del mare quel Comandante che affondò la nave nemica e ne salvò i superstiti proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
C’è la legge degli uomini e poi c’è la legge del mare: inconciliabili? C’è la guerra, i nemici e poi ci sono gli uomini da ambo le parti, puoi distinguerli ? C’è il comandante e ci sono i sottoposti, ci sono ordini e regole ma prima di tutto c’è il rispetto, sei d’accordo? Se avete voglia di trovare risposte  su tutte queste domande di grande attualità, visto il tragico momento storico che stiamo vivendo, non perdetevi Comandante, di Eduardo De Angelis, sceneggiatura a quattro mani con Sandro Veronesi.
Il film narra la storia di Salvatore Todaro, magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino, che nel 1940 al comando del sommergibile Cappellini prima affondò il mercantile belga Kabalo e poi ne salvò i superstiti, mettendo a repentaglio la vita del suo stesso equipaggio, restando per più giorni in superficie, per condurli ad un porto sicuro .
Ci sono in atto diverse polemiche sul tema e sulla necessità di portare alla ribalta un “eroe” fascista che in realtà si distinse per le vittorie durante la guerra a fianco dei tedeschi, ma io ci ho visto più l’urgenza di rilanciare il messaggio che in mare ci si salva. Ci ho visto più l’esaltazione dei valori della solidarietà e della multietnicità e l’arricchimento che ne deriva.
Il sommergibile, come una madre, accoglie e consola tutti, ne custodisce sogni e paure, dal sud al nord d’Italia: chi prega, chi bestemmia, chi cucina, chi suona, tutti condividono, più che la passione per la guerra, il desiderio di restare vivi e di tornare a casa. Quei giovani militari che voltano le spalle alle fidanzate emaciate sulla banchina, mai sposate e già vedove, mi sembrano più che “pronti alla morte perché l’Italia chiamò”, sconfortati e costretti dal dovere alla guerra. La fierezza deve fare i conti con la paura e questa va ascoltata in noi stessi e negli altri, anche nei nostri nemici.
Poesia nelle immagini, alcune indimenticabili, di chi soccorre e chi inaspettatamente viene salvato, di chi muore inghiottito dal mare e chi resta sempre più sconfortato, di chi comanda ma resta umano ed è anche capace anche di ascoltare. Da vedere

L'articolo Eroe esemplare del mare quel Comandante che affondò la nave nemica e ne salvò i superstiti proviene da Il Vulcanico.

]]>
Il gioiello in b/n di Paola Cortellesi: un omaggio alle donne comuni degli anni Cinquanta legate dal bisogno di dire no https://ilvulcanico.it/il-gioiello-in-b-n-di-paola-cortellesi-un-omaggio-alle-donne-comuni-degli-anni-cinquanta-legate-dal-bisogno-di-dire-no/ Sun, 29 Oct 2023 07:58:33 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24220 di Antonella De Francesco Acclamato all’ultimo festival del cinema di Roma il film C’è ancora domani di Paola Cortellesi (regista e protagonista) è un piccolo gioiello. Costruito rigorosamente in bianco e nero come una pellicola di De Sica degli anni ‘50 ne riproduce ambienti, linguaggio e dialoghi con un pizzico di modernità che lo rende […]

L'articolo Il gioiello in b/n di Paola Cortellesi: un omaggio alle donne comuni degli anni Cinquanta legate dal bisogno di dire no proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Acclamato all’ultimo festival del cinema di Roma il film C’è ancora domani di Paola Cortellesi (regista e protagonista) è un piccolo gioiello. Costruito rigorosamente in bianco e nero come una pellicola di De Sica degli anni ‘50 ne riproduce ambienti, linguaggio e dialoghi con un pizzico di modernità che lo rende originale.
Una storia ambientata nei quartieri più umili di Roma nell’Italia del dopoguerra, in cui il fascismo regnava ancora nelle case e gli uomini impedivano per lo più alle mogli di avere pensieri autonomi e di scegliere per loro stesse. In alcune famiglie a questo si aggiungeva anche la violenza, che si consumava dietro gli scuri chiusi delle case, davanti a familiari inermi e vicini omertosi. Le famiglie si reggevano su economie precarie in cui una lira poteva fare quadrare il bilancio. L’istruzione era, salvo rare eccezioni, appannaggio dei figli maschi e le donne erano avviate da subito al lavoro.
Il film corre sul filo di un “segreto” che inganna lo spettatore ma che finisce con l’essere quel quid in più nella storia che sul finale ci sorprende meravigliosamente. Uno sguardo tenerissimo alle donne sottomesse di quel tempo, geneticamente programmate per sgobbare e obbedire, ma in fondo al cuore vigili e ambiziose se non per sé stesse, almeno per le figlie.
Il mondo stava cambiando (ma è poi cambiato davvero?). C’era un’Italia (allora come ora?) da ricostruire e c’era (allora come ora?) una mentalità maschilista da demolire. La Cortellesi tira fuori una storia di donne “comuni” legate dal bisogno di dire no, di guadagnare qualche lira per sé, di immaginare un mondo diverso che forse, alla luce dei femminicidi che affliggono la nostra società, non è poi stato quello che avevano auspicato e per il quale hanno preso molte sberle in più. A loro dobbiamo, tutte noi donne, quel poco o molto di cui oggi possiamo godere ed è questo che la regista vuole ricordarci, avvertendoci (tra le righe) di non abbassare la guardia perché la perdita dei diritti, la violenza di genere e il maschilismo più becero sono sempre lì, hanno radici antichissime ed è lunga la strada per sconfiggerle del tutto.
In un perfetto equilibrio tra noir e commedia all’italiana, sulle note di una bellissima colonna sonora che spazia con cura tra i successi degli anni ‘40 (Aprite le finestre di Fiorella Bini ) e i giorni nostri (La sera dei miracoli di Lucio Dalla), questo piccolo capolavoro restituisce dignità alle nostre “nonne” , strappandole per un attimo a quel senso di inadeguatezza e anonimato che ne hanno contraddistinto l’intera esistenza.
Da non perdere
——-
di Gaetano Perricone
Non c’è più domani- come ci fu per Delia, Marcella e le altre donne del dopoguerra italiano protagoniste del meraviglioso film di  Paola Cortellesi – per le 96 vittime di femminicidio del 2023 nel nostro Paese e per tutte le altre degli anni precedenti, ammazzate da psicopatici vigliacchi che si sentivano loro padroni; non c’è più per Masha Amini, Armita Garawand e le altre donne uccise dalla polizia iraniana per non avere indossato correttamente il velo. Non c’è ancora domani per le donne afghane escluse da ogni possibilità di partecipazione alla vita pubblica e per tutte le altre in tutte il mondo costrette alla sottomissione dai barbari talebani e dalle loro regole e sistemi sociali brutali e oscurantisti.
C’è ancora domani, per fortuna, per le migliaia di donne giovani e giovanissime che gremiscono in questi giorni – l’ho verificato con i miei occhi – le sale cinematografiche, con incassi record e applausi finali, percependo ed evidentemente apprezzando l’enorme importanza e il valore della storia raccontata dalla bravissima attrice e adesso regista romana con grande delicatezza, ma altrettanta forza evocativa e in un bianco e nero profondamente suggestivo, che è contemporaneamente omaggio al cinema del neorealismo, ma anche al periodo storico della vicenda.
Mi sembra superfluo scrivere cose lette e rilette sui contenuti – il valore della battaglia silenziosa per l’emancipazione di tantissime donne sofferenti di quell’epoca, costrette dai costumi allora vigenti alla sottomissione a uomini prepotenti e violenti, ma protagoniste di fondamentali conquiste sociali, come ben sottolinea Antonella De Francesco nella sua recensione e come ci racconta il memorabile finale del film – e sulla notevolissima bravura degli attori, non solo Delia- Paola Cortellesi e il cattivissimo Ivano- Valerio Mastandrea, ma anche la indomita figlia Marcella- Romana Maggiora Vergara, il mostruoso suocero padre-padrone Ottorino-Giorgio Colangeli e un cast di contorno eccellente e vivacissimo.
Voglio solo aggiungere una considerazione personale, per la quale mi reputo un uomo fortunato per gli insegnamenti ricevuti: nella mia storia familiare, con nonne e mamma del periodo narrato dalla Cortellesi, le donne sono state profondamente rispettate da uomini che non hanno mai avuto pretese o atteggiamenti di sopraffazione e naturalmente non hanno mai alzato un dito contro di loro. Né mai ci sono state, come nel film e come ancora purtroppo accade oggi e le drammatiche cronache ce lo raccontano, porte chiuse dietro le quali si consumano liti terribili e violenze domestiche dal finale imprevedibile e spesso tragico. Ma tante altre e altri non hanno avuto la stessa fortuna e portano sulla pelle e nell’anima i segni di storie dolorose e traumatiche.
C’è ancora domani è un film straordinario, un altro piccolo capolavoro di una stagione che sembra molto felice per il cinema italiano, nobilitata da Io Capitano, Nata per tee altri film bellissimi e importanti. Devono, dovete vederlo tutti, donne e uomini: per conoscere o rinfrescare la memoria, per riflettere sul passato e sul presente, soprattutto per godersi un’opera davvero speciale.

L'articolo Il gioiello in b/n di Paola Cortellesi: un omaggio alle donne comuni degli anni Cinquanta legate dal bisogno di dire no proviene da Il Vulcanico.

]]>
“Io capitano”: prima dello sbarco, quei sogni legittimi che nessuno può spegnere. Neanche uomini malvagi https://ilvulcanico.it/io-capitano-prima-dello-sbarco-quei-sogni-legittimi-che-nessuno-puo-spegnere-neanche-uomini-malvagi/ Tue, 19 Sep 2023 09:55:49 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23943 di Antonella De Francesco Di immagini di sbarchi ne ho viste tante, anche in diretta. Mi capita spesso, infatti, d’estate, di vedere a Lampedusa, queste carrette del mare straripanti di uomini, donne e bambini, scortate dalla Guardia di Finanza in sicurezza fino al molo Favaloro. Se ti avvicini, i più giovani ti salutano e gridano […]

L'articolo “Io capitano”: prima dello sbarco, quei sogni legittimi che nessuno può spegnere. Neanche uomini malvagi proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Antonella De Francesco
Di immagini di sbarchi ne ho viste tante, anche in diretta. Mi capita spesso, infatti, d’estate, di vedere a Lampedusa, queste carrette del mare straripanti di uomini, donne e bambini, scortate dalla Guardia di Finanza in sicurezza fino al molo Favaloro. Se ti avvicini, i più giovani ti salutano e gridano :”Italia, Italia”, dimenticando per un istante tutto quello che si sono lasciati alle spalle. Ma quello è solo una parte del lungo viaggio che hanno fatto!
Nel Suo ultimo film dal titolo  Io capitano, giustamente premiato con il leone d’argento per la regia e col premio Mastroianni assegnato al protagonista, l’attore esordiente Seydou Sarr, all’ultimo festival del cinema di Venezia, il regista Matteo Garrone porta sul grande schermo, dopo lunghi anni di ricerca e di ascolto le parti mancanti di quelle storie che molti di noi, forse, non hanno neanche immaginato. Quel “prima” dello sbarco che mancava, perché la storia fosse narrata per intero dall’inizio alla fine, affinché nessuno possa ancora dire di non sapere, continuando a girarsi dall’altra parte .
Il viaggio parte da Dakar in Senegal. Non in un paese in guerra, non in un villaggio assediato dai miliziani, ma in un quartiere povero ma dignitoso, allegro e festante, dove è forte il legame della famiglia, il senso dell’amicizia e il valore della condivisione, come sovente accade tra chi ha poco o nulla. In poche scene e con grande maestria, il regista tratteggia la vita di una città, dove tutto è sgargiante: i colori, i sorrisi dei suoi abitanti, la danza, la musica, la gioia malgrado la fatica. Il film è recitato nella lingua originale Wolof ( con sottotitoli), perché il regista non vuole niente di artefatto. Il suono di una lingua racconta già la storia del suo popolo e Garrone lascia che tutto si compia .
Anche nella babele di una prigione o nella stiva soffocante di un barcone, dove si mischiano le etnie, riconoscersi resta importante e le radici vanno difese. Garrone sceglie un punto di partenza del viaggio diverso: il sogno di una coppia di giovani cugini senegalesi, Seydou e Moussa e il loro desiderio “legittimo” di non vivere l’intera esistenza di stenti, il desiderio di mettere a frutto il loro talento nel fare musica. I due ragazzi sognano autografi, il successo in Europa, un mondo solo immaginato, di cui non sanno nulla, ma dove vogliono comunque arrivare. Sono incoscienti come lo sono i giovani, impazienti come lo sono i nostri stessi figli quando ci chiedono di voler partire per realizzarsi lontano da noi. Ecco quale è il punto di vista geniale del regista: guardare al viaggio come la possibilità di realizzare un sogno legittimo che nessuno può spegnere. Non un governo, non la distanza e neanche la povertà!
Man mano che il viaggio procede, le tinte scoloriscono , gli occhi di Seydou si appannano, il coraggio manca, la paura aumenta, la vista ravvicinata della morte fa vacillare il sogno. E qui emerge un altro aspetto importante della narrazione di Garrone: la natura, pur nella sua asprezza non impedisce il viaggio. Il deserto e il mare, magnifici nella loro immensità, non hanno mai costituito nella storia dell’umanità un limite invalicabile per le scoperte dell’uomo. Il limite viene dall’uomo. Le difficoltà e le insidie del viaggio provengono dagli uomini, dalla loro malvagità, dalla loro cupidigia, dalla loro crudeltà, dalle loro false promesse .
Ma ancora una volta, pur tra mille difficoltà, il regista impedisce al sogno di svanire. Lo fa rivivere, come in una favola, tema tanto caro a Garrone, attraverso un paio di visioni oniriche indimenticabili a dimostrazione che il sogno può e deve restare nei giovani , per dare conforto, per superare il dolore, per colmare la malinconia di una mancanza . Il viaggio si compirà e cambierà la vita di Seydou ma anche la nostra percezione di un sbarco, si spera, perché adesso ci hanno raccontato anche cosa c’è prima. Da vedere, imperdibile
———-
L’EPOPEA DEGLI “INVASORI” COLPEVOLI DI SOGNARE
di Gaetano Perricone
Ho ben poco da aggiungere alle tante parole di elogio che ho letto sullo straordinario film di Matteo Garrone, comprese quelle scritte come sempre con grande sapienza, profondità, cultura e anima dalla mia carissima amica Antonella De Francesco, brava come e più di tanti che i critici cinematografici lo fanno per mestiere, nell’articolo sul mio blog che ripropongo nel link qui sotto.
Prima dello sbarco. Quei sogni legittimi che nessuno può spegnere, neanche uomini malvagi”, titolai quell’articolo su Io Capitano, capolavoro del neorealismo cinematografico del 2023. Dopo averlo visto con i miei occhi e metabolizzato con il mio sentire, lo rifarei identico quel titolo: il tema fondante del racconto è il contrasto tra la commovente pulizia interiore dei due meravigliosi e dolcissimi ragazzi senegalesi, Seydou e Moussa che i loro sogni di una vita nuova fatta di musica e gioia vogliono coltivarli nonostante tutto e tutti e l’orrenda sporcizia degli uomini malvagi e del sistema mafioso, impregnato di disumana violenza e sopraffazione, che sulla pur minima possibilità che quei sogni vengano realizzati specula sui poveri e miseri averi dei migranti che sognano l’Europa con i metodi più spaventosamente coercitivi e intimidatori. Fino all’omicidio brutale, selvaggio, senza alcun rispetto per la vita umana.
E’ davvero un pugno sullo stomaco come hanno detto tutti questo film, questo viaggio verso il sogno prima dello sbarco che non mi ha fatto piangere, ma arrabbiare moltissimo. Non solo per le scene implacabilmente realistiche, soprattutto della epica traversata del deserto e della immane violenza nelle prigioni libiche, ma anche e soprattutto perché oggi sappiamo e vediamo ogni ogni giorno che nella tanto mitizzata Italia, nell’Europa tanto vagheggiata ed evocata da Seydou e Moussa e le loro compagne e compagni, questi sognatori eroici e disperati che arrivano dall’orrore più assoluto per cercare una vita migliore, NON LI VUOLE NESSUNO O QUASI.
Non so se i governanti che vogliono difendere con ogni mezzo i confini del nostro Paese dall’invasione di questi sognatori abbiano visto IoCapitano. Certo, dovrebbero averlo fatto o dovrebbero farlo prima di tutti noi, semplicemente per curiosità se non per l’interesse che un politico dovrebbe avere rispetto a certi temi, ma non ne sono sicuro: con un minimo, non dico tanto, di anima e di umanità, avrebbero fatto o farebbero qualche riflessione a fronte del loro bieco propagandismo quotidiano e della becera ricerca del consenso, guardando il film di  Matteo Garrone. Ma dico cose troppe grosse quando parlo di umanità e anima per certa gente.
Ultima cosa: IoCapitano, secondo me, l’Oscar lo merita tutto, fa piena luce con il realismo più drammaticamente illuminante, con enorme lucidità e coraggio narrativo, ma anche con momenti di altissima poesia, su una delle più dolorose piaghe che affliggono il mondo da oltre un secolo. Per quanto mi riguarda, nella sua devastante crudezza è tra più bei film che abbia visto nella vita, perché è la vita reale, la più brutta, quella che in tanti non vogliono vedere, trasportata sul grande schermo del cinema. Che ci frastorna, ci travolge, ci mortifica, ci umilia perché ci fa sentire colpevoli, almeno su di me ha avuto questo effetto, di permettere tutto quello che vediamo intorno a noi.
L’Oscar lo meriterebbe eccome, IoCapitano. Ma non so se il sistema di Hollywood vorrà dare il giusto riconoscimento a questo capolavoro dirompente. Forse troppo per il gran circo del cinema e i suoi equilibri, dovrebbero avere il giusto coraggio gli illustri giurati per dare un grande messaggio al mondo.
Buona visione, se ancora non l’avete fatto.

L'articolo “Io capitano”: prima dello sbarco, quei sogni legittimi che nessuno può spegnere. Neanche uomini malvagi proviene da Il Vulcanico.

]]>
Oppenheimer: storia e tormenti del padre della bomba atomica. Un filmone per i più giovani https://ilvulcanico.it/oppenheimer-storia-e-tormenti-del-padre-della-bomba-atomica-un-filmone-per-i-piu-giovani/ Fri, 01 Sep 2023 08:37:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23822 di ANTONELLA DE FRANCESCO Un grandissimo film per forma e contenuto, l’ultimo di Christopher Nolan, Oppenheimer, (anche se il mio preferito resta Dunkirk del 2017), dedicato alla biografia del grande scienziato statunitense che coordinò il progetto Manhattan, ossia l’elaborazione della bomba atomica. Non banalmente un biopic sullo scienziato, ma la ricostruzione di un momento storico […]

L'articolo Oppenheimer: storia e tormenti del padre della bomba atomica. Un filmone per i più giovani proviene da Il Vulcanico.

]]>
di ANTONELLA DE FRANCESCO
Un grandissimo film per forma e contenuto, l’ultimo di Christopher Nolan, Oppenheimer, (anche se il mio preferito resta Dunkirk del 2017), dedicato alla biografia del grande scienziato statunitense che coordinò il progetto Manhattan, ossia l’elaborazione della bomba atomica. Non banalmente un biopic sullo scienziato, ma la ricostruzione di un momento storico decisivo per la scienza e per l’umanità , costruito con la consueta corsa avanti e indietro nel tempo con cui Nolan ci fa entrare anche dentro la mente dì Oppenheimer, mentre viene lacerato da dubbi e scrupoli morali, pur nella consapevolezza che vi sono sfide della vita che vanno affrontate a ogni costo.
Un cast stellare (Cillian Murphy nei panni di Oppenheimer, Emily Blunt, Matt Damon, Florence Pugh, Robert Downey Jr., etc) per rappresentare un Prometeo contemporaneo capace di visione, sia nel senso di premonizione sia di leadership, che consegna al mondo un arma che nella mente dello scienziato, paradossalmente, può salvarlo. Un’arma così distruttiva che basterà usarla una sola volta. La differenza tra teoria e pratica segna il confine tra scienza e ragion di stato: il candore e l’indipendenza della prima, affidata al sogno e alla perseveranza di alcuni tra i più illustri fisici del tempo che presero parte al progetto Manhattan, deve fare i conti con l’urgenza degli Stati Uniti d’America di chiudere la guerra in Giappone e mostrare al mondo la sua egemonia assoluta, non solo politica, ma anche culturale e scientifica, arginando la paura dello spettro dell’URSS e del comunismo.
Nolan riesce ad intrecciare cinema d’autore e blockbuster, lasciandoci con domande aperte, esplorando le contraddizioni dell’uomo del secolo scorso che ancora ci attraversano. Ci può essere scienza fuori dall’etica? La ricerca in ambito scientifico e tecnologico può accettare che le sue conquiste siano usate in modo distorto sulla base di scelte umane e politiche che possano modificare la storia con conseguenze imprevedibili e finanche devastanti? C’è un limite alla ricerca? La distanza tra teoria e pratica in ambito scientifico è incolmabile? Fino a che punto lo scienziato deve preoccuparsi delle conseguenze della sua ricerca e del mondo che verrà? A chi appartiene una scoperta scientifica ?
Che si tratti di bomba atomica, vaccini o intelligenza artificiale, Nolan forse vuole avvisarci del fatto che la ricerca scientifica non può arrestarsi, ma le applicazioni tecnologiche che ne deriveranno sono spesso imprevedibili e non sempre benefiche. Per questo l’esplosione della prima bomba atomica durante il Trinity Test è luce e fuoco in un silenzio assordante, seguito da un boato che arriva solo dopo, ma resta assordante per sempre, non solo nella mente di Oppenheimer ma nella memoria e in tutti noi spettatori, perché le conseguenze di una scelta non sempre si mostrano immediatamente, a volte hanno bisogno di tempo per palesarsi, mostrando tutta la loro intrinseca atrocità. Ma la scelta di Nolan sta dando già i suoi frutti: le sale cinematografiche sono piene e i giovani sono tornati al cinema. Questo è forse il suo più grande merito: avere risvegliato i giovani dal torpore dei divani di casa, trascinandoli nelle sale!
Da vedere.
——————

di GAETANO PERRICONE

Lungo? Certamente lo è, ma non posso dire di essermi stancato, visto che il mio livello di attenzione e di tensione è stato altissimo fino all’ultimo. Noioso? Più che altro e solo in parte criptico, almeno per me che di fisica e meccanica quantistica non capisco una mazza, soprattutto nel primo tempo, dominato dalla ricostruzione tecnica del percorso che portò alla bomba. Pesante? Forse, per il tema affrontato, ma molto di più per chi arriva al cinema con il pregiudizio diffuso che debba esserlo.

Ciò premesso Oppenheimer, il film di Christopher Nolan che racconta la storia del papà della bomba atomica e della nascita della più spaventosa e terribile arma di distruzione di massa finora inventata dall’uomo, a mio avviso ha sicuramente una grande potenza evocativa; un fortissimo valore didattico che ho ampiamente percepito con i miei occhi considerato il pienone di ragazzi allo spettacolo a cui ho assistito, curiosi forse di sentire personalmente in una ricostruzione cinematografica così dettagliata la grande paura che noi nonni e i genitori hanno loro inculcato; ovviamente, mi sembra inutile dirlo, un’angosciosa attualità in un mondo in cui, in vari teatri di conflitti o di permanente e pericolosissima guerra fredda – dall’Ucraina alla Corea del Nord, ai confini tra India e Pakistan, eccetera – , di possibile ricorso alla guerra nucleare si parla un giorno sì e l’altro pure.

Robert Hoppenheimer

Secondo me – ma è il punto di vista di un vecchio e antiquato comunista pacifista, visceralmente anti yankee – ne escono con le ossa rotte quell’idea e quella parte di scienza e di scienziati che negli anni quaranta nel secolo scorso vollero a tutti i costi arrivare all’arma assassina considerandola alla stregua di qualunque straordinaria scoperta scientifica, ma anche il mostruoso cinismo con cui gli Stati Uniti e il presidente Harry Truman (letteralmente disgustoso nella rappresentazione che ne dà il film) decisero che i 210.000 morti e 150.000 feriti giapponesi complessivi a causa delle due esplosioni di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945, solo molto parzialmente previsti, valessero comunque la pena per fare finire la Seconda Guerra Mondiale ed evitare altri morti americani. Tesi che continua a farmi vomitare, anche perché non è dimostrata dalla storia né dimostrabile l’altra secondo cui se non l’avessero fatto gli Stati Uniti, prima o poi sarebbero stati altri Paesi, l’allora Unione Sovietica innanzitutto, a buttarla. Così come è forse razionalmente e crudelmente vera l’idea – che l’opera di Nolan fa in qualche modo passare – che, nell’immaginario collettivo della gente e di chi ha in mano i destini del mondo, dopo 78 anni e fino a oggi (lo dimostra anche la grande attenzione e il dibattito suscitato dal film) l’orrore e la paura per gli effetti dei due ordigni sganciati in Giappone continuino ad essere un deterrente notevolissimo.

Ho trovato formidabile, calzante e spesso struggente, l’interpretazione che Cillian Murphy offre della figura di scienziato geniale e uomo tormentatissimo che fu Robert J. Oppenheimer, tra l’esultanza per la riuscita del progetto e la consapevolezza interiore, drammatizzata nel film da vari passaggi onirici, di come e quanto la nascita della bomba atomica avrebbe cambiato il mondo in peggio. Bravissime le sue due donne, Jean -Florence Pugh e Kitty – Emily Blunt; Robert Downeyj nei panni del suo peggior nemico finto amico Lewis Strauss che lo perseguitò per motivi di odio personale camuffati dal movente delle idee politiche di sinistra di Oppy nel periodo del maccartismo; del grandissimo Matt Damon interprete del  generale Leslie Groves che insieme a Oppenheimer guidò il progetto e realizzò la cittadina di Los Alamos nel deserto del Nuovo Messico; dell’ottimo Tom Conti nella parte breve, ma molto incisiva e affascinante di Albert  Einstein, che mai volle partecipare alla realizzazione dell’arma.

Per me è dunque un filmone da vedere senza alcun dubbio, anche se riconosco come valide varie obiezioni e critiche che ho letto e ascoltato. In ogni caso, credo che il merito assoluto di Oppenheimer sia quello di farci riflettere tutti, vecchi e giovani, sulle folle e inesauribile capacità dell’uomo di correre verso l’autodistruzione.

L'articolo Oppenheimer: storia e tormenti del padre della bomba atomica. Un filmone per i più giovani proviene da Il Vulcanico.

]]>
“La Montaigne infidele”: Jean Epstein e l’eruzione etnea del 1923 https://ilvulcanico.it/la-montaigne-infidele-jean-epstein-e-leruzione-etnea-del-1923/ Fri, 30 Jun 2023 11:15:17 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=22625 di Santo Scalia Nei primi giorni di ottobre del 2022 i mezzi di informazione si sono spesso interessati ad una notizia riguardante la riscoperta ed il restauro di un filmato vecchio di cent’anni. Infatti, nel corso del 2021, presso la Filmoteca de Catalunya a Barcellona, è stato ritrovato un documentario della durata di 24 minuti, […]

L'articolo “La Montaigne infidele”: Jean Epstein e l’eruzione etnea del 1923 proviene da Il Vulcanico.

]]>
di Santo Scalia

Nei primi giorni di ottobre del 2022 i mezzi di informazione si sono spesso interessati ad una notizia riguardante la riscoperta ed il restauro di un filmato vecchio di cent’anni.

Infatti, nel corso del 2021, presso la Filmoteca de Catalunya a Barcellona, è stato ritrovato un documentario della durata di 24 minuti, suddiviso in due bobine, che ripercorre le vicende  dell’eruzione vulcanica del giugno del 1923, sul versante settentrionale dell’Etna. Si tratta di una copia integrale del film, considerato perduto, La Montagne Infidèle del regista francese, nato a Varsavia, Jean Epstein.

La pellicola, ritrovata tra i 40 filmati della collezione Pere Tresserra della filmoteca, ha per titolo “La Montaña Traidora, erupción del Etna (Junio-Julio 1923)”. Contrariamente all’originale, girato su pellicola da 35mm, la copia è nel formato Pathé Kok 28mm, un formato realizzato principalmente per il cinema domestico o scolastico dalla società cinematografica francese Pathé (fondata a Vincennes, nel 1896, da Charles Pathé).

Ma torniamo all’eruzione e alla nascita del filmato: la notte del 16 giugno 1923 l’Etna iniziò ad eruttare sul versante nord. Quattro giorni dopo, la Pathé Consortium Cinéma inviò in Sicilia il giovane regista Jean Epstein e gli operatori Paul Guichard e Léon Donnot, con cinquemila metri di pellicola e una macchina da presa Caméréclair. Il risultato fu un documentario, su pellicola da 35 mm, naturalmente in bianco e nero. Jean Epstein aveva allora appena 26 anni (era nato a Varsavia nel 1897).

La storia della realizzazione di questo particolare documentario è magistralmente narrata in un articolo del ricercatore e storico del cinema Daniel Pitarch e di Rosa Cardona  Arnau (curatrice presso la Cineteca della Catalogna); l’articolo è stato pubblicato sul sito  delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone: «Una volta arrivati sull’isola, il 24 giugno, essi [Epstein e collaboratori, n.d.A.] ottennero dalla Prefettura di Catania il permesso di salire sul vulcano. L’eruzione era già stata filmata dagli operatori dei cinegiornali e, sebbene stesse scemando (sarebbe cessata il 18 luglio), la lava continuava a scendere dalla montagna.[…] Il film è strutturato come un viaggio con ascesa al vulcano. Inizia presentando la Sicilia come un paesaggio rurale, fertile e idilliaco, con il vulcano come mostro minaccioso, che gli abitanti dell’isola cercano di combattere con l’aiuto dei santi protettori. Si sofferma poi sulla distruzione causata dall’eruzione vicino alla cittadina di Linguaglossa (si vedono case sepolte dalla lava e, quali garanti dell’ordine pubblico, le camicie nere fasciste) e sulle piante della montagna. Infine si risale il vulcano fino ad effettuare alcune riprese a pochi metri da un fiume di lava largo, dicono le didascalie, 150 metri. Questa e altre immagini del vulcano in eruzione non vengono mostrate solo nella parte finale, ma sono disseminate in sequenze precedenti.»

La copia ritrovata è stata restaurata e digitalizzata a cura del Centro di Conservazione e  restauro catalano e presentata, il 3 ottobre, in Italia, in occasione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, festival del cinema muto di riferimento a livello internazionale. Successivamente, il 27 ottobre è stata presentata in Spagna, in occasione del Dia Mundial del Patrimoni Audiovisual 2022 (Giornata mondiale del patrimonio audiovisivo, istituita dall’UNESCO).

Tre anni dopo aver realizzato il documentario, lo stesso Epstein raccontò, in una cinquantina di pagine, le esperienze vissute in quei giorni. Nel 1926, infatti, pubblicò una brochure intitolata Le Cinématographe vu de l’Etna (Il Cinematografo visto dall’Etna, alla fine della fotogallery l’immagine della copertina e una foto presente nel testo che raffigura il regista al lavoro); in essa, oltre ad esporre una sua visione della cinematografia (maggiore realismo della rappresentazione, approfondimento della riflessione su un mondo in cui l’uomo non ha più alcuna centralità), il regista espone la cosiddetta “fotogenia del movimento” e narra, in poco meno di sette pagine, la sua esperienza siciliana.

La rivista francese Cinéa Ciné (N.11 Série N° 59 – del 15 aprile 1926 – Pagg. 9 e 10) presentò un estratto della brochure:

«[…] Di  fronte a noi: l’Etna, grande attore che mette in scena il suo spettacolo due o tre volte al secolo, e di cui sono riuscito a filmare la fantasia tragica. Un intero versante della montagna non era altro che una festa di fuoco. L’incendio proseguiva nella parte arrossata del cielo. Già a venti chilometri di distanza il rumore giungeva, di tanto in tanto, come quello di un lontano trionfo, di migliaia di applausi, di un’immensa ovazione. […]

Le strade della zona pedemontana dell’Etna erano state bloccate per precauzione. Ad ogni bivio le camicie nere ci chiedevano di esibire il nostro permesso di circolazione. Ma questi soldati, per la maggior parte, non sapevano leggere, e il prospetto multicolore che aveva avvolto il mio tubo di aspirina aveva su di loro un effetto maggiore della firma autentica del Prefetto di Catania. […]

A Linguaglossa, i mulattieri ci aspettavano davanti al fronte lavico, nero, screziato di porpora come un bel tappeto. Questo muro di braci avanzava per crolli successivi. Sotto la sua pressione, le case, scarsamente protette da immagini sacre, crollavano con un suono di noci fracassate. Alti alberi colpiti alla loro base improvvisamente prendevano fuoco, dalla radice alla cima, e bruciavano come torce, crepitando. […]

Bellissimo vulcano! Non ho mai visto espressioni paragonabili alla sua. L’ustione aveva ricoperto tutto dello stesso colore incolore, grigio, opaco, morto. Ogni foglia di ogni albero a vista d’occhio attraversava tutte le sfumature e tutte le crepe dell’autunno,  contorta, infine arrostita, cadeva nel respiro del fuoco. […]

La lava procedeva con il suono di milioni di lastre che si rompevano contemporaneamente. Sacche di gas si squarciavano, sibilando dolcemente come serpenti […]».

Fotogramma dal filmato “La Montaña Traidora” – © Filmoteca de Catalunya

Jean Epstein ed i suoi collaboratori si trattennero sull’Etna per quasi tre settimane: giunti in Sicilia iniziarono le riprese il 24 giugno (una settimana dopo l’inizio dell’eruzione) e girarono metri e metri di pellicola, realizzando, dopo il montaggio, un documentario di 24 minuti.

L’eruzione si esaurì il 18 luglio. Per i paesani di Linguaglossa, ancora una volta, dopo il 1566, Sant’Egidio aveva miracolosamente protetto il paese.

Jean Epstein (dal sito thirdrailquarterly.org)

Epstein morì prematuramente a Parigi, nel 1953, all’età di 56 anni. Al suo attivo (dal 1922 al 1948) aveva ben 37 pellicole, tra documentari e film.

 

 

 

L'articolo “La Montaigne infidele”: Jean Epstein e l’eruzione etnea del 1923 proviene da Il Vulcanico.

]]>