di Antonella De Francesco
Di immagini di sbarchi ne ho viste tante, anche in diretta. Mi capita spesso, infatti, d’estate, di vedere a Lampedusa, queste carrette del mare straripanti di uomini, donne e bambini, scortate dalla Guardia di Finanza in sicurezza fino al molo Favaloro. Se ti avvicini, i più giovani ti salutano e gridano :”Italia, Italia”, dimenticando per un istante tutto quello che si sono lasciati alle spalle. Ma quello è solo una parte del lungo viaggio che hanno fatto!
Nel Suo ultimo film dal titolo  Io capitano, giustamente premiato con il leone d’argento per la regia e col premio Mastroianni assegnato al protagonista, l’attore esordiente Seydou Sarr, all’ultimo festival del cinema di Venezia, il regista Matteo Garrone porta sul grande schermo, dopo lunghi anni di ricerca e di ascolto le parti mancanti di quelle storie che molti di noi, forse, non hanno neanche immaginato. Quel “prima” dello sbarco che mancava, perché la storia fosse narrata per intero dall’inizio alla fine, affinché nessuno possa ancora dire di non sapere, continuando a girarsi dall’altra parte .
Il viaggio parte da Dakar in Senegal. Non in un paese in guerra, non in un villaggio assediato dai miliziani, ma in un quartiere povero ma dignitoso, allegro e festante, dove è forte il legame della famiglia, il senso dell’amicizia e il valore della condivisione, come sovente accade tra chi ha poco o nulla. In poche scene e con grande maestria, il regista tratteggia la vita di una città, dove tutto è sgargiante: i colori, i sorrisi dei suoi abitanti, la danza, la musica, la gioia malgrado la fatica. Il film è recitato nella lingua originale Wolof ( con sottotitoli), perché il regista non vuole niente di artefatto. Il suono di una lingua racconta già la storia del suo popolo e Garrone lascia che tutto si compia .
Anche nella babele di una prigione o nella stiva soffocante di un barcone, dove si mischiano le etnie, riconoscersi resta importante e le radici vanno difese. Garrone sceglie un punto di partenza del viaggio diverso: il sogno di una coppia di giovani cugini senegalesi, Seydou e Moussa e il loro desiderio “legittimo” di non vivere l’intera esistenza di stenti, il desiderio di mettere a frutto il loro talento nel fare musica. I due ragazzi sognano autografi, il successo in Europa, un mondo solo immaginato, di cui non sanno nulla, ma dove vogliono comunque arrivare. Sono incoscienti come lo sono i giovani, impazienti come lo sono i nostri stessi figli quando ci chiedono di voler partire per realizzarsi lontano da noi. Ecco quale è il punto di vista geniale del regista: guardare al viaggio come la possibilità di realizzare un sogno legittimo che nessuno può spegnere. Non un governo, non la distanza e neanche la povertà!
Man mano che il viaggio procede, le tinte scoloriscono , gli occhi di Seydou si appannano, il coraggio manca, la paura aumenta, la vista ravvicinata della morte fa vacillare il sogno. E qui emerge un altro aspetto importante della narrazione di Garrone: la natura, pur nella sua asprezza non impedisce il viaggio. Il deserto e il mare, magnifici nella loro immensità, non hanno mai costituito nella storia dell’umanità un limite invalicabile per le scoperte dell’uomo. Il limite viene dall’uomo. Le difficoltà e le insidie del viaggio provengono dagli uomini, dalla loro malvagità, dalla loro cupidigia, dalla loro crudeltà, dalle loro false promesse .
Ma ancora una volta, pur tra mille difficoltà, il regista impedisce al sogno di svanire. Lo fa rivivere, come in una favola, tema tanto caro a Garrone, attraverso un paio di visioni oniriche indimenticabili a dimostrazione che il sogno può e deve restare nei giovani , per dare conforto, per superare il dolore, per colmare la malinconia di una mancanza . Il viaggio si compirà e cambierà la vita di Seydou ma anche la nostra percezione di un sbarco, si spera, perché adesso ci hanno raccontato anche cosa c’è prima. Da vedere, imperdibile
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L’EPOPEA DEGLI “INVASORI” COLPEVOLI DI SOGNARE
di Gaetano Perricone
Ho ben poco da aggiungere alle tante parole di elogio che ho letto sullo straordinario film di Matteo Garrone, comprese quelle scritte come sempre con grande sapienza, profondità, cultura e anima dalla mia carissima amica Antonella De Francesco, brava come e più di tanti che i critici cinematografici lo fanno per mestiere, nell’articolo sul mio blog che ripropongo nel link qui sotto.
Prima dello sbarco. Quei sogni legittimi che nessuno può spegnere, neanche uomini malvagi”, titolai quell’articolo su Io Capitano, capolavoro del neorealismo cinematografico del 2023. Dopo averlo visto con i miei occhi e metabolizzato con il mio sentire, lo rifarei identico quel titolo: il tema fondante del racconto è il contrasto tra la commovente pulizia interiore dei due meravigliosi e dolcissimi ragazzi senegalesi, Seydou e Moussa che i loro sogni di una vita nuova fatta di musica e gioia vogliono coltivarli nonostante tutto e tutti e l’orrenda sporcizia degli uomini malvagi e del sistema mafioso, impregnato di disumana violenza e sopraffazione, che sulla pur minima possibilità che quei sogni vengano realizzati specula sui poveri e miseri averi dei migranti che sognano l’Europa con i metodi più spaventosamente coercitivi e intimidatori. Fino all’omicidio brutale, selvaggio, senza alcun rispetto per la vita umana.
E’ davvero un pugno sullo stomaco come hanno detto tutti questo film, questo viaggio verso il sogno prima dello sbarco che non mi ha fatto piangere, ma arrabbiare moltissimo. Non solo per le scene implacabilmente realistiche, soprattutto della epica traversata del deserto e della immane violenza nelle prigioni libiche, ma anche e soprattutto perché oggi sappiamo e vediamo ogni ogni giorno che nella tanto mitizzata Italia, nell’Europa tanto vagheggiata ed evocata da Seydou e Moussa e le loro compagne e compagni, questi sognatori eroici e disperati che arrivano dall’orrore più assoluto per cercare una vita migliore, NON LI VUOLE NESSUNO O QUASI.
Non so se i governanti che vogliono difendere con ogni mezzo i confini del nostro Paese dall’invasione di questi sognatori abbiano visto IoCapitano. Certo, dovrebbero averlo fatto o dovrebbero farlo prima di tutti noi, semplicemente per curiosità se non per l’interesse che un politico dovrebbe avere rispetto a certi temi, ma non ne sono sicuro: con un minimo, non dico tanto, di anima e di umanità, avrebbero fatto o farebbero qualche riflessione a fronte del loro bieco propagandismo quotidiano e della becera ricerca del consenso, guardando il film di  Matteo Garrone. Ma dico cose troppe grosse quando parlo di umanità e anima per certa gente.
Ultima cosa: IoCapitano, secondo me, l’Oscar lo merita tutto, fa piena luce con il realismo più drammaticamente illuminante, con enorme lucidità e coraggio narrativo, ma anche con momenti di altissima poesia, su una delle più dolorose piaghe che affliggono il mondo da oltre un secolo. Per quanto mi riguarda, nella sua devastante crudezza è tra più bei film che abbia visto nella vita, perché è la vita reale, la più brutta, quella che in tanti non vogliono vedere, trasportata sul grande schermo del cinema. Che ci frastorna, ci travolge, ci mortifica, ci umilia perché ci fa sentire colpevoli, almeno su di me ha avuto questo effetto, di permettere tutto quello che vediamo intorno a noi.
L’Oscar lo meriterebbe eccome, IoCapitano. Ma non so se il sistema di Hollywood vorrà dare il giusto riconoscimento a questo capolavoro dirompente. Forse troppo per il gran circo del cinema e i suoi equilibri, dovrebbero avere il giusto coraggio gli illustri giurati per dare un grande messaggio al mondo.
Buona visione, se ancora non l’avete fatto.

Antonella De Francesco

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