di ANTONELLA DE FRANCESCO
Un grandissimo film per forma e contenuto, l’ultimo di Christopher Nolan, Oppenheimer, (anche se il mio preferito resta Dunkirk del 2017), dedicato alla biografia del grande scienziato statunitense che coordinò il progetto Manhattan, ossia l’elaborazione della bomba atomica. Non banalmente un biopic sullo scienziato, ma la ricostruzione di un momento storico decisivo per la scienza e per l’umanità , costruito con la consueta corsa avanti e indietro nel tempo con cui Nolan ci fa entrare anche dentro la mente dì Oppenheimer, mentre viene lacerato da dubbi e scrupoli morali, pur nella consapevolezza che vi sono sfide della vita che vanno affrontate a ogni costo.
Un cast stellare (Cillian Murphy nei panni di Oppenheimer, Emily Blunt, Matt Damon, Florence Pugh, Robert Downey Jr., etc) per rappresentare un Prometeo contemporaneo capace di visione, sia nel senso di premonizione sia di leadership, che consegna al mondo un arma che nella mente dello scienziato, paradossalmente, può salvarlo. Un’arma così distruttiva che basterà usarla una sola volta. La differenza tra teoria e pratica segna il confine tra scienza e ragion di stato: il candore e l’indipendenza della prima, affidata al sogno e alla perseveranza di alcuni tra i più illustri fisici del tempo che presero parte al progetto Manhattan, deve fare i conti con l’urgenza degli Stati Uniti d’America di chiudere la guerra in Giappone e mostrare al mondo la sua egemonia assoluta, non solo politica, ma anche culturale e scientifica, arginando la paura dello spettro dell’URSS e del comunismo.
Nolan riesce ad intrecciare cinema d’autore e blockbuster, lasciandoci con domande aperte, esplorando le contraddizioni dell’uomo del secolo scorso che ancora ci attraversano. Ci può essere scienza fuori dall’etica? La ricerca in ambito scientifico e tecnologico può accettare che le sue conquiste siano usate in modo distorto sulla base di scelte umane e politiche che possano modificare la storia con conseguenze imprevedibili e finanche devastanti? C’è un limite alla ricerca? La distanza tra teoria e pratica in ambito scientifico è incolmabile? Fino a che punto lo scienziato deve preoccuparsi delle conseguenze della sua ricerca e del mondo che verrà? A chi appartiene una scoperta scientifica ?
Che si tratti di bomba atomica, vaccini o intelligenza artificiale, Nolan forse vuole avvisarci del fatto che la ricerca scientifica non può arrestarsi, ma le applicazioni tecnologiche che ne deriveranno sono spesso imprevedibili e non sempre benefiche. Per questo l’esplosione della prima bomba atomica durante il Trinity Test è luce e fuoco in un silenzio assordante, seguito da un boato che arriva solo dopo, ma resta assordante per sempre, non solo nella mente di Oppenheimer ma nella memoria e in tutti noi spettatori, perché le conseguenze di una scelta non sempre si mostrano immediatamente, a volte hanno bisogno di tempo per palesarsi, mostrando tutta la loro intrinseca atrocità. Ma la scelta di Nolan sta dando già i suoi frutti: le sale cinematografiche sono piene e i giovani sono tornati al cinema. Questo è forse il suo più grande merito: avere risvegliato i giovani dal torpore dei divani di casa, trascinandoli nelle sale!
Da vedere.
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di GAETANO PERRICONE

Lungo? Certamente lo è, ma non posso dire di essermi stancato, visto che il mio livello di attenzione e di tensione è stato altissimo fino all’ultimo. Noioso? Più che altro e solo in parte criptico, almeno per me che di fisica e meccanica quantistica non capisco una mazza, soprattutto nel primo tempo, dominato dalla ricostruzione tecnica del percorso che portò alla bomba. Pesante? Forse, per il tema affrontato, ma molto di più per chi arriva al cinema con il pregiudizio diffuso che debba esserlo.

Ciò premesso Oppenheimer, il film di Christopher Nolan che racconta la storia del papà della bomba atomica e della nascita della più spaventosa e terribile arma di distruzione di massa finora inventata dall’uomo, a mio avviso ha sicuramente una grande potenza evocativa; un fortissimo valore didattico che ho ampiamente percepito con i miei occhi considerato il pienone di ragazzi allo spettacolo a cui ho assistito, curiosi forse di sentire personalmente in una ricostruzione cinematografica così dettagliata la grande paura che noi nonni e i genitori hanno loro inculcato; ovviamente, mi sembra inutile dirlo, un’angosciosa attualità in un mondo in cui, in vari teatri di conflitti o di permanente e pericolosissima guerra fredda – dall’Ucraina alla Corea del Nord, ai confini tra India e Pakistan, eccetera – , di possibile ricorso alla guerra nucleare si parla un giorno sì e l’altro pure.

Robert Hoppenheimer

Secondo me – ma è il punto di vista di un vecchio e antiquato comunista pacifista, visceralmente anti yankee – ne escono con le ossa rotte quell’idea e quella parte di scienza e di scienziati che negli anni quaranta nel secolo scorso vollero a tutti i costi arrivare all’arma assassina considerandola alla stregua di qualunque straordinaria scoperta scientifica, ma anche il mostruoso cinismo con cui gli Stati Uniti e il presidente Harry Truman (letteralmente disgustoso nella rappresentazione che ne dà il film) decisero che i 210.000 morti e 150.000 feriti giapponesi complessivi a causa delle due esplosioni di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945, solo molto parzialmente previsti, valessero comunque la pena per fare finire la Seconda Guerra Mondiale ed evitare altri morti americani. Tesi che continua a farmi vomitare, anche perché non è dimostrata dalla storia né dimostrabile l’altra secondo cui se non l’avessero fatto gli Stati Uniti, prima o poi sarebbero stati altri Paesi, l’allora Unione Sovietica innanzitutto, a buttarla. Così come è forse razionalmente e crudelmente vera l’idea – che l’opera di Nolan fa in qualche modo passare – che, nell’immaginario collettivo della gente e di chi ha in mano i destini del mondo, dopo 78 anni e fino a oggi (lo dimostra anche la grande attenzione e il dibattito suscitato dal film) l’orrore e la paura per gli effetti dei due ordigni sganciati in Giappone continuino ad essere un deterrente notevolissimo.

Ho trovato formidabile, calzante e spesso struggente, l’interpretazione che Cillian Murphy offre della figura di scienziato geniale e uomo tormentatissimo che fu Robert J. Oppenheimer, tra l’esultanza per la riuscita del progetto e la consapevolezza interiore, drammatizzata nel film da vari passaggi onirici, di come e quanto la nascita della bomba atomica avrebbe cambiato il mondo in peggio. Bravissime le sue due donne, Jean -Florence Pugh e Kitty – Emily Blunt; Robert Downeyj nei panni del suo peggior nemico finto amico Lewis Strauss che lo perseguitò per motivi di odio personale camuffati dal movente delle idee politiche di sinistra di Oppy nel periodo del maccartismo; del grandissimo Matt Damon interprete del  generale Leslie Groves che insieme a Oppenheimer guidò il progetto e realizzò la cittadina di Los Alamos nel deserto del Nuovo Messico; dell’ottimo Tom Conti nella parte breve, ma molto incisiva e affascinante di Albert  Einstein, che mai volle partecipare alla realizzazione dell’arma.

Per me è dunque un filmone da vedere senza alcun dubbio, anche se riconosco come valide varie obiezioni e critiche che ho letto e ascoltato. In ogni caso, credo che il merito assoluto di Oppenheimer sia quello di farci riflettere tutti, vecchi e giovani, sulle folle e inesauribile capacità dell’uomo di correre verso l’autodistruzione.

Antonella De Francesco

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