Luoghi Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/luoghi/ Il Blog di Gaetano Perricone Mon, 08 Apr 2024 05:30:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Che magnifico spettacolo gli anelli dell’Etna! https://ilvulcanico.it/che-magnifico-spettacolo-gli-anelli-delletna/ Mon, 08 Apr 2024 05:30:16 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24889 di Giovinsky Aetnensis In questi giorni il nostro magnifico vulcano ci delizia con degli anelli di gas a vortice, i Volcanic vortex rings che vengono espulsi da un nuovo pozzo craterico (Pit Crater) posto a nord est del cratere di Sud Est. Sembrano venire fuori come un respiro affannoso questi anelli, che poi veleggiano sopra […]

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di Giovinsky Aetnensis

In questi giorni il nostro magnifico vulcano ci delizia con degli anelli di gas a vortice, i Volcanic vortex rings che vengono espulsi da un nuovo pozzo craterico (Pit Crater) posto a nord est del cratere di Sud Est. Sembrano venire fuori come un respiro affannoso questi anelli, che poi veleggiano sopra la montagna modellandosi sempre più fino a poi sfaldarsi.

L’Etna, “colonna del cielo”, é un vulcano in continua mutazione che non stanca mai, suscita sempre meraviglia e stupore per gli osservatori appassionati come me ed é sempre una grande emozione quando si pratica l’escursionismo

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Mompileri: storia, arte, religione a 355 anni dalla “grande ruina”. Il giorno del dolore e della speranza https://ilvulcanico.it/mompileri-storia-arte-religione-a-355-anni-dalla-grande-ruina-il-giorno-del-dolore-e-della-speranza/ Tue, 12 Mar 2024 05:52:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24753  di Santo Scalia  Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669,  Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata. Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano […]

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 di Santo Scalia 

Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata.

Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano e le popolazioni che, con fatica, lì vivevano.

Dopo l’eruzione del 1447 – che come riferisce Matteo Selvaggio fece poco danno – a dire del Canonico Francesco Ferrara, storico di Trecastagni, «l’Etna godette d’una lunga calma; i suoi fuochi restarono assopiti per quasi 90 anni».

Il Canonico riporta che «A’ 24 Marzo del 1536 verso il tramontar del Sole una nera nube al di dentro rosseggiante coprì il cratere»; successivamente colate di lava si riversarono in direzione di Randazzo, poi verso i paesi di Bronte e Adernò [così allora veniva denominato Adrano, n.d.A.] ed infine, il giorno 26, «[…] come dice una relazione manuscritta fatta a Mompiliere, si aprirono 12 voragini tra il Monte Manfrè, e Vituri [oggi Monte Vetore, n.d.A.] nella parte meridionale dell’Etna, dalle quali un gran fiume di lava vomitato si diresse verso il sud» [1].

Due episodi particolari vengono riferiti, sempre dal Ferrara: la distruzione della Chiesa di San Leone e la tragica morte del medico di Piazza Armerina, Francesco Negro. Ecco cosa scrive il Canonico: «La Chiesa di S. Leone che era nel bosco in quel giorno colle scosse fu interamente appianata, e poco dopo sopragiunta la lava, le sue rovine furono sepolte sotto un fiume di fuoco».

Ed ancora: «Francesco Negro Filosofo, e Medico della Città di Piazza, da Lentini erasi portato a veder da vicino l’eruzione; o colpito da un colpo di fumo, o dalle enormi pietre che erano state eruttate dalle voragini, a cui egli erasi forse molto avvicinato, perì miseramente».

Da Storia naturale e generale dell’Etna di Giuseppe Recupero, 1815

Un tempo, traccia di questa eruzione – come riportato da Giuseppe Recupero [2] – si trovava anche nella cisterna del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi; oggi quella tavola non è più visibile.

Se nel 1536 la minaccia lavica non fu grande per Mompileri, l’anno successivo, «[…] agli 11 del mese stesso [maggio, n.d.A.], alle Fontanelle sotto la Schiena dell’Asino, aprironsi molte voragine che vomitaron torrenti di lava maggiori dell’anno precedente. […] Lasciato illeso S. Nicolò l’Arena giunsero a Nicolosi, e Mompiliere». (F. Ferrara, op. cit.)

Stavolta la colata lavica raggiunse Mompileri e, come riporta ancora il Ferrara, «sulle mura della cui Chiesa maggiore fermossi un braccio del torrente infuocato il dì 19 maggio»; l’evento è sorprendente: gran parte dell’abitato venne risparmiato e il popolo gridò al miracolo; si decise di lasciare ben visibili le intrusioni di quella lava nella parete interna della chiesa.

Ma è nel marzo del 1669 che il vulcano segnerà definitivamente il destino dell’abitato di Mompileri, delle sue chiese e di tanti casali etnei (Guardia, Malpasso, San Giovanni di Galermo, Mascalucia, Camporotondo, San Pietro Clarenza, Misterbianco, Li Plachi). Lunedì 11 marzo 1669 «[…] s’aprì il Monte con gagliarde scosse, e cominciò da due bocche à vomitar fuori fiamme con tanta furia, e pioggia di pietre infocate in aria, che passavano l’altezza di cento canne» [3]. L’autore aggiunge un dato impressionante: «[…] trà lo spatio di poche hore mandò fuori tanta materia, che bruggiò, e ricoperse affatto trè Casali: La Guardia, Mompelieri, e Malpasso».

Alcuni paesani, sotto il rapido incalzare della colata, provarono a mettere in salvo le più preziose tra le opere d’arte vanto di Mompileri: portarono via dalla chiesa madre il gruppo marmoreo dell’’Annunziata (statue che, a detta di Tomaso Tedeschi, «eran stupore dell’arte; se pure da humane, e non d’Angeliche mani furono scolpite») ma, a causa del pochissimo tempo a loro disposizione, dovettero presto abbandonare le statue al loro destino. Anche la statua lignea di San Michele Arcangelo, che era custodita in una cappella lì vicino, fu portata fuori ma abbandonata davanti al fronte lavico che stava per raggiungerli. L’altra statua di marmo, quella della Madonna delle Grazie, rimase sull’altare della chiesa: non ci fu neppure il tempo per tentare di metterla in salvo!

Da Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669 di Carlo Mancino

Carlo Mancino, nella sua “Narrativa del fuoco uscito da Mongibello” [4], così ci descrive quelle opere: «[…] vi erano tre Statue di finissimo marmo, di grandezza del naturale. Una del Angelo Gabriele, l’altra di Nostra Signora Annunciata, e la terza della Regina delle gratie col bambino in braccio. Tutte, e tre di sì bella, ed esquisita manufattura, che prescindendo d’essere Statue Sacre, valutavano più di centomila scudi, per essere state le più belle statue di tutta Italia; che per ammirarle, havevano venuto li primi Scultori, e Pittori d’Europa, stimandoli d’ogni perfettione […]»

Il 12 marzo del 1669 l’antica Mompileri scomparve travolta dalla lava.

Affresco sulla parete esterna del primo Santuario di Mompileri (foto S. Scalia)

Come dovesse apparire il gruppo marmoreo dell’Annunciazione possiamo vederlo grazie ad un affresco posto sulla parete esterna del primo Santuario, edificato sulla colata lavica, proprio sopra alla chiesa distrutta, nei primi anni del ‘700.

L’Annunciazione di Mompileri, dipinto attribuito a Giacinto Platania (Chiesa di Massa Annunziata – Foto S. Scalia)

Un’altra riproduzione del gruppo marmoreo, attribuita al pittore acese Giacinto Platania, si può ammirare presso la Chiesa Maria SS. Annunziata, proprio nel paese di Massannunziata: l’Arcangelo Gabriele sta a sinistra, in atto di inginocchiarsi e porgere dei gigli (simbolo della castità e della purezza); Maria, a destra, sorpresa dalla novella, quasi si schermisce ed è raffigurata con una corona sul capo.

Nel 1678, ad Amsterdam, vedeva la luce la terza edizione della famosissima opera Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher (di lui abbiamo ampiamente trattato su questo blog, ilVulcanico.it). In questa nuova edizione, la prima dopo il catastrofico evento, Kircher dà una concisa descrizione degli eventi accaduti in Sicilia, e sottolinea anch’egli la bellezza e la fama delle statue perdute.

Ancora una descrizione delle mirabili statue la troviamo nella Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano [5], cronaca manoscritta del 1752: «Lo Foco caminò nella Terra di Mompileri, che arrivava a n.° 3 M[ila] Anime, […] et quello che più importa, ricchissima di Statue di Marmo. […] La merviglia di dette statue [era] che havendo venuti Spagnoli, Francisi et altri, non pottero mai copiari il vestito di detto Angelo, basta qui, direi, che foro la maraviglia di tutta Italia, et più […]».

Tutto era andato perduto, o così sembrava. Qualcosa invece si era salvato, e fu successivamente ritrovato. Per descrivere questi ritrovamenti, riporto alcuni passi tratti dal l’opuscolo Maria sull’Etna [6]: «Alcuni mesi dopo l’eruzione, alcuni uomini venuti a verificare cosa possa essersi salvato dalla furia della lava, ritrovano il simulacro [di San Michele Arcangelo, n.d.A.] in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi; gli stessi, secondo gli antichi racconti, si sarebbero riuniti dopo averlo oltrepassato. Il simulacro viene portato nel sito abitativo di Massa Annunziata».

Nel 1704 «Il 18 Agosto, sotto la spessa coltre lavica, avviene il sospirato ritrovamento della statua della Madonna delle Grazie. I cercatori arrivano, probabilmente trascinandosi carponi e, man mano rimuovendo detriti e frammenti della struttura della chiesa crollata sotto il grave peso della lava e possono contemplare per la prima volta la statua della Madonna dal suo lato sinistro».

Infine, nel 1955, scavando in una cava di ghiara [rena rossa, n.d.A] nelle vicinanze del Santuario si «ritrova la testa del simulacro della Madonna Annunziata. Nei giorni successivi viene ritrovata la testa del simulacro dell’Arcangelo Gabriele ed altri frammenti dello stesso gruppo marmoreo.».

E’ però il ritrovamento del 1704 ad aver assunto un’aura di miracolo.

La statua della Madonna delle Grazie, che la tradizione popolare vorrebbe fosse stata ritrovata intatta, ancora sull’altare, aveva invece subito gli insulti causati dall’eruzione e dalle difficilissime operazioni per riportarla in superficie: il marmo era stato deteriorato dal calore della lava ed era rotta in più pezzi (tutti però ritrovati). Fu abilmente ricomposta nel corso dell’Ottocento e dipinta con vernici colorate, anche per nascondere all’occhio ciò che le tragiche vicende subite avevano causato [7].

Nel settembre del 2021, a cura dell’associazione Mascalucia Doc A.C., un’associazione no profit – finanziata solamente con il supporto economico dato dai suoi soci e dalle attività commerciali che volontariamente la sostengono – è stata pubblicata la “fanzineMompileri, stupore dell’arte. Cos’è una fanzine? E’ un termine derivato dalla lingua inglese, una lingua molto diversa dalla nostra ma, per certi versi, più semplice e con una più accentuata capacità di sintesi: così, dai termini magazine – che per noi è “rivista” – e fan, diminutivo di fanatic – che in italiano sta per “appassionato” –  è nato il sostantivo fanzine, contrazione di fanatic magazine [8].

Nella lingua italiana tale neologismo, più precisamente “anglicismo”, è stato accolto al femminile: una “fanzine” è quindi una rivista realizzata da appassionati, che prestano la loro opera a titolo assolutamente gratuito, e lo fanno con l’entusiasmo di chi ha a cuore la diffusione della conoscenza, in questo caso la conoscenza del proprio territorio e della sua storia, e nel caso particolare del territorio che è stato definito delle tre emmeMompileri, Massannunziata e Mascalucia.

La prima fanzine associativa aperiodica, il numero 1, è stata interamente dedicata alla storia dello sfortunato casale di Mompileri, ricoperto dalle lave etnee nel 1669. Si tratta di una «fanzine composta da 50 pagine tutte a colori che ripercorre la storia, gli avvenimenti e tutte le verità inerenti il sito storico-religioso di Mompileri».

Dal 3 aprile del 2022 – dopo una coraggiosa e superba opera di restauro, l’opera (dagli esperti sempre più convintamente attribuita alla mano del Gagini) è stata restituita all’aspetto originale ed è possibile ammirarla… così come lo facevano i fedeli di più di 355 anni fa. “É come se l’avessimo ritrovata per la seconda volta” ha commentato Don Alfio Giovanni Privitera, rettore “pro-tempore”, come egli ama definire se stesso, che fortemente ha auspicato questo restauro. Rimosso lo strato di colorazioni ottocentesche, è riapparso il simulacro nella sua splendida semplicità di marmo arricchito da fregi dorati.

La statua lignea dopo il restauro (foto S. Scalia)

Ma l’opera di Don Alfio Privitera non si è arrestata con questo traguardo importante dal punto di vista storico, culturale, artistico e religioso: la statua lignea di San Michele Arcangelo, che, come già ricordato, al tempo dell’eruzione fu portata fuori dalla vicina cappella ma lasciata davanti al fronte lavico e che fu in seguito ritrovata intatta in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi di lava, è stata oggetto di un accurato restauro, “un altro motivo di meraviglia!”, come affermato dal Rettore.

Il 15 luglio del 2023 l’opera lignea (realizzata nel 1654, solo 15 anni prima della catastrofica eruzione), è stata restituita alla comunità svelando particolari che col tempo si erano perduti (vedi fotogallery).

Il simulacro dell’Arcangelo, patrono di Massannunziata, è custodito la Chiesa di Maria SS. Annunziata della frazione di Mascalucia.

Un sentito e doveroso ringraziamento va al Rettore Don Alfio Giovanni Privitera per la sua disponibilità e squisita cortesia e all’Associazione Mascalucia DOC per il prezioso lavoro svolto per la conoscenza e la salvaguardia del territorio mascaluciese.

Riferimenti bibliografici:

  • [1] Francesco Ferrara, Storia generale dell’Etna – 1793
  • [2] Giuseppe Recupero, Storia naturale e generale dell’Etna – 1815
  • [3] Bonaventura la Rocca – Relatione del nuovo incendio fatto da Mongibello – 1670
  • [4] Carlo Mancino, Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo

 del 1669

  • [5] Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano, cronaca manoscritta del 1752 e

pubblicata nel 1929 dal Canonico Vincenzo Raciti Romeo «per accrescere il patrimonio della storia di Acireale»

  • [6] Maria sull’Etna (opuscolo del 2019 curato dal Santuario Madonna della Sciara in

occasione del 350° della conservazione del simulacro della Madonna sotto la lava)

  • [7] Il restauro del simulacro marmoreo cinquecentesco della Madonna della Sciara

(pubblicato a cura del Santuario Madonna della Sciara nell’aprile del 2022)

  • [8] Mompileri, stupore dell’arte (fanzine pubblicata nel 2021 a cura dell’Associazione

Mascalucia DOC)

  • [9] Il restauro del simulacro di San Michele Arcangelo (opuscolo del 2023 curato dal

Santuario Madonna della Sciara in occasione della celebrazione inaugurale del 13 Luglio 2023)

Con il titolo: A prospect of Mount Ætna with its eruption in 1669  (Mary Evans Picture Library), un prospetto del Monte Etna con la sua eruzione del 1669

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11 gennaio 1693: il grande e terribile terremoto nelle epigrafi di Catania https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/ Thu, 11 Jan 2024 05:48:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24554  di Santo Scalia  In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com). Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non […]

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 di Santo Scalia 

In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com).

Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, a Malta e persino in Tunisia. Il primo forte evento si verificò di sera, il 9 gennaio 1693, attorno alle ore 21:00 GMT (il tempo medio di Greenwich); il secondo avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT, ed ebbe effetti veramente catastrofici.

Catania, la più grande e popolata città presente nell’area di massima distruzione, fu “atterrata” e pagò il più alto tributo di vite umane: circa 12.000 vittime (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora). In totale, furono registrati circa 54.000 morti, di cui 5.045 (il 51%) a Ragusa; 1.840 (pari al 30%) ad Augusta; 3.000 (il 25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica (*).

Il devastante avvenimento fu così terribile che i catanesi, nel corso dell’opera di ricostruzione della loro città e negli anni seguenti, hanno voluto inciderne il ricordo nel marmo, a perenne memoria di quanto accaduto in quel tragico anno.

L’epigrafe più nota ai catanesi, probabilmente, è quella posta in Via Antonino di Sangiuliano: lì una targa marmorea, posta sulla parete dell’edificio, tra i numeri civici 235 e 237, a pochissimi metri d’altezza, “ricorda i terremoti del 9 e 11 gennaio 1693 e i loro devastanti effetti, ammonendo i catanesi a fuggire nelle campagne in caso di scosse, ma anche a vigilare sulla città esposta a saccheggi e ruberie” (*).

Meno conosciuta, anche se esposta agli occhi di tutti coloro che ammirano la Cattedrale catanese, è la lapide situata nel Giardino della basilica (sul prospetto dell’aula capitolare): A Dio Uno e Trino / Il giorno 9 gennaio del 1693 un forte terremoto scosse Catania tutta, il giorno 11 dello stesso mese la distrusse, tolse la vita a 16.000 cittadini, fugò i rimasti incolumi, attrasse i forestieri a rubare. Queste cose ci ammoniscono di scegliere al primo terremoto un rifugio nei campi e di custodire la Città. Nell’anno della salute 1725″.  [traduzione dal sito internet mimmorapisarda.it]

Sempre nella Cattedrale, ma al suo interno, si trovano altre due epigrafi che riguardano il sisma: una posta nel monumento funebre di Francesco Antonio Carafa (vescovo di Catania dal 1687 al 1692), l’altra in quello del suo successore Andrea Riggio (vescovo di Catania dal 1693 al 1717).

Di queste, la prima si trova nel transetto sinistro: Don Francesco Carafa, già Arcivescovo di Lanciano poi Vescovo di Catania, vigilantissimo, pio, sapiente, umilissimo, padre dei poveri, pastore così amante delle sue pecorelle, che poté allontanare da Catania due sventure da parte dell’Etna, prima del terremoto [del 1693]. Dopo di che morì. Giace in questo luogo. Fosse vissuto ancora, così non sarebbe caduta Catania”. (Anno Domini 1695)” .

La seconda è invece nella cosiddetta Cappella di Sant’Agata, nell’abside destra. L’epigrafe è posta alla base del mausoleo e tramanda la memoria della ricostruzione della chiesa distrutta dal terremoto: L’illustrissimo e reverendissimo signor don Andrea Riggio, vescovo di Catania, nell’anno della salvezza 1693 in cui tutta la città fu scossa dalle fondamenta da un esiziale terremoto, consigliato dalla divina Provvidenza, dedicatosi, come per la lapide, al generale restauro dei sacri edifici, affinché fosse di ornamento all’angolo di questa cappella e per il culto eterno di sant’Agata, eresse per sé questa mole sepolcrale. Nell’anno 1705”  

A poca distanza dalla Cattedrale si trova un’altra delle chiese principali della città, la Basilica Collegiata di Maria Santissima dell’Elemosina, meglio conosciuta come Basilica della Collegiata. Qui si trovano altre due epigrafi in tema, uno sulla facciata, l’altro all’interno, posto sul primo pilastro a sinistra: “Il ciantro [= primicerio] don Giovanni Francesco Lullo conferì decoro alla cappella regia degli Aragonesi, distrutta dal terremoto, ripristinata dall’operosità del capitolo, avendo adornato soprattutto l’interno e reso decoroso l’esterno. Anno 1768 dal parto della Vergine [= dalla nascita di Cristo]”.

“Qui dove aveva prescelto, / fu sepolto / don Giuseppe Mazza Tedeschi / patrizio catanese / che / questo tempio abbattuto dal terremoto / per restituire all’integrità / con abbondanza di denaro / offrì la sua opera. – Morì nell’anno del Signore 1744”.

Un’altra epigrafe, meno nota rispetto alle altre, a causa della posizione nella quale è apposta, si trova poco più in là, in via dei Crociferi, nel cosiddetto Arco delle Monache (sul lato rivolto a nord): “A Dio Ottimo Massimo. La pietà delle monache vinse la ferocia del terremoto e quelle cose che l’11 gennaio 1693 vennero distrutte dalla enormità di quello, ora sono state ricostruite dall’ardore delle vergini: questo ingente arco segna la vittoria che, sotto il vessillo di don Andrea Riggio Saladino vescovo di Catania, una così grande guida della Chiesa, e della sorella Maria Stella Motta abadessa, le militanti spose di Cristo riportarono, con questo grande edificio, contro le offese del tempo e della terra. 1704”

Sin qui le epigrafi poste all’esterno di edifici o all’interno di chiese. Altre testimonianze si trovano all’interno di strutture private, alcune accessibili, altre invece no.

Nella centralissima via Etnea di Catania si trova il Palazzo San Demetrio, ai 4 Canti, nella cui Corte una lapide ricorda la ricostruzione dell’edificio, ad appena un anno dal terremoto: “A Dio Ottimo Massimo. Nell’anno primo dai terremoti siciliani, dal territorio ormai restaurato nel 1694, primo fra tutti don Eusebio Massa, barone della terra di san Gregorio e ricevitore della valle dei boschi, costruì i recenti edifici che vedete in questo quadripartito teatro di vie, primizie della rinascente Catania. Ospite, da qui trai buon auspicio e parti sano e salvo. “

In via Antonio di Sangiuliano, all’interno di un palazzo dove oggi ha la sua sede il Centro di Assistenza Fiscale di una associazione di categoria, è apposta l’epigrafe che riporta gli utili consigli che il protomedico Nicolò Tezzano, professore di medicina, aristocratico e filantropo, suggeriva ai cittadini catanesi: “A Dio Uno e Trino.  Nell’anno del Signore 1693, nei giorni 9 e 11 di Gennaio, un ingente terremoto sconvolse Catania e poi apportò funesta morte a diciottomila persone. Perciò, o cittadino, temi Dio e quando la terra si scuote, fuggì verso un luogo aperto o fermati sotto gli architravi. Ciò il protomedico Don Nicolò Tezzano scriveva”.

Delle due epigrafi alle quali non ho potuto accedere, una si troverebbe “sulla porta s’ingresso di palazzo Biscari (piazza San Placido)”; il testo sulla lapide riporterebbe le seguenti parole (vedi riferimenti bibliografici, n. 7):

Si nescis lege, luge, memor esto / IX ianuarii MDCXCIII terraemotus ingens Cata/nam cuncussit totam XI / eiusdem destruxit sexdec(em) / civium millia occidit, vivos fugavit, exteros excitavit / ad furta: haec moneat in primo / quod absit, motu terrae cam/pos omnes habitent, Urbem / custodiant. / MDCXCVI. La cui traduzione suona così: “Se non sai leggi, piangi, sii memore. Il 9 gennaio 1693 un ingente terremoto scosse tutta Catania. L’11 dello stesso mese la distrusse e uccise sedicimila cittadini, mise in fuga i sopravvissuti, indusse gli stranieri ai furti. In primo luogo ciò sia di monito a quel che manca: dopo un terremoto tutti abitino le campagne e custodiscano la città. 1696”.

Analogamente, in via Vittorio Emanuele, lì dove un tempo si trovava l’Albergo Savona, all’interno del cortile, dovrebbe trovarsi la seguente epigrafe (7):

IX Ianuarii 1693. Ingenti terremotu Catana excussa est: XI eiusdem hora minus XXI rursus vehementer agressa tota ruit ac sexdecim civium millia aedificiis obruti interiere. Haec monitura post epost bula affixa est ut primis motus terrae ictus fatum ne denuo subeant. Año Dñi 1693. “9 gennaio 1693, Catania è stata scossa da un ingente terremoto. L’11 dello stesso mese alle 21 circa, di nuovo aggredita fortemente, rovinò tutta e morirono sedicimila cittadini sepolti dagli edifici. Questa targa è stata affissa come futuro monito dopo l’evento affinché, come fu per i primi, altri non subiscano di nuovo il destino dell’urto del terremoto. Anno Domini 1693”.

L’evento rimase impresso anche nella mente degli abitanti della città di Acireale dove, su una popolazione di circa dodicimila anime, si contarono oltre settecento vittime. Diventarono così famosi i seguenti versi:

L’espressione “a vintin’ura” non deve trarre in inganno: non si tratta infatti delle “ore ventuno”, come erroneamente si potrebbe intendere, bensì, come già indicato, delle ore 13:30 circa: nel secolo XVII era in uso la cosiddetta “ora all’italiana”, un modo differente di misurare il tempo rispetto a quello cui siamo adesso abituati.

Anche in questa città si trovano testimonianze del tragico avvenimento: nella Basilica San Sebastiano, all’interno di un medaglione di calcare, sospeso al pilastro destro del prospetto, si trovano incise le parole: “A Dio Ottimo Massimo. Questo tempio, crollato nel 1693 per un terribile terremoto, risorge più decorosamente nel 1699, testimonianza ai secoli eterni”.

Sempre ad Acireale, non su una epigrafe, ma incise su una lamina d’oro custodita nel Tesoro di Santa Venera, nella Cattedrale, si trovano le seguenti parole (6): “DIVÆ VENERÆ, PATRONÆ, / OB SERVATAM VITAM / IN ORRIBILI TERREMOTV, IN AN: 1693 / HOC AMORIS SIGNVM / ACENSIS POPVLVS / D. D. D.”.

Infine, e anche in questo caso non si tratta di epigrafe, ma di dipinto, a Mascalucia, nella Chiesa della Madonna Bambina (2): In sudore vultus mei, ab ingenti terremotu, hanc patriam liberavi, anno 1693 cioè: “Nel sudore della mia fronte ho liberato questa patria dall’ingente terremoto dell’anno 1693”.

Prima di chiudere questa rassegna di testimonianze sul terremoto del 1693, voglio esprimere il mio ringraziamento alla Dott.sa Rina Stracuzzi per le trascrizioni, alla Prof.sa Maria Grazia Spadaro Cucinotta per le traduzioni e all’amico Antonino Cupitò per la disponibilità e l’impegno dimostrato. Lungi dall’essere esaustiva, questa rassegna vuole essere un punto di partenza per lo studio delle testimonianze epigrafiche relative al terremoto del Seicentonovantatrè. Spero che tra i lettori qualcuno sia a conoscenza di altri riferimenti, e che voglia condividerli. Le immagini allegate a questo articolo, ove non indicato espressamente, sono dell’Autore.

Bibliografia

  • VV. – La Sicilia dei terremoti – 1997
  • VV. – Mompileri, stupore dell’arte – a cura dell’Associazione Mascalucia-Doc – 2021
  • Anonimo siracusano – Il gran terremoto del 1693 a Siracusa – 1993
  • Boschi E., Guidoboni E. – Catania Terremoti e lave – dal mondo antico alla fine del Novecento – 2001
  • Burgos Alessandro – Distinta relatione dello spaventoso eccidio… – 1693
  • Di Natale M.C., Vitella M. – Il tesoro di Santa Venera ad Acireale – 2017
  • Nicolosi Salvatore – Apocalisse in Sicilia, il terremoto del 1693 – 1982
  • Nicosia Ivan – La Catania destrutta – 2018
  • Trigilia Lucia – 1693 Iliade funesta – la ricostruzione delle città del Val di Noto – 1994

 

Sitografia

(*) Ingv – Il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693 nella Sicilia orientale

Ingv – Catalogo dei forti terremoti in Italia 461 a.C. – 1997

Con il titolo: particolare da un’antica stampa tedesca (Fonte Ingv)

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I viaggi di Mirco: quello strano incontro nel borgo fantasma https://ilvulcanico.it/i-viaggi-di-mirco-quello-strano-incontro-nel-borgo-fantasma/ Fri, 15 Dec 2023 05:35:51 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24488 di Mirco Mannino Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia. Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 […]

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di Mirco Mannino

Mirco Mannino

Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia.

Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 paesi tra la provincia di Catania, Enna e Caltanissetta.

Ripartito tra il 16 Ottobre e il 6 Novembre 2023, ho deciso di tracciare come una sorta di compasso, che da Centuripe prosegue verso sud/ sud-ovest, toccando i comuni di Catenanuova, Ramacca, Aidone, San Michele di Ganzaria, Mazzarino e Riesi. “Il compasso” avrebbe dovuto proseguire poco più a sud verso Butera, ma per motivi logistici il comune non ha potuto in quest’occasione offrirmi la sua ospitalità, ma sarà sicuramente per la prossima.

Per incominciare al meglio questo percorso, ho deciso, come buon auspicio, di trascorrere la prima notte in tenda, presso ciò che rimane del Castello di Poira, situato tra i territori di Paternò e Centuripe. Un luogo che, a mio avviso, potrebbe essere definito come “una porta” verso l’entroterra siculo. Curioso come, tra l’altro, nel corso della notte, sogno di trovarmi esattamente lì, su quello stesso luogo, ma con l’unica caratteristica che il poggio su cui il castello si ergeva era bagnato dal mare, un mare cristallino che mi invitava ad immergirmi. Che fosse un sogno di buon auspicio?

La mattina dopo, il 17 ottobre, il viaggio ha veramente inizio.

Ma come posso sintetizzare in poche righe venti giorni di viaggio?  Piuttosto che fare una lista della spesa inutile, prolissa, e che non darebbe dignità e valore a nessun luogo, mi limito a raccontare un unico grande episodio che per me è stato sorprendente.

Erano i primi giorni dalla mia partenza da Catania, quando mi trovavo a Libertinia, un borgo rurale di epoca fascista appartenente al territorio di Ramacca. Girando per il borgo con il mio modo di fare inequivocabile (zainetto in spalla, e con tra le mani un treppiede e la macchina fotografica) ho destato subito la curiosità in tante persone, le quali, chi una e chi l’altra, mi hanno tutte quante suggerito di vedere un altro borgo molto interessante situato lì nei pressi, ma che nessuno fu in grado di dirmi come effettivamente si chiamasse.

Basta che esci poco poco dal borgo, guardi in direzione delle colline, e ti vedi spuntare alcuni gruppi di case, dove adesso non ci vive più nessuno – mi dice un signore. E’ stato costruito bene o male nel periodo di Libertinia… o forse un poco più tardi – mi racconta una signora molto cortese, la quale poi mi ha dato una bottiglia d’acqua fresca e un po’ di frutta.

Rapito dalla curiosità sono salito subito in macchina, alla ricerca di questo borgo di cui mai avevo sentito parlare fino a quel momento. Effettivamente dopo un paio di curve, vedo in lontananza una schiera di case che pareva uscita da un set cinematografico. Parcheggio proprio vicino a una stradella che si snoda in direzione del borgo e decido di proseguire a piedi, sotto il sole delle due di pomeriggio.

Faceva caldo, molto caldo. Mi sono cambiato per bene in modo da avere addosso solo abiti da escursione (così da non sporcare i vestiti buoni), e ho bevuto preventivamente una bella dose di acqua, così da avere una buona riserva per il deserto di colline spoglie che avrei attraversato di lì a poco. Perché sì, sebbene fossimo a ottobre, tutte le colline dell’entroterra apparivano uniformemente aride, senza neanche un poco di verde. Mano a mano che passeggio, il borgo si fa sempre più vicino, mostrandosi a me con una forma perfettamente rettangolare, quasi tracciata col righello, con due file di case posizionate sul lato corto e forse più di dieci case (tutte uguali) nel lato lungo.

Quando il borgo si fa veramente vicino, mi accorgo che lì nei pressi vi è una mandria di mucche, guidata da un mandriano le cui urla avevo cominciato ad udirle qualche centinaio di metri prima. Piuttosto che andare verso il caseggiato e destare sospetti in lui, ho preferito avvicinarmi e cercare di avere un dialogo. L’uomo,  sulla sessantina, dai modi molto rudi, camminava a petto nudo sotto il sole, con dei calzoni evidentemente troppo larghi per la sua costituzione, tanto che quando camminava, gli si vedeva palesemente il fondoschiena.

Gli spiego che ero venuto fin lì per dare un’occhiata al borgo e fare delle foto, e che sono state proprio alcune persone di Libertinia a consigliarmi questo luogo. Il mandriano, fattosi sospettoso, comincia a pormi delle domande ben precise, quali di dove fossi, con che macchina fossi venuto e di che colore fosse, giustificandosi che  alcuni “curiosi” di Catania, tempo addietro, era venuti fin lì per poi dimostrarsi dei truffatori, rubandogli il bestiame nella notte.

Da come parlava, si intuiva facilmente che quell’uomo raramente aveva a che fare con gli umani. Per rassicurarlo gli do tutte le informazioni da lui richieste (tutte false, ovviamente) e lo rassicuro dicendogli di voler solo fare un giro di qualche minuto, per poi tornarmene sulla mia strada.

Durante tutto il nostro dialogo, oltre alle varie vacche e vitelli che scorrazzavano nel campo, esattamente tra me e lui giaceva a terra il cadavere di una mucca, morta forse da una settimana, in avanzato stato di decomposizione. Io cerco di essere quanto più indifferente possibile alla faccenda, al pari del mandriano, che impassibile mi ascoltava. Gli chiedo se sapesse qualcosa del borgo, e lui mi risponde dicendo che si chiama Mandre Bianche. Finalmente, riesco a scoprire il nome di quel luogo. Quando mi viene detto il nome, mi risovviene subito alla memoria la storia della fondazione di Libertinia, che fu costruita per volere del Barone Pasquale Gesualdo Libertini sul suo feudo, il feudo di Mandre Rosse.

I conti tornano. Dopo aver finalmente ottenuto il lasciapassare dal mandriano, che si comportava come se il feudo fosse il suo, vado finalmente a curiosare un po’ nel borgo, ma mi accorgo ben presto che tutte le case erano state utilizzate come stalle. Le case erano abbastanza spaziose e si componevano di due piani, forse si trattavano di case plurifamiliari. Accanto ad ogni casa vi era un cubo di cemento, probabilmente da adibire o a pollaio o a stalla, mentre attorno ad ogni proprietà vi era inoltre un giardino. Non v’era traccia né di chiesa, né di posta, né di nessun servizio. Doveva trattarsi di un luogo solo ad uso abitativo, evidentemente.

Mentre passeggio per Mandre Bianche, il mandriano porta tutte le vacche all’interno del borgo, adibito praticamente a un’unica grande stalla. Quando vado per salutarlo, quello mi dà a parlare, per la prima volta in tono abbastanza amichevole. Mi chiede se conosco un tale macellaio della Via Plebiscito, ma  non gli ho saputo rispondere. Poi, scherzando, mi dice :”La prossima volta portala qualche ragazza da Catania”, poi, chiacchierando un poco, arriva a chiedermi grattandosi il capo: “E a servitù come siamo messi?” Io, credendo di aver intuito dove volesse arrivare a parare, faccio finta di non capire, costringendolo a costruire la domanda per intero. Così, mi domanda:

Intendo: la fidanzata? La fidanzata ce l’hai? La servitù è importante…

Mai avevo udito una cosa simile: associare il concetto di fidanzata a quello di serva. Sarà che forse quell’uomo vive lontano dalla società e si sia dimenticato cosa voglia dire vivere in un contesto fatto di persone, oltre che di sole vacche. Ad ogni modo, rispondo con il mio solito fare evasivo, né un sì né un no, ci salutiamo, e pian piano faccia strada verso la macchina, ripercorrendo quel deserto di colline a ritroso. Potevano essere le tre di pomeriggio, e questa giornata, lunghissima, senza saperlo mi avrebbe regalato tantissime altre esperienze.

Il viaggio era appena ricominciato.

 

Con il titolo: Mirco Mannino a Libertinia (tutte le foto dell’autore dell’articolo) 

 

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Alla scoperta dell’Etna con le guide vulcanologiche https://ilvulcanico.it/alla-scoperta-delletna-con-le-guide-vulcanologiche/ Sat, 09 Dec 2023 06:26:50 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24475 (Gaetano Perricone). Dal sito nazionale delle Guide Alpine, pubblichiamo integralmente questo comunicato con una interessantissimo intervista al nostro caro amico Vincenzo Greco, eccellente guida vulcanologica sull’Etna che abbiamo seguito fin dall’inizio di questo suo lavoro (fu il più giovane d’Italia quando cominciò), che è prezioso contributore con articoli di particolare successo de IlVulcanico.it e che […]

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(Gaetano Perricone). Dal sito nazionale delle Guide Alpine, pubblichiamo integralmente questo comunicato con una interessantissimo intervista al nostro caro amico Vincenzo Greco, eccellente guida vulcanologica sull’Etna che abbiamo seguito fin dall’inizio di questo suo lavoro (fu il più giovane d’Italia quando cominciò), che è prezioso contributore con articoli di particolare successo de IlVulcanico.it e che anche nelle risposte, piene di competenza ed equilibrio, sulla sua attività sul più alto vulcano attivo d’Europa Patrimonio dell’umanità e sui rischi in ambiente vulcanico per escursionisti sprovveduti e avventati, conferma le sue capacità e la grossa esperienza ormai acquisita sul campo. Un’intervista chiara e preziosa, da leggere anche per chi l’Etna lo conosce bene. 

Vincenzo Greco al lavoro

Fonte: Ufficio Stampa Guide Alpine Italiane – Comunicato stampa (https://www.guidealpine.it/blog/)

Osservare da vicino un cratere, le colate di lava e scoprire grotte vulcaniche. Ecco alcune delle incredibili esperienze che è possibile vivere con una Guida Vulcanologica, figura professionale specializzata per accompagnare turisti ed escursionisti nelle aree vulcaniche attive. Vincenzo Greco, guida Vulcanologica sull’Etna, cresciuto ai piedi del vulcano e studente di Geologia all’Università di Catania, ci racconta come si vive da vicino un vulcano.

Vincenzo, come sei diventato guida vulcanologica?

Mio nonno era Guida Alpina, è stato il primo ad operare sul versante Nord dell’Etna. Mio zio è vulcanologo, mio padre lavora sull’Etna e io ho vissuto la mia infanzia sull’Etna. La mia passione è il vulcano in generale: l’ho vissuto da quando sono sono nato, ho studiato Geologia e ho preso la decisione di fare questo lavoro nella mia vita. Sin dalle prime volte che mi sono trovato a condurre gruppi sul vulcano, è stato come se lo avessi fatto da una vita.

Vincenzo Greco nel febbraio 2017, con il diploma di guida vulcanologica

Quante sono oggi le guide vulcanologiche nella zona?

Stiamo crescendo. Nella sessione d’esame di ottobre del Collegio Guide alpine Sicilia si sono abilitate 36 nuove guide vulcanologiche, che andranno a sommarsi quelle già abilitate negli anni precedenti: a breve potremmo essere oltre settanta nella zona. Il Collegio Siciliano conta inoltre 17 Guide alpine attive ad oggi più alcune in seconda iscrizione.

Chi sono i vostri clienti?

L’interesse per il vulcano sta crescendo: lavoriamo con turisti, sia in gruppi organizzati sia singoli. Poi ci sono clienti che richiedono percorsi particolari e in questi casi si vede il valore aggiunto della guida vulcanologica, ma è perlopiù un mercato straniero. Di norma il turista viene in Sicilia con infradito e ombrellone, pensando al mare, e molti immaginano in questi termini anche un’escursione sul vulcano nonostante sia alto 3000 metri.

La poca consapevolezza della quota e dell’ambiente montano è un problema?

Spesso sì. L’approccio da “turista” è sempre più diffuso anche sulle Alpi o su altre montagne, però qui lo si vive molto di più: classicamente c’è qualcuno che da Taormina vede L’Etna e dice “ora salgo” ma non si informa a sufficienza e arriva con abbigliamento o attrezzatura inadeguati. Sta cambiando nell’approccio alla montagna in generale e i social hanno un ruolo decisivo in questo: molti si avvicinano a questi ambienti attirati da foto o video, va di moda mettere sui social le emozioni che si provano e viene a mancare quell’approccio consapevole che porta a valutare l’attrezzatura, le condizioni ambientali etc.

Che escursioni offre l’Etna, come livelli di difficoltà?

Il vulcano offre enormi spazi e non è troppo complicato avvicinarsi ad un vulcano soprattutto nelle aree prossime ai paesi ai crateri laterali. Possiamo organizzare attività semplici per le famiglie o per piccoli gruppi, magari con avvicinamento tramite mezzi di trasporto, o escursioni di media difficoltà che portano a toccare 3000 metri con visita di diversi crateri e grotte. Le escursioni in cima sono più dure e solo pochi le scelgono.

Quali sono le difficoltà specifiche di un vulcano?

C’è una difficoltà in più rispetto alla quota. Nel contesto sommitale di un vulcano attivo bisogna fare particolare attenzione alle esalazioni di zolfo e anidride carbonica. Sconsigliamo di salire al di sotto dei 12 anni, perché  essendo più vicino al terreno, il bambino respira molto più gas rispetto ad un adulto. La stessa cosa vale per i cani.

Che cosa puoi dire dello scialpinismo sull’Etna?

Molti vengono sull’Etna per lo scialpinismo, oggi capita che ci sia più neve qui che al Nord. L’anno scorso ricordo che la strada è stata chiusa per 15 giorni occlusa da 2 metri di neve caduti in una notte. Si poteva partire da quota 1000 metri con le pelli di foca, in alcuni punti anche da quota 600, e si arrivava in cima a 3300 metri: in Sicilia è un fatto con pochi precedenti.

Qual è la stagione più nevosa sull’Etna?

Febbraio. Ma l’anno scorso, aveva nevicato molto anche a dicembre e abbiamo sciato quattro mesi, fino ad aprile, in alcune zone fino a giugno. Non c’è più la stagionalità classica. Ad esempio questo autunno abbiamo avuto un’anomalia con temperature alte e poche precipitazioni.

Oltre alle Guide vulcanologiche, anche le Guide alpine possono accompagnare sui vulcani. Cosa vi distingue?

Probabilmente l’interpretazione dell’ambiente vulcanico. Non è una cosa facile da imparare, la formazione delle guide vulcanologiche prevede moduli di stampo scientifico di vulcanologia, geologia, petrologia e petrografia. Insomma, materie inerenti all’ambito geologico, utili ad acquisire la capacità di interpretare i fenomeni vulcanologici che su una montagna normale non ci sono. C’è anche un aspetto culturale: il cliente vuole sapere tutto del vulcano e la guida deve saper rispondere anche a domande scientifiche. La Guida Alpina, invece, può accompagnare ad esempio nelle ascensioni scialpinistiche o escursioni sciistiche, ambiti riservati alla sua professione. Per entrambi c’è una sensibilità che si sviluppa con l’esperienza sul campo, ad esempio saper capire i segnali che precedono il risveglio di un cratere o l’evolvere di un fenomeno particolare. Per questo fine giornata, tra guide vulcanologiche e guide alpine, qui in zona siamo soliti condividere informazioni rilevanti, ad esempio se notiamo qualcosa di diverso nelle fumarole, nelle emissioni dei gas, nella produzione di fratture, nella disposizione dei crateri interni.

Ci fai un esempio?

Attorno al 10 di agosto scorso, stavamo facendo regolarmente escursioni con i gruppi. Da un paio di giorni io e alcuni colleghi notavamo delle strutture di debolezza nuove sul cratere di sud Est, delle fratture ortogonali con forte incremento dell’emissione di gas. In base alla nostra esperienza abbiamo preferito avvisare di non proseguire perché temevamo un’eruzione imminente. Il 15 di agosto, 5 giorni dopo, è partita una fontana di lava, alta 800 metri.

Se dovessi consigliare un itinerario, secondo te il più bello della zona?

L’itinerario che porta al cratere sommitale è sicuramente molto bello, in questo periodo abbiamo il plus dell’eruzione. Facciamo anche escursioni apposite per vedere le eruzioni, ovviamente parlo di colate. Quella che consiglio maggiormente è però un’escursione di stampo geologico sul versante Nord, che mostra come funziona il vulcano e permette di vedere fratture, grandi crateri e grotte.

Con il titolo: la lava e la neve, i contrasti (foto di Vincenzo Greco, anche le altre di questo articolo) 

 

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Etna, snow and fire. Il fuoco dal vulcano sul bianco mantello della grande muntagna https://ilvulcanico.it/etna-snow-and-fire-il-fuoco-dal-vulcano-sul-bianco-mantello-della-grande-muntagna/ Fri, 01 Dec 2023 05:47:23 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24435 di Rosario Catania Il vulcano L’Etna il vulcano attivo più alto d’Europa, che da poco ha compiuto il decimo anniversario di riconoscimento come patrimonio dell’umanità, iscritto nella World Heritage List dell’Unesco. Un vulcano, una montagna, che non smette mai di regalare emozioni da entrambi  i punti di vista, con nevicate alternate alle eruzioni che rappresentano […]

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di Rosario Catania

Il vulcano

L’Etna il vulcano attivo più alto d’Europa, che da poco ha compiuto il decimo anniversario di riconoscimento come patrimonio dell’umanità, iscritto nella World Heritage List dell’Unesco. Un vulcano, una montagna, che non smette mai di regalare emozioni da entrambi  i punti di vista, con nevicate alternate alle eruzioni che rappresentano di fatto due elementi opposti.

Gli elementi

Il filosofo Empedocle postula l’esistenza di quattro radici fondamentali, che nella tradizione successiva saranno conosciute come i quattro elementi, che rappresentano l’origine di tutte le cose formate dunque dalla loro mescolanza. Quattro elementi, quattro forze, dove nessuna è dominante sulle altre, ma insieme aggregano e disgregano ogni cosa esistente. Dunque aria, acqua, terra e fuoco sono presenti su questo vulcano, dalle sue origini proprio nell’acqua, prendendo forma aerea, creando nuova terra poi modellata dal fuoco, dal vento e dalla stessa acqua. L’elemento fuoco sull’Etna è rappresentato fondamentalmente dalla lava, prima magma incandescente, che dalle viscere della Terra si fa strada ricco di gas fino a raggiungere la superficie ed esplodere con tutta l’energia e la vitalità di un pianeta vivo.

Lo stato attuale

L’ area sommitale dell’Etna è oggi occupata da quattro crateri, con la Voragine e la Bocca Nuova, che si sono formate all’interno del Cratere Centrale rispettivamente nel 1945 e 1968, il Cratere di Nord-Est, che esiste dal 1911, e infine il Cratere di Sud-Est, nato nel 1971, che recentemente è stato il più attivo dei quattro crateri. Questa configurazione contrasta notevolmente con quella di circa un secolo fa, quando in cima all’Etna si trovava il solo il Cratere Centrale.
La sera del 12 novembre 2023 l’Etna è tornata in eruzione, dopo un periodo di “preparazione” tra anelli di gas, boati e un costante tremore a livelli medio-alti. Spettacolari fontane di lava alte centinaia di metri e una densa nube eruttiva carica di materiale piroclastico (cenere e lapilli), poi ricaduto sul fianco orientale del vulcano, hanno reso scenografico un evento naturale, osservato e fotografato da centinaia di appassionati, seppur con notevole disagio per quei paesi colpiti direttamente dal “fallout” di lapilli di varie dimensioni. Il protagonista di questo scenario di creatore di nuova terra è proprio il Cratere di sud-est. Nel suo ultimo comunicato, la notte del 30 novembre, l’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ci ha informato “che dall’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza, si osserva che continua l’attività stromboliana al cratere di Sud-Est. Tale attività, a carattere variabile sia in intensità sia in frequenza delle singole esplosioni, produce delle modeste emissioni di cenere, che in accordo con il modello previsionale, si disperdono rapidamente in direzione Est e comunque in prossimità dell’area sommitale”. 

La scenografia

Come in un set cinematografico, l’Etna ha allestito un palcoscenico perfetto e non solo il 12 novembre,
indossando un mantello bianco di soffice neve e velandosi con le nubi d’alta quota, per rendere l’atmosfera a volte cupa, altre mistica, con i riverberi rossi dell’ attività interna al cratere, che nel frattempo continuava. Oggi, mentre scrivo, episodi di attività stromboliana si alternano a frequenze quasi regolari come per descrivere il respiro del vulcano.

Il pubblico

Non è quello delle grandi occasioni, perché questo vulcano è osservato, fotografato e studiato continuamente, da personale specializzato (INGV e Parco dell’ Etna), da appassionati assidui e da semplici curiosi. Dunque potremmo definirlo un sorvegliato speciale, perché nel tempo ha dato atto di sorprendere con i suoi cambi di stato alcune volte senza un chiaro e netto preavviso strumentale. Un pubblico vario per età genere e provenienza, tra studiosi, turisti, atleti, politici, personali illustri, ecc, che percorrono il lungo e in largo La sua superficie di oltre 1250 km quadrati.
Tra questi anch’io, i miei affetti, gli amici con cui condivido le giornate osservando sua maestà l’Etna, appena svegli e quando ne abbiamo occasione o bisogno. Si perché spesso ne sentiamo il bisogno, come una sorta di richiamo alla Natura, un benessere psicofisico, talvolta morboso, ma che personalmente interpreto come senso di appartenenza. Del resto siamo polvere di stelle, lo è questo pianeta, lo è questo vulcano. Apparteniamo a quei quattro elementi con cui ho aperto questo breve viaggio nella conoscenza profonda del proprio esistere.

L’ appartenenza

Mi piace concludere il viaggio con il mio senso di appartenenza, penso largamente condiviso, come nel pensiero dello scrittore, sceneggiatore e drammaturgo Vitaliano Brancati, di cui riporto un passo da Il Bell’Antonio.
“Finalmente Antonio rimase solo e poté guardare a suo agio i cari tetti di Catania, quei tetti neri, disseminati di giare, di fichi secchi e di biancheria, sui quali il vento di marzo, al tramonto, sferra calci da cavallo, le cupole che, nelle sere di festa, scintillano come mitre d’oro; le gradinate deserte dei teatri all’aperto; gli alberi di pepe del giardino pubblico; il cielo della provincia, basso e intimo come un soffitto, sul quale le nuvole si dispongono in vecchi disegni familiari; l’Etna accovacciato fra il mare e l’interno della Sicilia, con sulle zampe, la coda e il dorso, decine di paesetti neri che vi stanno arrampicati con stento”. (Il bell’Antonio – V.Brancati)
Link video YouTube
Foto e video di Rosario Catania

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L’artigiano per la pace e l’ambiente: dalla CNA Palermo 3200 piante di ulivo per fare rivivere la natura offesa dagli incendi https://ilvulcanico.it/lartigiano-per-la-pace-e-lambiente-dalla-cna-palermo-3200-piante-di-ulivo-per-fare-rivivere-la-natura-offesa-dagli-incendi/ Thu, 23 Nov 2023 06:19:59 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24403 di Francesco Palazzo Estate. Il sole splende alto nel cielo terso. La natura rigogliosa vegeta selvaggia e ordinata. La nostra Sicilia fa bella mostra dei suoi panorami. Ma una mano assassina approfitta del vento che si è appena levato e dà fuoco alle sterpaglie. Il vento si fa più impetuoso e violento ed il fuoco […]

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di Francesco Palazzo

Estate. Il sole splende alto nel cielo terso. La natura rigogliosa vegeta selvaggia e ordinata. La nostra Sicilia fa bella mostra dei suoi panorami. Ma una mano assassina approfitta del vento che si è appena levato e dà fuoco alle sterpaglie. Il vento si fa più impetuoso e violento ed il fuoco diventa inarrestabile. Sono tre giorni di fiamme incontrollabili, sono tre giorni di inferno, sono tre giorni in cui non resiste niente, ci sono pure due morti, fra i quali una ragazza di circa quarant’anni che era andata a salvare i suoi cavalli rinchiusi in una stalla avviluppata dalle vampate. Poi tutto si placa, perché il vento cessa e il fuoco non ha più materiale da bruciare. Resta un paesaggio desolato. Niente più alberi niente più vegetazione. Il deserto. E non osiamo pensare che orrenda fine possano avere fatto tutti gli animali e animaletti che popolavano i terreni percossi dal fuoco, conigli, serpi, lucertole, anche volatili di piccola e grande taglia. Il fuoco. Cosa si scatena nella mente di certi uomini? Se appartenenti al genere umano possono definirsi, visto l’enorme danno che provocano con le loro azioni a tutto l’ecosistema, al patrimonio ambientale e naturalistico e perfino alle persone.

Foto ricordo con piantine d’ulivo per i vertici della CNA Palermo: da sinistro Enzo Geloso, vicepresidente vicario: Pippo Glorioso, segretario e Giuseppe La vecchia, presidente

A fronte di tutto questo disastro però si è sviluppato un movimento nella società civile che con sdegno ha rigettato tali azioni e con immensa solidarietà si è dato un obiettivo: ricostruire, ripartire, fare rivivere la bellezza, l’armonia della natura, dei luoghi, delle aziende agricole, delle comunità forestali e montane.

Con prontezza e grande slancio si è presentata in prima fila la CNA, la Confederazione Nazionale Artigiani, di Palermo con in testa il suo segretario, Pippo Glorioso, approvato e sollecitato dal presidente nazionale Dario Costantini, venuto apposta in Sicilia per incontrare una delegazione di sindaci dei comuni della zona colpita dalle fiamme, con i quali è stato stretto un patto di solidarietà che nella giornata del 20 novembre 2023 ha visto la realizzazione della prima parte. Infatti, davanti alle scolaresche e con la benedizione del Vescovo di Cefalù, S.E. Mons. Giuseppe Marciante, il segretario Pippo Glorioso, il presidente Giuseppe La Vecchia ed il vice presidente vicario Enzo Geloso hanno consegnato ai sindaci dei diciotto comuni madoniti presenti  3.200 piante di ulivo la cui piantumazione è iniziata subito. Inoltre, il prossimo 2 dicembre è prevista la consegna di un mezzo antincendio di ultima generazione regalato sempre dalla CNA di Palermo, a testimonianza dell’impegno sia nella ricostruzione sia nella prevenzione che si sono voluti intestare gli artigiani.

Il vescovo di Cefalù Monsignor Giuseppe Marciante nel suo intervento durante l’iniziativa CNA

Gli artigiani sono costruttori di pace e l’ulivo è l’albero della pace. Lunedì 20 novembre è stato un giorno di vera festa. Tempo terso, radioso.

Il Vescovo di Cefalù ha parlato di nuovi semi di vita, esortando tutti i presenti alla partecipazione alla vita sociale del territorio. I sindaci, seguendo il suo invito, si sono detti pronti a passare dalle parole all’impegno, dalla disperazione alla rinascita coinvolgendo tutte le forze in campo, ma soprattutto puntando sulle nuove generazioni. E le nuove generazioni sono state coinvolte nella piantumazione di una quercia realizzata utilizzando la terra ferita proveniente da tutti i territori interessati dagli incendi. Un gesto fortemente simbolico. Nella speranza che disastri del genere non si debbano più verificare.

 

 

Con il titolo: Pippo Glorioso, segretario CNA Palermo, presenta la donazione degli ulivi ai sindaci del comprensorio. Le foto gentilmente concesse da Mario Leone

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Etna, 17 novembre 1843. Quella terribile eruzione che “abbrustolì” una cinquantina di brontesi https://ilvulcanico.it/etna-17-novembre-1843-quella-terribile-eruzione-che-abbrustoli-una-cinquantina-di-brontesi/ Fri, 17 Nov 2023 05:52:28 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24320 di Santo Scalia Βροντή è il tuono, nella lingua greca antica. Bronte è anche il nome di uno dei Ciclopi, figlio di Gea (la terra) e di Urano (il cielo), e – guarda caso – Bronte viveva alle pendici dell’Etna! (almeno così si narra nella Teogonia di Esiodo). Facile quindi far risalire le origini della […]

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di Santo Scalia

Βροντή è il tuono, nella lingua greca antica. Bronte è anche il nome di uno dei Ciclopi, figlio di Gea (la terra) e di Urano (il cielo), e – guarda caso – Bronte viveva alle pendici dell’Etna! (almeno così si narra nella Teogonia di Esiodo).

Facile quindi far risalire le origini della città di Bronte ad una fondazione greca: anch’essa si trova sulle pendici etnee, quelle occidentali, e dell’Etna subisce gli umori, i suoni (boati e “tuoni”), le emissioni e le minacce del “fuoco” che scorre con le eruzioni.

Il territorio di Bronte e le colate laviche che lo hanno interessato. Particolare dalla Carta delle eruzioni di epoca storica dell’Etna (S. Branca, INGV Sezione di Catania – O.E.)

E, di eruzioni, i territori di Bronte ne hanno viste parecchie: tralasciando le attività eruttive antecedenti al XVI secolo, dobbiamo ricordare che i territori dei brontesi sono stati interessati dalle lave del 1536, alle quali accenna lo storico Tommaso Fazello: «Ex eodem quoque summo montis cratere mirum, ac horrendum visu profluvium igneum occidentem versus supra Brontem, et Adranum oppida eodem tempore effluere cœpit». (2)

Nel corso del secolo successivo è da ricordare l’eruzione del 1651-54 (che generò l’ampio campo lavico delle sciare di Sant’Antonio).

Nel secolo diciottesimo, si annoverano le varie attività centrali (cioè originate dal cratere sommitale) accadute negli anni 1727, 1732, 1735, 1758, 1759 e l’eruzione del 1763. Quest’ultima, di natura effusiva, generò i coni di scorie di Monte Nuovo e di Monte Mezza Luna.

Infine, nel diciannovesimo secolo, due eruzioni effusive generarono delle colate laviche che si distesero a nord e a sud delle già citate sciare di Sant’Antonio, rispettivamente nel  1832 e nel 1843.

Particolare della mappa del P. G. De Luca, riportato da Benedetto Radice

Una mappa delle più pericolose eruzioni che hanno interessato il territorio di Bronte la troviamo nel volume Storia della città di Bronte, del Padre Gesualdo De Luca (3), riportata anche nell’opera dello storico brontese Benedetto Radice (1854-1931), Memorie storiche di Bronte (4).

Proprio dell’eruzione del 1843, iniziata il 17 novembre, ricorre quest’anno il 180° anniversario.

Lo studioso nicolosita Carlo Gemmellaro (1787-1866) ebbe modo di descrivere dettagliatamente gli eventi che si protrassero fino al 28 di novembre: «[…] Al primo aprirsi di quelle bocche, a grande altezza furon lanciate masse di varia mole, alle quali successero esplosioni di scorie e di lapillo; e quindi immensa quantità di arena venne fuori agglomerata nel fumo, e si sparse per tutta la plaga orientale e meridionale della Montagna.

Non andò guari che da quella scissura cominciò a sgorgare un fiume di lava infuocata, che corse precipitoso per la pendice, passando sopra di quella del 1832, non molto alta in quel sito, ed occupavala con una fronte di canne 50 sino a mezzo miglio, restringendosi ed elargandosi a seconda del suolo vario che percorreva.

In poche ore era andata due miglia; si divise in tre braccia, fra M. Egitto, e M. Rovere: quello a destra prendeva la direzione del bosco di Maletto, quello di mezzo scendeva dritto verso Bronte, l’altro a sinistra avviavasi al bosco di Adernò; ma queste braccia laterali non ebbero molto vigore, e non tardarono ad arrestarsi». (1)

L’eruzione, fortunatamente, durò soltanto 11 giorni.

«Finalmente a 27 novembre le bocche dell’eruzione cessarono dalla loro attività, e nuova materia fusa non venne più fuori; talché il movimento progressivo della lava era tardissimo. Le colonne del fumo però si facevano più voluminose, ed a grandi altezze giungendo, spinte dal vento, una lunga striscia formavano, che attraversava tutta l’isola. A 28 novembre l’eruzione si estinse, e la lava avea ingombrato un terreno di sei miglia in lunghezza, e di 24 a 50 palmi di altezza era la orrida la massa di quella». (1)

Dipinto di Salvatore Vasta, appartenente ad una collezione privata, esposto nella mostra tenutasi a Misterbianco nel 2019, in occasione delle commemorazioni per il 350° anniversario dell’eruzione del 1669. (Foto S. Scalia)

Ma è un avvenimento singolare e funesto, accaduto il giorno 25, che voglio ricordare.

Mentre i brontesi erano intenti a salvare la legna degli alberi che si trovavano in prossimità del fronte lavico, abbattendoli e portandone via tutto il possibile, una moltitudine di gente si era radunata nella località detta il Pianotto; è sempre Carlo Gemmellaro a descrivere la scena: «Molta era la gente che presso al Pianotto trovavasi ad osservare il progresso della lava, ed a lavorar con ardore a mettere in salvo quanto poteva di que’ terreni coltivati. La lava lentamente avanzavasi, e dava tempo a quei miseri di riuscire nelle opere loro: quando di un colpo, inaspettatamente una violentissima esplosione ebbe luogo nel fronte della corrente; la quale con immensurabil forza scoppiando, ridusse in frantumi in lapillo ed in minuta arena la lava rovente; densa ed estesa nebbia di fumo sparse all’intorno, carica di minuta rovente arena, e spinse con tal empito questi materiali, che non solo gli alberi e gli uomini che vi stavan presso ne furono colpiti e disfatti, ma a distanza di ben trenta canne quali morti, quali semivivi, quali feriti, sessantanove persone del solo comune di Bronte, con altri non pochi di altri comuni ivi tratti dalla curiosità di vedere il corso della lava» (opera già citata).

Più raccapricciante è la descrizione del Padre De Luca: «[…] Ma tostoché avvenne la spaventevole esplosione tanta massa di nero fumo il vento trasportò su Bronte che parve oscurarsi il cielo, sembrò a tutti che nuova voragine di fuoco fossesi aperta sopra Bronte; […] ed ecco sotto l’ottenebrato cielo, e di quello scuro fumo in mezzo, spettri umani ignudi, abbruciati, neri, verdognoli, sanguigni nelle carni sulle spalle di tremanti e piangenti uomini. Oh Dio! gridarono tutti. Chi sono questi sventurati? Che vengono dall’inferno! Maria SS. Annunziata, salvateci! Le madri non conobbero i figli, tanto n’era trasformata ed orribile la figura. Il massimo numero di quegli infelici restarono sepolti sotto la lava: pochi furono trasportati alle loro case in miserandissimo stato. Adagiati sul letto le carni si disfacevano, ed a brani si attaccavano alle lenzuole, un orribile brivido li scuoteva da capo a piedi. Si ebbe premura munirli dei sacramenti, spirarono invocando la Divina Misericordia» (opera citata).

Non tutti concordano sul numero delle vittime, sia perché alcuni si limitano a riportare i dati trovati negli archivi di Bronte, sconoscendo eventuali vittime provenienti da altri comuni, sia perché alcuni malcapitati morirono nei giorni seguenti, a causa delle gravissime ustioni riportate. Infatti Gemmellaro riporta sessantanove vittime del comune di Bronte, mentre, secondo quanto scrive Benedetto Radice, i brontesi furono sessantuno, che «[…] caddero quali morti, quali semivivi, quali feriti. La causa di tanto spaventevole e lagrimevole avvenimento fu una sorgente d’acqua alla fontana Barrili, che, circuita dalla lava rovente, evaporatasi, salì nell’aria a guisa di colonna, e piovve in cenere su tanti infelici» (opera citata).

Oggi, con terminologia più appropriata, chiameremmo un evento simile esplosione freatica, o freato-magmatica, essendo coinvolto anche del materiale incandescente, oltre al vapor d’acqua. Il quotidiano catanese La Sicilia, in un articolo a firma VIC, pubblicato nei primi anni ’80 dello scorso secolo, titolava “Sommersa dalla colata una sorgente esplode: 59 brontesi «abbrustoliti». Altre dieci persone, orrendamente deturpate, sopravvissero”.

Ed è a questo titolo che mi sono ispirato nel rievocare questo terribile avvenimento

Riferimenti bibliografici:

  • Gemmellaro Carlo – La vulcanologia dell’Etna, Tipografia dell’Accademia Gioenia, Catania – 1858
  • Fazello Tommaso – De rebus siculis decades duæ – 1558
  • De Luca Gesualdo – Storia della città di Bronte – 1883 (a cura dell’associazione Bronteinsieme)
  • Radice Benedetto – Memorie storiche di Bronte -1928 (a cura dell’associazione Bronteinsieme)

 

Articoli accessibili in rete:

Etna, il Monte Nuovo compie … 255 anni (www.ilVulcanico.it 04/02/2018)

Etna, 1 novembre 1832: in un affascinante quadro l’eruzione che sfiorò Bronte (www.ilVulcanico.it 1/11/2020)

Bronte, l’affascinante Sciara di Sant’Antonio: 370 anni ma non li dimostra (www.ilVulcanico.it 17/02/2021)

Etna, 260 anni fa l’eruzione di Bronte e un nuovo monte: il Monte Nuovo (www.ilVulcanico.it 07/02/2023)

Bronteinsieme.it   

Con il titolo: particolare da un dipinto di Salvatore Vasta

L'articolo Etna, 17 novembre 1843. Quella terribile eruzione che “abbrustolì” una cinquantina di brontesi proviene da Il Vulcanico.

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Etna, 10 novembre 2023: un minuto e 12 secondi di spettacolo notturno https://ilvulcanico.it/etna-10-novembre-2023-un-minuto-e-12-secondi-di-spettacolo-notturno/ Sat, 11 Nov 2023 06:07:17 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24302 (Gaetano Perricone) Lassù, molto in alto, l’Etna è ritornato a dare spettacolo con il suo lavoro di vulcano e lei, Giovinsky Sicilia, con la sua straordinaria passione che manifesta in ogni occasione senza darsi mai le arie di scienziata, lo ha puntualmente documentato con video e foto. E noi la ringraziamo sempre. Per spiegare sinteticamente […]

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(Gaetano Perricone) Lassù, molto in alto, l’Etna è ritornato a dare spettacolo con il suo lavoro di vulcano e lei, Giovinsky Sicilia, con la sua straordinaria passione che manifesta in ogni occasione senza darsi mai le arie di scienziata, lo ha puntualmente documentato con video e foto. E noi la ringraziamo sempre. Per spiegare sinteticamente quello che sta accadendo riporto quello che ha scritto sul suo profilo il nostro amico Vincenzo Greco, Guida Vulcanologica  sempre sul pezzo: “Attualmente sull’Etna è in corso una costante e ritmica attività stromboliana che si è incrementata nel corso del mese corrente. Questa attività è localizzata in alta quota, quindi all’interno della depressione craterica del cono del Cratere di Sud Est ad una quota di 3300 metri circa, quindi a molta distanza dai centri abitati. Da qualche e ora si assiste alla produzione di una piccola colata di lava in uscita dalla base dalla bocca esplosiva all’interno del cratere”. Aggiunge sul suo profilo Boris Behncke, vulcanologo INGV: “Nella notte questa attività si è bruscamente arrestata, per ora”.

Ma meglio di ogni parola sono queste semplici e fantastiche immagini: un  minuto e dodici secondi emozionanti, filmati e firmati dall’ottima Giovinsky per la sua pagina Trinacriativa “in una ventosa serata, mentre nel pomeriggio del 10 novembre 2023 l’attività è diventa più vivace e continua”, che ci ricordano la grande potenza di quella meravigliosa macchina geologica che si chiama Etna, vulcano “di eccezionale valore universale” – come riconosciuto dall’Unesco, che lo ha inserito tra i siti naturali della World Heritage List – e la nostra infinita piccolezza di fronte a tutto ciò.

 

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Etna. Mascali. 1928. Quei terribili giorni dal 2 al 7 novembre: un racconto per immagini https://ilvulcanico.it/etna-mascali-1928-quei-terribili-giorni-dal-2-al-7-novembre-un-racconto-per-immagini/ Thu, 02 Nov 2023 05:33:02 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24144 di Santo Scalia Voglio cominciare questo contributo alla rievocazione dell’eruzione dell’Etna del 1928 con le parole che si usavano una volta nell’iniziare il racconto di una favola: “C’era una volta… Mascali”.  «Perché “c’era una volta”?… Mascali c’è tutt’ora!» direte voi, ed avete ragione, anche se non del tutto. Sì, perché non tutti – soprattutto i […]

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di Santo Scalia

Voglio cominciare questo contributo alla rievocazione dell’eruzione dell’Etna del 1928 con le parole che si usavano una volta nell’iniziare il racconto di una favola: “C’era una volta… Mascali”.  «Perché “c’era una volta”?… Mascali c’è tutt’ora!» direte voi, ed avete ragione, anche se non del tutto.

Il luogo dove era il cimitero (Collezione S. Scalia)

Sì, perché non tutti – soprattutto i più giovani, quelli della gen Z, come si usa dire ora – sanno che prima della Mascali attuale c’è stata un’altra città, che aveva lo stesso nome e che si trovava poco più in là. E di quella città oggi non c’è (quasi) più traccia. In effetti, rimangono una chiesa ed alcune piccole case che le stanno accanto, e che costituiscono il quartiere denominato Sant’Antonino. Il resto della città, camposanto compreso, sta ora sotto decine di metri di nera sciara.

Voglio raccontare i terribili giorni che vanno dal 2 al 7 novembre del 1928, i giorni dell’eruzione di novantacinque anni fa, più con le immagini che con le parole. Queste ultime, comunque, sono indispensabili, per illustrare ciò che le immagini rappresentano. Tutte le immagini (salvo ove indicato) provengono dalla mia collezione personale di ephemera, e sono, nella gran parte dei casi, delle cartoline postali.

Anche le cartoline postali, ormai, per la maggioranza dei più giovani sono oggetti sconosciuti, rese obsolete dalle odierne tecnologie e dai nuovi media di comunicazione; la fotogallery a corredo di questo scritto riporta le più significative.

Cominciò tutto il 2 novembre (il giorno dei morti”), alle ore 16,30: «L’eruzione iniziò […] con un’esplosione dal Cratere di Nord-Est, nell’area sommitale. Una nuvola carica di cenere si innalzò per più di 1000 metri. Questa fu seguita da frequenti esplosioni, all’incirca una al minuto, per un’ora, fino alle 6 pomeridiane. Una frattura si aprì a 2600 metri, nella Valle del Leone, con una lunghezza di 150 metri. Una piccola colata, di breve durata, lunga all’circa 500 metri e larga 200, fuoriuscì da questa spaccatura […]» (traduzione dell’A. dalla pubblicazione The 1928 Eruption of Mount Etna Volcano, Sicily, and the Destruction of the Town of Mascali di Duncan, Dibben, Chester e Guest).

Foto dal Fondo Fotografico “Gaetano Ponte” dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo

E proprio quel momento, alle 16,30 del 2 novembre, fu immortalato in una istantanea scattata nella piazza principale del paese di Nicolosi: mentre un gruppetto di paesani seguiva in processione il Santissimo, due bambini si inginocchiavano, nel piano davanti la Chiesa Madre, in segno di riverenza; intanto due uomini, di spalle, guardavano la scena, o forse la loro attenzione era stata attirata da ciò che stava accadendo in cima al vulcano.

Emissioni gassose lungo la frattura (Collezione S. Scalia)

L’eruzione, però, non rimase confinata alle alte quote: già nelle prime ore del giorno dopo, alle 3,30, una frattura lunga 3,5 chilometri si aprì tra le quote 2.200 e 1.550 metri, alla Serra delle Concazze (Duncan et Al., op. citata). Colate di lava scaturirono da vari punti lungo tutta la frattura, ma ebbero vita breve: il giorno 4, infatti, si erano già esaurite.

Una delle bocche sorte in contrada Ripa della Naca (Collezione S. Scalia)

Ma al peggio non c’è fine, si dice: nella notte tra il 4 ed il 5, infatti, iniziò una nuova fase. In seguito ad uno scuotimento del terreno, una nuova frattura si aprì nell’area denominata Ripa della Naca dove, da alcune modeste bocche a quota 1200 metri, cominciò a scorrere un torrente di fuoco.

Il fiume di lava, stavolta, non si esaurì rapidamente, ma continuò a scorrere verso i paesi pedemontani: Sant’Alfio e Mascali avrebbero potuto essere interessati. Fu la topografia dei luoghi a determinare quale dei due paesi si sarebbe salvato, e quale invece si sarebbe trovato lungo il percorso della lava: il torrente Vallonazzo, purtroppo, attraversava giusto il cuore del paese di Mascali, passando proprio accanto alla Piazza del Duomo e alla Chiesa Madre, dedicata al Santo patrono, San Leonardo.

Mascali quasi deserta attende l’arrivo della colata (Collezione S. Scalia)

Il 5 fu un giorno frenetico per Mascali e per i suoi abitanti: in poche ore le autorità ordinarono ed eseguirono l’evacuazione della città. Oltre ai beni mobili, furono messi in salvo anche gli infissi delle case, le inferriate, e spesso anche le tegole: rimase solo una città fantasma, svuotata di tutto ciò che poteva essere salvato.

L’ironia della sorte volle che il giorno 6 fosse proprio il giorno della festa dedicata al Santo Patrono. E proprio quel giorno la lava, dopo aver percorso 6 chilometri e mezzo, dopo aver interrotto i collegamenti con i paesi dei versanti settentrionale ed occidentale tagliando la ferrovia Circumetnea, dopo aver interrotto la strada provinciale che dalla frazione di Nunziata portava a Piedimonte, Linguaglossa e Randazzo, cominciò ad aggredire le prime case di Mascali. Anche i binari della ferrovia furono smantellati, e trasportati con gli ultimi convogli ancora utilizzabili in zone più sicure, prima che la lava aggredisse le strutture della stazione ferroviaria.

La statua di San Leonardo posta davanti al torrente di lava (Collezione S. Scalia)

Il simulacro del Santo Patrono fu portato alle porte del paese e posto davanti al torrente di lava che tuttavia, contro le aspettative e le speranze della popolazione, non si arrestò e costrinse i fedeli ad indietreggiare e portare in salvo anche la statua. “Fuiri non è virgogna, ma sarvamentu di vita”, diceva saggiamente mia nonna, mascalese  come tutti gli altri miei antenati.

Il monumento ai Caduti e la Chiesa Madre già danneggiata (Collezione S. Scalia)

Intanto la lava dell’Etna, seguendo il percorso del Vallonazzo, invadeva la città abbattendo irriverente anche la Chiesa di San Leonardo ed il monumento ai Caduti della guerra, che da lì a giorni avrebbe dovuto essere inaugurato: i mascalesi non ebbero la ventura di vederlo!

Desolazione totale dopo la distruzione del paese (Collezione S. Scalia

Il giorno seguente, il 7 novembre, Mascali era già completamente distrutta, tranne – come già detto – il piccolo quartiere di Sant’Antonino. Sono già trascorsi 95 anni da quei giorni, manca solo un lustro e poi saranno 100!

La casa con la palma raffigurata da Escher (Collezione S. Scalia)

Alcuni anni dopo, un grande artista grafico, Maurits Cornelis Escher, ebbe modo di visitare ed illustrare paesaggi di varie regioni italiane, Sicilia compresa. Si trovò a passare per i luoghi che erano stati ricoperti dalla lava. Qui, a Nunziata di Mascali, la sua attenzione fu colpita da una casa nobiliare, completamente circondata dalla lava ma non abbattuta; inoltre, dietro la casa, una palma ancora in vita, svettava manifestando la sua gioia per essere scampata al fuoco. Qualche anno fa ho trovato, nelle mie ricerche di testimonianze inerenti le attività etnee, una cartolina raffigurante la costruzione. Ho ritenuto che questo episodio potesse risultare interessante, e ne ho trattato in un articolo pubblicato dal blog IlVulcanico.it nel luglio del 2020.

Sulla distruzione di Mascali, questo blog ha già ospitato altri miei interventi, compresi una novella a tema, e diverse testimonianze e ricordi di prima mano – a me riferiti da chi aveva vissuto quei giorni. Riporto di seguito i collegamenti a questi pezzi, per chi volesse leggere di più sull’argomento:

Etna, Mascali, novembre 1928. Quando “U focu calava comu l’acqua”. Così Pippinu, Pitrina e i loro 9 figli vissero quei giorni scolpiti nella storia del vulcano

Il giallo di quelle vittime (2 o 5 ?) della lava a Mascali nel 1928. “Rumors” dall’estero o censura del Regime ?

Etna, Mascali, 9 novembre 1928: “miracolo” alla Nunziatella

Etna 1928, la casa nella lava di Escher: una nuova immagine inedita

“Era novembre” del 1928 a Mascali, Etna

Etna, a 94 anni dall’eruzione di Mascali: una rilettura in due racconti

Con il titolo: panorama di Mascali prima del novembre 1928 (Collezione S. Scalia)

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