SANTO AGHIOS

di Santo Scalia

«Catania, 2 novembre notte. […] Verso le ore 15 una enorme colonna di fumo si è innalzata dai crateri del 1911, e poscia, verso le ore 18, grandi bagliori si sono notati nella Valle del Leone, presso Pizzi Deneri». Così recitava un dispaccio da Catania, ripreso dal Corriere della Sera. Annunciava l’inizio di una nuova eruzione dell’Etna, quella che rimase e rimane scolpita nella storia del più alto vulcano attivo del Continente europeo e nell’immaginario collettivo come la grande eruzione del 1928.

Nella notte del 3 una nuova frattura eruttiva si apriva a Serra delle Concazze; il 4 la frattura riaffiorava alla Ripa della Naca; il 6 la colata lavica raggiungeva le prima case di Mascali che, il giorno 7, veniva sepolta. L’eruzione, dopo aver interrotto la line ferrata Catania-Messina, continuò ancora, ma con intensità decrescente; tra il 19 ed il 20 novembre intense emissioni di cenere ai crateri Centrale e di Nord Est ne segnarono la fine.

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Cartina dal Corriere di Catania dell’8 Novembre 1928 (collezione personale)
Cartina dal Corriere di Catania dell’8 Novembre 1928 (collezione personale)

Pippinu guardava preoccupato verso il monte.

Al di là della collina sopra u Cutrazzu, al di là della casetta e del pino che dominavano il paese un diffuso rossore, un riverbero di fuoco, copriva il cielo.

Pippinu aveva da poco comprato, col frutto dei risparmi di una vita, un pezzo di terra appena fuori dal paese, ai passi chiusi, subito dopo il passaggio a livello. Aveva già cominciato a realizzare le fondamenta della casa che aveva in mente di costruire, per la sua famiglia: Pitrina, donna di casa, e nove figli (il decimo doveva ancora arrivare).

In verità non era solo Pippinu ad essere preoccupato; tutto il paese di Nunziata lo era. Ed erano altrettanto preoccupate anche le popolazioni di Puntalazzo, di Muntarianu (Montargano), di Mascali.

Colate di lava si riversano dalla Ripa dell’Anaca
Colate di lava si riversano dalla Ripa dell’Anaca

Due giorni prima la Muntagna aveva scassato a Serra delle Concazze e una colata di lava aveva cominciato a scorrere tra la Cerrita e il piano delle Donne, minacciando il paese di Sant’Alfio: il Patrono aveva fatto il suo compito, quello di proteggere la popolazione e le case, e la lava si era già fermata. Ora dicevano che il vulcano aveva aperto una bocca alla Ripa della Anaca (questa l’ortografia dell’epoca per il luogo oggi detto della Naca); dicevano pure che la lava si riversava, con numerosi bracci, nella fossa di Santoro, in contrada Giuliana.

Ma la preoccupazione era alleviata dalla fede: San Lunardu di certo non era da meno di Alfio! Mascali, di cui San Leonardo era il santo patrono, si trovava ad un tiro di schioppo da Nunziata: passata la chiesa del Calvario, subito dopo il cimitero, attraversato il ponte si era già nel paese. Se San Leonardo avesse dovuto intervenire, il suo intervento avrebbe salvato anche Nunziata, oltre a Mascali. E poi, per di più, il paese era “dedicato” a Maria Annunziata!

La lava nel torrente Pietrafucile (da un periodico dell’epoca)
La lava nel torrente Pietrafucile (da un periodico dell’epoca)

I più informati, i pezzi grossi del partito, dicevano di aver saputo che i primi massi di lava cominciavano a rotolare nell’alveo del Pietrafucile, il torrente che più a valle si ingrandiva, si allargava, cambiava nome e diventava u Vaddunazzu. U Vaddunazzu riporta alla mia mente anche il ricordo di un episodio triste raccontatomi da mia madre, quello di una terribile quanto improvvisa piena, causata da piogge particolarmente intense, e a causa della quale sua nonna, nel tentativo di raggiungere il marito sull’altra sponda, fu travolta e portata via.

Se la lava si fosse incanalata nel suo alveo sarebbe stata certamente guidata, come una monorotaia guida un convoglio, verso Mascali. E chissà, forse anche Nunziata sarebbe stata travolta. Pippinu, da uomo pratico e previdente, tornò in Via dei Giardini, alla casa dove abitava, e disse a Pitrina che era meglio lasciare il paese, portare via l’indispensabile e chiedere ospitalità ad Angilu, fratello di Pitrina, che aveva la casa o Scarruni, una zona più in alto e riparata dalla Timpa. Le raccontò sottovoce che ‘nta chiazza si diceva che il paese era in pericolo, che qualcuno che c’era stato raccontava che «u focu calava comu l’acqua!».

Carmilina ascoltava, col cuore colmo di timore di quindicenne. Lei – la terza dei nove figli, la sola femmina ancora in casa – dava una mano, una grande mano, alla madre incinta: si occupava del bucato (non c’era la lavabiancheria, non c’era l’acqua calda nei rubinetti di casa), si occupava di impastare la farina nta maìdda, di infornare le forme di pane e di controllarne la cottura; e nel tempo libero… aiutava a crescere i più piccoli dei fratelli che la seguivano. Unico svago, il sabato pomeriggio, andare al collegio delle suore Salesiane (a pochi passi dalla casa dove viveva) e giocare nel cortile con le coetanee.

Aveva sentito il racconto di Pippinu ed aveva percepito la sua preoccupazione. Allora non era d’uso intervenire nei discorsi dei grandi; preso il coraggio a due mani esclamò: «Bi, pi tanticchiedda di focu! Pari chi sta succidennu!».

Pippinu non la sgridò per aver osato intervenire, anzi, cercando di rassicurarla le disse: «Dumani veni cu mia ca ti portu a vidiri u focu».

E vide il fuoco.

Così come l’amante dell’arte viene colpito dalla sindrome di Stendhal al cospetto di un’opera di straordinaria bellezza, Carmilina rimase impietrita davanti ad uno spettacolo della natura tra i più sublimi, meravigliosi e terribili.

Difficile descrivere la tempesta di sensazioni visive, acustiche, olfattive, termiche. Solo chi ha avuto la possibilità di accostarsi ad una colata di lava che scorre può immaginarle, per averle a sua volta provate. Era vero: u focu scorreva come l’acqua. La roccia fusa avanzava come un cingolato sul terreno; le pietre che stavano sopra, poco dopo facevano da base allo scorrere della corrente di fuoco. Rumori caratteristici colpivano i timpani, quasi di cocci frantumati, a volte metallici, a volte vitrei. Il calore portato dal vento insieme ad un diffuso odore di zolfo, il calore che, senza bisogno del vento, si irradiava dalla colata e si percepiva sulle gote. Lì, dalle balze sopra Nunziata, si intuiva che il torrente, col suo letto scavato dall’acqua, avrebbe portato il fuoco diritto nel centro di Mascali, dato che proprio in centro, sotto la piazza, accanto alla Chiesa Madre, passava il torrente!

Forse anche Nunziata sarebbe stata sommersa, sarebbe bastata una sbavatura della colata, una rottura di uno degli argini che si erano formati, ed anche questo paese sarebbe scomparso. Così parve che accadesse: un ramo sembrava dirigersi verso la Nunziatella… ma si arrestò presto.

Il gruppo in legno e gesso della Madonna Annunziata viene portata in processione per lo scampato pericolo (collezione personale)
Il gruppo in legno e gesso della Madonna Annunziata viene portata in processione per lo scampato pericolo (collezione personale)

Per Nunziata il miracolo era avvenuto.

Lo stesso non avvenne per Mascali: il giorno dopo, dalle alture dello Scarrone, la gente attonita assistette alla sua scomparsa, casa dopo casa, chiesa dopo chiesa. Il paese era stato evacuato in brevissimo tempo e di Mascali non rimase altro che la chiesa di Sant’Antonino e le poche case che le stavano attorno.

Nunziata in primo piano e Mascali, prima e dopo la distruzione (collezione personale)
Nunziata in primo piano e Mascali, prima e dopo la distruzione (collezione personale)

Pochi giorni dopo, tutto fu tranquillo. La corrente di lava era passata solo ad alcune decine di metri dal terreno di Pippinu, interrompendo la ferrovia Circumetnea e la strada provinciale che portava a Piedimonte. Pippinu e la sua famiglia fecero ritorno al loro alloggio di Via dei Giardini e lui potè continuare a lavorare alla costruzione della casa nella quale poi, lui e Pitrina, vissero il resto della loro esistenza. La casa che fu di Pippinu c’è ancora, a Nunziata, subito dopo il passaggio a livello della “Circum” e poco prima di ciò che oggi rimane ancora visibile della colata del ’28.

Tutti i nomi ed i personaggi citati in questo racconto sono persone realmente esistite; l’episodio raccontato, anche se un po’ arricchito con la fantasia, è realmente accaduto novant’anni fa e mi è stato tramandato da uno dei personaggi che hanno vissuto quell’evento.

Con il titolo: l’eruzione di Mascali del 1928 in un bellissimo disegno di Klaus Dorschfeldt

(Gaetano Perricone). Il Vulcanico la vuole ricordare così, con molta semplicità, la grande eruzione di novant’anni fa: con questo bellissimo ed emozionante racconto, testimonianza autentica tramandata e raccolta dal grande Santo Scalia, sempre pronto a proporci con passione e precisione pezzetti importanti e talvolta poco narrati della storia dell’Etna e delle sue genti. E con il drammatico e affascinante documentario, il  Giornale muto dell’Istituto Luce A0221 del novembre 1928. Per il  resto, a ricostruire e analizzare questo evento straordinariamente importante per il più alto vulcano attivo d’Europa e per l’intero territorio etneo, ci penseranno studiosi ed esperti di grande livello all’interno di un intensissimo programma di celebrazioni, che abbiamo già pubblicato per intero su questo blog (http://ilvulcanico.it/mascali-1928-novantanni-fa-la-grande-eruzione-il-programma-delle-celebrazioni/)

 

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