di Santo Scalia

«[…] ecco all’impensata sabato giorno 5 di Febbraio dell’anno 1763 circa le ore ventuna, o siano due ore e mezza della sera sentirsi in Bronte, e nel suo bosco un gagliardo tremuoto

Cominciava così, nella versione tramandataci dal canonico Giuseppe Recupero (1720-1778), la prima delle due eruzioni etnee avvenute nel 1763. [1]

«La sera dello stesso giorno sulle ore due della notte replicò il tremuoto in Bronte con forza maggiore del primo […]». Seguirono altre scosse finché, nella notte tra il sei ed il sette, «si aprì un’ampia voragine nella parte inferiore del bosco di Bronte in un poggio detto Femmina morta, sei in sette miglia sotto la cima dell’Etna per linea obliqua. Questa collina è situata tra M. Rosso, e M. Lepre».

Il giorno dopo gli «scoppii spaventosi [sic]» ed il «sordo romoreggiare [sic]» spinsero alcuni pastori, «i quali scoprirono i primi quest’eruzione», ad avvicinarsi al luogo dove «videro sgorgare la materia ardente da cinque canali distinti».

Il 27 di febbraio il Recupero si recò di persona nei boschi del versante occidentale

Il giorno dopo, per meglio rendersi conto di quanto stava accadendo, il Canonico salì sul Monte Nespola, che distava 200 passi dal “nuovo vulcano” che nel frattempo aveva creato «[…] quasi per metà un nuovo monte, la cui figura avvicinavasi alla conica».

Dal nuovo monte, che con discutibile fantasia fu successivamente denominato Monte Nuovo, «[…] si lanciavano in aria i volumi di arena, e pietre roventi», mentre «la lava usciva sotto la guancia del monte che guardava il maestrale».

Annotazioni su particolare dalla Carta geologica del Monte Etna – Ingv (2011) – [3]
Un’intensa attività esplosiva si accompagnava quindi all’emissione di un flusso lavico diretto verso occidente; la lava raggiunse la quota di 1180 metri, dopo aver percorso quasi tre chilometri e mezzo.

Poco più a monte, dalla base di un altro cono di scorie, che prenderà – a causa della sua forma – il nome di Monte Mezza Luna, una più modesta colata lavica si espandeva per circa 700 metri. [3]

Il Canonico Recupero descrive l’attività del nuovo monte, ma non fa cenno ad un altro importante centro esplosivo, quello successivamente chiamato Monte Mezza Luna (o Mezzaluna). La Carta geologica del 2011 [3] attribuisce la sua nascita all’attività del 1763 mentre, in base a considerazioni relative alla composizione chimica delle sue lave, rimane qualche dubbio sulla suddetta data: pare infatti che «[…] la lava afirica (senza fenocristalli) del Monte Mezzaluna è decisamente diversa da quella del Monte Nuovo la cui data 1763 è certa». [4]

Frontespizio e particolare da Descrizione dell’Etna di Francesco Farrara

Anche l’Abate Francesco Ferrara (1767-1850) descrive l’attività del febbraio del 1763, anche se questa, all’atto della nascita dello storico, era già cessata da quattro anni [5]: «[…] la notte del giorno 6 […] si aprì una nuova voragine nell’interno di quel bosco [il bosco di Bronte] 4 miglia sotto la cima ad occidente […]».

La concisa descrizione del Ferrara continua così: «[…] la lava fluida cominciò a sgorgare placidamente, come l’acqua, dalla apertura, e da altre quattro che si fecero l’una dopo l’altra nella stessa direzione».

L’attività si protrasse per 32 giorni, estinguendosi il 10 di marzo.

Ricorre quest’anno il 260° anniversario dell’eruzione che, ripeto, fu la prima delle due che hanno caratterizzato il 1763. La seconda, quella avvenuta nel mese di giugno, dette origine alla Montagnola, rilievo che ha marcatamente modificato il profilo del vulcano; ma questa è un’altra storia…

Evidentemente ormai il Monte Nuovonuovo” non lo è più. Purtroppo quest’esempio di utilizzo  dell’aggettivo “nuovo” come nome di qualcosa di recente formazione non è stato l’ultimo: immediatamente dopo la sua formazione, nel 1886, anche il Monte Gemmellaro fu denominato Monte Nuovo; nel 1968 l’apertura, sulla terrazza craterica etnea, della cosiddetta bocca soffiante portò alla denominazione di Bocca Nuova, nome che è tutt’ora in vigore; nel corso dell’evoluzione del complesso craterico sommitale detto Cratere di Sud-Est, per un lungo periodo, fu utilizzata la denominazione Nuovo Cratere di Sud-Est per indicare la struttura craterica generatasi accanto al precedente cono non più attivo.

E’ chiaro che sarebbe meglio non utilizzare il termine “nuovo” come toponimo relativo all’ultimo nato di qualche cosa; quest’abitudine, comunque, non è tipica dell’area etnea: esempio ne è il Monte Nuovo dell’area dei Campi Flegrei, formatosi tra il 29 settembre e il 6 ottobre 1538.

*** *** ***

[1]      Recupero Giuseppe – Storia naturale e generale dell’Etna – Tomo II – Catania 1815 (opera postuma)

[2]      S. Branca, P. Del Carlo – Eruptions of Mt Etna During the Past 3,200 Years: A  Revised Compilation Integrating the Historical and Stratigraphic Records

[3]      INGV : Geological map of Etna volcano, 1:50,000 scale – 2011

[4]      Tringali Giovanni – Toponimi etnei – in Bollettino Accademia Gioenia Sci. Nat. Vol. 45 N.° 375 pp. 511 – 606 Catania 2012 – ISSN 0393 – 7143

[5]      Ferrara Francesco – Descrizione dell’Etna con la storia delle eruzioni e il catalogo dei prodotti – Palermo 1818

Con il titolo: particolare dalla Carta volcanologica e topografica dell’Etna [1892] di Emile Chaix (da BNF – Gallica)

Commenti recenti