Cultura Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/cultura/ Il Blog di Gaetano Perricone Wed, 20 Mar 2024 15:30:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 Dalla Germania a Pedara per accostarsi al canto lirico con Lara e Michael, tedeschi dell’Etna. Von Deutschland nach Pedara, um sich dem Gesang zuzuwenden, mit Lara und Michael, Deutsche vom Ätna https://ilvulcanico.it/dalla-germania-a-pedara-per-accostarsi-al-canto-lirico-con-lara-e-michael-tedeschi-delletna/ Wed, 20 Mar 2024 05:36:58 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24831 di Lara Venghaus Ho due passioni nella mia vita: il canto lirico e la terra dell’Etna. La prima è la mia professione e quella include non solo fare concerti, nonostante mi piaccia tantissimo esibirmi, ma anche insegnare il canto fa parte del mio amato lavoro. Vedere crescere gli allievi, accompagnare il loro sviluppo sia ai […]

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di Lara Venghaus

Ho due passioni nella mia vita: il canto lirico e la terra dell’Etna. La prima è la mia professione e quella include non solo fare concerti, nonostante mi piaccia tantissimo esibirmi, ma anche insegnare il canto fa parte del mio amato lavoro. Vedere crescere gli allievi, accompagnare il loro sviluppo sia ai primi passi, sia da un punto avanzato, mi riempia il cuore.

Da dieci anni al campo concertistico posso congiungere le due passioni, sempre in estate, presentando, insieme col mio accompagnatore, il rinomato direttore d’orchestra Maestro Michael Hoyer, i nostri programmi nei Paesi Etnei. Ogni volta che racconto dai miei soggiorni qui e spedisco le foto di questa terra meravigliosa ai miei allievi, si stupiscono.

Finalmente, in questa primavera del 2024, posso offrire a loro la possibilità di apprendere di persona entrambe le mie passioni. Dal 21 al 28 marzo avrà luogo un corso di canto a Pedara e quattro ragazzi tedeschi verranno a partecipare. Iniziando con un bel concerto inaugurale, eseguito da noi stessi, presentando esempi del Lied tedesco di Franz Schubert, canzoni italiani di Ruggero Leoncavallo ed arie liriche di Verdi e Wagner, spenderemo insieme una settimana piena di allenamento al canto e di dolce vita siciliana. Ovviamente scenderemo a Catania per visitare il Teatro Bellini e la casa Bellini, senza dimenticare il Duomo, dove si trova la tomba del grande compositore catanese e l’elefante di fronte. Ma saliremo anche al Rifugio Sapienza per scalare i crateri Silvestri e godere il panorama unico. E son certo che tutti noi mangeremo benissimo e anche troppo! Alla fine, il giorno 28, avrà luogo un concerto finale, nel quale gli allievi avranno l’occasione di dimostrare tutto quello che avranno imparato.

Ma non solo i tedeschi parteciperanno a questo corso, che è anche aperto a tutti coloro che sono interessati di prendere un assaggio del canto lirico. Il corso di accostamento al canto lirico permette un percorso didattico base sui primi approcci. Organizzato dall’Assessorato arte e spettacolo del comune di Pedara daremo a tutti la possibilità di iscriversi e scoprire la propria voce. Così potremo anche mettere i ragazzi tedeschi in contatto con i pedaresi e dare un contributo all’intesa fra i popoli della Westfalia e della Sicilia. Sono molto grata di avere questa possibilità di congiungere entrambe le mie passioni.

A SEGUIRE LA TRADUZIONE IN TEDESCO

Ich hege zwei große Leidenschaften: den Gesang und das Land um den Ätna. Die erste habe ich zu meinem Beruf gemacht, und dieser umfasst nicht allein den Auftritt bei Konzerten – wenngleich ich zugeben muss, dass es mir außerordentlich zusagt, mich dem Publikum zu präsentieren – sondern auch Gesang zu unterrichten. Die Schüler an ihren Aufgaben wachsen zu sehen und sie bei ihren ersten Schritten oder in ihrer weiteren Entwicklung zu begleiten, erfüllt mich mit Freude.

Seit nunmehr zehn Jahren kann ich, was den Bereich der Konzerte angeht, meine beiden Leidenschaften miteinander verbinden, indem ich, zusammen mit meinem Begleiter, dem Kapellmeister Michael Hoyer, unsere Programme in den Paesi Etnei vorstelle. Jedesmal, wenn ich meinen Schülern von meinen Aufenthalten hier berichte und ihnen Fotos von diesem wunderbaren Stück Erde sende, sind sie davon fasziniert. In diesem Frühjahr nun kann ich ihnen endlich eine Gelegenheit bieten, meine beiden Leidenschaften selbst mitzuerleben.

Vom 21. bis zum 28. März veranstalten wir einen Gesangskurs in Pedara, und vier meiner Schüler reisen an, um daran teilzunehmen. Eröffnet wird er mit einem Konzert, in dem Michael Hoyer und ich Lieder von Franz Schubert, italienische Canzonen von Ruggero Leoncavallo sowie Opernarien von Verdi und Wagner vortragen. Anschließend folgt eine Woche voller Gesangsübungen und Literaturstudien, aber auch mit dolce vita alla siciliana. Natürlich fahren wir nach Catania, um das Opernhaus und das Geburtshaus Bellinis zu besichtigen, aber gleichfalls auch den Dom mit dem Grab des berühmten cataneser Komponisten und die Säule mit dem Elefanten gegenüber. Aber wir fahren auch zum Rifugio Sapienza, um die Crateri Silvestri zu ersteigen und von dort das einzigartige Panorama zu genießen. Und ich bin sicher, wir werden alle ausgezeichnet und viel zu viel essen.

Am 28. März findet dann ein Abschlusskonzert statt, in welchem die Schüler zeigen können, was sie gelernt haben. Doch nicht nur deutsche Schüler werden an diesem Kurs teilnehmen, vielmehr steht er allen offen, die Interesse daran haben, sich im Operngesang zu erproben. Der Kurs zur Annäherung an den Operngesang bietet einen didaktischen Erstzugang zu dieser Materie. Organisiert wird er vom Assessorat für Kunst und Kulturveranstaltungen der Stadt Pedara und bietet jedem die Möglichkeit, sich einzuschreiben, um die eigene Stimme zu entdecken. Auf diese Weise werden auch unsere deutschen Schüler in Austausch mit den Pedaresi treten und, sodass wir einen Beitrag zur „Völkerverständigung“ zwischen Sizilianern und Westfalen leisten können. Für die Möglichkeit, meine beiden Leidenschaften verbinden zu können, bin ich überaus dankbar.

 

 

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“1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso”: da oggi a Palazzo Bufali una mostra documentale https://ilvulcanico.it/1693-da-fenicia-moncada-a-belpasso-da-oggi-a-palazzo-bufali-una-mostra-documentale/ Fri, 15 Mar 2024 05:44:48 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24800 FONTE: Fondazione Margherita Bufali- ETS  Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia […]

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FONTE: Fondazione Margherita Bufali- ETS 

Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia Moncada, che era stato costruito 24 anni prima a seguito dell’eruzione dell’Etna del 1669 che aveva distrutto Malpasso e la costruzione dell’attuale centro abitato di Belpasso.

Alla manifestazione hanno aderito: la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, l’INGV Catania, l’Università degli Studi di Catania, l’Archivio di Stato di Catania, l’Archivio di Stato di Palermo, il Comune di Belpasso, la Curia Arcivescovile di Catania. Con la loro collaborazione hanno permesso di accedere a preziosi documenti che hanno consentito di esaminare con esattezza le vicende e gli avvenimenti che caratterizzarono quegli anni. Buona parte della documentazione originale si trova presso gli archivi della  Fondazione Bufali. Il documento più antico è datato 1456.

LA FAMIGLIA BUFALI 

Lorenzo Bufali

La famiglia Bufali è fortemente legata alla storia di Belpasso, in quanto ne ha condiviso sempre i momenti storici più importanti. Impegnata nel settore della seta, arrivò con Don Antonio Bufali, dottore in medicina, che si trasferì dalla città di Catania  nel territorio dello scomparso paese di Malpasso attorno al 1640. Visse qui il difficile momento della terribile eruzione dell’Etna del 1669, che distrusse l’agglomerato principale del paese e tutti i suoi casali. Dopo l’eruzione i Bufali assieme ai Malpassoti e ad altri abitanti dei casali dell’Etna, approfittando delle dilazioni e benefici concessi ai “novi habitatori” si trasferirono nel nuovo centro costruito in località Grammena al quale fu dato il nome di Fenicia Moncada, in omaggio al Duca di Mont’Alto Luigi Guglielmo che aveva riunito, sposando Caterina Moncada de Castro i due rami della casata Moncada (di Sicilia e di Aragona di Spagna). Questo toponimo esprimeva l’esaltazione del proprio lignaggio come anche per quello di Stella Aragona. Il progetto del nuovo paese fu redatto dall’architetto degli “Stati” del Principe di Paternò Carlo Manosanta, capomastro della città di Palermo, uniformandosi alle regole progettuali tipiche delle città di nuova fondazione con un piano urbanistico quanto mai simmetrico e regolare, a maglia ortogonale ed con isolati di uguale dimensione.

L’11 gennaio 1693 il terremoto che distrusse Catania e la Sicilia orientale colpì anche il nuovo centro portando rovina e morte. Lorenzo Bufali, figlio di Antonio, fu nominato dal principe di PaternòSegreto”, per le terre di Fenicia Moncada, di Stella Aragona e di Nicolosi ed incaricato dal Principe di Campofiorito, governatore degli stati del Duca di Montalto e da Don Francesco Notarbartolo  governatore della città di Caltanissetta di provvedere come deputato e direttore ai lavori di ricostruzione di una nuova città erede di Malpasso e di Fenicia Moncada, che prese il nome beneaugurante di Belpasso. Per i suoi meriti gli fu assegnato il titolo di Barone di Santa Lucia. Il piano regolatore del nuovo centro fu redatto dal capomastro della città di Caltanissetta Michele Cazzetta, rifacendosi al concetto di “città ideale” già sviluppato nell’edificazione di Fenicia Moncada. Esso è visto come un modello di perfezione, ideato a “scacchiera” in cui le strade intersecandosi tra di loro danno vita ad una struttura urbanistica fatta di spazi ordinati, regolari secondo canoni di assoluta perfezione e criteri di funzionalità e razionalità.

Ma la famiglia Bufali non cessò la sua opera a sostegno della nuova comunità: ha sostenuto la nascita di due importanti Istituti di credito localeha contribuito allo sviluppo dell’economia locale, concedendo in affitto, a canoni non esosi, quote del proprio patrimonio agrario; ha devoluto nel 1902, con la Baronessa Margherita Bufali, l’ultima erede, l’intero patrimonio per la fondazione di un orfanotrofio che si sarebbe chiamato “Pio Orfanotrofio Bufali”, oggi “Fondazione Margherita BufaliEts.

A completare la Manifestazione, il maestro Barbaro Messina esporrà alcune due opere in pietra lavica ceramizzata prelevate dalla sua collezione del ciclo “Etna madre”. Anche il nostro blog sarà presente alla mostra con due pannelli, curati come sempre in modo minuzioso da Santo Scalia, che raccontano una preziosa ricerca sulle affascinanti epigrafi storiche che rappresentarono nella città di Catania il terremoto del 1693. (https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/)

Con il titolo e nella gallery, alcuni dei documenti della mostra e una serie di immagini di Palazzo Bufali a Belpasso (grazie per le informazioni e le foto a Luciano Signorello)

 

 

 

 

 

 

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Mompileri: storia, arte, religione a 355 anni dalla “grande ruina”. Il giorno del dolore e della speranza https://ilvulcanico.it/mompileri-storia-arte-religione-a-355-anni-dalla-grande-ruina-il-giorno-del-dolore-e-della-speranza/ Tue, 12 Mar 2024 05:52:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24753  di Santo Scalia  Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669,  Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata. Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano […]

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 di Santo Scalia 

Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata.

Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano e le popolazioni che, con fatica, lì vivevano.

Dopo l’eruzione del 1447 – che come riferisce Matteo Selvaggio fece poco danno – a dire del Canonico Francesco Ferrara, storico di Trecastagni, «l’Etna godette d’una lunga calma; i suoi fuochi restarono assopiti per quasi 90 anni».

Il Canonico riporta che «A’ 24 Marzo del 1536 verso il tramontar del Sole una nera nube al di dentro rosseggiante coprì il cratere»; successivamente colate di lava si riversarono in direzione di Randazzo, poi verso i paesi di Bronte e Adernò [così allora veniva denominato Adrano, n.d.A.] ed infine, il giorno 26, «[…] come dice una relazione manuscritta fatta a Mompiliere, si aprirono 12 voragini tra il Monte Manfrè, e Vituri [oggi Monte Vetore, n.d.A.] nella parte meridionale dell’Etna, dalle quali un gran fiume di lava vomitato si diresse verso il sud» [1].

Due episodi particolari vengono riferiti, sempre dal Ferrara: la distruzione della Chiesa di San Leone e la tragica morte del medico di Piazza Armerina, Francesco Negro. Ecco cosa scrive il Canonico: «La Chiesa di S. Leone che era nel bosco in quel giorno colle scosse fu interamente appianata, e poco dopo sopragiunta la lava, le sue rovine furono sepolte sotto un fiume di fuoco».

Ed ancora: «Francesco Negro Filosofo, e Medico della Città di Piazza, da Lentini erasi portato a veder da vicino l’eruzione; o colpito da un colpo di fumo, o dalle enormi pietre che erano state eruttate dalle voragini, a cui egli erasi forse molto avvicinato, perì miseramente».

Da Storia naturale e generale dell’Etna di Giuseppe Recupero, 1815

Un tempo, traccia di questa eruzione – come riportato da Giuseppe Recupero [2] – si trovava anche nella cisterna del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi; oggi quella tavola non è più visibile.

Se nel 1536 la minaccia lavica non fu grande per Mompileri, l’anno successivo, «[…] agli 11 del mese stesso [maggio, n.d.A.], alle Fontanelle sotto la Schiena dell’Asino, aprironsi molte voragine che vomitaron torrenti di lava maggiori dell’anno precedente. […] Lasciato illeso S. Nicolò l’Arena giunsero a Nicolosi, e Mompiliere». (F. Ferrara, op. cit.)

Stavolta la colata lavica raggiunse Mompileri e, come riporta ancora il Ferrara, «sulle mura della cui Chiesa maggiore fermossi un braccio del torrente infuocato il dì 19 maggio»; l’evento è sorprendente: gran parte dell’abitato venne risparmiato e il popolo gridò al miracolo; si decise di lasciare ben visibili le intrusioni di quella lava nella parete interna della chiesa.

Ma è nel marzo del 1669 che il vulcano segnerà definitivamente il destino dell’abitato di Mompileri, delle sue chiese e di tanti casali etnei (Guardia, Malpasso, San Giovanni di Galermo, Mascalucia, Camporotondo, San Pietro Clarenza, Misterbianco, Li Plachi). Lunedì 11 marzo 1669 «[…] s’aprì il Monte con gagliarde scosse, e cominciò da due bocche à vomitar fuori fiamme con tanta furia, e pioggia di pietre infocate in aria, che passavano l’altezza di cento canne» [3]. L’autore aggiunge un dato impressionante: «[…] trà lo spatio di poche hore mandò fuori tanta materia, che bruggiò, e ricoperse affatto trè Casali: La Guardia, Mompelieri, e Malpasso».

Alcuni paesani, sotto il rapido incalzare della colata, provarono a mettere in salvo le più preziose tra le opere d’arte vanto di Mompileri: portarono via dalla chiesa madre il gruppo marmoreo dell’’Annunziata (statue che, a detta di Tomaso Tedeschi, «eran stupore dell’arte; se pure da humane, e non d’Angeliche mani furono scolpite») ma, a causa del pochissimo tempo a loro disposizione, dovettero presto abbandonare le statue al loro destino. Anche la statua lignea di San Michele Arcangelo, che era custodita in una cappella lì vicino, fu portata fuori ma abbandonata davanti al fronte lavico che stava per raggiungerli. L’altra statua di marmo, quella della Madonna delle Grazie, rimase sull’altare della chiesa: non ci fu neppure il tempo per tentare di metterla in salvo!

Da Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669 di Carlo Mancino

Carlo Mancino, nella sua “Narrativa del fuoco uscito da Mongibello” [4], così ci descrive quelle opere: «[…] vi erano tre Statue di finissimo marmo, di grandezza del naturale. Una del Angelo Gabriele, l’altra di Nostra Signora Annunciata, e la terza della Regina delle gratie col bambino in braccio. Tutte, e tre di sì bella, ed esquisita manufattura, che prescindendo d’essere Statue Sacre, valutavano più di centomila scudi, per essere state le più belle statue di tutta Italia; che per ammirarle, havevano venuto li primi Scultori, e Pittori d’Europa, stimandoli d’ogni perfettione […]»

Il 12 marzo del 1669 l’antica Mompileri scomparve travolta dalla lava.

Affresco sulla parete esterna del primo Santuario di Mompileri (foto S. Scalia)

Come dovesse apparire il gruppo marmoreo dell’Annunciazione possiamo vederlo grazie ad un affresco posto sulla parete esterna del primo Santuario, edificato sulla colata lavica, proprio sopra alla chiesa distrutta, nei primi anni del ‘700.

L’Annunciazione di Mompileri, dipinto attribuito a Giacinto Platania (Chiesa di Massa Annunziata – Foto S. Scalia)

Un’altra riproduzione del gruppo marmoreo, attribuita al pittore acese Giacinto Platania, si può ammirare presso la Chiesa Maria SS. Annunziata, proprio nel paese di Massannunziata: l’Arcangelo Gabriele sta a sinistra, in atto di inginocchiarsi e porgere dei gigli (simbolo della castità e della purezza); Maria, a destra, sorpresa dalla novella, quasi si schermisce ed è raffigurata con una corona sul capo.

Nel 1678, ad Amsterdam, vedeva la luce la terza edizione della famosissima opera Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher (di lui abbiamo ampiamente trattato su questo blog, ilVulcanico.it). In questa nuova edizione, la prima dopo il catastrofico evento, Kircher dà una concisa descrizione degli eventi accaduti in Sicilia, e sottolinea anch’egli la bellezza e la fama delle statue perdute.

Ancora una descrizione delle mirabili statue la troviamo nella Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano [5], cronaca manoscritta del 1752: «Lo Foco caminò nella Terra di Mompileri, che arrivava a n.° 3 M[ila] Anime, […] et quello che più importa, ricchissima di Statue di Marmo. […] La merviglia di dette statue [era] che havendo venuti Spagnoli, Francisi et altri, non pottero mai copiari il vestito di detto Angelo, basta qui, direi, che foro la maraviglia di tutta Italia, et più […]».

Tutto era andato perduto, o così sembrava. Qualcosa invece si era salvato, e fu successivamente ritrovato. Per descrivere questi ritrovamenti, riporto alcuni passi tratti dal l’opuscolo Maria sull’Etna [6]: «Alcuni mesi dopo l’eruzione, alcuni uomini venuti a verificare cosa possa essersi salvato dalla furia della lava, ritrovano il simulacro [di San Michele Arcangelo, n.d.A.] in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi; gli stessi, secondo gli antichi racconti, si sarebbero riuniti dopo averlo oltrepassato. Il simulacro viene portato nel sito abitativo di Massa Annunziata».

Nel 1704 «Il 18 Agosto, sotto la spessa coltre lavica, avviene il sospirato ritrovamento della statua della Madonna delle Grazie. I cercatori arrivano, probabilmente trascinandosi carponi e, man mano rimuovendo detriti e frammenti della struttura della chiesa crollata sotto il grave peso della lava e possono contemplare per la prima volta la statua della Madonna dal suo lato sinistro».

Infine, nel 1955, scavando in una cava di ghiara [rena rossa, n.d.A] nelle vicinanze del Santuario si «ritrova la testa del simulacro della Madonna Annunziata. Nei giorni successivi viene ritrovata la testa del simulacro dell’Arcangelo Gabriele ed altri frammenti dello stesso gruppo marmoreo.».

E’ però il ritrovamento del 1704 ad aver assunto un’aura di miracolo.

La statua della Madonna delle Grazie, che la tradizione popolare vorrebbe fosse stata ritrovata intatta, ancora sull’altare, aveva invece subito gli insulti causati dall’eruzione e dalle difficilissime operazioni per riportarla in superficie: il marmo era stato deteriorato dal calore della lava ed era rotta in più pezzi (tutti però ritrovati). Fu abilmente ricomposta nel corso dell’Ottocento e dipinta con vernici colorate, anche per nascondere all’occhio ciò che le tragiche vicende subite avevano causato [7].

Nel settembre del 2021, a cura dell’associazione Mascalucia Doc A.C., un’associazione no profit – finanziata solamente con il supporto economico dato dai suoi soci e dalle attività commerciali che volontariamente la sostengono – è stata pubblicata la “fanzineMompileri, stupore dell’arte. Cos’è una fanzine? E’ un termine derivato dalla lingua inglese, una lingua molto diversa dalla nostra ma, per certi versi, più semplice e con una più accentuata capacità di sintesi: così, dai termini magazine – che per noi è “rivista” – e fan, diminutivo di fanatic – che in italiano sta per “appassionato” –  è nato il sostantivo fanzine, contrazione di fanatic magazine [8].

Nella lingua italiana tale neologismo, più precisamente “anglicismo”, è stato accolto al femminile: una “fanzine” è quindi una rivista realizzata da appassionati, che prestano la loro opera a titolo assolutamente gratuito, e lo fanno con l’entusiasmo di chi ha a cuore la diffusione della conoscenza, in questo caso la conoscenza del proprio territorio e della sua storia, e nel caso particolare del territorio che è stato definito delle tre emmeMompileri, Massannunziata e Mascalucia.

La prima fanzine associativa aperiodica, il numero 1, è stata interamente dedicata alla storia dello sfortunato casale di Mompileri, ricoperto dalle lave etnee nel 1669. Si tratta di una «fanzine composta da 50 pagine tutte a colori che ripercorre la storia, gli avvenimenti e tutte le verità inerenti il sito storico-religioso di Mompileri».

Dal 3 aprile del 2022 – dopo una coraggiosa e superba opera di restauro, l’opera (dagli esperti sempre più convintamente attribuita alla mano del Gagini) è stata restituita all’aspetto originale ed è possibile ammirarla… così come lo facevano i fedeli di più di 355 anni fa. “É come se l’avessimo ritrovata per la seconda volta” ha commentato Don Alfio Giovanni Privitera, rettore “pro-tempore”, come egli ama definire se stesso, che fortemente ha auspicato questo restauro. Rimosso lo strato di colorazioni ottocentesche, è riapparso il simulacro nella sua splendida semplicità di marmo arricchito da fregi dorati.

La statua lignea dopo il restauro (foto S. Scalia)

Ma l’opera di Don Alfio Privitera non si è arrestata con questo traguardo importante dal punto di vista storico, culturale, artistico e religioso: la statua lignea di San Michele Arcangelo, che, come già ricordato, al tempo dell’eruzione fu portata fuori dalla vicina cappella ma lasciata davanti al fronte lavico e che fu in seguito ritrovata intatta in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi di lava, è stata oggetto di un accurato restauro, “un altro motivo di meraviglia!”, come affermato dal Rettore.

Il 15 luglio del 2023 l’opera lignea (realizzata nel 1654, solo 15 anni prima della catastrofica eruzione), è stata restituita alla comunità svelando particolari che col tempo si erano perduti (vedi fotogallery).

Il simulacro dell’Arcangelo, patrono di Massannunziata, è custodito la Chiesa di Maria SS. Annunziata della frazione di Mascalucia.

Un sentito e doveroso ringraziamento va al Rettore Don Alfio Giovanni Privitera per la sua disponibilità e squisita cortesia e all’Associazione Mascalucia DOC per il prezioso lavoro svolto per la conoscenza e la salvaguardia del territorio mascaluciese.

Riferimenti bibliografici:

  • [1] Francesco Ferrara, Storia generale dell’Etna – 1793
  • [2] Giuseppe Recupero, Storia naturale e generale dell’Etna – 1815
  • [3] Bonaventura la Rocca – Relatione del nuovo incendio fatto da Mongibello – 1670
  • [4] Carlo Mancino, Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo

 del 1669

  • [5] Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano, cronaca manoscritta del 1752 e

pubblicata nel 1929 dal Canonico Vincenzo Raciti Romeo «per accrescere il patrimonio della storia di Acireale»

  • [6] Maria sull’Etna (opuscolo del 2019 curato dal Santuario Madonna della Sciara in

occasione del 350° della conservazione del simulacro della Madonna sotto la lava)

  • [7] Il restauro del simulacro marmoreo cinquecentesco della Madonna della Sciara

(pubblicato a cura del Santuario Madonna della Sciara nell’aprile del 2022)

  • [8] Mompileri, stupore dell’arte (fanzine pubblicata nel 2021 a cura dell’Associazione

Mascalucia DOC)

  • [9] Il restauro del simulacro di San Michele Arcangelo (opuscolo del 2023 curato dal

Santuario Madonna della Sciara in occasione della celebrazione inaugurale del 13 Luglio 2023)

Con il titolo: A prospect of Mount Ætna with its eruption in 1669  (Mary Evans Picture Library), un prospetto del Monte Etna con la sua eruzione del 1669

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La zona d’interesse: la normalità dell’orrore dietro quel muro, che fingiamo di ignorare https://ilvulcanico.it/la-zona-dinteresse-la-normalita-dellorrore-dietro-quel-muro-che-fingiamo-di-ignorare/ Tue, 27 Feb 2024 08:52:18 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24734 di Antonella De Francesco La zona di interesse di Jonathan Glazer è un film difficile da vedere ma che va visto. Già premiato al Festival di Cannes 2023 con il Premio Speciale della Giuria, è uno dei 5 migliori film dell’anno secondo il National Board of Review ed è candidato a 5 premi Oscar. Il […]

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di Antonella De Francesco
La zona di interesse di Jonathan Glazer è un film difficile da vedere ma che va visto.
Già premiato al Festival di Cannes 2023 con il Premio Speciale della Giuria, è uno dei 5 migliori film dell’anno secondo il National Board of Review ed è candidato a 5 premi Oscar. Il film, tratto dall’omonimo libro di Martin Amis, che non ho letto, per cui non posso valutare quanto gli sia fedele, narra la storia del comandante di Auschwitz Rudolf Höß e sua moglie Hedwig che realizzarono il loro sogno di una vita con una famiglia numerosa, una casa e un grande giardino in un terreno direttamente adiacente al muro del campo di Auschwitz.
Ci sono tanti pregevoli film sull’olocausto ma il punto di vista di Glazer è nuovo e geniale. L’orrore pervade l’intera pellicola dall’inizio alla fine ma non si vede, piuttosto si sente e nel sentirlo ciascuno spettatore ricostruisce le immagini che ben conosce dalla storia nella sua mente, interiorizzandole ancora di più. La famiglia di Höb si muove in una sorta di grande fratello che la osserva da lontano senza mai un primo piano, perché il regista non perde mai di vista quel muro e le riprese a tutto campo di fiori e di morte gli sono necessarie.
La famiglia vive e convive con latrati di cani, spari nella notte, urla strazianti senza mai distogliersi dal suo fare quotidiano e lo stupore per tanta normalità travalica ogni ragionevolezza e li condanna più di quanto potrebbero fare 1000 immagini di morte. Nessuno di loro si chiede cosa accada oltre quel muro perché lo sa già, pur non essendone turbato. La fabbrica di morte non li distoglie dai loro affetti familiari: un cane, i cavalli, i fiori concimati con i resti dei forni crematori. Accettano doni appartenuti a chi forse è già morto proprio dietro quel muro o sta per farlo nel buio della notte. E lo spettatore resta impietrito davanti a quei magnifici fiori coltivati con cura mentre pennacchi di fumo nero si levano sul cielo limpido che a volte si fa schermo rosso sulle note del sottofondo musicale perfetto di Mica Levi, di rintocchi metallici e rumori ovattati che scandiscono l’orrore.
Un’opera immensa sulla perdita di umanità e sulla banalità del male, ma anche sulla vicinanza di certi orrori che si compiono a poca distanza da noi e che tutti fingiamo di ignorare, intenti e assorbiti dalla nostra quotidianità. In un mondo che ipocritamente censura le immagini violente, Glazer ci fa rivivere tutto l’orrore della Shoah senza immagini e ci esorta a svegliare le nostre coscienze dal torpore di questi tempi, a non voltarci dall’altro lato e ad ascoltare le atrocità che si compiono tutti i giorni ad un passo dalle nostre stesse esistenze . Da non perdere !

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La notte di Cutro e i migranti nelle strutture d'”accoglienza”: mostra fotografica da stasera a Catania https://ilvulcanico.it/la-notte-di-cutro-e-i-lager-dellaccoglienza-dei-migranti-mostra-fotografica-da-stasera-a-catania/ Sun, 25 Feb 2024 05:51:49 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24707 FONTE: Onirica-Spazio Creativo Oggi pomeriggio, domenica 25 Febbraio, alle ore 18,30, a Onirica Spazio Creativo – Catania in via Ingegnere 34, angolo via Etnea, alle ore 18,30, inizierà una settimana di mostre e incontri sul tema delle migrazioni, per cercare di dare un senso alla morte di tanti esseri umani. Nella notte tra il 25 […]

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FONTE: Onirica-Spazio Creativo

Oggi pomeriggio, domenica 25 Febbraio, alle ore 18,30, a Onirica Spazio Creativo – Catania in via Ingegnere 34, angolo via Etnea, alle ore 18,30, inizierà una settimana di mostre e incontri sul tema delle migrazioni, per cercare di dare un senso alla morte di tanti esseri umani.

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, un anno fa, nelle acque di fronte alla frazione di Steccato di Cutro (CZ) un barcone si disintegrò su una secca a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Novantotto persone, donne, bambini, uomini, morirono guardando le luci dell’Italia. In quei giorni Domenico Fabiano si trovava sul posto ed ha potuto raccontarci, con i suoi video e le sue fotografie, ciò che rimase di quell’evento tragico. A completare la mostra “La notte di Cutro”, che chiuderà domenica 3 marzo, le foto di Giuseppe D’Amico, per alcuni anni legale in una struttura di accoglienza, che raccontano la condizione sospesa di chi è sopravvissuto al viaggio in mare.

Ringraziamo Giuseppe D’Amico e Domenico Fabiano che ci dà l’opportunità di presentare questa mostra, sicuramente da visitare, di grande significato e valore in questa ricorrenza fra le più tragiche nella storia delle migrazioni: le foto che pubblichiamo nella gallery non sono riprese interamente per non rivelare in anticipo i lavori esposti dai due fotografi.

 

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Quei “Perfect Days” di un uomo qualunque, la sublime perfezione dell’adesso https://ilvulcanico.it/quei-perfect-days-di-un-uomo-qualunque-la-sublime-perfezione-delladesso/ Mon, 05 Feb 2024 06:25:40 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24670 di Antonella De Francesco Disponetevi all’attenta osservazione dei particolari, dei gesti quotidiani come rituali. Preparatevi al pensiero lento che ne scaturirà e apprezzerete Perfect days di Wim Wenders, più che legittimamente candidato all’Oscar 2024 insieme a Io capitano di Matteo Garrone. Da diverse angolazioni vi verrà presentata la vita di un uomo qualunque, Hirayama, magistralmente interpretato […]

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di Antonella De Francesco
Disponetevi all’attenta osservazione dei particolari, dei gesti quotidiani come rituali. Preparatevi al pensiero lento che ne scaturirà e apprezzerete Perfect days di Wim Wenders, più che legittimamente candidato all’Oscar 2024 insieme a Io capitano di Matteo Garrone.
Da diverse angolazioni vi verrà presentata la vita di un uomo qualunque, Hirayama, magistralmente interpretato da Kôji Yakusho (la storia è ambientata a Tokyo) e attraverso la ritualità dei suoi gesti quotidiani, descritti dal regista con grande meticolosità e da angolazioni diverse, capirete che in ogni vita non esiste mai un giorno identico all’altro e che, a ben guardare, esistono tanti giorni perfetti, scanditi, come da un metronomo, dalla loro stessa normalità mai banale e sempre ricca di dignità e di sorprese. Una lezione su come riconoscere i giorni perfetti, che per Wim Wenders sono quelli in cui regna l’armonia, quelli che sapremo vivere con dignità, quelli in cui ci accorgeremo delle piccole cose, quelli in cui le ombre rimarranno confinate e serviranno a mettere in risalto la luce.
Primi piani del protagonista alternati a scorci di una città infinita e tecnologicamente avanzata che parlano di solitudine, ma mai di disperazione, piuttosto di scelte di vita consapevoli. Hirayama ha lasciato andare tutto ciò che pesa. Di notte sogna quel che ha vissuto di giorno e non aspetta il futuro perché vive l’hic et nunc. Non c’è monotonia nella sua vita semplice perché lui è un attento osservatore del mondo esterno, coglie l’attimo con la sua macchina fotografica e ne scorge ogni minimo mutamento. Il suo respiro al mattino, quella boccata d’aria fresca prima di cominciare, è un inno alla vita: è lì che il protagonista ogni giorno sutura tutte le sue ferite interiori e rivolge a noi l’invito a fare lo stesso.
Sulle note di una magnifica colonna sonora con brani di Lou Reed, Van Morrison e Patti Smith, il protagonista assapora la sua quotidianità e si bea della luce, della pioggia, di un saluto, di un sorriso, di un buon libro letto a notte tarda prima di spegnere la luce e i pensieri. Non gli serve l’orologio al polso nei giorni di lavoro, ma lo porta con se la domenica, perché soltanto in quel giorno il tempo è veramente suo! La sua filosofia di vita sovverte il nostro modo di vivere caotico, distratto e veloce. La sua dignità è disarmante al pari della cura che mette in tutto quello che fa. La sua quotidianità parla di stabilità, quella che a noi manca .
Impariamo da Hiramaya a riconoscere i giorni perfetti e ad apprezzare la pienezza della nostra vita. Perfect days è un sublime film sull’adesso perché “Adesso è adesso”!

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Quelle Povere creature libere, spregiudicate, irriverenti https://ilvulcanico.it/quelle-povere-creature-libere-spregiudicate-irriverenti/ Sun, 28 Jan 2024 17:42:17 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24655 di Antonella De Francesco È molto difficile parlare di un capolavoro come Povere creature di Yorgos Lanthimos, giustamente vincitore del Leone D’Oro al Festival di Venezia, premiato al Golden Globe per miglior film e migliore attrice protagonista (Emma Stone) e candidato con 11 nomination all’Oscar 2024. Chi conosce un po’ il regista ( tra i […]

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di Antonella De Francesco
È molto difficile parlare di un capolavoro come Povere creature di Yorgos Lanthimos, giustamente vincitore del Leone D’Oro al Festival di Venezia, premiato al Golden Globe per miglior film e migliore attrice protagonista (Emma Stone) e candidato con 11 nomination all’Oscar 2024.
Chi conosce un po’ il regista ( tra i suoi film The Lobster, La favorita) sa bene che è un regista poco convenzionale. Si tratta di una commedia assolutamente geniale in stile weird, tratta dall’omonimo romanzo del 1992 di Alasdair Gray, che racconta l’evoluzione di una giovane donna, Bella Baxter, riportata in vita da uno scienziato pazzo, Godwin (Willem Dafoe) che impianta il cervello di un neonato (il suo stesso figlio) nel suo corpo. La storia, ambientata in un’atmosfera assolutamente onirica tra Londra, Lisbona e Parigi, è rappresentata e recitata in modo ineccepibile .
Si tratta di un film denso di immagini, di contenuti, di rimandi dotti alla filosofia e di citazioni che travolge lo spettatore senza lasciargli scampo. Si sorride e si riflette e se ne esce inebriati, increduli, storditi, anche. Non ho letto il libro e non so quanto il film vi sia fedele, ma rappresentare in modo così irriverente l’evoluzione femminile di una mente bambina in un corpo adulto, secondo le fasi evolutive di Freud, seguire passo dopo passo la conquista della sua libertà senza alcun condizionamento sociale e morale fino alla scoperta della sessualità  davanti agli occhi rapiti degli uomini che però non sono in grado di fare i conti con tanta spudorata libertà senza confini, è assolutamente geniale!
Si, perché Bella Baxter mantiene il candore spregiudicato dei bambini in tutto quello che fa, attraverso i suoi occhi passa tutta l’innocenza e tutto il peccato, passa la sottomissione, la ribellione, la voglia di emancipazione e perfino la mercificazione del corpo femminile. Bella Baxter ride come una bambina e con la stessa ingenuità soffre quando scopre la povertà, la cattiveria e il dolore del mondo. Un monito agli uomini a non sottovalutare perfino le donne a prima vista più ingenue? La celebrazione della femminilità e del suo eterno potere di seduzione? La difesa del femminismo? La dimostrazione che le donne, non me ne vogliano gli uomini, sfuggono al loro controllo perché sono mentalmente più “libere”? Qualche allusione al tema dell’intelligenza artificiale, tanto in voga al momento? Ci troverete tutto questo oppure niente del genere o molto altro secondo la prospettiva con cui vi porrete davanti al grande schermo. In ogni caso non potrete rimanere indifferenti a questo concentrato potentissimo di irriverente e travolgente vitalità, un bagno ipnotico di surrealismo e di iperrealismo.
Da menzionare oltre agli attori tutti eccellenti, la fotografia di Robbie Ryan, la scenografia di James Price e Shona Heath, i costumi di Holly Waddington e gli effetti visivi di Simon Hughes.

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11 gennaio 1693: il grande e terribile terremoto nelle epigrafi di Catania https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/ Thu, 11 Jan 2024 05:48:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24554  di Santo Scalia  In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com). Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non […]

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 di Santo Scalia 

In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com).

Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, a Malta e persino in Tunisia. Il primo forte evento si verificò di sera, il 9 gennaio 1693, attorno alle ore 21:00 GMT (il tempo medio di Greenwich); il secondo avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT, ed ebbe effetti veramente catastrofici.

Catania, la più grande e popolata città presente nell’area di massima distruzione, fu “atterrata” e pagò il più alto tributo di vite umane: circa 12.000 vittime (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora). In totale, furono registrati circa 54.000 morti, di cui 5.045 (il 51%) a Ragusa; 1.840 (pari al 30%) ad Augusta; 3.000 (il 25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica (*).

Il devastante avvenimento fu così terribile che i catanesi, nel corso dell’opera di ricostruzione della loro città e negli anni seguenti, hanno voluto inciderne il ricordo nel marmo, a perenne memoria di quanto accaduto in quel tragico anno.

L’epigrafe più nota ai catanesi, probabilmente, è quella posta in Via Antonino di Sangiuliano: lì una targa marmorea, posta sulla parete dell’edificio, tra i numeri civici 235 e 237, a pochissimi metri d’altezza, “ricorda i terremoti del 9 e 11 gennaio 1693 e i loro devastanti effetti, ammonendo i catanesi a fuggire nelle campagne in caso di scosse, ma anche a vigilare sulla città esposta a saccheggi e ruberie” (*).

Meno conosciuta, anche se esposta agli occhi di tutti coloro che ammirano la Cattedrale catanese, è la lapide situata nel Giardino della basilica (sul prospetto dell’aula capitolare): A Dio Uno e Trino / Il giorno 9 gennaio del 1693 un forte terremoto scosse Catania tutta, il giorno 11 dello stesso mese la distrusse, tolse la vita a 16.000 cittadini, fugò i rimasti incolumi, attrasse i forestieri a rubare. Queste cose ci ammoniscono di scegliere al primo terremoto un rifugio nei campi e di custodire la Città. Nell’anno della salute 1725″.  [traduzione dal sito internet mimmorapisarda.it]

Sempre nella Cattedrale, ma al suo interno, si trovano altre due epigrafi che riguardano il sisma: una posta nel monumento funebre di Francesco Antonio Carafa (vescovo di Catania dal 1687 al 1692), l’altra in quello del suo successore Andrea Riggio (vescovo di Catania dal 1693 al 1717).

Di queste, la prima si trova nel transetto sinistro: Don Francesco Carafa, già Arcivescovo di Lanciano poi Vescovo di Catania, vigilantissimo, pio, sapiente, umilissimo, padre dei poveri, pastore così amante delle sue pecorelle, che poté allontanare da Catania due sventure da parte dell’Etna, prima del terremoto [del 1693]. Dopo di che morì. Giace in questo luogo. Fosse vissuto ancora, così non sarebbe caduta Catania”. (Anno Domini 1695)” .

La seconda è invece nella cosiddetta Cappella di Sant’Agata, nell’abside destra. L’epigrafe è posta alla base del mausoleo e tramanda la memoria della ricostruzione della chiesa distrutta dal terremoto: L’illustrissimo e reverendissimo signor don Andrea Riggio, vescovo di Catania, nell’anno della salvezza 1693 in cui tutta la città fu scossa dalle fondamenta da un esiziale terremoto, consigliato dalla divina Provvidenza, dedicatosi, come per la lapide, al generale restauro dei sacri edifici, affinché fosse di ornamento all’angolo di questa cappella e per il culto eterno di sant’Agata, eresse per sé questa mole sepolcrale. Nell’anno 1705”  

A poca distanza dalla Cattedrale si trova un’altra delle chiese principali della città, la Basilica Collegiata di Maria Santissima dell’Elemosina, meglio conosciuta come Basilica della Collegiata. Qui si trovano altre due epigrafi in tema, uno sulla facciata, l’altro all’interno, posto sul primo pilastro a sinistra: “Il ciantro [= primicerio] don Giovanni Francesco Lullo conferì decoro alla cappella regia degli Aragonesi, distrutta dal terremoto, ripristinata dall’operosità del capitolo, avendo adornato soprattutto l’interno e reso decoroso l’esterno. Anno 1768 dal parto della Vergine [= dalla nascita di Cristo]”.

“Qui dove aveva prescelto, / fu sepolto / don Giuseppe Mazza Tedeschi / patrizio catanese / che / questo tempio abbattuto dal terremoto / per restituire all’integrità / con abbondanza di denaro / offrì la sua opera. – Morì nell’anno del Signore 1744”.

Un’altra epigrafe, meno nota rispetto alle altre, a causa della posizione nella quale è apposta, si trova poco più in là, in via dei Crociferi, nel cosiddetto Arco delle Monache (sul lato rivolto a nord): “A Dio Ottimo Massimo. La pietà delle monache vinse la ferocia del terremoto e quelle cose che l’11 gennaio 1693 vennero distrutte dalla enormità di quello, ora sono state ricostruite dall’ardore delle vergini: questo ingente arco segna la vittoria che, sotto il vessillo di don Andrea Riggio Saladino vescovo di Catania, una così grande guida della Chiesa, e della sorella Maria Stella Motta abadessa, le militanti spose di Cristo riportarono, con questo grande edificio, contro le offese del tempo e della terra. 1704”

Sin qui le epigrafi poste all’esterno di edifici o all’interno di chiese. Altre testimonianze si trovano all’interno di strutture private, alcune accessibili, altre invece no.

Nella centralissima via Etnea di Catania si trova il Palazzo San Demetrio, ai 4 Canti, nella cui Corte una lapide ricorda la ricostruzione dell’edificio, ad appena un anno dal terremoto: “A Dio Ottimo Massimo. Nell’anno primo dai terremoti siciliani, dal territorio ormai restaurato nel 1694, primo fra tutti don Eusebio Massa, barone della terra di san Gregorio e ricevitore della valle dei boschi, costruì i recenti edifici che vedete in questo quadripartito teatro di vie, primizie della rinascente Catania. Ospite, da qui trai buon auspicio e parti sano e salvo. “

In via Antonio di Sangiuliano, all’interno di un palazzo dove oggi ha la sua sede il Centro di Assistenza Fiscale di una associazione di categoria, è apposta l’epigrafe che riporta gli utili consigli che il protomedico Nicolò Tezzano, professore di medicina, aristocratico e filantropo, suggeriva ai cittadini catanesi: “A Dio Uno e Trino.  Nell’anno del Signore 1693, nei giorni 9 e 11 di Gennaio, un ingente terremoto sconvolse Catania e poi apportò funesta morte a diciottomila persone. Perciò, o cittadino, temi Dio e quando la terra si scuote, fuggì verso un luogo aperto o fermati sotto gli architravi. Ciò il protomedico Don Nicolò Tezzano scriveva”.

Delle due epigrafi alle quali non ho potuto accedere, una si troverebbe “sulla porta s’ingresso di palazzo Biscari (piazza San Placido)”; il testo sulla lapide riporterebbe le seguenti parole (vedi riferimenti bibliografici, n. 7):

Si nescis lege, luge, memor esto / IX ianuarii MDCXCIII terraemotus ingens Cata/nam cuncussit totam XI / eiusdem destruxit sexdec(em) / civium millia occidit, vivos fugavit, exteros excitavit / ad furta: haec moneat in primo / quod absit, motu terrae cam/pos omnes habitent, Urbem / custodiant. / MDCXCVI. La cui traduzione suona così: “Se non sai leggi, piangi, sii memore. Il 9 gennaio 1693 un ingente terremoto scosse tutta Catania. L’11 dello stesso mese la distrusse e uccise sedicimila cittadini, mise in fuga i sopravvissuti, indusse gli stranieri ai furti. In primo luogo ciò sia di monito a quel che manca: dopo un terremoto tutti abitino le campagne e custodiscano la città. 1696”.

Analogamente, in via Vittorio Emanuele, lì dove un tempo si trovava l’Albergo Savona, all’interno del cortile, dovrebbe trovarsi la seguente epigrafe (7):

IX Ianuarii 1693. Ingenti terremotu Catana excussa est: XI eiusdem hora minus XXI rursus vehementer agressa tota ruit ac sexdecim civium millia aedificiis obruti interiere. Haec monitura post epost bula affixa est ut primis motus terrae ictus fatum ne denuo subeant. Año Dñi 1693. “9 gennaio 1693, Catania è stata scossa da un ingente terremoto. L’11 dello stesso mese alle 21 circa, di nuovo aggredita fortemente, rovinò tutta e morirono sedicimila cittadini sepolti dagli edifici. Questa targa è stata affissa come futuro monito dopo l’evento affinché, come fu per i primi, altri non subiscano di nuovo il destino dell’urto del terremoto. Anno Domini 1693”.

L’evento rimase impresso anche nella mente degli abitanti della città di Acireale dove, su una popolazione di circa dodicimila anime, si contarono oltre settecento vittime. Diventarono così famosi i seguenti versi:

L’espressione “a vintin’ura” non deve trarre in inganno: non si tratta infatti delle “ore ventuno”, come erroneamente si potrebbe intendere, bensì, come già indicato, delle ore 13:30 circa: nel secolo XVII era in uso la cosiddetta “ora all’italiana”, un modo differente di misurare il tempo rispetto a quello cui siamo adesso abituati.

Anche in questa città si trovano testimonianze del tragico avvenimento: nella Basilica San Sebastiano, all’interno di un medaglione di calcare, sospeso al pilastro destro del prospetto, si trovano incise le parole: “A Dio Ottimo Massimo. Questo tempio, crollato nel 1693 per un terribile terremoto, risorge più decorosamente nel 1699, testimonianza ai secoli eterni”.

Sempre ad Acireale, non su una epigrafe, ma incise su una lamina d’oro custodita nel Tesoro di Santa Venera, nella Cattedrale, si trovano le seguenti parole (6): “DIVÆ VENERÆ, PATRONÆ, / OB SERVATAM VITAM / IN ORRIBILI TERREMOTV, IN AN: 1693 / HOC AMORIS SIGNVM / ACENSIS POPVLVS / D. D. D.”.

Infine, e anche in questo caso non si tratta di epigrafe, ma di dipinto, a Mascalucia, nella Chiesa della Madonna Bambina (2): In sudore vultus mei, ab ingenti terremotu, hanc patriam liberavi, anno 1693 cioè: “Nel sudore della mia fronte ho liberato questa patria dall’ingente terremoto dell’anno 1693”.

Prima di chiudere questa rassegna di testimonianze sul terremoto del 1693, voglio esprimere il mio ringraziamento alla Dott.sa Rina Stracuzzi per le trascrizioni, alla Prof.sa Maria Grazia Spadaro Cucinotta per le traduzioni e all’amico Antonino Cupitò per la disponibilità e l’impegno dimostrato. Lungi dall’essere esaustiva, questa rassegna vuole essere un punto di partenza per lo studio delle testimonianze epigrafiche relative al terremoto del Seicentonovantatrè. Spero che tra i lettori qualcuno sia a conoscenza di altri riferimenti, e che voglia condividerli. Le immagini allegate a questo articolo, ove non indicato espressamente, sono dell’Autore.

Bibliografia

  • VV. – La Sicilia dei terremoti – 1997
  • VV. – Mompileri, stupore dell’arte – a cura dell’Associazione Mascalucia-Doc – 2021
  • Anonimo siracusano – Il gran terremoto del 1693 a Siracusa – 1993
  • Boschi E., Guidoboni E. – Catania Terremoti e lave – dal mondo antico alla fine del Novecento – 2001
  • Burgos Alessandro – Distinta relatione dello spaventoso eccidio… – 1693
  • Di Natale M.C., Vitella M. – Il tesoro di Santa Venera ad Acireale – 2017
  • Nicolosi Salvatore – Apocalisse in Sicilia, il terremoto del 1693 – 1982
  • Nicosia Ivan – La Catania destrutta – 2018
  • Trigilia Lucia – 1693 Iliade funesta – la ricostruzione delle città del Val di Noto – 1994

 

Sitografia

(*) Ingv – Il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693 nella Sicilia orientale

Ingv – Catalogo dei forti terremoti in Italia 461 a.C. – 1997

Con il titolo: particolare da un’antica stampa tedesca (Fonte Ingv)

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The old oak, la solidarietà che fa battere di nuovo tanti cuori induriti https://ilvulcanico.it/the-old-oak-la-solidarieta-che-fa-battere-di-nuovo-tanti-cuori-induriti/ Mon, 27 Nov 2023 06:17:05 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24426 di Antonella De Francesco Si riconferma il regista degli “ ultimi”, Ken Loach, nel Suo ultimo film: The old oak. E’ ambientato in una piccola cittadina del nord dell’Inghilterra (ma potrebbe essere ovunque nel mondo), un tempo abitata da minatori e oggi quasi del tutto disabitata, ridotta ad un posto di frontiera e senza attrattive, […]

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di Antonella De Francesco
Si riconferma il regista degli “ ultimi”, Ken Loach, nel Suo ultimo film: The old oak.
E’ ambientato in una piccola cittadina del nord dell’Inghilterra (ma potrebbe essere ovunque nel mondo), un tempo abitata da minatori e oggi quasi del tutto disabitata, ridotta ad un posto di frontiera e senza attrattive, in cui le giornate dei pochi residenti sono tutte uguali, come i loro patimenti ed il vecchio pub di TJ è l’unico posto in cui condividere un minimo di socialità .
Una socialità circolare e di quartiere, chiusa e che non ammette intrusioni, ripiegata su se stessa, intenta a criticare e solo in apparenza a compatire. L’arrivo nella cittadina di un gruppo di profughi siriani in fuga dalla guerra, destabilizza la collettività, spezza gli equilibri, altera i rapporti e ne crea di nuovi e inaspettati. I cuori dei residenti, induriti dall’isolamento e fiaccati dalle battaglie di una vita per la sopravvivenza, sono forzati a battere di nuovo e per alcuni inizia la rinascita. La solidarietà per la perdita di TJ del suo unico amico (che è un momento del film forte e doloroso che non voglio spoilerare, girato con grande maestria) arriva proprio dai rifugiati, dagli ultimi degli ultimi e non dagli amici di una vita.
E da lì che si dipana una storia che ci mostra un mondo perso, senza speranza, di poveri senza un domani, di giovani aggressivi, di cani inferociti in cui è difficile ritrovare un briciolo di umanità. Sulla riva di un mare grigio che nel film rappresenta un punto- limite oltre il quale non si deve andare, TJ va ben due volte per morire ma invece ritorna a vivere grazie a piccoli miracoli, attimi in cui la sorte muta e volge alla speranza. E come in tutti i film di Ken Loach, non è la preghiera che può ancora salvarci ma piuttosto la solidarietà, il rispetto delle diversità, gli abbracci, la gentilezza, la gratitudine, i gesti inaspettati, quasi del tutto inesistenti al giorno d’oggi,  ma proprio per questo ancora più necessari. Il finale struggente è un abbraccio per tutti. Da vedere.

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A Muntagna, Thea, Ferdinandea e tanto altro: dei miti e delle leggende del “mundus subterraneus” di Sicilia https://ilvulcanico.it/a-muntagna-thea-ferdinandea-e-tanto-altro-dei-miti-e-delle-leggende-del-mundus-subterraneus-di-sicilia/ Sun, 19 Nov 2023 06:47:01 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24370 di Santo Scalia «Valerio Agnesi, professore emerito di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università di Palermo, propone in questo volume miti e leggende legati al mundus subterraneus della Sicilia. Si tratta di meraviglie e prodigi presenti, con molteplici varianti, fin dai classici della letteratura greca e latina o giù di lì, ma che Agnesi descrive e […]

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di Santo Scalia

«Valerio Agnesi, professore emerito di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università di Palermo, propone in questo volume miti e leggende legati al mundus subterraneus della Sicilia. Si tratta di meraviglie e prodigi presenti, con molteplici varianti, fin dai classici della letteratura greca e latina o giù di lì, ma che Agnesi descrive e decifra alla luce della moderna cultura geologica affermatasi, dall’Ottocento in poi, grazie all’opera di Charles Lyell, padre riconosciuto di questa giovane disciplina scientifica, e dei suoi numerosi epigoni».

Particolare da Mundus Subterraneus di Kircher, 1668 (BNF)

Cos’altro aggiungere a questa chiara e concisa presentazione di Franco Foresta Martin? Probabilmente nulla! Nelle sue prime righe c’è infatti il riferimento velato (ma non troppo) all’opera di Athanasius Kircher, l’autore della magnifica opera Mundus Subterraneus, pubblicata ad Amsterdam in tre diverse edizioni: la prima nel 1665, la seconda tre anni dopo, nel 1668; la terza, ed ultima, nel 1678. Ed è proprio dall’edizione del 1668 che viene tratta, e arricchita dal colore, l’immagine della copertina.

Particolare da Principles of Geology di Lyell, 10ma edizione – 1868 (Google books)

Nella presentazione segue immediatamente la citazione del “padre riconosciuto” della geologia, Charles Lyell, autore dei Principles of Geology, pubblicati in 3 volumi tra il 1830 ed il 1833.  Due grandissimi nomi, due mostri sacri delle discipline geologiche.

Dicevo che non avrei potuto aggiungere altro alla presentazione di Franco Foresta Martin, ed infatti è lo stesso che scrive ancora: «Sono storie dilettevoli, tutte tenute insieme da non poche qualità comuni: il recupero della tradizione storica e letteraria siciliana, la lettura in chiave scientifica e divulgativa anche delle più fantasiose suggestioni, la rigorosa citazione delle fonti antiche e moderne e, non ultime, la tensione narrativa e l’eleganza della prosa».

Il libro Miti e leggende della geologia siciliana, 230 pagine edite da Villaggio Letterario nella Collana Studi 4 elements  (23 euro), dà il posto d’onore – il primo capitolo – all’Etna: “A Muntagna” ne è il titolo. E del principale vulcano attivo d’Europa vengono ripercorsi storia, leggende, fatti e misfatti”.

L’Autore parla poi di giganti e di elefanti, di Maccalube, di Thea (la prima donna di Sicilia, i cui resti sono stati scoperti nella Grotta di San Teodoro e che oggi sono esposti in una apposita sala del Museo di Geologia “G. G. Gemmellaro” di Palermo); e tratta anche della leggenda di Santa Crescenzia, del coccodrillo del Papireto (uno dei due fiumi che attraversano il centro storico palermitano), del Monte Pellegrino e dell’isola che non c’è più, Ferdinandea.

Volutamente non aggiungo altri dettagli, non vorrei rovinare la sorpresa di chi leggerà questo volume. Devo però precisare che ogni capitolo è corredato da una attenta e accurata bibliografia.

Franco Foresta Martin

Per quei pochi che non conoscessero Franco Foresta Martin, ricordo che si tratta di un giornalista scientifico e geologo, che ha lavorato al giornale L’Ora di Palermo, poi per oltre 30 anni al Corriere della Sera ed è autore svariati di testi di divulgazione scientifica (come si legge in una delle pagine del sito web dell’Università Bocconi).

Valerio Agnesi

Dell’Autore, Valerio Agnesi, palermitano, lo stesso Foresta ha anticipato alcune note: aggiungo soltanto che svolge attività di ricerca in diversi ambiti della geomorfologia, con particolare riguardo della dinamica dei versanti, al carsismo, allo studio e alla gestione delle aree protette e alle problematiche di geomorfologia urbana.

 

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di Gaetano Perricone

La copertina del libro

All’ottima recensione di Santo Scalia, mi piace molto aggiungere quanto ho scritto su Facebook dopo avere letto questo magnifico libro

Ed a noi, in questo momento che le armi hanno ripreso a tuonare nell’Europa Orientale per il possesso di alcune terre, la storia di quest’isola contesa, che decise di sparire per mettere fine a dispute territoriali, ci sembra una metafora della saggezza della natura rispetto alla stoltezza degli uomini”.
Mi piace molto citare il passo finale, riferito alla mitica Isola Ferdinandea, di grande eleganza e drammatica attualità (manca il riferimento alla guerra in Medio Oriente, che non era ancora scoppiata quando il libro vide la luce) di questo straordinario volume di Valerio Agnesi – professore emerito di Geografica Fisica e Geomorfologia all’Università di Palermo, accademico di grande spessore ed esperienza, a lungo direttore del Museo Gemmellaro – che definisco letteralmente così perché va ben al di dell’ordinario di questo tipo di pubblicazioni.
Mettendo insieme, con estrema e dettagliata puntualità, le conoscenze geologiche aggiornate sui luoghi e gli affascinatissimi miti, leggende, storie, tanti conosciuti e altrettanti no ad essi legati, Valerio Agnesi ci accompagna in un appassionante e interessantissimo Grand Tour nella nostra Terra siciliana meravigliosa e maledetta: dall’Etna, a muntagna Patrimonio dell’umanità al Monte Pellegrino che domina Palermo, la Montagna sacra di Rosalia Sinibaldi; dalla Terra rivoltata, le Maccalube di Aragona alla Sodoma di Sicilia San Vito Lo Capo, alla fantastica  Ferdinandea, L’isola che non c’è più. E ci racconta di  ciclopi, giganti ed elefanti, di Thea prima donna di Sicilia, dei coccodrilli del Papireto a Palermo e di tanto, tanto altro. Con una narrazione fluente ed avvincente, che talvolta ci fa restare a bocca aperta e ci fa tornare bambini e un uso impeccabile di citazioni e note, come solo un grande docente e uomo di scienza ma anche di grande cultura qual è Valerio Agnesi è in grado di fare.
Senza nulla più spoilerare, aggiungo che Miti e leggende della geologia in Sicilia, sottotitolo accattivante Delle cose memorabili nelle viscere della terra, compendio originale e unico di scienza, mito letteratura, storia, cultura come si dice oggi “interdisciplinare”, è un bellissimo libro scritto benissimo per gli addetti ai lavori, i tanti geologi di una terra ricca di luoghi e risorse eccezionali, ma anche per il lettore comune, curioso di conoscenza e affascinato da storie antiche e meravigliose. La presentazione di Franco Foresta Martin, grandissima firma del giornalismo di divulgazione scientifica, è un arricchimento quanto mai prezioso.
Sono davvero onorato che l’autore Valerio Agnesi, amico di vecchia data, mi abbia coinvolto non soltanto per farmi conoscere la nuova pubblicazione, ma anche in vista di una possibile presentazione etnea.
Con il titolo: particolare della copertina del libro, dall’edizione del 1668 di Mundus Subterraneus

L'articolo A Muntagna, Thea, Ferdinandea e tanto altro: dei miti e delle leggende del “mundus subterraneus” di Sicilia proviene da Il Vulcanico.

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