Storia Archivi - Il Vulcanico https://ilvulcanico.it/category/storia/ Il Blog di Gaetano Perricone Fri, 15 Mar 2024 05:44:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.2 “1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso”: da oggi a Palazzo Bufali una mostra documentale https://ilvulcanico.it/1693-da-fenicia-moncada-a-belpasso-da-oggi-a-palazzo-bufali-una-mostra-documentale/ Fri, 15 Mar 2024 05:44:48 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24800 FONTE: Fondazione Margherita Bufali- ETS  Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia […]

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FONTE: Fondazione Margherita Bufali- ETS 

Sarà inaugurata venerdì 15 marzo a Belpasso, alle ore 18, a Palazzo Bufali a Belpasso (via Roma 219) la mostra documentale 1693. Da Fenicia Moncada a Belpasso. Un’iniziativa di rilevante valore storico e culturale, a 331 anni dal terremoto che distrusse buona parte della Sicilia Orientale e l’abitato di Fenicia Moncada, che era stato costruito 24 anni prima a seguito dell’eruzione dell’Etna del 1669 che aveva distrutto Malpasso e la costruzione dell’attuale centro abitato di Belpasso.

Alla manifestazione hanno aderito: la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, l’INGV Catania, l’Università degli Studi di Catania, l’Archivio di Stato di Catania, l’Archivio di Stato di Palermo, il Comune di Belpasso, la Curia Arcivescovile di Catania. Con la loro collaborazione hanno permesso di accedere a preziosi documenti che hanno consentito di esaminare con esattezza le vicende e gli avvenimenti che caratterizzarono quegli anni. Buona parte della documentazione originale si trova presso gli archivi della  Fondazione Bufali. Il documento più antico è datato 1456.

LA FAMIGLIA BUFALI 

Lorenzo Bufali

La famiglia Bufali è fortemente legata alla storia di Belpasso, in quanto ne ha condiviso sempre i momenti storici più importanti. Impegnata nel settore della seta, arrivò con Don Antonio Bufali, dottore in medicina, che si trasferì dalla città di Catania  nel territorio dello scomparso paese di Malpasso attorno al 1640. Visse qui il difficile momento della terribile eruzione dell’Etna del 1669, che distrusse l’agglomerato principale del paese e tutti i suoi casali. Dopo l’eruzione i Bufali assieme ai Malpassoti e ad altri abitanti dei casali dell’Etna, approfittando delle dilazioni e benefici concessi ai “novi habitatori” si trasferirono nel nuovo centro costruito in località Grammena al quale fu dato il nome di Fenicia Moncada, in omaggio al Duca di Mont’Alto Luigi Guglielmo che aveva riunito, sposando Caterina Moncada de Castro i due rami della casata Moncada (di Sicilia e di Aragona di Spagna). Questo toponimo esprimeva l’esaltazione del proprio lignaggio come anche per quello di Stella Aragona. Il progetto del nuovo paese fu redatto dall’architetto degli “Stati” del Principe di Paternò Carlo Manosanta, capomastro della città di Palermo, uniformandosi alle regole progettuali tipiche delle città di nuova fondazione con un piano urbanistico quanto mai simmetrico e regolare, a maglia ortogonale ed con isolati di uguale dimensione.

L’11 gennaio 1693 il terremoto che distrusse Catania e la Sicilia orientale colpì anche il nuovo centro portando rovina e morte. Lorenzo Bufali, figlio di Antonio, fu nominato dal principe di PaternòSegreto”, per le terre di Fenicia Moncada, di Stella Aragona e di Nicolosi ed incaricato dal Principe di Campofiorito, governatore degli stati del Duca di Montalto e da Don Francesco Notarbartolo  governatore della città di Caltanissetta di provvedere come deputato e direttore ai lavori di ricostruzione di una nuova città erede di Malpasso e di Fenicia Moncada, che prese il nome beneaugurante di Belpasso. Per i suoi meriti gli fu assegnato il titolo di Barone di Santa Lucia. Il piano regolatore del nuovo centro fu redatto dal capomastro della città di Caltanissetta Michele Cazzetta, rifacendosi al concetto di “città ideale” già sviluppato nell’edificazione di Fenicia Moncada. Esso è visto come un modello di perfezione, ideato a “scacchiera” in cui le strade intersecandosi tra di loro danno vita ad una struttura urbanistica fatta di spazi ordinati, regolari secondo canoni di assoluta perfezione e criteri di funzionalità e razionalità.

Ma la famiglia Bufali non cessò la sua opera a sostegno della nuova comunità: ha sostenuto la nascita di due importanti Istituti di credito localeha contribuito allo sviluppo dell’economia locale, concedendo in affitto, a canoni non esosi, quote del proprio patrimonio agrario; ha devoluto nel 1902, con la Baronessa Margherita Bufali, l’ultima erede, l’intero patrimonio per la fondazione di un orfanotrofio che si sarebbe chiamato “Pio Orfanotrofio Bufali”, oggi “Fondazione Margherita BufaliEts.

A completare la Manifestazione, il maestro Barbaro Messina esporrà alcune due opere in pietra lavica ceramizzata prelevate dalla sua collezione del ciclo “Etna madre”. Anche il nostro blog sarà presente alla mostra con due pannelli, curati come sempre in modo minuzioso da Santo Scalia, che raccontano una preziosa ricerca sulle affascinanti epigrafi storiche che rappresentarono nella città di Catania il terremoto del 1693. (https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/)

Con il titolo e nella gallery, alcuni dei documenti della mostra e una serie di immagini di Palazzo Bufali a Belpasso (grazie per le informazioni e le foto a Luciano Signorello)

 

 

 

 

 

 

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Mompileri: storia, arte, religione a 355 anni dalla “grande ruina”. Il giorno del dolore e della speranza https://ilvulcanico.it/mompileri-storia-arte-religione-a-355-anni-dalla-grande-ruina-il-giorno-del-dolore-e-della-speranza/ Tue, 12 Mar 2024 05:52:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24753  di Santo Scalia  Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669,  Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata. Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano […]

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 di Santo Scalia 

Oggi, a 355 anni dall’eruzione dell’Etna del 1669Mompileri ricorda quel tragico 12 marzo, “il giorno del dolore e della speranza”, come indicato nella locandina che espone il programma delle  attività della giornata.

Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano e le popolazioni che, con fatica, lì vivevano.

Dopo l’eruzione del 1447 – che come riferisce Matteo Selvaggio fece poco danno – a dire del Canonico Francesco Ferrara, storico di Trecastagni, «l’Etna godette d’una lunga calma; i suoi fuochi restarono assopiti per quasi 90 anni».

Il Canonico riporta che «A’ 24 Marzo del 1536 verso il tramontar del Sole una nera nube al di dentro rosseggiante coprì il cratere»; successivamente colate di lava si riversarono in direzione di Randazzo, poi verso i paesi di Bronte e Adernò [così allora veniva denominato Adrano, n.d.A.] ed infine, il giorno 26, «[…] come dice una relazione manuscritta fatta a Mompiliere, si aprirono 12 voragini tra il Monte Manfrè, e Vituri [oggi Monte Vetore, n.d.A.] nella parte meridionale dell’Etna, dalle quali un gran fiume di lava vomitato si diresse verso il sud» [1].

Due episodi particolari vengono riferiti, sempre dal Ferrara: la distruzione della Chiesa di San Leone e la tragica morte del medico di Piazza Armerina, Francesco Negro. Ecco cosa scrive il Canonico: «La Chiesa di S. Leone che era nel bosco in quel giorno colle scosse fu interamente appianata, e poco dopo sopragiunta la lava, le sue rovine furono sepolte sotto un fiume di fuoco».

Ed ancora: «Francesco Negro Filosofo, e Medico della Città di Piazza, da Lentini erasi portato a veder da vicino l’eruzione; o colpito da un colpo di fumo, o dalle enormi pietre che erano state eruttate dalle voragini, a cui egli erasi forse molto avvicinato, perì miseramente».

Da Storia naturale e generale dell’Etna di Giuseppe Recupero, 1815

Un tempo, traccia di questa eruzione – come riportato da Giuseppe Recupero [2] – si trovava anche nella cisterna del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi; oggi quella tavola non è più visibile.

Se nel 1536 la minaccia lavica non fu grande per Mompileri, l’anno successivo, «[…] agli 11 del mese stesso [maggio, n.d.A.], alle Fontanelle sotto la Schiena dell’Asino, aprironsi molte voragine che vomitaron torrenti di lava maggiori dell’anno precedente. […] Lasciato illeso S. Nicolò l’Arena giunsero a Nicolosi, e Mompiliere». (F. Ferrara, op. cit.)

Stavolta la colata lavica raggiunse Mompileri e, come riporta ancora il Ferrara, «sulle mura della cui Chiesa maggiore fermossi un braccio del torrente infuocato il dì 19 maggio»; l’evento è sorprendente: gran parte dell’abitato venne risparmiato e il popolo gridò al miracolo; si decise di lasciare ben visibili le intrusioni di quella lava nella parete interna della chiesa.

Ma è nel marzo del 1669 che il vulcano segnerà definitivamente il destino dell’abitato di Mompileri, delle sue chiese e di tanti casali etnei (Guardia, Malpasso, San Giovanni di Galermo, Mascalucia, Camporotondo, San Pietro Clarenza, Misterbianco, Li Plachi). Lunedì 11 marzo 1669 «[…] s’aprì il Monte con gagliarde scosse, e cominciò da due bocche à vomitar fuori fiamme con tanta furia, e pioggia di pietre infocate in aria, che passavano l’altezza di cento canne» [3]. L’autore aggiunge un dato impressionante: «[…] trà lo spatio di poche hore mandò fuori tanta materia, che bruggiò, e ricoperse affatto trè Casali: La Guardia, Mompelieri, e Malpasso».

Alcuni paesani, sotto il rapido incalzare della colata, provarono a mettere in salvo le più preziose tra le opere d’arte vanto di Mompileri: portarono via dalla chiesa madre il gruppo marmoreo dell’’Annunziata (statue che, a detta di Tomaso Tedeschi, «eran stupore dell’arte; se pure da humane, e non d’Angeliche mani furono scolpite») ma, a causa del pochissimo tempo a loro disposizione, dovettero presto abbandonare le statue al loro destino. Anche la statua lignea di San Michele Arcangelo, che era custodita in una cappella lì vicino, fu portata fuori ma abbandonata davanti al fronte lavico che stava per raggiungerli. L’altra statua di marmo, quella della Madonna delle Grazie, rimase sull’altare della chiesa: non ci fu neppure il tempo per tentare di metterla in salvo!

Da Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669 di Carlo Mancino

Carlo Mancino, nella sua “Narrativa del fuoco uscito da Mongibello” [4], così ci descrive quelle opere: «[…] vi erano tre Statue di finissimo marmo, di grandezza del naturale. Una del Angelo Gabriele, l’altra di Nostra Signora Annunciata, e la terza della Regina delle gratie col bambino in braccio. Tutte, e tre di sì bella, ed esquisita manufattura, che prescindendo d’essere Statue Sacre, valutavano più di centomila scudi, per essere state le più belle statue di tutta Italia; che per ammirarle, havevano venuto li primi Scultori, e Pittori d’Europa, stimandoli d’ogni perfettione […]»

Il 12 marzo del 1669 l’antica Mompileri scomparve travolta dalla lava.

Affresco sulla parete esterna del primo Santuario di Mompileri (foto S. Scalia)

Come dovesse apparire il gruppo marmoreo dell’Annunciazione possiamo vederlo grazie ad un affresco posto sulla parete esterna del primo Santuario, edificato sulla colata lavica, proprio sopra alla chiesa distrutta, nei primi anni del ‘700.

L’Annunciazione di Mompileri, dipinto attribuito a Giacinto Platania (Chiesa di Massa Annunziata – Foto S. Scalia)

Un’altra riproduzione del gruppo marmoreo, attribuita al pittore acese Giacinto Platania, si può ammirare presso la Chiesa Maria SS. Annunziata, proprio nel paese di Massannunziata: l’Arcangelo Gabriele sta a sinistra, in atto di inginocchiarsi e porgere dei gigli (simbolo della castità e della purezza); Maria, a destra, sorpresa dalla novella, quasi si schermisce ed è raffigurata con una corona sul capo.

Nel 1678, ad Amsterdam, vedeva la luce la terza edizione della famosissima opera Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher (di lui abbiamo ampiamente trattato su questo blog, ilVulcanico.it). In questa nuova edizione, la prima dopo il catastrofico evento, Kircher dà una concisa descrizione degli eventi accaduti in Sicilia, e sottolinea anch’egli la bellezza e la fama delle statue perdute.

Ancora una descrizione delle mirabili statue la troviamo nella Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano [5], cronaca manoscritta del 1752: «Lo Foco caminò nella Terra di Mompileri, che arrivava a n.° 3 M[ila] Anime, […] et quello che più importa, ricchissima di Statue di Marmo. […] La merviglia di dette statue [era] che havendo venuti Spagnoli, Francisi et altri, non pottero mai copiari il vestito di detto Angelo, basta qui, direi, che foro la maraviglia di tutta Italia, et più […]».

Tutto era andato perduto, o così sembrava. Qualcosa invece si era salvato, e fu successivamente ritrovato. Per descrivere questi ritrovamenti, riporto alcuni passi tratti dal l’opuscolo Maria sull’Etna [6]: «Alcuni mesi dopo l’eruzione, alcuni uomini venuti a verificare cosa possa essersi salvato dalla furia della lava, ritrovano il simulacro [di San Michele Arcangelo, n.d.A.] in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi; gli stessi, secondo gli antichi racconti, si sarebbero riuniti dopo averlo oltrepassato. Il simulacro viene portato nel sito abitativo di Massa Annunziata».

Nel 1704 «Il 18 Agosto, sotto la spessa coltre lavica, avviene il sospirato ritrovamento della statua della Madonna delle Grazie. I cercatori arrivano, probabilmente trascinandosi carponi e, man mano rimuovendo detriti e frammenti della struttura della chiesa crollata sotto il grave peso della lava e possono contemplare per la prima volta la statua della Madonna dal suo lato sinistro».

Infine, nel 1955, scavando in una cava di ghiara [rena rossa, n.d.A] nelle vicinanze del Santuario si «ritrova la testa del simulacro della Madonna Annunziata. Nei giorni successivi viene ritrovata la testa del simulacro dell’Arcangelo Gabriele ed altri frammenti dello stesso gruppo marmoreo.».

E’ però il ritrovamento del 1704 ad aver assunto un’aura di miracolo.

La statua della Madonna delle Grazie, che la tradizione popolare vorrebbe fosse stata ritrovata intatta, ancora sull’altare, aveva invece subito gli insulti causati dall’eruzione e dalle difficilissime operazioni per riportarla in superficie: il marmo era stato deteriorato dal calore della lava ed era rotta in più pezzi (tutti però ritrovati). Fu abilmente ricomposta nel corso dell’Ottocento e dipinta con vernici colorate, anche per nascondere all’occhio ciò che le tragiche vicende subite avevano causato [7].

Nel settembre del 2021, a cura dell’associazione Mascalucia Doc A.C., un’associazione no profit – finanziata solamente con il supporto economico dato dai suoi soci e dalle attività commerciali che volontariamente la sostengono – è stata pubblicata la “fanzineMompileri, stupore dell’arte. Cos’è una fanzine? E’ un termine derivato dalla lingua inglese, una lingua molto diversa dalla nostra ma, per certi versi, più semplice e con una più accentuata capacità di sintesi: così, dai termini magazine – che per noi è “rivista” – e fan, diminutivo di fanatic – che in italiano sta per “appassionato” –  è nato il sostantivo fanzine, contrazione di fanatic magazine [8].

Nella lingua italiana tale neologismo, più precisamente “anglicismo”, è stato accolto al femminile: una “fanzine” è quindi una rivista realizzata da appassionati, che prestano la loro opera a titolo assolutamente gratuito, e lo fanno con l’entusiasmo di chi ha a cuore la diffusione della conoscenza, in questo caso la conoscenza del proprio territorio e della sua storia, e nel caso particolare del territorio che è stato definito delle tre emmeMompileri, Massannunziata e Mascalucia.

La prima fanzine associativa aperiodica, il numero 1, è stata interamente dedicata alla storia dello sfortunato casale di Mompileri, ricoperto dalle lave etnee nel 1669. Si tratta di una «fanzine composta da 50 pagine tutte a colori che ripercorre la storia, gli avvenimenti e tutte le verità inerenti il sito storico-religioso di Mompileri».

Dal 3 aprile del 2022 – dopo una coraggiosa e superba opera di restauro, l’opera (dagli esperti sempre più convintamente attribuita alla mano del Gagini) è stata restituita all’aspetto originale ed è possibile ammirarla… così come lo facevano i fedeli di più di 355 anni fa. “É come se l’avessimo ritrovata per la seconda volta” ha commentato Don Alfio Giovanni Privitera, rettore “pro-tempore”, come egli ama definire se stesso, che fortemente ha auspicato questo restauro. Rimosso lo strato di colorazioni ottocentesche, è riapparso il simulacro nella sua splendida semplicità di marmo arricchito da fregi dorati.

La statua lignea dopo il restauro (foto S. Scalia)

Ma l’opera di Don Alfio Privitera non si è arrestata con questo traguardo importante dal punto di vista storico, culturale, artistico e religioso: la statua lignea di San Michele Arcangelo, che, come già ricordato, al tempo dell’eruzione fu portata fuori dalla vicina cappella ma lasciata davanti al fronte lavico e che fu in seguito ritrovata intatta in mezzo ad un “dagalotto” formatosi per il suddividersi della colata in due flussi di lava, è stata oggetto di un accurato restauro, “un altro motivo di meraviglia!”, come affermato dal Rettore.

Il 15 luglio del 2023 l’opera lignea (realizzata nel 1654, solo 15 anni prima della catastrofica eruzione), è stata restituita alla comunità svelando particolari che col tempo si erano perduti (vedi fotogallery).

Il simulacro dell’Arcangelo, patrono di Massannunziata, è custodito la Chiesa di Maria SS. Annunziata della frazione di Mascalucia.

Un sentito e doveroso ringraziamento va al Rettore Don Alfio Giovanni Privitera per la sua disponibilità e squisita cortesia e all’Associazione Mascalucia DOC per il prezioso lavoro svolto per la conoscenza e la salvaguardia del territorio mascaluciese.

Riferimenti bibliografici:

  • [1] Francesco Ferrara, Storia generale dell’Etna – 1793
  • [2] Giuseppe Recupero, Storia naturale e generale dell’Etna – 1815
  • [3] Bonaventura la Rocca – Relatione del nuovo incendio fatto da Mongibello – 1670
  • [4] Carlo Mancino, Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo

 del 1669

  • [5] Cronaca del Canonico Pasquale Calcerano, cronaca manoscritta del 1752 e

pubblicata nel 1929 dal Canonico Vincenzo Raciti Romeo «per accrescere il patrimonio della storia di Acireale»

  • [6] Maria sull’Etna (opuscolo del 2019 curato dal Santuario Madonna della Sciara in

occasione del 350° della conservazione del simulacro della Madonna sotto la lava)

  • [7] Il restauro del simulacro marmoreo cinquecentesco della Madonna della Sciara

(pubblicato a cura del Santuario Madonna della Sciara nell’aprile del 2022)

  • [8] Mompileri, stupore dell’arte (fanzine pubblicata nel 2021 a cura dell’Associazione

Mascalucia DOC)

  • [9] Il restauro del simulacro di San Michele Arcangelo (opuscolo del 2023 curato dal

Santuario Madonna della Sciara in occasione della celebrazione inaugurale del 13 Luglio 2023)

Con il titolo: A prospect of Mount Ætna with its eruption in 1669  (Mary Evans Picture Library), un prospetto del Monte Etna con la sua eruzione del 1669

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La notte di Cutro e i migranti nelle strutture d'”accoglienza”: mostra fotografica da stasera a Catania https://ilvulcanico.it/la-notte-di-cutro-e-i-lager-dellaccoglienza-dei-migranti-mostra-fotografica-da-stasera-a-catania/ Sun, 25 Feb 2024 05:51:49 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24707 FONTE: Onirica-Spazio Creativo Oggi pomeriggio, domenica 25 Febbraio, alle ore 18,30, a Onirica Spazio Creativo – Catania in via Ingegnere 34, angolo via Etnea, alle ore 18,30, inizierà una settimana di mostre e incontri sul tema delle migrazioni, per cercare di dare un senso alla morte di tanti esseri umani. Nella notte tra il 25 […]

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FONTE: Onirica-Spazio Creativo

Oggi pomeriggio, domenica 25 Febbraio, alle ore 18,30, a Onirica Spazio Creativo – Catania in via Ingegnere 34, angolo via Etnea, alle ore 18,30, inizierà una settimana di mostre e incontri sul tema delle migrazioni, per cercare di dare un senso alla morte di tanti esseri umani.

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, un anno fa, nelle acque di fronte alla frazione di Steccato di Cutro (CZ) un barcone si disintegrò su una secca a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Novantotto persone, donne, bambini, uomini, morirono guardando le luci dell’Italia. In quei giorni Domenico Fabiano si trovava sul posto ed ha potuto raccontarci, con i suoi video e le sue fotografie, ciò che rimase di quell’evento tragico. A completare la mostra “La notte di Cutro”, che chiuderà domenica 3 marzo, le foto di Giuseppe D’Amico, per alcuni anni legale in una struttura di accoglienza, che raccontano la condizione sospesa di chi è sopravvissuto al viaggio in mare.

Ringraziamo Giuseppe D’Amico e Domenico Fabiano che ci dà l’opportunità di presentare questa mostra, sicuramente da visitare, di grande significato e valore in questa ricorrenza fra le più tragiche nella storia delle migrazioni: le foto che pubblichiamo nella gallery non sono riprese interamente per non rivelare in anticipo i lavori esposti dai due fotografi.

 

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11 gennaio 1693: il grande e terribile terremoto nelle epigrafi di Catania https://ilvulcanico.it/11-gennaio-1693-il-grande-e-terribile-terremoto-nelle-epigrafi-di-catania/ Thu, 11 Jan 2024 05:48:09 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24554  di Santo Scalia  In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com). Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non […]

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 di Santo Scalia 

In tutta l’isola di Sicilia, ma soprattutto nella parte orientale, nell’area che corrisponde al Val di Noto e al Val Demone, l’anno 1693 è tristemente ricordato per “il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale” (ingvterremoti.com).

Il sisma avvenne in due riprese, e fu avvertito non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, a Malta e persino in Tunisia. Il primo forte evento si verificò di sera, il 9 gennaio 1693, attorno alle ore 21:00 GMT (il tempo medio di Greenwich); il secondo avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT, ed ebbe effetti veramente catastrofici.

Catania, la più grande e popolata città presente nell’area di massima distruzione, fu “atterrata” e pagò il più alto tributo di vite umane: circa 12.000 vittime (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora). In totale, furono registrati circa 54.000 morti, di cui 5.045 (il 51%) a Ragusa; 1.840 (pari al 30%) ad Augusta; 3.000 (il 25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica (*).

Il devastante avvenimento fu così terribile che i catanesi, nel corso dell’opera di ricostruzione della loro città e negli anni seguenti, hanno voluto inciderne il ricordo nel marmo, a perenne memoria di quanto accaduto in quel tragico anno.

L’epigrafe più nota ai catanesi, probabilmente, è quella posta in Via Antonino di Sangiuliano: lì una targa marmorea, posta sulla parete dell’edificio, tra i numeri civici 235 e 237, a pochissimi metri d’altezza, “ricorda i terremoti del 9 e 11 gennaio 1693 e i loro devastanti effetti, ammonendo i catanesi a fuggire nelle campagne in caso di scosse, ma anche a vigilare sulla città esposta a saccheggi e ruberie” (*).

Meno conosciuta, anche se esposta agli occhi di tutti coloro che ammirano la Cattedrale catanese, è la lapide situata nel Giardino della basilica (sul prospetto dell’aula capitolare): A Dio Uno e Trino / Il giorno 9 gennaio del 1693 un forte terremoto scosse Catania tutta, il giorno 11 dello stesso mese la distrusse, tolse la vita a 16.000 cittadini, fugò i rimasti incolumi, attrasse i forestieri a rubare. Queste cose ci ammoniscono di scegliere al primo terremoto un rifugio nei campi e di custodire la Città. Nell’anno della salute 1725″.  [traduzione dal sito internet mimmorapisarda.it]

Sempre nella Cattedrale, ma al suo interno, si trovano altre due epigrafi che riguardano il sisma: una posta nel monumento funebre di Francesco Antonio Carafa (vescovo di Catania dal 1687 al 1692), l’altra in quello del suo successore Andrea Riggio (vescovo di Catania dal 1693 al 1717).

Di queste, la prima si trova nel transetto sinistro: Don Francesco Carafa, già Arcivescovo di Lanciano poi Vescovo di Catania, vigilantissimo, pio, sapiente, umilissimo, padre dei poveri, pastore così amante delle sue pecorelle, che poté allontanare da Catania due sventure da parte dell’Etna, prima del terremoto [del 1693]. Dopo di che morì. Giace in questo luogo. Fosse vissuto ancora, così non sarebbe caduta Catania”. (Anno Domini 1695)” .

La seconda è invece nella cosiddetta Cappella di Sant’Agata, nell’abside destra. L’epigrafe è posta alla base del mausoleo e tramanda la memoria della ricostruzione della chiesa distrutta dal terremoto: L’illustrissimo e reverendissimo signor don Andrea Riggio, vescovo di Catania, nell’anno della salvezza 1693 in cui tutta la città fu scossa dalle fondamenta da un esiziale terremoto, consigliato dalla divina Provvidenza, dedicatosi, come per la lapide, al generale restauro dei sacri edifici, affinché fosse di ornamento all’angolo di questa cappella e per il culto eterno di sant’Agata, eresse per sé questa mole sepolcrale. Nell’anno 1705”  

A poca distanza dalla Cattedrale si trova un’altra delle chiese principali della città, la Basilica Collegiata di Maria Santissima dell’Elemosina, meglio conosciuta come Basilica della Collegiata. Qui si trovano altre due epigrafi in tema, uno sulla facciata, l’altro all’interno, posto sul primo pilastro a sinistra: “Il ciantro [= primicerio] don Giovanni Francesco Lullo conferì decoro alla cappella regia degli Aragonesi, distrutta dal terremoto, ripristinata dall’operosità del capitolo, avendo adornato soprattutto l’interno e reso decoroso l’esterno. Anno 1768 dal parto della Vergine [= dalla nascita di Cristo]”.

“Qui dove aveva prescelto, / fu sepolto / don Giuseppe Mazza Tedeschi / patrizio catanese / che / questo tempio abbattuto dal terremoto / per restituire all’integrità / con abbondanza di denaro / offrì la sua opera. – Morì nell’anno del Signore 1744”.

Un’altra epigrafe, meno nota rispetto alle altre, a causa della posizione nella quale è apposta, si trova poco più in là, in via dei Crociferi, nel cosiddetto Arco delle Monache (sul lato rivolto a nord): “A Dio Ottimo Massimo. La pietà delle monache vinse la ferocia del terremoto e quelle cose che l’11 gennaio 1693 vennero distrutte dalla enormità di quello, ora sono state ricostruite dall’ardore delle vergini: questo ingente arco segna la vittoria che, sotto il vessillo di don Andrea Riggio Saladino vescovo di Catania, una così grande guida della Chiesa, e della sorella Maria Stella Motta abadessa, le militanti spose di Cristo riportarono, con questo grande edificio, contro le offese del tempo e della terra. 1704”

Sin qui le epigrafi poste all’esterno di edifici o all’interno di chiese. Altre testimonianze si trovano all’interno di strutture private, alcune accessibili, altre invece no.

Nella centralissima via Etnea di Catania si trova il Palazzo San Demetrio, ai 4 Canti, nella cui Corte una lapide ricorda la ricostruzione dell’edificio, ad appena un anno dal terremoto: “A Dio Ottimo Massimo. Nell’anno primo dai terremoti siciliani, dal territorio ormai restaurato nel 1694, primo fra tutti don Eusebio Massa, barone della terra di san Gregorio e ricevitore della valle dei boschi, costruì i recenti edifici che vedete in questo quadripartito teatro di vie, primizie della rinascente Catania. Ospite, da qui trai buon auspicio e parti sano e salvo. “

In via Antonio di Sangiuliano, all’interno di un palazzo dove oggi ha la sua sede il Centro di Assistenza Fiscale di una associazione di categoria, è apposta l’epigrafe che riporta gli utili consigli che il protomedico Nicolò Tezzano, professore di medicina, aristocratico e filantropo, suggeriva ai cittadini catanesi: “A Dio Uno e Trino.  Nell’anno del Signore 1693, nei giorni 9 e 11 di Gennaio, un ingente terremoto sconvolse Catania e poi apportò funesta morte a diciottomila persone. Perciò, o cittadino, temi Dio e quando la terra si scuote, fuggì verso un luogo aperto o fermati sotto gli architravi. Ciò il protomedico Don Nicolò Tezzano scriveva”.

Delle due epigrafi alle quali non ho potuto accedere, una si troverebbe “sulla porta s’ingresso di palazzo Biscari (piazza San Placido)”; il testo sulla lapide riporterebbe le seguenti parole (vedi riferimenti bibliografici, n. 7):

Si nescis lege, luge, memor esto / IX ianuarii MDCXCIII terraemotus ingens Cata/nam cuncussit totam XI / eiusdem destruxit sexdec(em) / civium millia occidit, vivos fugavit, exteros excitavit / ad furta: haec moneat in primo / quod absit, motu terrae cam/pos omnes habitent, Urbem / custodiant. / MDCXCVI. La cui traduzione suona così: “Se non sai leggi, piangi, sii memore. Il 9 gennaio 1693 un ingente terremoto scosse tutta Catania. L’11 dello stesso mese la distrusse e uccise sedicimila cittadini, mise in fuga i sopravvissuti, indusse gli stranieri ai furti. In primo luogo ciò sia di monito a quel che manca: dopo un terremoto tutti abitino le campagne e custodiscano la città. 1696”.

Analogamente, in via Vittorio Emanuele, lì dove un tempo si trovava l’Albergo Savona, all’interno del cortile, dovrebbe trovarsi la seguente epigrafe (7):

IX Ianuarii 1693. Ingenti terremotu Catana excussa est: XI eiusdem hora minus XXI rursus vehementer agressa tota ruit ac sexdecim civium millia aedificiis obruti interiere. Haec monitura post epost bula affixa est ut primis motus terrae ictus fatum ne denuo subeant. Año Dñi 1693. “9 gennaio 1693, Catania è stata scossa da un ingente terremoto. L’11 dello stesso mese alle 21 circa, di nuovo aggredita fortemente, rovinò tutta e morirono sedicimila cittadini sepolti dagli edifici. Questa targa è stata affissa come futuro monito dopo l’evento affinché, come fu per i primi, altri non subiscano di nuovo il destino dell’urto del terremoto. Anno Domini 1693”.

L’evento rimase impresso anche nella mente degli abitanti della città di Acireale dove, su una popolazione di circa dodicimila anime, si contarono oltre settecento vittime. Diventarono così famosi i seguenti versi:

L’espressione “a vintin’ura” non deve trarre in inganno: non si tratta infatti delle “ore ventuno”, come erroneamente si potrebbe intendere, bensì, come già indicato, delle ore 13:30 circa: nel secolo XVII era in uso la cosiddetta “ora all’italiana”, un modo differente di misurare il tempo rispetto a quello cui siamo adesso abituati.

Anche in questa città si trovano testimonianze del tragico avvenimento: nella Basilica San Sebastiano, all’interno di un medaglione di calcare, sospeso al pilastro destro del prospetto, si trovano incise le parole: “A Dio Ottimo Massimo. Questo tempio, crollato nel 1693 per un terribile terremoto, risorge più decorosamente nel 1699, testimonianza ai secoli eterni”.

Sempre ad Acireale, non su una epigrafe, ma incise su una lamina d’oro custodita nel Tesoro di Santa Venera, nella Cattedrale, si trovano le seguenti parole (6): “DIVÆ VENERÆ, PATRONÆ, / OB SERVATAM VITAM / IN ORRIBILI TERREMOTV, IN AN: 1693 / HOC AMORIS SIGNVM / ACENSIS POPVLVS / D. D. D.”.

Infine, e anche in questo caso non si tratta di epigrafe, ma di dipinto, a Mascalucia, nella Chiesa della Madonna Bambina (2): In sudore vultus mei, ab ingenti terremotu, hanc patriam liberavi, anno 1693 cioè: “Nel sudore della mia fronte ho liberato questa patria dall’ingente terremoto dell’anno 1693”.

Prima di chiudere questa rassegna di testimonianze sul terremoto del 1693, voglio esprimere il mio ringraziamento alla Dott.sa Rina Stracuzzi per le trascrizioni, alla Prof.sa Maria Grazia Spadaro Cucinotta per le traduzioni e all’amico Antonino Cupitò per la disponibilità e l’impegno dimostrato. Lungi dall’essere esaustiva, questa rassegna vuole essere un punto di partenza per lo studio delle testimonianze epigrafiche relative al terremoto del Seicentonovantatrè. Spero che tra i lettori qualcuno sia a conoscenza di altri riferimenti, e che voglia condividerli. Le immagini allegate a questo articolo, ove non indicato espressamente, sono dell’Autore.

Bibliografia

  • VV. – La Sicilia dei terremoti – 1997
  • VV. – Mompileri, stupore dell’arte – a cura dell’Associazione Mascalucia-Doc – 2021
  • Anonimo siracusano – Il gran terremoto del 1693 a Siracusa – 1993
  • Boschi E., Guidoboni E. – Catania Terremoti e lave – dal mondo antico alla fine del Novecento – 2001
  • Burgos Alessandro – Distinta relatione dello spaventoso eccidio… – 1693
  • Di Natale M.C., Vitella M. – Il tesoro di Santa Venera ad Acireale – 2017
  • Nicolosi Salvatore – Apocalisse in Sicilia, il terremoto del 1693 – 1982
  • Nicosia Ivan – La Catania destrutta – 2018
  • Trigilia Lucia – 1693 Iliade funesta – la ricostruzione delle città del Val di Noto – 1994

 

Sitografia

(*) Ingv – Il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693 nella Sicilia orientale

Ingv – Catalogo dei forti terremoti in Italia 461 a.C. – 1997

Con il titolo: particolare da un’antica stampa tedesca (Fonte Ingv)

L'articolo 11 gennaio 1693: il grande e terribile terremoto nelle epigrafi di Catania proviene da Il Vulcanico.

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28 dicembre 1908, quell’alba di dolore sullo Stretto. Per non dimenticare e per riflettere sul futuro https://ilvulcanico.it/28-dicembre-1908-quellalba-di-dolore-sullo-stretto-per-non-dimenticare-e-per-riflettere-sul-futuro/ Thu, 28 Dec 2023 10:08:39 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24546 FONTE: ingvterremoti.com Alle 05:20 della mattina del 28 dicembre 1908, si verificò uno dei più forti terremoti del Mediterraneo: il sisma ebbe epicentro in mare e generò il maremoto più rovinoso di cui si ha memoria in Italia con effetti devastanti sulle coste della Sicilia orientale e il sud della Calabria. Il “Giornale di Sicilia” del 29 dicembre 1908 scrisse: […]

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FONTE: ingvterremoti.com

Alle 05:20 della mattina del 28 dicembre 1908, si verificò uno dei più forti terremoti del Mediterraneo: il sisma ebbe epicentro in mare e generò il maremoto più rovinoso di cui si ha memoria in Italia con effetti devastanti sulle coste della Sicilia orientale e il sud della Calabria. Il “Giornale di Sicilia” del 29 dicembre 1908 scrisse:

Messina distrutta da un violento terremoto, un terribile maremoto allaga la città sommergendola. 

Fu la più grave catastrofe che il giovane Stato italiano si trovò ad affrontare per l’altissimo numero di morti e le distruzioni subite da centinaia di centri abitati. Furono distrutte due città importanti come Reggio Calabria e Messina, che era il capoluogo economico e geografico dello Stretto e il cui porto era d’importanza strategica e commerciale nel Mediterraneo.

Nel giorno dell’anniversario, il team di INGVterremoti pubblica la story maps “28 dicembre 1908: l’alba di dolore sullo Stretto” per raccontare alcuni dei numerosi aspetti di questo tragico evento avvenuto all’inizio del secolo scorso.

La story maps è organizzata in 6 capitoli con contributi provenienti da diversi studi sismologici, mappe storiche, immagini e video d’epoca, simulazioni e mappe interattive:

  • Il terremoto
  • Il maremoto 
  • L’impatto sul territorio
  • Le località colpite
  • Dopo il disastro
  • Poeti e scrittori

Nel primo capitolo vengono descritte le caratteristiche principali del grande terremoto che avvenne all’alba del 28 dicembre con un valore di magnitudo stimato pari a 7.1 secondo i dati risultanti dalle analisi delle registrazioni strumentali e delle stime macrosismiche. Il terremoto non arrivò del tutto inaspettato, poiché si verificò immediatamente a SO della regione colpita dall’importante sequenza sismica del 1783, in un settore che sismologicamente risulta tra i più attivi dell’intera penisola italiana.

Sismogramma del terremoto del 28 dicembre 1908 registrato presso l’Osservatorio Astronomico di Göttingen (Germania).

ll sisma ebbe epicentro in mare e generò il maremoto più rovinoso di cui si ha memoria in Italia con effetti devastanti sulle coste della Sicilia orientale e il sud della Calabria, descritto nel secondo capitolo della story maps. Le prime onde di maremoto si abbatterono sulle coste che affacciano sullo Stretto e raggiunsero la Sicilia orientale dopo circa 5-10 minuti dalla scossa principale, come è ben documentato nel video che simula la propagazione dello tsunami presente nella story maps.

Di seguito gli articoli di approfondimento pubblicati su INGVterremoti sul terremoto e maremoto del 28 dicembre 1908:

Nei due capitoli seguenti vengono rappresentati gli effetti sul territorio e sull’ambiente del terremoto e del successivo maremoto.

All’inizio del capitolo “L’impatto sul territorio” è presente una mappa interattiva delle intensità macrosismiche (in gradi MCS) che mostra i danni più gravi (equivalenti a effetti di XI e X grado della scala MCS) e la grande estensione dell’area di danneggiamento, circa 600 km2. Infatti la scossa fu percepita dalle persone in un’area vastissima: nel Messinese l’area delle distruzioni pressoché totali fu ristretta al territorio del comune di Messina, in Calabria il terremoto ebbe effetti distruttivi in un’area molto più estesa di quella siciliana, comprendente tutto il versante occidentale del massiccio dell’Aspromonte.

Tante sono le testimonianze fotografiche che ci sono pervenute e che mostrano i terribili effetti del terremoto e del maremoto nelle due città dello Stretto e di altre località . Nel capitolo “Le località colpite” è stata realizzata una  mappa interattiva qui sotto alcune fotografie opportunamente geolocalizzate mostrano alcuni dei danni a Messina, Reggio Calabria e in altri comuni calabresi.

In alcuni casi è stato possibile recuperare alcune fotografie per confrontare un edificio, un monumento, una strada “prima” e “dopo” il terremoto, in particolare per la città di Messina.

La story maps nel capitolo successivo “Dopo il disastro” racconta alcune storie di cosa avvenne subito dopo il  terremoto-maremoto, a partire dal lungo tragico silenzio che isolò per molte ore Messina e Reggio Calabria dal resto d’Italia. Grazie ai contributi estratti da “Cento Anni, Speciale Terremoto Messina” pubblicato dalla Gazzetta del Sud il 28 dicembre 2008 e da alcuni parti del video “I primi soccorsi” di Salvatore De Maria (Gazzetta del Sud online) è stato possibile documentare nella story maps le prime ore successive al tragico evento.

Il governo seppe con notevole ritardo quanto accaduto nell’area dello Stretto: Il primo messaggio fu spedito dal comandante della nave torpediniera “Spica” alle 14:50 del 28 dicembre, da Marina di Nicotera, in Calabria, la prima stazione telegrafica funzionante. Nel capitolo sono raccontati i primi soccorsi arrivati via mare da Catania e in particolare l’arrivo il 30 dicembre del Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena che durante quei terribili giorni divenne “l’Angelo della Carità”, prodigandosi instancabilmente per assistere i feriti agonizzanti.

Alle operazioni di soccorso parteciparono numerose navi mercantili e navi da guerra della Gran Bretagna, della Francia, della Danimarca, della Germania, della Grecia, della Spagna, della Russia e degli Stati Uniti. L’intervento che più di ogni altro accese uno storico legame con la popolazione messinese fu quello di tre unità della squadra navale russa che offrirono l’aiuto dei loro equipaggi alla popolazione terremotata: proprio su questo intervento si concentra la parte finale di questo capitolo.

La story maps si conclude con la testimonianza di alcuni dei numerosissimi contributi  di “Poeti e scrittori” che scrissero pagine accorate sul terremoto del 28 dicembre 1908 pubblicati sia in Italia che all’estero. Gli scritti coinvolgono ogni genere letterario, dal giornalismo d’autore alla narrativa, dalla breve testimonianza alla lirica, dalla memorialistica alla rievocazione, fino alla drammaturgia.

La story maps è disponibile nella sezione dedicata di INGVterremoti e al seguente link:  “28 dicembre 1908, l’alba di dolore sullo Stretto”  (https://arcg.is/0TmLyb0)

A cura di Maurizio Pignone (INGV-Osservatorio Nazionale Terremoti)

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Noi, allievi del grande Franco Salvo. Che c’insegnò a pensare, a dialogare, a coltivare la memoria. E a non guardare nessuno dall’alto in basso https://ilvulcanico.it/noi-allievi-del-grande-franco-salvo-che-cinsegno-a-pensare-a-dialogare-a-coltivare-la-memoria-e-a-non-guardare-nessuno-dallalto-in-basso/ Thu, 21 Dec 2023 08:10:49 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24510 (Gaetano Perricone). “Era bello Franco Salvo, col vestito della festa, che veniva ogni mattina, a parlarci della Cina. E dei suoi blue jeans croccanti, quando fu sottotenente, dell’esercito dei fanti, in Oriente e in Occidente. Ogni volta che parlava, delle sue peripezie, della madre e della zia, già la testa ci fumava …”. In queste […]

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(Gaetano Perricone). “Era bello Franco Salvo, col vestito della festa, che veniva ogni mattina, a parlarci della Cina. E dei suoi blue jeans croccanti, quando fu sottotenente, dell’esercito dei fanti, in Oriente e in Occidente. Ogni volta che parlava, delle sue peripezie, della madre e della zia, già la testa ci fumava …”. In queste simpatiche strofe in rima baciata della canzone che, noi alunni della III C del Liceo Classico Umberto I di Palermo, scrivemmo e cantammo in occasione della cena una sera di luglio del 1974 per festeggiare la nostra maturità scolastica, sta tutto il grande affetto, la stima, la riconoscenza, come ben sottolinea il mio amico della vita Franco Palazzo nell’ottimo articolo che segue, che sentivamo per il professore Franco Salvo, grandissimo docente di Storia e Filosofia di quel liceo, una vera leggenda per i palermitani della mia generazione.

I tre volumi del manuale di storia Salvo-Rotolo

Io quelle strofe le canticchio ogni tanto ancora oggi, con tanto affetto e nostalgia, ricordando spesso quanto il professore Salvo sia stato importante, fondamentale non soltanto per la mia formazione culturale e per la mia crescita da adolescente in un periodo di enormi cambiamenti, ma anche per la mia vita. Prendendoci per mano all’inizio degli anni d’oro del liceo, accompagnandoci e illuminandoci con le sue ammalianti spiegazioni condite da aneddoti sempre deliziosi e arguti, alla scoperta del  fascinosissimo mondo della filosofia e in una meravigliosa cavalcata nella storia – indimenticabile il suo manuale cult in tre volumi “La città dell’uomo”, scritto insieme all’altro gran professore Filippo Rotolo – , Franco Salvo c’insegnò, anzi direi inculcò dentro la nostra anima,  quattro cose di straordinario valore e preziosissime per il nostro futuro: cercare sempre di pensare e ragionare con la nostra testa; dialogare sempre, comunque cercare di farlo, con tutti, anche quando sembra impossibile; amare la storia (ancora oggi la amo moltissimo, è mia passione prioritaria) e coltivare profondamente la memoria, con la consapevolezza di scuola “braudeliana” che non è possibile comprendere il presente senza conoscere il passato. E poi la quarta, a mio avviso la più importante,  assai radicata dentro di me: non guardare mai nessuno dall’alto in basso, porgere sempre la mano a chi è in difficoltà, considerare priorità l’idea dell’uguaglianza tra gli  esseri umani e il valore della solidarietà. 

Ecco, se fossi stato venerdì 15 dicembre nell’aula magna del mio amatissimo liceo avrei ricordato così il mio grande professore di storia e filosofia, del quale vado molto orgoglioso. Purtroppo, non vivendo più da 25 anni a Palermo, non mi è stato possibile essere presente, ma dentro di me gli insegnamenti di Franco Salvo sono ancora vivi e incisivi e mi hanno tanto aiutato anche nel mestiere di giornalista che cerco dignitosamente di fare da 45 anni. E dunque gli devo un GRAZIE a caratteri cubitali, con il cuore pieno di nostalgia ed emozione, che mi piace molto resti per sempre qui tra le pagine del mio blog.

—–

di Francesco Palazzo

Il 28 dicembre 1983, a soli 67 anni di età, moriva a Palermo il prof. Francesco Paolo Salvo, più noto a tutti come Franco Salvo.

In occasione del quarantennale della morte, alcuni alunni ed ex alunni, giovani del Liceo Umberto I di Palermo, la scuola dove il prof. Salvo insegnò dal 1945 al 1981, hanno avvertito la necessità di rendergli omaggio e di ringraziarlo, sebbene non siano stati suoi diretti discenti, delle pagine memorabili da lui lasciate, tratte soprattutto dal libro di cosiddetta educazione civica, Dalla Magna Charta alla Costituzione Italiana, edito per la prima volta nel 1959, un manuale pensato per introdurre i giovani lettori allo studio – appunto – della Costituzione Italiana e che ha rappresentato una assoluta novità nel panorama della manualistica scolastica di quegli anni.

Dopo la bella introduzione ai “lavori” di Rolando, uno studente Erasmus da poco “maturatosi” all’Umberto, la prof.ssa Livia Romano ha fatto un excursus sulla formazione scientifica del prof. Salvo e sulle vicende della sua vita, corredato da un interessante supporto fotografico. Abbiamo così scoperto e/o rinfrescato la memoria, che il Nostro era stato prima allievo e poi assistente universitario del grande filosofo e pedagogista Vito Fazio-Allmayer, il quale, a sua volta, dal 1914 al 1918 aveva insegnato presso il liceo Umberto I; che durante la II Guerra Mondiale fu fatto prigioniero dagli inglesi e che fu deportato in Africa settentrionale e che in quella triste situazione di prigioniero di guerra, per continuare a considerarsi un essere vivente, organizzò una scuola con tanto di segretario e di bidello, di cui lui era il rettore, e tenne una serie di simposi filosofici ai suoi commilitoni prigionieri, tra cui il prof. Caracciolo, che poi fu anche preside dell’Umberto dal 1969 (fino al 1968 era stato preside il prof. Renato Composto, che in occasione dei moti studenteschi aveva ingiustamente acquisito fama di reazionario) al 1976.

Abbiamo anche conosciuto alcune delle lettere che il professore scrisse durante la prigionia alla carissima moglie Gemma Barcellona, una insigne storica dell’arte, lettere che sono state messe a disposizione dal prof. Beppe Cipolla, prima allievo di Franco Salvo e poi genero, avendo sposato la figlia Giusi. Attraverso la lettura di queste lettere, scopriamo un animo profondo e gentile, sensibile osservatore delle cose del mondo, a tal punto da individuare convintamente nell’amore il vero motore dell’universo. Insospettabile, soprattutto per un pensatore che si diceva marxista. Però noi ricordiamo bene quanto rispetto dimostrasse nei confronti dei suoi interlocutori, dal preside al bidello all’alunno, sia bravo che scecco.

Sono intervenuti altri ex alunni del professore, tra cui anche Maurizio Cancila, ora affermato architetto, che non ha mancato di ricordare i tempi del liceo ed i meriti di Franco Salvo come formatore ed istruttore.

Certamente, anche se non abbiamo esternato i nostri ricordi e la nostra nostalgia, abbiamo ricordato le frasi che lui amava ripetere, da: “Io, Franco Salvo” a “In interiore homine habitat veritas” a “la filosofia è quella scienza con la quale e senza la quale si rimane tale e quale” a “o tempora o mores, che non significa era il tempo delle more” a “sursum corda, che non significa acqua alle corde”. E tanti racconti, tanti aneddoti. Da quando ci raccontava delle sue esperienze in prigionia (la lavata dei blue jeans, che a causa della penuria d’acqua poco venivano risciacquati e quindi, una volta asciutti, stavano in piedi da soli) ai suoi esami di licenza liceale (ai suoi tempi si chiamavano così, non di maturità) allorquando si presentò privo del documento di riconoscimento e pertanto, per essere ammesso, dichiarò e certificò da se stesso la sua identità con le parole: “io sono io in quanto so di essere io”.

Ricordi e ricordi ma soprattutto tanta, tanta riconoscenza.

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Etna. Mascali. 1928. Quei terribili giorni dal 2 al 7 novembre: un racconto per immagini https://ilvulcanico.it/etna-mascali-1928-quei-terribili-giorni-dal-2-al-7-novembre-un-racconto-per-immagini/ Thu, 02 Nov 2023 05:33:02 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=24144 di Santo Scalia Voglio cominciare questo contributo alla rievocazione dell’eruzione dell’Etna del 1928 con le parole che si usavano una volta nell’iniziare il racconto di una favola: “C’era una volta… Mascali”.  «Perché “c’era una volta”?… Mascali c’è tutt’ora!» direte voi, ed avete ragione, anche se non del tutto. Sì, perché non tutti – soprattutto i […]

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di Santo Scalia

Voglio cominciare questo contributo alla rievocazione dell’eruzione dell’Etna del 1928 con le parole che si usavano una volta nell’iniziare il racconto di una favola: “C’era una volta… Mascali”.  «Perché “c’era una volta”?… Mascali c’è tutt’ora!» direte voi, ed avete ragione, anche se non del tutto.

Il luogo dove era il cimitero (Collezione S. Scalia)

Sì, perché non tutti – soprattutto i più giovani, quelli della gen Z, come si usa dire ora – sanno che prima della Mascali attuale c’è stata un’altra città, che aveva lo stesso nome e che si trovava poco più in là. E di quella città oggi non c’è (quasi) più traccia. In effetti, rimangono una chiesa ed alcune piccole case che le stanno accanto, e che costituiscono il quartiere denominato Sant’Antonino. Il resto della città, camposanto compreso, sta ora sotto decine di metri di nera sciara.

Voglio raccontare i terribili giorni che vanno dal 2 al 7 novembre del 1928, i giorni dell’eruzione di novantacinque anni fa, più con le immagini che con le parole. Queste ultime, comunque, sono indispensabili, per illustrare ciò che le immagini rappresentano. Tutte le immagini (salvo ove indicato) provengono dalla mia collezione personale di ephemera, e sono, nella gran parte dei casi, delle cartoline postali.

Anche le cartoline postali, ormai, per la maggioranza dei più giovani sono oggetti sconosciuti, rese obsolete dalle odierne tecnologie e dai nuovi media di comunicazione; la fotogallery a corredo di questo scritto riporta le più significative.

Cominciò tutto il 2 novembre (il giorno dei morti”), alle ore 16,30: «L’eruzione iniziò […] con un’esplosione dal Cratere di Nord-Est, nell’area sommitale. Una nuvola carica di cenere si innalzò per più di 1000 metri. Questa fu seguita da frequenti esplosioni, all’incirca una al minuto, per un’ora, fino alle 6 pomeridiane. Una frattura si aprì a 2600 metri, nella Valle del Leone, con una lunghezza di 150 metri. Una piccola colata, di breve durata, lunga all’circa 500 metri e larga 200, fuoriuscì da questa spaccatura […]» (traduzione dell’A. dalla pubblicazione The 1928 Eruption of Mount Etna Volcano, Sicily, and the Destruction of the Town of Mascali di Duncan, Dibben, Chester e Guest).

Foto dal Fondo Fotografico “Gaetano Ponte” dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Osservatorio Etneo

E proprio quel momento, alle 16,30 del 2 novembre, fu immortalato in una istantanea scattata nella piazza principale del paese di Nicolosi: mentre un gruppetto di paesani seguiva in processione il Santissimo, due bambini si inginocchiavano, nel piano davanti la Chiesa Madre, in segno di riverenza; intanto due uomini, di spalle, guardavano la scena, o forse la loro attenzione era stata attirata da ciò che stava accadendo in cima al vulcano.

Emissioni gassose lungo la frattura (Collezione S. Scalia)

L’eruzione, però, non rimase confinata alle alte quote: già nelle prime ore del giorno dopo, alle 3,30, una frattura lunga 3,5 chilometri si aprì tra le quote 2.200 e 1.550 metri, alla Serra delle Concazze (Duncan et Al., op. citata). Colate di lava scaturirono da vari punti lungo tutta la frattura, ma ebbero vita breve: il giorno 4, infatti, si erano già esaurite.

Una delle bocche sorte in contrada Ripa della Naca (Collezione S. Scalia)

Ma al peggio non c’è fine, si dice: nella notte tra il 4 ed il 5, infatti, iniziò una nuova fase. In seguito ad uno scuotimento del terreno, una nuova frattura si aprì nell’area denominata Ripa della Naca dove, da alcune modeste bocche a quota 1200 metri, cominciò a scorrere un torrente di fuoco.

Il fiume di lava, stavolta, non si esaurì rapidamente, ma continuò a scorrere verso i paesi pedemontani: Sant’Alfio e Mascali avrebbero potuto essere interessati. Fu la topografia dei luoghi a determinare quale dei due paesi si sarebbe salvato, e quale invece si sarebbe trovato lungo il percorso della lava: il torrente Vallonazzo, purtroppo, attraversava giusto il cuore del paese di Mascali, passando proprio accanto alla Piazza del Duomo e alla Chiesa Madre, dedicata al Santo patrono, San Leonardo.

Mascali quasi deserta attende l’arrivo della colata (Collezione S. Scalia)

Il 5 fu un giorno frenetico per Mascali e per i suoi abitanti: in poche ore le autorità ordinarono ed eseguirono l’evacuazione della città. Oltre ai beni mobili, furono messi in salvo anche gli infissi delle case, le inferriate, e spesso anche le tegole: rimase solo una città fantasma, svuotata di tutto ciò che poteva essere salvato.

L’ironia della sorte volle che il giorno 6 fosse proprio il giorno della festa dedicata al Santo Patrono. E proprio quel giorno la lava, dopo aver percorso 6 chilometri e mezzo, dopo aver interrotto i collegamenti con i paesi dei versanti settentrionale ed occidentale tagliando la ferrovia Circumetnea, dopo aver interrotto la strada provinciale che dalla frazione di Nunziata portava a Piedimonte, Linguaglossa e Randazzo, cominciò ad aggredire le prime case di Mascali. Anche i binari della ferrovia furono smantellati, e trasportati con gli ultimi convogli ancora utilizzabili in zone più sicure, prima che la lava aggredisse le strutture della stazione ferroviaria.

La statua di San Leonardo posta davanti al torrente di lava (Collezione S. Scalia)

Il simulacro del Santo Patrono fu portato alle porte del paese e posto davanti al torrente di lava che tuttavia, contro le aspettative e le speranze della popolazione, non si arrestò e costrinse i fedeli ad indietreggiare e portare in salvo anche la statua. “Fuiri non è virgogna, ma sarvamentu di vita”, diceva saggiamente mia nonna, mascalese  come tutti gli altri miei antenati.

Il monumento ai Caduti e la Chiesa Madre già danneggiata (Collezione S. Scalia)

Intanto la lava dell’Etna, seguendo il percorso del Vallonazzo, invadeva la città abbattendo irriverente anche la Chiesa di San Leonardo ed il monumento ai Caduti della guerra, che da lì a giorni avrebbe dovuto essere inaugurato: i mascalesi non ebbero la ventura di vederlo!

Desolazione totale dopo la distruzione del paese (Collezione S. Scalia

Il giorno seguente, il 7 novembre, Mascali era già completamente distrutta, tranne – come già detto – il piccolo quartiere di Sant’Antonino. Sono già trascorsi 95 anni da quei giorni, manca solo un lustro e poi saranno 100!

La casa con la palma raffigurata da Escher (Collezione S. Scalia)

Alcuni anni dopo, un grande artista grafico, Maurits Cornelis Escher, ebbe modo di visitare ed illustrare paesaggi di varie regioni italiane, Sicilia compresa. Si trovò a passare per i luoghi che erano stati ricoperti dalla lava. Qui, a Nunziata di Mascali, la sua attenzione fu colpita da una casa nobiliare, completamente circondata dalla lava ma non abbattuta; inoltre, dietro la casa, una palma ancora in vita, svettava manifestando la sua gioia per essere scampata al fuoco. Qualche anno fa ho trovato, nelle mie ricerche di testimonianze inerenti le attività etnee, una cartolina raffigurante la costruzione. Ho ritenuto che questo episodio potesse risultare interessante, e ne ho trattato in un articolo pubblicato dal blog IlVulcanico.it nel luglio del 2020.

Sulla distruzione di Mascali, questo blog ha già ospitato altri miei interventi, compresi una novella a tema, e diverse testimonianze e ricordi di prima mano – a me riferiti da chi aveva vissuto quei giorni. Riporto di seguito i collegamenti a questi pezzi, per chi volesse leggere di più sull’argomento:

Etna, Mascali, novembre 1928. Quando “U focu calava comu l’acqua”. Così Pippinu, Pitrina e i loro 9 figli vissero quei giorni scolpiti nella storia del vulcano

Il giallo di quelle vittime (2 o 5 ?) della lava a Mascali nel 1928. “Rumors” dall’estero o censura del Regime ?

Etna, Mascali, 9 novembre 1928: “miracolo” alla Nunziatella

Etna 1928, la casa nella lava di Escher: una nuova immagine inedita

“Era novembre” del 1928 a Mascali, Etna

Etna, a 94 anni dall’eruzione di Mascali: una rilettura in due racconti

Con il titolo: panorama di Mascali prima del novembre 1928 (Collezione S. Scalia)

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La “grande eruzione” del 1284 e la tricora di Santo Stefano sull’Etna https://ilvulcanico.it/la-grande-eruzione-del-1284-e-la-tricora-di-santo-stefano-sulletna/ Tue, 26 Sep 2023 05:11:52 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23964 di Santo Scalia Tricora (o tricoro, dal greco τρίχωρος (e poi dal latino tardo trichōrus), è un termine composto di τρι- «tre» e χῶρος «spazio, luogo»; così ci spiega il vocabolario Treccani, chiarendo che si tratta di un «ambiente rettangolare (di culto, memoria di un martire, ecc.) con absidi su tre lati». Cosa c’entra una […]

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di Santo Scalia

Tricora (o tricoro, dal greco τρίχωρος (e poi dal latino tardo trichōrus), è un termine composto di τρι- «tre» e χῶρος «spazio, luogo»; così ci spiega il vocabolario Treccani, chiarendo che si tratta di un «ambiente rettangolare (di culto, memoria di un martire, ecc.) con absidi su tre lati».

Ferrara Francesco – Storia Generale dell’Etna – Catania 1793

Cosa c’entra una tricora con l’Etna? C’entra, soprattutto in riferimento agli eventi eruttivi accaduti nel lontano 1284 (verso la fine di quell’anno, o l’inizio del successivo). In quell’anno, infatti, «[…] l’Etna fu violentemente scosso; e nella parte orientale vomitò un terribile fiume infuocato, che scorrendo pel declivio della Montagna andò a circondare senza devastarla la Chiesa di S. Stefano che era al basso nel bosco».

 


Nicolò Speciale – Historia sicula – liber I, cap. XXIX – De obitu Caroli Regis

Questo è quanto riportato dallo storico Canonico Francesco Ferrara (1) che a sua volta riferisce quanto descritto da Nicolò Speciale(2) (vissuto tra il 1282 ed il 1337): «Nam in diebus illis mons Æthna vehementi motu concussus est, atque ab ea parte qua respicit orientem in terribile oculis mirantium eructavit incendium, quod tamque alluvio per decliviam montis manans, mirabile dictu, Ecclesiam sub vocabulo sancti Stephani quæ in heremo est, per latera hinc inde circumdedit, tamen in aliquo non offendit quod usque in hodiernum diem miraculosum apparet.»

[Infatti in quei giorni il Monte Etna fu violentemente scosso, e dalla parte rivolta ad oriente eruttò un incendio, terribile agli occhi di chi lo osservava, che come un’alluvione scendeva per i declivi del monte e, cosa mirabile a dirsi, circondò da tutti i lati la chiesa detta di Santo Stefano che è nell’eremo, tuttavia non la danneggiò per nulla e ciò, ancora oggi, appare miracoloso.]

Più circostanziato è però il racconto che fa di questo evento il Canonico Recupero (3): «L’anno 1284 finì di vivere Carlo di Angiò Re di Napoli, e fece l’Etna una grand’eruzione. Nicolò Speciale ne registrò la memoria. Il Paruta appresso l’allegato Scrittore accenna pure questo incendio dicendo: Aetna mittit Ignes sub mortem Caroli Regis circa annum 1284. Era la Chiesa di S. Stefano sopra Bongiardo, ed alla distanza di un buon miglio dall’altro Villaggio detta la Dagala, e restano ancora in gran parte le sue mura bloccate da detta lava. Io fo conto essersi stesa questa lava più di quindici miglia».

Vi era dunque una chiesa dedicata al protomartire Santo Stefano (morto per lapidazione nel 36 d.C.), tra Dagala del Re e Bongiardo, nel territorio che oggi appartiene al comune di Santa Venerina: essa, nel corso dell’eruzione del 1284 non fu distrutta, ma le sue mura furono seriamente minacciate dalla lava.

Gli studiosi fanno risalire la sua costruzione all’epoca bizantina (535 – 827 d.C.), e ad essa era annesso un piccolo monastero che ospitava una comunità di monaci basiliani e successivamente di benedettini. Distrutto il monastero, che era dedicato a Sant’Andrea, e abbandonata per secoli, la chiesetta fu riscoperta in tempi recenti da Stefano Bottari (4), che pubblicò un testo con la descrizione del rudere nella Rivista di Archeologia Cristiana nel 1944-45.  Qualche anno dopo Biagio Pace, nella sua monumentale opera Arte e civiltà della Sicilia antica fece riferimento alla scoperta di Bottari.

Pianta della struttura da Vasile Mutu (5): Dagala del Re, frazione di Santa Venerina

 

Ma vediamo come era costituito quest’edificio, e perché viene definito tricora: si distinguono principalmente due parti; la prima, a pianta rettangolare, mentre la seconda, la cosiddetta cella, a pianta quadrata, è contornata da tre absidi (da cui la denominazione trichora).

L’ambiente rettangolare (il cosiddetto nartèce o pronao, o atrio), nel caso della tricora di Santo Stefano, consisteva in un ambiente tripartito, con a sinistra un vano adibito a cisterna; tale utilizzo aveva imposto la chiusura di uno dei tre ingressi, quello sinistro.

Oggi rimane poco dell’antico splendore dell’edificio sacro: «[…] L’ingresso, lascia vedere di quanto sia interrato l’edificio. I muri delle absidi danno un’idea dell’ampiezza del naos. Nel nartece possiamo individuare la volta a botte che copriva i braci laterali. Nonostante il rovinoso stato, la finestra dell’abside est ci suggerisce che la sua forma era una bifora o forse una trifora […]» (8)

Un’idea dell’aspetto originale della tricora lo abbiamo da un disegno che ricostruisce l’edificio, tratto dal sito internet curato da Vasile Mutu (5):

La colata lavica del 1284 (o 1285): a pochi metri dalla tricora di S. Stefano (foto S. Scalia)

L’individuazione dei resti non è facile: l’antico rudere si trova in contrada San Michele a Dagala del Re, frazione di Santa Venerina. Una strada interpoderale porta fino ad un querceto che nasconde l’antico rudere. A pochi metri dalla chiesetta si può ancora vedere, ormai ricoperto dalla vegetazione, il fronte della colata lavica che per poco non la distrusse, ma che certamente ne decretò l’abbandono da parte dei religiosi.

Chi volesse approfondire le conoscenze sul sito e rendersi conto visivamente dello stato attuale dei resti potrà visionare l’interessante “minidoc” realizzato dall’amico Antonio De LucaPassioneEtna e il filmato nelle pagine del sito www.etnanatura.it curate dal collega Camillo Bella.

 Riferimenti bibliografici e collegamenti multimediali

1) Ferrara Francesco             – Storia Generale dell’Etna – Catania 1793 (pag. 109)

2) Speciale Nicolò                  – Nicolai Specialis Libri VIII rerum sicularum in quibus continetur historia bellorum inter reges Siciliae & Aragoniae gestorum ab anno MCCLXXXII usque ad annum MCCCXXXVII (pag. 621 – BNF)

3) Recupero Giuseppe           – Storia naturale e generale dell’Etna – Tomo II – Catania – 1815 (pag. 27)

4) Bottari Stefano                   – La chiesa bizantina di Dagala, in “Rivista di Archeologia Cristiana”, vol. 21 (1944/45), Città del Vaticano, p. 311-3155

5) Vasile Mutu                        – Dagala del Re, frazione di Santa Venerina ( https://www.vasilemutu.com/It_Biz/Dagala_fr.htm )

6) Vecchio Giovanni               – La cella trichora di Santo Stefano e l’antico eremo di Dagala del Re  in “Memorie e Rendiconti”, Accademia Zelantea di Acireale, 2008 (pag. 297-324)

7) De Luca Antonio                La Trichora Bizantina di Santo Stefano ( https://www.youtube.com/watch?v=r9bZ-gFmMmU )

8) Bella Camillo                      in www.etnanatura.it : Cuba di Santo Stefano (https://www.etnanatura.it/paginasentiero.php?nome=Cuba_santo_Stefano )

Con il titolo: sezione longitudinale (ricostruzione da Lojacono, in Vasile Mutu)

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Oppenheimer: storia e tormenti del padre della bomba atomica. Un filmone per i più giovani https://ilvulcanico.it/oppenheimer-storia-e-tormenti-del-padre-della-bomba-atomica-un-filmone-per-i-piu-giovani/ Fri, 01 Sep 2023 08:37:57 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23822 di ANTONELLA DE FRANCESCO Un grandissimo film per forma e contenuto, l’ultimo di Christopher Nolan, Oppenheimer, (anche se il mio preferito resta Dunkirk del 2017), dedicato alla biografia del grande scienziato statunitense che coordinò il progetto Manhattan, ossia l’elaborazione della bomba atomica. Non banalmente un biopic sullo scienziato, ma la ricostruzione di un momento storico […]

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di ANTONELLA DE FRANCESCO
Un grandissimo film per forma e contenuto, l’ultimo di Christopher Nolan, Oppenheimer, (anche se il mio preferito resta Dunkirk del 2017), dedicato alla biografia del grande scienziato statunitense che coordinò il progetto Manhattan, ossia l’elaborazione della bomba atomica. Non banalmente un biopic sullo scienziato, ma la ricostruzione di un momento storico decisivo per la scienza e per l’umanità , costruito con la consueta corsa avanti e indietro nel tempo con cui Nolan ci fa entrare anche dentro la mente dì Oppenheimer, mentre viene lacerato da dubbi e scrupoli morali, pur nella consapevolezza che vi sono sfide della vita che vanno affrontate a ogni costo.
Un cast stellare (Cillian Murphy nei panni di Oppenheimer, Emily Blunt, Matt Damon, Florence Pugh, Robert Downey Jr., etc) per rappresentare un Prometeo contemporaneo capace di visione, sia nel senso di premonizione sia di leadership, che consegna al mondo un arma che nella mente dello scienziato, paradossalmente, può salvarlo. Un’arma così distruttiva che basterà usarla una sola volta. La differenza tra teoria e pratica segna il confine tra scienza e ragion di stato: il candore e l’indipendenza della prima, affidata al sogno e alla perseveranza di alcuni tra i più illustri fisici del tempo che presero parte al progetto Manhattan, deve fare i conti con l’urgenza degli Stati Uniti d’America di chiudere la guerra in Giappone e mostrare al mondo la sua egemonia assoluta, non solo politica, ma anche culturale e scientifica, arginando la paura dello spettro dell’URSS e del comunismo.
Nolan riesce ad intrecciare cinema d’autore e blockbuster, lasciandoci con domande aperte, esplorando le contraddizioni dell’uomo del secolo scorso che ancora ci attraversano. Ci può essere scienza fuori dall’etica? La ricerca in ambito scientifico e tecnologico può accettare che le sue conquiste siano usate in modo distorto sulla base di scelte umane e politiche che possano modificare la storia con conseguenze imprevedibili e finanche devastanti? C’è un limite alla ricerca? La distanza tra teoria e pratica in ambito scientifico è incolmabile? Fino a che punto lo scienziato deve preoccuparsi delle conseguenze della sua ricerca e del mondo che verrà? A chi appartiene una scoperta scientifica ?
Che si tratti di bomba atomica, vaccini o intelligenza artificiale, Nolan forse vuole avvisarci del fatto che la ricerca scientifica non può arrestarsi, ma le applicazioni tecnologiche che ne deriveranno sono spesso imprevedibili e non sempre benefiche. Per questo l’esplosione della prima bomba atomica durante il Trinity Test è luce e fuoco in un silenzio assordante, seguito da un boato che arriva solo dopo, ma resta assordante per sempre, non solo nella mente di Oppenheimer ma nella memoria e in tutti noi spettatori, perché le conseguenze di una scelta non sempre si mostrano immediatamente, a volte hanno bisogno di tempo per palesarsi, mostrando tutta la loro intrinseca atrocità. Ma la scelta di Nolan sta dando già i suoi frutti: le sale cinematografiche sono piene e i giovani sono tornati al cinema. Questo è forse il suo più grande merito: avere risvegliato i giovani dal torpore dei divani di casa, trascinandoli nelle sale!
Da vedere.
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di GAETANO PERRICONE

Lungo? Certamente lo è, ma non posso dire di essermi stancato, visto che il mio livello di attenzione e di tensione è stato altissimo fino all’ultimo. Noioso? Più che altro e solo in parte criptico, almeno per me che di fisica e meccanica quantistica non capisco una mazza, soprattutto nel primo tempo, dominato dalla ricostruzione tecnica del percorso che portò alla bomba. Pesante? Forse, per il tema affrontato, ma molto di più per chi arriva al cinema con il pregiudizio diffuso che debba esserlo.

Ciò premesso Oppenheimer, il film di Christopher Nolan che racconta la storia del papà della bomba atomica e della nascita della più spaventosa e terribile arma di distruzione di massa finora inventata dall’uomo, a mio avviso ha sicuramente una grande potenza evocativa; un fortissimo valore didattico che ho ampiamente percepito con i miei occhi considerato il pienone di ragazzi allo spettacolo a cui ho assistito, curiosi forse di sentire personalmente in una ricostruzione cinematografica così dettagliata la grande paura che noi nonni e i genitori hanno loro inculcato; ovviamente, mi sembra inutile dirlo, un’angosciosa attualità in un mondo in cui, in vari teatri di conflitti o di permanente e pericolosissima guerra fredda – dall’Ucraina alla Corea del Nord, ai confini tra India e Pakistan, eccetera – , di possibile ricorso alla guerra nucleare si parla un giorno sì e l’altro pure.

Robert Hoppenheimer

Secondo me – ma è il punto di vista di un vecchio e antiquato comunista pacifista, visceralmente anti yankee – ne escono con le ossa rotte quell’idea e quella parte di scienza e di scienziati che negli anni quaranta nel secolo scorso vollero a tutti i costi arrivare all’arma assassina considerandola alla stregua di qualunque straordinaria scoperta scientifica, ma anche il mostruoso cinismo con cui gli Stati Uniti e il presidente Harry Truman (letteralmente disgustoso nella rappresentazione che ne dà il film) decisero che i 210.000 morti e 150.000 feriti giapponesi complessivi a causa delle due esplosioni di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945, solo molto parzialmente previsti, valessero comunque la pena per fare finire la Seconda Guerra Mondiale ed evitare altri morti americani. Tesi che continua a farmi vomitare, anche perché non è dimostrata dalla storia né dimostrabile l’altra secondo cui se non l’avessero fatto gli Stati Uniti, prima o poi sarebbero stati altri Paesi, l’allora Unione Sovietica innanzitutto, a buttarla. Così come è forse razionalmente e crudelmente vera l’idea – che l’opera di Nolan fa in qualche modo passare – che, nell’immaginario collettivo della gente e di chi ha in mano i destini del mondo, dopo 78 anni e fino a oggi (lo dimostra anche la grande attenzione e il dibattito suscitato dal film) l’orrore e la paura per gli effetti dei due ordigni sganciati in Giappone continuino ad essere un deterrente notevolissimo.

Ho trovato formidabile, calzante e spesso struggente, l’interpretazione che Cillian Murphy offre della figura di scienziato geniale e uomo tormentatissimo che fu Robert J. Oppenheimer, tra l’esultanza per la riuscita del progetto e la consapevolezza interiore, drammatizzata nel film da vari passaggi onirici, di come e quanto la nascita della bomba atomica avrebbe cambiato il mondo in peggio. Bravissime le sue due donne, Jean -Florence Pugh e Kitty – Emily Blunt; Robert Downeyj nei panni del suo peggior nemico finto amico Lewis Strauss che lo perseguitò per motivi di odio personale camuffati dal movente delle idee politiche di sinistra di Oppy nel periodo del maccartismo; del grandissimo Matt Damon interprete del  generale Leslie Groves che insieme a Oppenheimer guidò il progetto e realizzò la cittadina di Los Alamos nel deserto del Nuovo Messico; dell’ottimo Tom Conti nella parte breve, ma molto incisiva e affascinante di Albert  Einstein, che mai volle partecipare alla realizzazione dell’arma.

Per me è dunque un filmone da vedere senza alcun dubbio, anche se riconosco come valide varie obiezioni e critiche che ho letto e ascoltato. In ogni caso, credo che il merito assoluto di Oppenheimer sia quello di farci riflettere tutti, vecchi e giovani, sulle folle e inesauribile capacità dell’uomo di correre verso l’autodistruzione.

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Empedocle: il filosofo e il grande vulcano sottomarino https://ilvulcanico.it/empedocle-il-filosofo-e-il-grande-vulcano-sottomarino/ Mon, 17 Jul 2023 04:43:44 +0000 https://ilvulcanico.it/?p=23751  di Santo Scalia Nel corso del 5° secolo avanti Cristo nacque e visse ad Agrigento (colonia greca allora denominata ᾿Ακράγας) un filosofo. Il suo nome era Empedocle. Come molti degli uomini colti dell’epoca, fu dotato di un talento poliedrico: infatti fu medico, poeta, politico, oratore, naturalista e chissà cos’altro. Proprio per il suo interesse nell’indagare […]

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 di Santo Scalia

Nel corso del 5° secolo avanti Cristo nacque e visse ad Agrigento (colonia greca allora denominata ᾿Ακράγας) un filosofo. Il suo nome era Empedocle. Come molti degli uomini colti dell’epoca, fu dotato di un talento poliedrico: infatti fu medico, poeta, politico, oratore, naturalista e chissà cos’altro.

Proprio per il suo interesse nell’indagare i fenomeni della natura, ad un certo punto della sua esistenza si trasferì sulla sommità del vulcano Etna, e lì, secondo la tradizione, fece realizzare la sua dimora a pochi passi dal cratere del vulcano, per poter meglio osservare i fenomeni che vi avvenivano.

Jean Houel, Torre del Filosofo

Ancora nel Settecento, il pittore Jean Houel, visitando la Sicilia e l’Etna, ebbe modo di illustrare in un acquarello ciò che rimaneva della mitica struttura fatta realizzare da  Empedocle, cioè soltanto una parte delle mura. Il luogo, comunque, prese il nome di Torre del Filosofo, nome che fu attribuito anche all’edificio edificato lì negli anni sessanta del secolo scorso.

“La morte di Empedocle” di Salvator Rosa

Del desiderio di Empedocle di comprendere meglio i fenomeni vulcanici parla anche lo storico Tommaso Fazello: «[…] si fabricò questa casa, per poter più commodamente filosofare intorno al fuoco del monte, e più agevolmente ritrovarne le cause» [libro secondo dell’opera Le due deche dell’historia di Sicilia, 1573].

La tradizione poi diventata leggenda vuole che, forse per studiare a fondo la natura vulcanica, forse per il desiderio di creare intorno a sé un’aura divina, finì per precipitare dentro il cratere! Solo uno dei suoi calzari di bronzo fu rigettato dal vulcano.

Di Empedocle non abbiamo alcuna raffigurazione, ma nel corso dei secoli in tanti si sono cimentati a riprodurne le sembianze

Titolo dal Corriere della Sera del 21 giugno 2006

A partire dal giugno del 2006, su numerosi organi di stampa apparve una notizia straordinaria: un nuovo vulcano, grande quanto l’Etna, era stato individuato nei fondali del Canale di Sicilia. Nell’edizione del 21 giugno del quotidiano Corriere della Sera, il geologo e giornalista scientifico Franco Foresta Martin così raccontava la notizia: «La scoperta è stata fatta nel corso di una crociera oceanografica nata col proposito di fare un documentario scientifico-divulgativo su quel che resta dell’Isola Ferdinandea, la mitica “isola che non c’è più”, emersa proprio di fronte a Sciacca nel giugno del 1831, e inabissatasi pochi mesi dopo, mentre era ancora in corso una vivace disputa sul suo possesso fra il Regno delle due Sicilie, l’Inghilterra e la Francia»

Titolo da La Repubblica del 22 luglio 2006

Il merito della scoperta va attribuito alla tenacia di Domenico Macaluso – un medico di Ribera appassionato di ambiente marino, sub provetto, responsabile del nucleo operativo subacqueo della Lega navale sezione di Sciacca – e a Giovanni Lanzafame, esperto di geodinamica. E quale nome poteva essere attribuito alla nuova struttura vulcanica, localizzata proprio al largo delle coste agrigentine, se non Empedocle

Uno dei campioni di pomice recuperati da Macaluso sulle spiagge del litorale agrigentino (foto S. Scalia)

L’idea che le strutture vulcaniche già conosciute nel Canale di Sicilia, localizzate poco a largo della città di Sciacca, e note come Ferdinandea o Banco di Graham, i banchi Nerita e Terribile fossero tra di loro collegate c’era già dal 2003; lo racconta lo stesso Macaluso in una dichiarazione pubblicata il 20 novembre 2006 dalla Proloco di Siculiana: «Questa scoperta, la si deve alla scossa di terremoto del 2003. Prima di allora conoscevamo soltanto l’Isola Ferdinandea, emersa nel 1831 e scomparsa dopo appena cinque mesi. Subito dopo il terremoto di tre anni fa, ho avuto la fortuna di rinvenire tonnellate di pietre pomici, che ho fatto subito analizzare. Assieme al vulcanologo Lanzafame, ci siamo incontrati con il responsabile della Protezione civile Bertolaso, il quale mostrandosi molto interessato e al contempo preoccupato, ci promise un finanziamento».

Due immagini 3 D del vulcano Empedoche

Fu proprio grazie ai finanziamenti ricevuti che fu organizzata la crociera esplorativa nelle acque del Mediterraneo per mezzo della nave oceanografica Universitatis, dotata di sofisticati strumenti di ricerca, tra i quali un ecoscandaglio multibeam a effetto tridimensionale ed un side scan sonar. E’ stato così possibile riconoscere l’edificio vulcanico che oggi porta il nome del filosofo agrigentino, e che si eleva mediamente di circa 500 metri dal fondo del mare. Empedocle si estende su un’area di circa 35 chilometri per 20, grande quasi quanto l’Etna.

Immagine dall’ERS (European Remote-Sensing), il primo satellite sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea per monitorare la Terra dallo spazio. Qui la Sicilia, la localizzazione e le dimensioni del vulcano Empedocle.

Empedocle è un vulcano attivo: la sua ultima manifestazione eruttiva, in superficie, è avvenuta nel giugno del 1831, presso l’Isola Ferdinandea: prima un filo di fumo, odore di zolfo e pesci morti venuti a galla; poi le esplosioni e la creazione di una nuova isola; infine, dopo pochi mesi, la scomparsa della stessa, a causa dell’azione erosiva del mare.

Allo stato attuale, come riscontrato dagli strumenti della nave Universitas, l’attività consiste in una emissione di gas da almeno due grandi fumarole poste sui fianchi del rilievo vulcanico. L’illustrazione che segue è una registrazione effettuata dal CoNISMa (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare)

 

 

Con il titolo: il filosofo Empedocle si lancia nel cratere dell’Etna

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