ANTONIO DE LUCA 26 ottobre 2013

di Antonio De Luca

Per me l’alba del 26 ottobre di cinque anni fa cominciò così. Non saprei cos’altro aggiungere al testo scritto allora che anzi, essendo dettato dall’emozione del momento, è autentico e una testimonianza viva di quella notte etnea speciale.

Sei mesi meno un giorno, tanto è il tempo trascorso dall’ultimo fenomeno parossistico dell’Etna. In questo periodo si è divertito a giocare con noi, ci ha fatto balzare dalla scrivania con tanti falsi allarmi. Piccole esplosioni stromboliane che sembravano minacciare una ripresa a breve tempo dei fenomeni. Ma così improvvise come tali attività erano cominciate, si erano concluse senza giungere al prologo che tutti ci aspettavamo. Poi improvvisa la ripresa vigorosa, un pomeriggio di esplosioni sempre più intense, attività stromboliana sempre a carico del Cratere di Sud-Est, dalla cima di quell’enorme cono nato in appena due anni e mezzo.

Non è una breve nottata quella d’attesa per l’evento parossistico. Le ore passano lente, con assillo si osserva la situazione attraverso l’occhio del binocolo che accorcia le distanze e fa sentire il fuoco molto più vicino. Una progressiva intensificazione delle esplosioni scandisce le ore della notte, il freddo a cui non ci abitua mai ti entra dentro e a quella stanchezza aggiunge anche il fastidio dei brividi di freddo, un ottobre che superati i mille metri di altezza si presenta come un inverno già in corso.

Sono a un passo dal gettare la spugna e tornare a casa a riposarmi, ma questo parossismo lo attendo da troppo tempo. Lui lo sa e per questo allunga i tempi, le esplosioni sembrano diventare continue, poi calano nuovamente e ricomincia una snervante attesa. Sono ormai le cinque e mezza del mattino quando una quasi impercettibile sfumatura più chiara disegna i confini dell’orizzonte. La terra gira e quel timido Sole, tanto atteso in quelle ore all’agghiaccio, si fa finalmente vedere, e con esso si presenta anche la colonna di cenere che nella parte alta si tinge di rosa spiccato, come la pelle di un neonato. E’ il momento più spettacolare, un velo arancione copre tutto il fianco del vulcano dall’alto verso il basso, e quando anche l’ultima cavita si riempie di luce l’eruzione può raggiungere il suo apice. Ha aspettato il momento migliore, per premiarci di averlo atteso con tanta pazienza.

Colmo di antagonismo, si fa sentire un cratere che era assopito da tempo. Dalle spalle del cono in fragorosa attività fuoriesce un getto di sabbia marrone, qualche bomba grigio chiaro raggiunge qualche centinaio di metri d’altezza dal cratere, poi piomba giù rovinando sui bordi del Cratere di Nord-Est, una delle quattro bocche sommitali che a sorpresa si aggiunge al coro.

E’ l’apice, dopo qualche decina di minuti lo spettacolo comincia a scemare, la nube a dissiparsi e l’attenzione a calare ma bisogna attendere ore per non sentire più quel rombo e non vedere più quel pennacchio bianco stirarsi tra la terra e il cielo.

Tornato a casa mi rendo conto della reale dimensione dell’evento; una colata di lava viene riversata sul fianco sud, su una zona che si sperava non venisse toccata. Di Torre del Filosofo restava soltanto un antenna, l’ultimo segno della sua esistenza, adesso neanche quello. La lava si spalma sul terreno, cola in tutte le direzioni e si espande su un fianco per lo più ricoperto da sabbia che lo stesso Cratere di Sud-Est ha gettato in questi anni, giungendo fino alla base dei Crateri Barbagallo. L‘Etna, come da sempre è stato, torna a ricoprire se stesso.

ETNA – 26 ottobre 2013

Antonio De Luca ([email protected])

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