di Gaetano Perricone

Trent’anni fa, il 23 maggio 1992, alle 17,58, il mostruoso attentatuni che squarciò l’autostrada Punta Raisi-Palermo all’altezza di Capaci uccise il giudice Giovanni Falcone – nemico numero uno di Cosa Nostra insieme al collega Paolo Borsellino che saltò in aria il 19 luglio -, la moglie Francesca Morvillo anch’essa magistrato, gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro  e cambiò la storia del nostro Paese e la prospettiva della lotta alla mafia.

Quella di oggi sarà una giornata strapiena di commemorazioni istituzionali e della società civile e ovviamente questo piccolo blog non intende e non può raccontare tutte queste cose che riempiranno ampiamente e giustamente giornali e tv, siti e social, oltre ai tanti libri sull’argomento pubblicati in questa occasione.

Le autrici

Oggi qui voglio ricordare il dottor Giovanni Falcone, uomo e servitore dello Stato straordinario, raccontando di una bellissima, deliziosa e profonda pubblicazione per bambini e ragazzi – principali e fondamentali depositari del messaggio di legalità che questo rito di commemorazione collettiva intende trasmettere – ma credo anche per grandi visto che l’ho letta con grande emozione, dal titolo L’albero di Giovanni Falcone, scritto a “sei mani” da Alba Di Pasquale, bancaria, Rossella Drago, bibliotecaria e Federica Terranova, ecologista, edito da Spazio Cultura di Palermo, in libreria dal 5 maggio scorso.

Rossella Drago

Ci ha raccontato Rossella Drago, che ho il piacere di conoscere personalmente: “Questo progetto nasce da una storia vera. Negli anni ottanta Alba Di Pasquale lavorava come segretaria per una ditta di costruzioni. Un giorno vide il progetto di un condominio che prevedeva la demolizione di un villino Liberty in via Notarbartolo. Il villino era caratterizzato da un elegante torretta e circondato da un giardino. Alba cercò di convincere il suo capo a cambiare idea, a salvare il villino, naturalmente non ci riuscì, ma chiese di risparmiare almeno il ficus. Alba non ha mai condiviso questa storia, lei è una persona riservata e semplice. Quando per caso ho saputo com’era andata sono riuscita a convincerla in qualche modo a condividere questa vicenda raccontandola ai bambini sotto forma di “favoletta” perché i nostri bambini e ragazzi hanno bisogno di sapere che si può essere eroi anche nei piccoli gesti, di provarci sempre anche quando ci sentiamo impotenti anche quando pensiamo “ma in in fondo era solo un ficus”. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro quali conseguenze possono avere le nostre scelte… Nella storia Alba non è la protagonista, lei si intravede…così ha voluto. Il protagonista è il ficus di un delizioso giardino che si vede un giorno circondato dai palazzi e dal buio del cemento e dell’asfalto…troverà speranza nello sguardo di un uomo con la barba, un uomo diverso dagli altri”. 

Era il dottor Giovanni Falcone e quel meraviglioso ficus sta ancora lì, davanti al palazzo dove abitava ed è diventato famoso nel mondo come icona dell’amore e del rispetto per quest’uomo che ha dato la vita per noi.La nostra storia racconta di un umano extra-ordinario e di un ficus traccia vivente di una figura straordinaria – scrivono le autrici – entrambi provano che la cura delle cose comuni dovrebbe essere una sfida ordinaria”.

Mi piace molto anche aggiungere quanto ha scritto la mia cara amica e grande collega de L’Ora Claudia Mirto, che ha intervistato le autrici per la pagina Facebook L’Ora edizione straordinaria: “Se l’è tenuto dentro per circa mezzo secolo la segreteria della ditta di costruzioni che abbatté villa Tagliavia per far nascere un palazzone sull’asse della città liberty che ospitava giardini e magnifiche residenze. Fu lei, 23 anni,  a chiedere timorosa al suo capo di risparmiare quel bel ficus che ombreggiava l’ingresso della villa. E fu ascoltata. E non ne parlò per decenni con nessuno. Ma ha seguito la sua crescita, il suo costante caricarsi di disegni, simboli e lettere, l’ha visto in tutte le tv del mondo narrare dolore e speranza. Perché “un giorno venne ad abitare in quel palazzo un uomo con una barba e degli occhioni neri neri. Tutte le mattine l’uomo, prima di entrare in macchina, si fermava sotto il ficus, si accendeva una sigaretta e guardava i suoi rami mentre aspettava quello che l’albero pensava fosse la sua famiglia…”. 

Il libro è stato presentato al Salone internazionale di Torino nello stand della Regione siciliana. I proventi andranno alla creazione di un parco per bambini a Borgo Molara di Palermo. Io l’ho già regalato a mio nipote Andrea, che lo ha accolto con entusiasmo e lo porterà a scuola. Credo sia una buona idea regalarlo ai vostri figli e nipoti, ma non vi dispiacerà affatto leggerlo e apprezzare le splendide illustrazioni di Simona Bartilomo.

Con il titolo e dentro l’articolo: la copertina e alcune immagini dal libro “L’albero di Giovanni Falcone”

UN MIO PICCOLO RICORDO 

Giovanni Falcone, un bellissimo scatto di Franco Lannino
Ricordo anch’io perfettamente dov’ero e cosa facevo quel maledetto sabato pomeriggio di 30 anni fa, il 23 maggio 1992. Stavo nella mia casa di Palermo, allora in via Nicolò Gallo, dietro piazza Politeama. Guardavo la televisione. Ero da 15 giorni disoccupato, tristissimo, arrabbiatissimo per la chiusura del “mio” giornale L’Ora, che l’8 maggio aveva salutato i propri lettori con quell’indimenticabile titolone in prima: “Arrivederci”.
Improvvisamente spuntò la faccia di Angela Buttiglione, conduttrice del TG1, per l’edizione straordinaria rimasta nella storia. Passò subito la linea al mio amico Salvatore Cusimano, grandissimo cronista, che in tono concitato, carico di emozione, ci diede le prime terribili notizie, accompagnate da spaventose immagini rimaste per sempre scolpite nella nostra memoria, dell’ attentatuni di Capaci.  Ero un giornalista professionista con già un po’ di anni di mestiere sulle spalle, ma rimasi lo stesso inebetito di fronte a tale orrore. Ebbi subito consapevolezza della portata della tragedia, ma sperai che il dottor Giovanni Falcone si fosse in qualche modo salvato, in realtà per qualche tempo volli illudermi che qualcuno, angelo o spione, lo avesse portato via in tempo dal luogo della strage. Sono quegli strani meccanismi che foderano la mente e gli occhi di prosciutto quando non si vuole accettare una realtà mostruosa. Poi subentrò la seconda reazione, viva ancora oggi dentro di me: la frustrazione immensa perché lo storico giornale antimafia dove ero nato e cresciuto professionalmente non avrebbe potuto raccontare questa terribile storia e indagare sulle cause.

Nella mia meravigliosa e irripetibile esperienza professionale al giornale L’Ora, mi sono occupato intensamente per un paio di anni di cronaca nera durante la seconda guerra di mafia, raccontando tanti omicidi e fatti di sangue. Ma non scrissi mai di giudiziaria, dunque non frequentando il Palazzo di Giustizia non ebbi modo di conoscere e seguire il giudice Falcone, se non attraverso le cronache e le testimonianze dei miei colleghi. Lo incontrai a distanza ravvicinata una volta, da privato cittadino e qui mi piace ricordarlo. Accadde una sera, in una trattoria del centro storico di Palermo, in un periodo di enorme tensione e polemiche, cittadine e non solo, su scorte e sirene. Il dottore Falcone era in una saletta riservata con la dottoressa Morvillo e una coppia di amici, nella sala grande insieme al mio gruppo c’era una tavolata di ragazzi che festeggiavano un compleanno. Fuori ci stavano un paio di auto di scorta con un bel po’ di uomini della sicurezza. Ad un certo punto, l’ho raccontato spesso agli amici del nord che mi chiedevano di questo leggendario personaggio e della sua vita, qualcuno del gruppo festaiolo ebbe l’idea, tradizionale ma molto infelice in quel contesto, di spegnere le luci per portare la torta con le candeline. Non l’avesse mai fatto: gli agenti di scorta si precipitarono in sala, qualcuno con le armi spianate, riaccendendo le luci mentre qualcuno degli astanti del locale pensò bene di buttarsi sotto il tavolo. Scena da Far West, insomma, durata pochi secondi, ma con molta adrenalina e un pizzico di paura. Poco dopo, ricordo molto bene il suo elegante gesto, il dottore Falcone uscì dalla saletta e ci disse semplicemente, con sorriso amaro: “Scusatemi”. Mi rimase molto impresso e mi sembrò tutto tristissimo, perché capii come era costretto a vivere quell’uomo.  Onore per sempre al dottor Giovanni Falcone, alla dottoressa Francesca Morvillo, a Rocco DiCilio, Antonio Montinaro, Vito Schifani, a tutti coloro per hanno perso la vita per noi nella lotta eterna a Cosa Nostra.

Gaetano Perricone

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