di Santo Scalia
L’ho incontrato più volte sull’Etna. Don Antonio, così lo chiamavo, con rispetto, e lui rispondeva sempre con un sorriso e tanta cordialità.
Nato l’8 maggio 1933, aveva l’Etna nel sangue: discendente di almeno due generazioni di guide alpine, era salito per la prima volta al cratere a 6 anni, accompagnato dal padre. Poi, nel maggio del 1967, divenne Guida Alpina e nel 1974 fu conosciuto in tutto il mondo per un’impresa al limite dell’impossibile. Definito universalmente “la più prestigiosa delle Guide dell’Etna”, fu per anni presidente del Collegio Regionale Siciliano delle Guide, ed infine Guida emerita dell’Etna, fino alla sua morte, avvenuta il 15 dicembre 2007.
Il 24 settembre 1974, con l’ausilio di una scala di corde, di una fune di sicurezza e facendo affidamento sulle sole proprie forze fisiche si calava dentro la Voragine del Cratere Centrale, non occlusa, ma aperta e fumante.
Nessuna valenza scientifica, a mio parere, ma una dimostrazione spettacolare di coraggio e di desiderio di superare i propri limiti. In una intervista per “Primo Piano”, nell’agosto del 2001, fu lo stesso Antonio a chiarire perché era sceso nelle viscere del vulcano: «Sfidai il vulcano per conto di un regista francese: dovevamo girare delle immagini che servirono per un documentario che poi fece il giro del mondo. Tutti mi presero per pazzo. Quasi mi sfidarono. Ed io sfidai loro».
Protetto da una tuta ignifuga e da un pesante ed ingombrante casco in fibra di vetro, Antonio scese lungo la scala a pioli per circa 120 metri. Raggiunto il fondo del cratere addirittura si staccò dalla fune di sicurezza, avvicinandosi alla gola che esalava volute di gas sulfurei (nella fotogallery troverete una selezione di immagini dell’impresa e di quotidiani e periodici dell’epoca).
Ad assistere all’evento due francesi, Jean-Paul Janssen (cineoperatore), sceso per circa 40 metri all’interno del cratere, il fotografo Olivier Massart e sette delle Guide dell’Etna lì per dare il loro supporto logistico.
La sfida era stata vinta.
Non pago di essere stato il primo uomo ad essere sceso in uno dei crateri attivi dell’Etna, Antonio ci provò ancora una volta, diciannove anni dopo, nel maggio 1993 al cratere Bocca Nuova; l’impresa è stata documentata in un reportage di François “Fanfan” Le Guern.
Ad Antonio Nicoloso, nel 2009, è stato dedicato il Centro Servizi dell’area Nicolosi Nord; lì il Comune ha fatto apporre una targa in sua memoria: «Un uomo semplice, ma non comune, che al fuoco si è accostato, calandosi nelle viscere dell’Etna, ma non per sfidarla, ma per conoscerla, ammansirla e amarla.»
Prima di chiudere questo ricordo di Antonio,nell’ottantaseiesimo anniversario della sua nascita, mi piace ricordare un’alta figura indissolubilmente legata all’Etna, un altro dei Nicoloso, il fratello maggiore Orazio, che proprio qualche giorno fa, il 29 aprile, ha raggiunto il traguardo dei 90 anni.
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