(Gaetano Perricone) Ieri mattina ho scritto a Marco Neri questo messaggio: “Grande Marco buongiorno. La condivisione sul mio blog dell’articolo di INGV Vulcani sul radon sta facendo migliaia di lettori, evidentemente suggestionati, se non preoccupati. Ben sapendo che artefice principale di questa ricerca sei tu e da quanto tempo lavori, con la tua grande professionalità e capacità, su questa questione, ti chiedo: se hai tempo e voglia, me la scriveresti per il mio Vulcanico una ulteriore riflessione che, andando anche al di là degli aspetti strettamente scientifici, aiuti il cittadino preoccupato a comprendere meglio ?. Ti abbraccio e ti auguro buon lavoro, sempre grato di quello che fai (e fate) con grande serietà e passione per noi etnei”.
Marco Neri, che ieri abbiamo ascoltato sulla questione in una intervista come al solito chiara ed efficace sul TG 3 Leonardo della scienza e dell’ambiente, ci ha subito risposto con la interessantissima lettera che pubblichiamo qui di seguito. Ringraziandolo sempre di cuore per la estrema gentilezza e disponibilità e per il contributo costante che ci offre per comprendere la meravigliosa complessità della scienza etnea.
di Marco Neri
Caro Gaetano,
raccolgo con piacere il tuo gentile invito di questa mattina a scrivere di più sul radon. Di questo gas si sta parlando molto in questi giorni dalle nostre parti, non sempre con i contenuti e i toni giusti. E allora, facciamo un passo indietro e proviamo a ricapitolare.
Da oltre tre anni, io ed altri colleghi, conduciamo misure continue di radon indoor (cioè dentro alcune abitazioni) della zona etnea. Abbiamo iniziato questa indagine perché avevamo sentore che potesse esistere un potenziale pericolo per le popolazioni etnee, in quanto questo gas è cancerogeno. Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) colloca il radon nel Gruppo 1, ovvero tra i più pericolosi per l’Uomo. Studiando il radon nei suoli dell’Etna sin dal 2005, ci siamo resi conto che alcune zone di questo vulcano ne emanano quantità cospicue. L’obiettivo che ci siamo posti, dunque, è stato quello di verificare se il radon si trasferisce dal terreno all’interno delle case.
In questo studio abbiamo istruito e coinvolto alcuni cittadini ed anche alcuni insegnanti e gli alunni di due scuole, al fine di fare conoscere loro l’esistenza di questo potenziale problema e, contemporaneamente, di accostarli alla pratica scientifica. Dopo tre anni di raccolta dati ed analisi, siamo stati in grado di tirare le prime somme e pubblicare i risultati sottomettendoli al vaglio di una rivista internazionale di buon livello, dal referaggio rigoroso e approfondito. Per chi non lo sapesse, queste riviste pubblicano solo articoli che superano il giudizio di altri scienziati esperti chiamati a valutare la qualità della ricerca.
I primi risultati che abbiamo ottenuto sono, oggi, gratuitamente disponibili sia per la comunità scientifica che per la gente comune, accedendo direttamente all’articolo attraverso il link: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpubh.2019.00105/full. I dati elaborati dicono che nelle sette abitazioni monitorate sulle pendici dell’Etna il radon supera, in molti casi, il livello medio annuale di “prima attenzione” indicato dall’OMS. Ciò avviene soprattutto nelle case poste in prossimità delle faglie, le fratture della crosta che segmentano i fianchi dell’Etna producendo frequente sismicità. Il fatto che le faglie, non solo quelle etnee ma tutte le faglie, siano zone in cui il radon risale più facilmente verso la superficie, non è certo una novità. Negli anni passati, sia ricercatori dell’INGV, sia altri colleghi dell’Università e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Catania, hanno pubblicato pregevoli articoli in cui hanno evidenziato l’emersione del radon in vari punti del nostro vulcano. Il nostro ultimo studio, però, evidenzia, in più, che in quelle zone già note il radon filtra facilmente dal sottosuolo all’interno delle abitazioni, inquinandole.
L’equazione ovvia che ne deriva è che, oltre al problema della sismicità e della fagliazione superficiale, le maggiori emissioni di radon dalle zone di faglia rappresentano un ulteriore pericolo di cui tenere conto, per difendersi in modo efficace. E difendersi si può, a patto che si conosca il problema, adottando comportamenti (come arieggiare frequentemente i locali) e tecniche costruttive semplici ed efficaci, che prevengono l’accumulo di quantità di radon pericolose negli ambienti in cui si vive.
Pur considerando che il numero di abitazioni fino ad ora monitorato è numericamente molto limitato, questi risultati indicano chiaramente che è necessario estendere lo studio ad un numero maggiore di ambienti abitati ed in aree urbane ancora più vaste. Non si può più far finta che il problema non esiste. Il radon, purtroppo, non è percepibile ai sensi umani e quindi è un “nemico” subdolo, che si accumula soprattutto al pianoterra e nei cantinati delle nostre case che si trovano a diretto contatto con il suolo. Per rilevarlo occorrono strumenti particolari e noi ci stiamo attrezzando con le risorse umane ed economiche di cui disponiamo. Ma anche con la collaborazione volontaria di cittadini ed istituzioni che hanno raccolto con interesse ed entusiasmo l’invito a collaborare. Quelli già coinvolti nella ricerca li trovate tutti elencati nei ringraziamenti alla fine dell’articolo scientifico sopra richiamato, ma già molti altri si sono offerti per estendere il monitoraggio.
Con il titolo: rilievi del radon dal suolo
Commenti recenti