di Santo Scalia
Ce ne parla già Strabone, geografo e storico greco (63 a.C.-23 d.C.). Nella sua opera La Geografia ( Γεωγραφικά, in diciassette libri) Strabone, nel descrivere la Sicilia e le sue particolarità, scrive della città di Catania e fa cenno a questa leggenda (Volume 3, Libro VI, Capitolo III): «Catana [sic] è dominata dall’Etna, e partecipa di moltissimi di quegl’incomodi che sogliono essere presso ai crateri. Perocchè le lave corrono fin vicinissimo a quella città, e quivi si dice avvenuto il fatto di que’ buoni figliuoli Anfinomo ed Anapia, i quali in uno di questi pericoli salvarono i genitori portandoli via sulle proprie spalle».
Ma è Pausania, detto anche Pausania il Periegeta, scrittore e geografo anch’egli (II secolo d.C.) che più diffusamente descrive la leggendaria ed eroica azione. Nella sua Periegesi della Grecia (opera in dieci libri) così scrive: «Gli antichi stimavano molto i genitori, come si può dedurre, tra l’altro, da quelli in Catania chiamati Pii, i quali, quando scorreva sopra Catania il fuoco dell’Etna, non tennero in considerazione alcuna l’oro e l’argento, ma fuggirono portando in collo uno la madre, l’altro il padre; avanzando con difficoltà, furono raggiunti dalla lava spinta dalle fiamme e, poiché neppure per questo deposero i genitori, si dice che la lava si dividesse in due parti, ed il fuoco passasse senza che gli stessi giovani, e insieme a loro i genitori, ricevessero alcun danno. Ed essi in verità, anche ai nostri giorni, vengono onorati dai Catanesi».
I due fratelli, per la loro azione e per l’incondizionato amore per i loro genitori, vennero allora chiamati Pii, proprio per la loro “pietas” (come definito da Treccani, sentimento di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre).
Pausania conclude con una frase che ancora oggi, dopo quasi due millenni, risulta attualissima: «Ed essi in verità, anche ai nostri giorni, vengono onorati dai Catanesi». Per rendersi conto di quanta verità ci sia in quelle parole basta recarsi in Piazza dell’Università a Catania. Qui si trovano quattro candelabri in bronzo, realizzati nel 1957 dal maestro Mimì Maria Lazzaro, che raccontano altrettante leggende catanesi: quella della giovane Gammazita, del paladino Uzeta, di Cola Pesce, e per l’appunto quella dei fratelli pii Anapìa e Anfinomo. Nell’angolo nord-orientale della piazza si trova infatti il candelabro bronzeo nel cui basamento troviamo le figure dei due giovani e dei loro anziani genitori.
La leggenda è stata ripresa ancora in epoca romana, divenendo poesia con il poemetto Aetna (quasi sicuramente di autore anonimo, ma incluso nella cosiddetta Appendix Virgiliana, un insieme di opere giovanili di Publio Virgilio Marone (noto più semplicemente come Virgilio):
« Insequitur miranda tamen sua fabula montem / nec minus ille pius, quam forte est nobilis ignis / Nam quondam ruptis excanduit Aethna cavernis / et velut eversis penitus fornacibus ignes / et vecta in longum rapidis fervoribus unda, / haud aliter quam cum saevo Jove fulgurat Aether / et nitidum obscura caelum caligine torquet.»
[«Una meravigliosa leggenda si riferisce tuttavia al monte, che, sebbene colpevole di tanti danni, non è meno famoso per l’esempio di pietà dato dalle sue fiamme. Un giorno infatti l’Etna, erompendo dalle sue caverne, divampò, e come se le sue profonde fornaci si riversassero all’esterno, un enorme torrente di lava infuocata irruppe sulle distese circostanti; non diversamente Giove corrucciato percorre l’etere con le sue folgori e avvolge di nera caligine il cielo splendente». (traduzione di Ignazio Concordia)]I Fratelli (o Frati) Pii, sono presenti anche sull’Etna. Qui si trovano, nel versante settentrionale, a circa 2500 metri di quota, 1200 m. circa a SW di Monte Pizzillo, due notevoli emergenze a forma di cono: «altro non sono che due hornitos che emergono dal vasto deserto lavico del Passo dei Dammusi. Nel corso di questa eruzione [1614-1624 N.d.R.], durata ben 10 anni, vennero effusi circa un miliardo di metri cubi di lava e circa 2 milioni di metri cubi di proiezioni solide» [G. Tringali – Oronimi Etnei – in Bollettino Accademia Gioenia Sci. Nat. – Vol. 45 N.° 375 – Catania 2012].
Cosa è un “hornito”? Il termine deriva dalla lingua spagnola; “horno” significa “forno”, quindi un hornito non è altro che un piccolo forno. Lì dove da una frattura nel terreno viene in superficie la lava, qualora questa sia sufficientemente fluida e ricca in gas, si generano degli accumuli di brandelli di materiale ancora caldo e plastico che costruiscono delle strutture di forma approssimativamente conoidale, che ricorda vagamente un forno.
Perché I Due Pizzi vengono detti localmente anche Frati Pii? L’interpretazione dell’origine del toponimo è abbastanza semplice: i due rilievi, che alla sommità raggiungono rispettivamente i 2515 e 2514 metri, emergono dal campo lavico dell’eruzione del 1614-24 (la più lunga eruzione laterale della storia recente, avvenuta sull’alto versante settentrionale dell’Etna [J.C. Tanguy – S. Branca – L’attività eruttiva dell’etna degli ultimi 2700 anni]). Svariate volte, nel corso dei quattro secoli trascorsi, sono stati circondati dalle colate di lava scaturite più a monte: accerchiati, ma non sepolti. Così come Anapìa e Anfinomo.
In verità la loro altezza, rispetto al terreno circostante, è andata sempre di più a diminuire nel corso del tempo. La più antica riproduzione fotografica dei due rilievi che io conosca risale al 1890: essa – opera di Émile Chaix – è custodita presso la Bibliothèque Nationale de France (BnF). L’autore, professore di Geografia fisica a Ginevra, fu anche membro della Società geografica di quella città. Visitò più volte l’Etna: nel 1892 descrisse l’eruzione di quell’anno sulle pagine de “Le Globe”; nel 1894, per la stessa testata, descrisse la Valle del Bove e la locale vegetazione; e nel 1902 pubblicò una Carta vulcanologica e topografica dell’Etna.
Della leggenda dei Fratelli Pii racconta anche Santo Calì, uomo di cultura e scrittore linguaglossese, nell’opera “La notti longa”, pubblicata nel 1972.
«Un nuvolone di fumo densissimo aveva oscurato il ciclo. Il sole divenne sanguigno e un boato fece sussultare le pendici screpolate dell’Etna. Si precipitarono giù a valle i contadini e i pastori, trascinando con sé le poche e misere masserizie e spingendosi innanzi bovi mugghianti e pecore impazzite e cani che ululavano, in un inferno di ceneri infocate, di scosse paurose e di bagliori cupi e accecanti.
– Tornate, tornate indietro! Disgraziati… La montagna sta divampando! La sciara è entrata come serpente nelle nostre case! E il giudizio di Dio, è la morte…
Ma Anfinomo e Anapio, splendidi di sudore, guizzanti nei muscoli, con l’ansia nel petto in tumulto, sfuggivano come due nibbi alle mani che cercavano di agguantarli, e salivano: salivano disperatamente incontro alla morte e contro la natura spietata.
E lì trovarono i due vecchietti paralitici, accostati ad un angolo della capanna, abbracciati e rassegnati a morire e felici quasi che i loro figli fossero in salvo.
– Padre, madre! Che non sentite? Siamo qui, i vostri figli? Anfinomo, Anapio…
Il torrente di lava stava già per investire la capanna. I fratelli pii si caricarono sulle spalle i loro genitori, e giù, anch’essi verso la valle lontana.
Si voltarono a vedere per l’ultima volta il loro tugurio che scompariva tra il fumo e le fiamme, si fermarono un poco, atterriti; ma il fuoco non lo maledissero…
Poi fu una gara tremenda tra l’impeto della natura e la fragile forza degli uomini.
Vinse la natura e il torrente raggiunse i fratelli; ma la loro pietà aveva vinto nel cospetto di Dio; il fuoco si divise in due ali, circondò in una corona rossa di amore i due giovani carichi del loro pietoso fardello, li accompagnò per tutta la notte, li consegnò incolumi all’alba che schiariva, alla memoria commossa degli uomini, alle rievocazioni di Pausania, di Strabene, di Claudiano, di Ausonio, di Virgilio, al trascorrere lento dei secoli…
Lassù, oltre i Pizzi Deneri, il vento canta ancora nella desolata solitudine l’immortale leggenda.
E i Fratelli Pii, nei loro manti oscuri di sciara, vigilano, sacerdoti immortali, a guardia dei penetrali sacri del Dio.»
Il racconto di Calì fu magistralmente illustrato da Sebastiano Miluzzo. Nella Fotogallery si potranno ammirare il citato disegno, foto e cartoline postali della mia collezione personale. Prima di terminare voglio ricordare che i Due Pizzi rivestono anche un interesse dal punto di vista speleologico. Il Club Alpino Italiano (Sezione di Catania), ha infatti censito uno dei due rilievi, inserendolo nel catasto delle grotte vulcaniche etnee. Gli è stata attribuita la sigla Si CT 087, e la denominazione Pozzo del Monte Due Pizzi inferiore.
Con il titolo: Anfinomo e Anapìa salvano i propri genitori dalla lava (affresco di Annibale Carracci, Palazzo Farnese – Roma)
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