di Adolfo Fantaccini
Ieri, agli antipodi del mondo, sono andati in scena due spettacoli calcistici così diversi, ma così uguali: a Yokohama il Real Madrid ha ‘domato’ i giapponesi del Kashima Antlers, che avrebbero meritato di più del 2-4 maturato dopo i supplementari, nella finale del Mondiale per club; al Camp Nou di Barcellona si è disputato il derby cittadino fra i blaugrana e il Real Club Deportivo Espanyol.
Nella terra del Sol levante, con una tripletta di reti, Cristiano Ronaldo ha inciso in maniera determinante nel successo del ‘blancos’ del Real; in Catalogna, Leo Messi ha illuminato la serata con gol e assist da capogiro (nel senso che gli avversari sono tornati negli spogliatoi con forti emicranie da ubriacatura). Ebbene, ancora una volta, è emersa la diversa natura dei due fuoriclasse; con una differenza sostanziale, però. Il calcio del portoghese può essere equiparato alla prosa, quello dell’argentino è poesia allo stato puro.
I “lampi” 2di ‘CR7’ (così è universalmente noto nel mondo del calcio Cristiano Ronaldo) rientrano nella sfera dell’essenzialità di un calcio sempre più frenetico, ma non si sa quanto poetico. Possono o non possono piacere, e comunque esaltano le doti di un giocatore che è soprattutto homo-mediaticus, immagine di un movimento sempre più costellato da robot di indole metrosexual, molto piacenti (a chi?), verosimilmente esaltati oltre i propri limiti. Un esempio? Stamattina, in un noto programma radiofonico, un giornalista elogiava Ronaldo, definendolo – oltre al più grande di sempre – uno dei protagonisti del successo del Portogallo nella finale di Euro 2016 contro la Francia, ma dimenticando probabilmente che il neo Pallone d’Oro era uscito al 25′ del primo tempo. Dunque, nello specifico confronto, non ha mai inciso. Il calciatore viene scambiato quasi sempre col personaggio, generando confusione fra chi riceve i messaggi e si ferma alle apparenze; lo si enfatizza eccessivamente, addirittura oltre i suoi reali meriti.
Cristiano Ronaldo resta un fuoriclasse di assoluto livello, ma non sarà mai il più grande. La poesia è un’altra cosa. E’ Messi, per intenderci. L’argentino è classe pura, cristallina, genio assoluto. E’ più vicino a Maradona che a Pelè, o a Di Stefano. E’ l’esaltazione del talento, la conferma perenne che il calcio riesce ancora a dispensare emozioni, brividi. E’ uno di quei calciatori che nascono ogni 27 anni: infatti Diego è del 1960, Leo del 1987. Non sarà un caso.
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