di Santo Scalia
Si dice spesso che la Natura sia un libro aperto, nel quale poter leggere per imparare tantissime cose. Ed è proprio così: oltre che dal processo deduttivo e dalla fase di sperimentazione, molte delle nostre conoscenze derivano direttamente dall’osservazione.
Un bellissimo esempio di come si possa imparare osservando ci è dato proprio dall’Itinerario didattico Monte Grosso – Monte Gemmellaro che si trova sul versante meridionale dell’Etna, e che si diparte dal cancello a quota 1268 lungo la Strada di Bonifica Rinazzi (diramazione della SP. 92 Nicolosi-Etna).
L’itinerario didattico – che sarà inaugurato oggi, sabato 10 luglio, alle ore 17 – è accessibile per tutti; offre infatti pochissime difficoltà, essendo lungo circa 2 chilometri con un dislivello massimo di circa 100 metri.
Per descrivere l’itinerario utilizziamo un’interessante brochure (scaricabile da internet) realizzata dal Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università degli Studi di Catania, dall’Ente Parco dell’Etna e dal Comune di Nicolosi:
«L’itinerario è dedicato al geologo-naturalista Carlo Gemmellaro (1787-1866) e lungo il percorso è possibile ammirare evidenze di varie eruzioni vulcaniche occorse a partire dalla seconda metà del XIX sec. sino ai giorni nostri».
Percorrendo il sentiero, cosa che si può
agevolmente fare in due ore, si incontrano quattro punti di osservazione che offrono particolari spunti per un’attenta analisi. In ciascuno di essi si trova un utile pannello che, oltre a farci rendere conto della nostra posizione nel territorio, illustra le peculiarità geologiche e botaniche che si possono osservare in prossimità dello stesso.
STOP 1 – ARGINI E SOVRAPPOSIZIONI DI COLATE
«Il primo STOP è ubicato a circa 150 metri dal punto di partenza e consente di attraversare una serie di rilievi lavici (Figg.1,2) relativi all’eruzione del 2001, al di sotto della quale si trovano, affiancate, le colate del 1886 e 1892 (Fig.3). Questi rilievi sono significativi perché narrano l’evoluzione morfologica della colata lavica. Essi hanno un’altezza di quasi 10 metri e si sono formati quando la lava ha iniziato a raffreddarsi perdendo calore nelle sue porzioni più esterne, dando origine ad argini principali e successivamente a quelli secondari, chiaramente visibili in questo STOP. Circa 100 metri più a sudest si possono osservare le sovrapposizioni di colate laviche di età differenti, riconoscibili dal netto contrasto cromatico (Fig.3). Questa differenza di colore è da attribuire alla presenza di licheni biancastri, i quali hanno bisogno di tempo per poter crescere e svilupparsi fornendo al contempo una datazione relativa delle colate laviche e offrendo spunti di riflessione sul principio di sovrapposizione stratigrafica».
STOP 2 – LAVA BLOB
«A circa 850 metri dal punto di partenza è ubicato il secondo STOP, dove è possibile ammirare una delle strutture più peculiari derivate dall’attività eruttiva del vulcano, qui denominata come “Lava Blob”».
«Si tratta di una struttura di lava pseudosferica (Fig.4) di dimensioni metriche. Essa può essere spiegata come un’estrusione della porzione più interna e fluida della colata che si verifica quando la lava, nel suo scorrere verso il basso incontra un ostacolo, producendo una pressione che letteralmente spinge verso l’alto la porzione più fluida del flusso di lava. Questa porzione può essere in grado di rompere la parte esterna solidificata, dando origine a questa peculiare morfologia. A volte questi blob possono rimanere al di sopra della superficie di lava ma più spesso se ne allontanano rotolando al di fuori della colata lavica. I processi di colonizzazione delle colate rappresentano uno dei fenomeni più interessanti in ambito ecologico, poiché testimoniano l’evoluzione nel tempo di specie e comunità vegetali da stadi iniziali, molto pionieri, verso quelle più mature e stabili.
Lo stadio iniziale, quello con le caratteristiche più pioniere, è rappresentato da una vegetazione lichenica dominata da Stereocaulon vesuvianum Pers.(Fig. 5), mentre un specie che contribuisce in maniera significativa al processo di colonizzazione è la Ginestra dell’Etna (Fig. 6)».
STOP 3 – XENOLITI SEDIMENTARI
«A circa 1500 metri dal punto di partenza si raggiunge il terzo STOP. Qui è possibile osservare esempi di xenoliti sedimentari (Figg. 7 , 8), ovvero frammenti di rocce di colore biancastro, inglobate sia nelle porzioni massive che brecciate della lava. Gli xenoliti derivano il loro nome dalla composizione di due parole greche, xènos (ξένος) che vuol dire estraneo e lithos (λίθος) che vuol dire pietra. Si tratta di frammenti di arenaria quarzosa che costituisce la coltre sedimentaria sopra la quale si trova l’edificio vulcanico etneo. Durante la risalita, il magma ha “strappato” dei frammenti di quarzarenite portandoli in superficie, permettendoci di acquisire informazioni, su porzioni altrimenti inaccessibili, della crosta terrestre».
«Durante il trasporto, queste rocce vengono alterate dal calore e dai gas della lava e per questa ragione, hanno una notevole sfaldabilità e una colorazione variegata dal bianco all’ocra. Nell’osservare i frammenti di quarzarenite, si noterà altresì l’aspetto vacuolare della porzione massiva della colata lavica (Fig.9). I vacuoli sono bolle di gas intrappolate all’interno della colata al momento del suo raffreddamento. La distribuzione e la dimensione di tali vacuoli non sono omogenee, ma variano in funzione del livello della colata osservato».
STOP 4 – HORNITOS DI MONTE GEMMELLARO
«L’itinerario si conclude dentro le bocche dell’apparato eruttivo di Monte Gemmellaro (Fig.10). Questo Stop consente di osservare gli hornitos (dallo spagnolo horno = forno) formatisi dall’accumulo di brandelli lavici saldati tra loro nei primi momenti dell’attività eruttiva del 1886. Ciò è stato possibile perché l’attività esplosiva durante l’eruzione aveva scarsa energia, determinando una frammentazione parziale della lava. I brandelli eiettati ancora fusi e molto grossi, ricadevano a piccola distanza dal punto di emissione saldandosi l’un l’altro. All’interno delle bocche è possibile anche osservare peculiari strutture morfologiche simili a stalattiti, localmente note come «denti di cane». Questi ultimi sono il risultato di processi legato all’alta temperatura dei gas magmatici che hanno portato a una parziale rifusione della volta dell’hornito. In questi ambienti creati da attività vulcaniche recenti, si rinviene una vegetazione molto specializzata e fortemente condizionata dall’assenza di un vero e proprio suolo. In particolare briofite (muschi) e licheni costituiscono gli elementi dominanti (Fig.11).
Tra le poche piante vascolari in grado di sopravvivere in queste condizioni ecologicamente molto severe, vi sono alcune specie di Crassulaceae (es. Sedum sp.pl., Fig. 12).»
Ai margini del sentiero si possono ammirare varie specie botaniche tipiche della flora etnea, dalla Ginestra dell’Etna al Centranthus ruber, dal Rumex scutatus f. aetnensis al Jasione montana, dall’Asfodelo giallo alla Rosa Canina. Alcuni esemplari di flora e fauna, fotografate nel corso della mia visita all’itinerario, si possono ammirare nella Fotogallery a corredo di questo articolo.
Le foto inserite nel testo numerate da 1 a 12 e qui esposte in quattro gruppi di tre, fanno parte della brochure illustrativa.
Con il titolo: il cartello posto all’inizio dell’itinerario (foto S. Scalia)
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