di Mirco Mannino
Un assaggio di entroterra. Il primo vero assaggio di entroterra da quando mi sono trasferito in Sicilia.
Feci in verità un’esperienza simile, nei primissimi mesi di questo mio viaggio (correva l’anno 2019) lungo alcuni paesi dell’ennese, ma non è tuttavia paragonabile alle esperienze maturate durante quest’ultimo itinerario, che ha toccato ben 7 paesi tra la provincia di Catania, Enna e Caltanissetta.
Ripartito tra il 16 Ottobre e il 6 Novembre 2023, ho deciso di tracciare come una sorta di compasso, che da Centuripe prosegue verso sud/ sud-ovest, toccando i comuni di Catenanuova, Ramacca, Aidone, San Michele di Ganzaria, Mazzarino e Riesi. “Il compasso” avrebbe dovuto proseguire poco più a sud verso Butera, ma per motivi logistici il comune non ha potuto in quest’occasione offrirmi la sua ospitalità, ma sarà sicuramente per la prossima.
Per incominciare al meglio questo percorso, ho deciso, come buon auspicio, di trascorrere la prima notte in tenda, presso ciò che rimane del Castello di Poira, situato tra i territori di Paternò e Centuripe. Un luogo che, a mio avviso, potrebbe essere definito come “una porta” verso l’entroterra siculo. Curioso come, tra l’altro, nel corso della notte, sogno di trovarmi esattamente lì, su quello stesso luogo, ma con l’unica caratteristica che il poggio su cui il castello si ergeva era bagnato dal mare, un mare cristallino che mi invitava ad immergirmi. Che fosse un sogno di buon auspicio?
La mattina dopo, il 17 ottobre, il viaggio ha veramente inizio.
Ma come posso sintetizzare in poche righe venti giorni di viaggio? Piuttosto che fare una lista della spesa inutile, prolissa, e che non darebbe dignità e valore a nessun luogo, mi limito a raccontare un unico grande episodio che per me è stato sorprendente.
Erano i primi giorni dalla mia partenza da Catania, quando mi trovavo a Libertinia, un borgo rurale di epoca fascista appartenente al territorio di Ramacca. Girando per il borgo con il mio modo di fare inequivocabile (zainetto in spalla, e con tra le mani un treppiede e la macchina fotografica) ho destato subito la curiosità in tante persone, le quali, chi una e chi l’altra, mi hanno tutte quante suggerito di vedere un altro borgo molto interessante situato lì nei pressi, ma che nessuno fu in grado di dirmi come effettivamente si chiamasse.
Basta che esci poco poco dal borgo, guardi in direzione delle colline, e ti vedi spuntare alcuni gruppi di case, dove adesso non ci vive più nessuno – mi dice un signore. E’ stato costruito bene o male nel periodo di Libertinia… o forse un poco più tardi – mi racconta una signora molto cortese, la quale poi mi ha dato una bottiglia d’acqua fresca e un po’ di frutta.
Rapito dalla curiosità sono salito subito in macchina, alla ricerca di questo borgo di cui mai avevo sentito parlare fino a quel momento. Effettivamente dopo un paio di curve, vedo in lontananza una schiera di case che pareva uscita da un set cinematografico. Parcheggio proprio vicino a una stradella che si snoda in direzione del borgo e decido di proseguire a piedi, sotto il sole delle due di pomeriggio.
Faceva caldo, molto caldo. Mi sono cambiato per bene in modo da avere addosso solo abiti da escursione (così da non sporcare i vestiti buoni), e ho bevuto preventivamente una bella dose di acqua, così da avere una buona riserva per il deserto di colline spoglie che avrei attraversato di lì a poco. Perché sì, sebbene fossimo a ottobre, tutte le colline dell’entroterra apparivano uniformemente aride, senza neanche un poco di verde. Mano a mano che passeggio, il borgo si fa sempre più vicino, mostrandosi a me con una forma perfettamente rettangolare, quasi tracciata col righello, con due file di case posizionate sul lato corto e forse più di dieci case (tutte uguali) nel lato lungo.
Quando il borgo si fa veramente vicino, mi accorgo che lì nei pressi vi è una mandria di mucche, guidata da un mandriano le cui urla avevo cominciato ad udirle qualche centinaio di metri prima. Piuttosto che andare verso il caseggiato e destare sospetti in lui, ho preferito avvicinarmi e cercare di avere un dialogo. L’uomo, sulla sessantina, dai modi molto rudi, camminava a petto nudo sotto il sole, con dei calzoni evidentemente troppo larghi per la sua costituzione, tanto che quando camminava, gli si vedeva palesemente il fondoschiena.
Gli spiego che ero venuto fin lì per dare un’occhiata al borgo e fare delle foto, e che sono state proprio alcune persone di Libertinia a consigliarmi questo luogo. Il mandriano, fattosi sospettoso, comincia a pormi delle domande ben precise, quali di dove fossi, con che macchina fossi venuto e di che colore fosse, giustificandosi che alcuni “curiosi” di Catania, tempo addietro, era venuti fin lì per poi dimostrarsi dei truffatori, rubandogli il bestiame nella notte.
Da come parlava, si intuiva facilmente che quell’uomo raramente aveva a che fare con gli umani. Per rassicurarlo gli do tutte le informazioni da lui richieste (tutte false, ovviamente) e lo rassicuro dicendogli di voler solo fare un giro di qualche minuto, per poi tornarmene sulla mia strada.
Durante tutto il nostro dialogo, oltre alle varie vacche e vitelli che scorrazzavano nel campo, esattamente tra me e lui giaceva a terra il cadavere di una mucca, morta forse da una settimana, in avanzato stato di decomposizione. Io cerco di essere quanto più indifferente possibile alla faccenda, al pari del mandriano, che impassibile mi ascoltava. Gli chiedo se sapesse qualcosa del borgo, e lui mi risponde dicendo che si chiama Mandre Bianche. Finalmente, riesco a scoprire il nome di quel luogo. Quando mi viene detto il nome, mi risovviene subito alla memoria la storia della fondazione di Libertinia, che fu costruita per volere del Barone Pasquale Gesualdo Libertini sul suo feudo, il feudo di Mandre Rosse.
I conti tornano. Dopo aver finalmente ottenuto il lasciapassare dal mandriano, che si comportava come se il feudo fosse il suo, vado finalmente a curiosare un po’ nel borgo, ma mi accorgo ben presto che tutte le case erano state utilizzate come stalle. Le case erano abbastanza spaziose e si componevano di due piani, forse si trattavano di case plurifamiliari. Accanto ad ogni casa vi era un cubo di cemento, probabilmente da adibire o a pollaio o a stalla, mentre attorno ad ogni proprietà vi era inoltre un giardino. Non v’era traccia né di chiesa, né di posta, né di nessun servizio. Doveva trattarsi di un luogo solo ad uso abitativo, evidentemente.
Mentre passeggio per Mandre Bianche, il mandriano porta tutte le vacche all’interno del borgo, adibito praticamente a un’unica grande stalla. Quando vado per salutarlo, quello mi dà a parlare, per la prima volta in tono abbastanza amichevole. Mi chiede se conosco un tale macellaio della Via Plebiscito, ma non gli ho saputo rispondere. Poi, scherzando, mi dice :”La prossima volta portala qualche ragazza da Catania”, poi, chiacchierando un poco, arriva a chiedermi grattandosi il capo: “E a servitù come siamo messi?” Io, credendo di aver intuito dove volesse arrivare a parare, faccio finta di non capire, costringendolo a costruire la domanda per intero. Così, mi domanda:
Intendo: la fidanzata? La fidanzata ce l’hai? La servitù è importante…
Mai avevo udito una cosa simile: associare il concetto di fidanzata a quello di serva. Sarà che forse quell’uomo vive lontano dalla società e si sia dimenticato cosa voglia dire vivere in un contesto fatto di persone, oltre che di sole vacche. Ad ogni modo, rispondo con il mio solito fare evasivo, né un sì né un no, ci salutiamo, e pian piano faccia strada verso la macchina, ripercorrendo quel deserto di colline a ritroso. Potevano essere le tre di pomeriggio, e questa giornata, lunghissima, senza saperlo mi avrebbe regalato tantissime altre esperienze.
Il viaggio era appena ricominciato.
Con il titolo: Mirco Mannino a Libertinia (tutte le foto dell’autore dell’articolo)
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