di Santo Scalia
In questo Blog si è già fatto cenno agli interventi dell’uomo volti a mitigare il danno arrecato dalle colate laviche etnee (http://ilvulcanico.it/deviazioni-di-lava-etna-1983-un-film-di-fanfan-leguern/). Nelle righe che seguono voglio approfondire, confortato dalle fonti storiche, ciò che avvenne il 9 maggio del 1669 quando, tentando un’impresa mai prima tentata durante la più devastante eruzione dell’Etna che si ricordi, alcuni coraggiosi personaggi provarono a salvare la città di Catania.
Don Tommaso Tedeschi e Paternò nel suo Breve Raguaglio degl’Incendi di Mongibello, pubblicato nello stesso anno 1669, descrive così l’azione di un manipolo di arditi guidati da Don Diego Pappalardo da Pedara: «Se ne vanno dunque costoro di notte tempo allo già detto luogo, e con mazze, pali, e picconi di ferro presero a rompere il destro fianco, dal quale dopo lunga fatica rotto alquanto, e disarginato, uscì con tal empito il fuoco, che fu presso a bruciarli, se quinci tosto non si fossero sottratti. E come che rimanessero assai sbigottiti per tale accidente non per tanto fattosi cuore ripigliarono la ricominciata impresa, stando ben su l’avviso per difendersi dalla piena di quel torrente, seguendo pure a battere co’ loro strumenti quel ferrigno lato, acciochè fatta una più ampia e spatiosa breccia, per la quale il fuoco tutto ne uscisse alla volta di Levante, e avrebbero ciò recato ad effetto, se non vi fosse stato chi l’impedisse: e venne l’impedimento da’ Cittadini di Paternò, i quali havendo di ciò sentore e dubitando, non si drizzasse quello torrente di fuoco verso la loro Città, si armarono immantinente da cinquecento, e con tamburi, e trombe contro i Pidaresi ne corsero, e facilmente da quel lavoro, perché eran pochi in loro riguardo, li distolsero».
L’anno seguente l’eruzione, Giovanni Alfonso Borelli – professore di Matematica all’Università di Pisa – pubblicava in latino l’opera Historia et Meteorologia Incendii Ætnaei anni 1669; in essa non manca il riferimento all’impresa effettuata da «Don Xauerius Musumeci» (Don Saverio Musumeci di Acireale), «Don Didacus Pappalardus equestris ordinis Hierosolimitani Præsbyter» (Don Diego Pappalardo di Pedara, Presbitero dell’Ordine Equestre Gerosolimitano) e «Don Iacintus Platania insignis Pictor» (il pittore acese Giacinto Platania, o Patania come egli si firmava), «et alii».
Anche il Canonico Calcerano nella sua Cronaca manoscritta del 1752 (pubblicata nel 1929 dal Canonico Vincenzo Raciti Romeo «per accrescere il patrimonio della storia di Acireale»), descrive il tentativo: «Si ha per inteso che li Pidaresi promessero alla Città di Catania volerse approntuare et obligare a fare divertire [deviare] et fare in altra parte sversare detto foco, il quale scende per Catania. Li promessero dinari, et molti di detta Pidara andaro con stanghi, pali, zappi, mazzi, et altri arnesi per fare uno sbado a lato del Canale che corre da detta Voragine acciò saltasse detto foco nella parte del Principe Colonna e del Duca Mont’Alto […] Il vero è che la bondantia del foco lo quale non era capace ad receverlo il Canale, sparse fori dell’Argine di detto Canale et sparse et corse per due rivoli, uno verso Paternò, l’altro verso la Terra della Mascalocia et subito si raffreddaro».
L’evento del 1669 è stato descritto (non senza un pizzico d’orgoglio campanilistico) anche dal poeta e storico acese Lionardo Vigo che, nel suo Notizie storiche della città d’Aci-Reale del 1836, così scrive: «Viveansi in Aci Saverio Musmeci, che G. Alfonso Borelli chiama ingenio et doctrina conspicuus, Giacinto Patania insigne pittore e sapiente uomo, e altri che il Borelli non nomina, costoro varii muraglioni di pietre a secco costrussero di fronte a’ torrenti di fuoco, così, con rara desterità ne deviarono il corso; contemporaneamente con forti, lunghi e grandi uncini di ferro addentavano la corrente lava; con vanghe e zappe le aprivano nuovi letti, talchè tra per lo impedimento de’ muraglioni, l’artefatto declivio, ed il trarla con gli strumenti di ferro, giunsero a svolgerne il corso. […] con l’aiuto di fra Diego Pappalardo […] fatti sprezzatori della morte salirono sino alla bocca dell’ignivoma voragine, lì con uomini coperti di cuojo ruppero il labbro meridionale di quel cratere, grandi massi gittarono entro la fluente lava, talchè da un lato l’arrestavano dall’altro nuovo varco le aprivano; la lava, ubbidendo alle leggi de’ fluidi, volgevasi già all’altro lato, che a Paternò accenna. Catania salva, Paternò in pericolo, i dotti acitani liberatori della città sorella sonò la fama, e dopo quella l’armi sonarono poiché 500 uomini di Paternò vennero a far fuoco contro Patania, Musmeci, Pappalardo e la loro gente».
Solo tre secoli dopo il primo tentativo, nell’aprile del 1971, si provò timidamente a proteggere gli impianti della funivia innalzando degli argini di terra e, successivamente, esattamente alle 4.09 del mattino del 14 maggio 1983, con l’uso di esplosivi si effettuò il primo vero esperimento di deviazione di una colata. L’esperimento fu replicato, con altri mezzi ed in un altro contesto, nel corso dell’eruzione del 1991-93.
Gli Uomini che fecero l’impresa
Don Diego Pappalardo
Nato nel 1636 a Pedara, studiò presso il Seminario Arcivescovile dei Chierici di Catania. Nel 1660 ottenne la laurea in Diritto Civile e Canonico; successivamente fu Cappellano conventuale dell’Ordine Ospedaliero Gerosolimita di Malta.
In seguito al terribile terremoto del 1693, Don Diego si distinse per l’aiuto rivolto ai suoi compaesani e per l’impegno nella ricostruzione del paese. Importante fu il suo contributo nella ricostruzione della Chiesa Madre dedicata a Santa Caterina. Alla sua morte, avvenuta nel 1710, vi fu sepolto in un sontuoso monumento marmoreo.
Giacinto Platania
Nacque ad Acireale nel 1612, figlio del pittore Antonio, del quale ereditò arte e bottega. Noto particolarmente per le sue opere di carattere religioso, restò indissolubilmente legato all’eruzione etnea del 1669 sia per la riproduzione della stessa in un affresco presente nella Sacrestia del Duomo di Catania, sia per la tela raffigurante la Madonna con le sante Venera e Tecla – nella quale è presente una scena dell’eruzione (tela posta nell’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria La Scala) – ma soprattutto per essere stato uno dei protagonisti del tentativo di deviazione della colata (all’età di 56 anni e mezzo).
Morì ad Acireale nel 1691 ed è sepolto nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta “dei Cappuccini”.
Saverio Musmeci (o Musumeci)
Nato ad Acireale nel 1633, all’età di 36 anni fu “arruolato” nel gruppo di uomini guidati da Don Diego Pappalardo per partecipare all’impresa in quanto esperto ingegnere militare. Successivamente si occupò della costruzione dello storico Palazzo Musmeci, tuttora presente ad Acireale nel “piano” (oggi piazza) di San Domenico. Don Saverio morì nel 1703.
Con il titolo: illustrazione dal “Breve Raguaglio degl’Incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669”
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