di Santo Scalia
L’Association Volcanologique Européenne (L.A.V.E.) di Parigi, della quale mi onoro di far parte, nell’ultimo numero (settembre 2018) della sua rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne, n. 191, curato da Alain Catté, ha voluto rendere omaggio al vulcano Etna ed al lavoro di vulcanologi e ricercatori che su questo vulcano operano ed hanno operato.
Il numero della Revue è praticamente monografico, contenendo tre articoli incentrati sulla ricerca vulcanologica svolta sul nostro vulcano: una nota storica da me realizzata (La volcanologie sur l’Etna. La vulcanologia sull’Etna), un mémoire del Professor Jean-Claude Tanguy (Mémoires volcanologiques. Memorie vulcanologiche) ed un témoignage (una testimonianza) di Boris Behncke (Un rêve devenu une vie avec un volcan exceptionnel. Un sogno diventa una vita grazie a un vulcano eccezionale).
Quello che segue è una sintesi e un riadattamento del mio contributo alla Revue (La volcanologie sur l’Etna), che ripercorre la storia della vulcanologia dalle origini fino agli anni ’60 del secolo scorso; l’arco temporale da allora fino ai nostri giorni è stato trattato, come già ricordato, nei contributi dei miei stimatissimi amici Jean-Claude Tanguy e Boris Behncke, che verranno riassunti a seguire.
«Le pendici del Monte Etna sono disseminate da decine, anzi centinaia, di coni eruttivi secondari detti “crateri avventizi”, o più precisamente “monogenetici” (cioè che hanno eruttato una sola volta nella loro esistenza, soltanto all’atto della loro formazione). Molti di questi crateri (o “monti”, come spesso vengono definiti nella toponomastica locale) portano dei nomi che sono un omaggio a degli uomini che si sono dedicati all’Etna e lo hanno studiato in quanto vulcano: che cioè sono stati dei vulcanologi. Così intorno all’Etna si trovano dei rilievi denominati Monti Sartorius, Monte Gemmellaro, Crateri Silvestri, Monte Rittmann, Crateri Ponte, Monti De Fiore, Monte Cumin ed altri ancora che portano e ci ricordano nomi di vulcanologi del passato.»
«In passato però, più che di vulcanologia si dovrebbe parlare di “vulcanografia” o vulcanologia descrittiva, e di cronaca degli eventi eruttivi dei vulcani. Allora lo studioso era più spettatore che ricercatore: osservava i fenomeni da lontano e li descriveva. Il desiderio di poter osservare sempre più da vicino ciò che avveniva dentro i crateri attivi portò i ricercatori a studiare e realizzare vesti e protezioni che potessero consentire loro di avvicinarsi quanto più possibile, anche a costo di ricevere qualche scoria in testa!
In questo sforzo di trovare soluzioni per salvaguardare la propria incolumità e poter osservare meglio i fenomeni, dobbiamo certamente ricordare il pioniere Arpad Kirner che, nel 1933, sperimentò ingombranti e fantascientifiche soluzioni nell’area craterica dello Stromboli (cfr. figure 1 e 2). »
«Haroun Tazieff e i coniugi Katia e Maurice Krafft realizzarono e testarono dei copricapi in vetroresina, forse più per scopi documentaristici che perché effettivamente convinti della loro praticità (cfr. figura 3): queste sovrastrutture, disegnate in modo da scaricare sulle spalle e non sul capo l’energia dell’eventuale impatto di un brandello di lava o di una “bomba vulcanica”, erano di fatto ingombranti e limitavano molto il campo di visuale: in caso di una improvvisa
e ravvicinata esplosione forse sarebbero stati più di impaccio che di vera utilità. Anche Antonio Nicoloso, la più famosa delle Guide dell’Etna, nella sua spettacolare discesa all’interno del Cratere attivo dell’Etna effettuata nel ’74 utilizzò una di tali protezioni (cfr. figura 4).»
Fatta questa premessa sulla necessità, allora, di avvicinarsi quanto più possibile ai fenomeni eruttivi viene esposta una panoramica di studiosi, letterati e viaggiatori che, a partire dall’era “avanti Cristo” fino a quasi mezzo secolo fa hanno descritto e studiato l’Etna.
«Forse il primo uomo che abbia sentito il desiderio di studiare da vicino un vulcano fu il filosofo greco Empedocle di Agrigento, vissuto nel V secolo a.C. (cfr. figure 5 e 6): la tradizione vuole che egli, spinto dalla bramosia di comprendere i fenomeni che avvenivano sulla cima all’Etna, abbia realizzato lì un edificio per potervi soggiornare e, non pago di ciò, abbia alla fine deciso di lanciarsi dentro la bocca del vulcano!».
Vengono poi citati Pindaro, poeta lirico greco, vissuto tra il VI ed il V secolo a.C, Strabone, geografo e storico greco, vissuto tra il 60 a.C. ed il 20 d.C. che fu tra i primi a darci una descrizione del vulcano, e la cosiddetta Appendix vergiliana, una raccolta di 33 carmi attribuita al nome di Virgilio.
Successivamente si parla di Tommaso Fazello, autore del De Rebus Siculis decades duae, opera scritta in latino e pubblicata nel 1558, nella quale dà un’ampia descrizione dell’Etna; di Antonio Filoteo degli Omodei e della sua Aetnae topographia incendiorumque Aetneorum historia, composta intorno al 1560 e di Sebastian Münster, che fu rinomato cartografo, geografo e matematico tedesco, e che all’Etna dedica un paragrafo intitolato “Del monte Ethna [sic]” nella sua opera Cosmographia Universalis.
«Il Seicento è ancora più ricco di scritti dedicati al vulcano: nel 1636 Pietro Carrera scrive Il Mongibello in tre libri; nel 1669 (anno della devastante eruzione etnea che sconvolse tutto il versante meridionale, fino a danneggiare seriamente anche la città di Catania), Tommaso Tedeschi pubblica il Breve raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669. Segue l’anno dopo Alfonso Borelli, con la Historia et meteorologia incendii aetneaei annii 1669. Sempre agli eventi del 1669 sono dedicate cinque pagine del paragrafo Enarratio incendii Montis Ætnæ del famosissimo Mundus Subterraneus (cfr. fig. 7) del Gesuita Athanasius Kircher, nella terza edizione dell’opera.
Altri storici e studiosi seguirono e ci hanno lasciato pregevoli opere sull’Etna e sui suoi “fuochi” ed “incendii”: Giovanni Andrea Massa nel 1708 con il volume Del Monte Etna, poi l’Abate Francesco Ferrara con la Storia generale dell’Etna del 1793 e il Canonico Giuseppe Recupero, morto nel 1778: la sua Storia naturale e generale dell‘Etna fu comunque integrata e pubblicata nel 1815 ad opera del nipote.»
Segue quindi una breve carrellata di viaggiatori-scrittori del Grand Tour che nel corso del ‘700 e dell’800 hanno visitato l’Italia ed in particolare la Sicilia e le vestigia della Magna Grecia, e che ovviamente hanno dedicato almeno un paragrafo delle loro opere alla descrizione dell’Etna: Patrick, Louis, Jean, Johann Wolfgang von, Joseph-Antoine De, Lazzaro, Henry De Tilly, Alexandre, Alfred, George Farrar Rodwell, J. N. Emra.
Un paragrafo poi è dedicato a ciascuno degli studiosi che nella topografia etnea sono ricordati essendo loro dedicato un cratere o, come viene spesso definito, un “monte”. Vengono così ricordati i fratelli Gemmellaro di Nicolosi: Carlo, che benché fosse laureato in Medicina, si distinse per i suoi studi di geologia e di vulcanologia che culminarono nella pubblicazione del volume La vulcanologia dell’Etna, che comprende la topografia, la geologia, la storia delle sue eruzioni (1858). Giuseppe scrisse sulle attività vulcaniche del 1824 e 1832; Mario seguì in particolare le eruzioni del 1809 e del 1819, e nel 1823 esplorò, non senza difficoltà, la “Grotta delle Colombe”, una cavità risalente all’eruzione dei Monti Rossi del 1669: egli discese per circa 120 metri (cfr. figura 8).
In precedenza, nel 1804, lo stesso Mario aveva fatto costruire, a quasi 3000 metri di quota, una casupola allo scopo di offrire un riparo, per quanto misero, a coloro che si spingevano in prossimità del Cratere dell’Etna; tale riparo, prendendo spunto da una frase incisa sulla porta da uno dei viaggiatori (“CASA HAEC QUANTULA ETNAM PERLUSTRANTIBUS GRATISSIMA”) fu denominato “La Gratissima”.
Segue il paragrafo dedicato a Wolfgang Sartorius, barone di Waltershausen, autore di un’opera fondamentale della vulcanologia etnea, il Der Ätna, e redattore di una carta topografica dell’Etna, l’Atlas des Aetnas (cfr. figura 9): si tratta di una delle prime carte topografiche del vulcano, in scala 1:50.000, completata nel 1843.
Fu grazie alle pressioni del Professor Orazio Silvestri (cfr. figura 10) – trasferitosi a Catania nel 1863, per insegnarvi Chimica Generale all’università – che nel 1880 l’Osservatorio Astronomico venne convertito agli studi di vulcanologia e di sismologia: nacque così il Regio Osservatorio Vulcanologico Etneo (cfr. figura 11), del quale il Silvestri divenne Direttore.
I paragrafi successivi sono dedicati al ricordo di altri insigni vulcanologi distintisi per le loro ricerche sull’Etna: Gaetano Ponte (a lui sono stati dedicati i Crateri Ponte, nati nel corso della prima fase dell’eruzione del 1971 nei pressi dell’Osservatorio Vulcanologico); Ottorino De Fiore (i coni piroclastici denominati Monti De Fiore, nati dall’eruzione del 1974 lo ricordano); Gustavo Cumin (oggi il suo nome è ricordato da un conetto piroclastico nato nel corso delle attività etnee del 1974-75 intorno a quota 2925, in prossimità di Punta Lucia); Alfred Rittmann (svizzero, nato nel 1893 a Basilea, ideatore dell’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania, realizzato nel 1967), a cui è dedicato un modesto cono di scorie formatosi nell’eruzione del 1986-87; Haroun Tazieff. Anche se sull’Etna non esiste un “Monte Tazieff”, Haroun è stato certamente uno dei personaggi più noti, il cui nome è stato sempre sulle pagine dei quotidiani catanesi.
L’articolo pubblicato sulla Revue ha ripercorso, sicuramente non in maniera esaustiva, la storia della vulcanologia etnea, dalle prime descrizioni del vulcano fino agli anni ’60 dello scorso secolo, ricordando i personaggi che si sono distinti nelle indagini vulcanologiche. Da allora lo studio delle dinamiche eruttive, della geochimica, dei fenomeni precursori, della prevenzione e mitigazione dei rischi, della descrizione cartografica hanno fatto passi da gigante.
Oggi il vulcanologo si avvale di consistenti aiuti derivanti dalle sempre più avanzate tecniche di monitoraggio e di telerilevamento: dalle webcams attive 24 ore su 24, dalle continue registrazioni del tremore e dei tracciati sismici, dalle analisi automatiche delle emissioni di gas Radon, dall’applicazione delle tecniche di rilevamento GPS, dalla composizione chimica del plume vulcanico e per ultimo, dalle immagini derivanti dai sorvoli delle aree sommitali e/o più pericolose tramite droni radiocomandati che permettono inquadrature prima impossibili. Hanno assunto grande rilevanza le sempre più affidabili metodiche di datazione archeomagnetica, indispensabili per una migliore comprensione degli avvenimenti del passato ed una più precisa collocazione nel tempo di eventi sì storici, ma di periodi nei quali errori o approssimazioni erano frequenti. Grazie anche a questa tipologia di indagine si è pervenuti ad una nuova e più accurata carta geologica dell’Etna.
Jean-Claude Tanguy ha operato presso Institut du Globe de Paris – Observatoire de Saint-Maur – e studia l’Etna da quasi sessant’anni, dal 1959. Nella sua memoria, prettamente autobiografica, Jean-Claude ricorda le prime scintille di interesse per i vulcani, quando la madre gli parlò del Vesuvio e da studente del Liceo Buffon l’insegnante descrisse, con modi di disarmante semplicità, un vulcano. Il suo interesse divenne più concreto nel 1949, in seguito alle notizie su due eruzioni, una dello Stromboli ed una dell’Etna. Da qui in poi è tutto un crescendo di interessi, studi, esperienze e viaggi sui vulcani di tutto il mondo.
Dal 1969 Jean-Claude si interessa della datazione magnetica delle lave: nel suo articolo ci spiega i principi di questa tecnica, che ha permesso di realizzare delle carte geologiche scevre da tantissime inesattezze presenti nelle carte più antiche, dovute principalmente ad errori presenti nelle fonti storiche. Autore di innumerevoli pubblicazioni scientifiche, ha realizzato parecchi libri «per il grande pubblico»: Les Volcans, Dictionnaire des volcans e il più noto L’Etna et le monde des volcans.
Boris Behncke oggi è ricercatore presso l’INGV-Osservatorio Etneo di Catania. Nella sua testimonianza ci racconta come è diventato un vulcanologo: la sua “folgorazione” è avvenuta alla tenera età di 4 anni, quando rimase affascinato dalla visione di una foto del lago di lava del Kilauea. Solo qualche anno più tardi, il giardino della casa dove abitava, in Germania, cominciò a popolarsi di coni vulcanici in miniatura che fumavano e generavano fiamme! Da qui in poi l’interesse per i vulcani è aumentato sempre di più, fino a concretizzarsi, nel 1989, in quello che egli definisce il suo Grand Tour su tutti i vulcani dell’Italia.
E qui entra in scena l’Etna che, proprio in quell’occasione, gli si offrì in quasi tutte le manifestazioni che un vulcano potesse offrire. Boris ci racconta di tutte le sue esperienze vissute sull’Etna, delle sue vicende personali e delle difficoltà superate per arrivare al primo aprile del 2005 quando, e non si trattò del classico “pesce d’aprile”, iniziò finalmente la sua attività presso l’INGV.
L’Association Volcanologique Européenne è nata trentadue anni fa, nel 1986, come associazione a carattere scientifico. L’obiettivo, indicato nella pagina di presentazione del suo sito internet (http://www.lave-volcans.com), è quello di favorire gli scambi scientifici tra i domini delle scienze della Terra, e di contribuire alla valorizzazione della ricerca vulcanologica grazie alla sua rivista.
Tutti possono aderire all’associazione, professionisti e semplici appassionati di vulcanologia, di qualunque nazione, animati dalla volontà di eseguire azioni di informazione all’indirizzo del grande pubblico.
L’associazione ha sede a Parigi, in rue de la Guadeloupe n.7 e può essere raggiunta per email all’indirizzo [email protected].
Nella fotogallery, per chi volesse leggere l’intero mio contributo in francese, le 8 pagine dell’articolo, precedute dalla copertina del numero di settembre 2018 della rivista LAVE.
(Gaetano Perricone). Affascinato da questo ancora una volta magnifico e super documentato articolo di Santo Scalia, che ci fa conoscere nei dettagli questa splendida pubblicazione francese dedicata nel numero di settembre quasi interamente all’Etna Patrimonio dell’Umanità, oltre al grande e prezioso Santo ringraziamo l’amico Boris Behncke, brillante ricercatore e divulgatore dell’INGV Osservatorio Etneo e il professore Jean Claude Tanguy, espertissimo di vulcani del mondo che ho avuto l’onore di incontrare nell’ambito del mio lavoro, per i loro illuminanti e appassionati contributi alla conoscenza della nostra Muntagna in una vetrina estremamente importante e prestigiosa qual è la rivista dell’Associazione Vulcanologica Europea di Parigi.
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