di Mario Mattia
Sempre più spesso si rincorrono, sui potentissimi social e sugli altrettanto potenti media tradizionali, notizie che paventano grandi catastrofi naturali come vulcani che scivolano in mare generando tsunami, mega-eruzioni imminenti di questo o quel vulcano, mutazioni climatiche, terremoti di spaventosa potenza che si abbatteranno su questo o quel paese e via discorrendo
“Stampando una notizia in grandi lettere, la gente pensa che sia indiscutibilmente vera” diceva Jorge Luis Borges, e lui era un saggio, uno che conosceva bene l’uomo e le sue paure. E che considerava l’irrazionalità e la difficoltà di rappresentare la complessità del reale gli unici elementi da temere.
Ed io, indegno epigono, aderisco a questa visione, e di fronte a questa martellante tempesta, cerco di mantenere un atteggiamento distaccato e, finché la mia cultura scientifica mi assiste, anche critico nei confronti di chi travisa notizie di origine accademica per piegarle a utilitaristici ed economicamente redditizi “clic” su pagine di dubbia reputazione. Ma tendo ad avere lo stesso atteggiamento nei confronti di quanti, più o meno consciamente, prestano facili appigli al catastrofismo o al sensazionalismo nei loro scritti o nei loro interventi pubblici. Siano essi scienziati, opinion leader, politici o esperti di settore.
Come dimenticare, attenendoci all’ambito scientifico, gli allarmismi sulla Sindrome della Mucca Pazza, novella Peste Nera a detta di molti esperti e destinata a produrre moltitudini di vittime tra i consumatori di carne bovina? Le vendite di carne crollarono, governi dall’approssimativa cultura scientifica vietarono per anni perfino la celebre bistecca fiorentina, salvo ricredersi quando le vittime di quella sindrome si rivelarono poco più di 200 e perlopiù limitate all’Inghilterra. Bastarono banali provvedimenti per vietare l’uso delle farine animali nella zootecnia e tutto finì. E come non citare la SARS, l’Aviaria o l’Influenza suina. Ricordo un giovane rumeno che aveva fatto per me un lavoretto in campagna e, quando gli chiesi quanto gli dovevo, alzò le spalle dicendomi: “faccia lei, non mi importa nulla, tra non molto saremo tutti morti per l’aviaria”. E non scherzava affatto. (ci tengo a precisare che lo pagai adeguatamente e non approfittai delle sue paure…a scanso di equivoci!).
E che dire del fantomatico Millenium Bug, che doveva colpire tutti i computer alla mezzanotte del 31 dicembre 1999? Francia e Germania bloccarono tutti i treni, quella notte, l’FBI pose il livello di allerta al massimo, in attesa di possibili golpe, nati dal caos imminente. Sul neonato WEB si diffondevano i messaggi di fine del mondo.
Morale: in tutto il pianeta si spesero qualcosa come 300 miliardi di dollari per prevenire questa fantomatica apocalisse che, ovviamente, non avvenne mai. E mai sarebbe accaduta, con o senza quei soldi spesi (buttati…).
Ecco. Sono solo alcuni esempi, ma potrei citare i fantomatici Protocolli di Sion, che narravano di cospirazioni ebraiche per il dominio mondiale e che furono portati a sostegno delle follie naziste a giustificazione dell’Olocausto o, perché no? delle altrettanto fantomatiche armi di distruzione di massa che convinsero i governi occidentali ad impegnarsi nella guerra in Iraq. Ma qui ci spostiamo sul piano politico, dove la menzogna è pane quotidiano, soprattutto se in ballo ci sono interessi planetari come il controllo sulle fonti energetiche.
Un breve excursus sulle nostre paure più recenti che, però, mi serve per introdurre il cuore del discorso, ovvero “come impattano tutti questi falsi allarmi sulla psicologia delle masse?” Con la speranza di non dire troppe corbellerie perché mi avventuro su campi dove mi aggiro come un volenteroso dilettante, in linea di massima due aspetti vanno sottolineati: da un lato l’irresistibile attrazione che moltissimi (se non tutti) proviamo nei confronti delle catastrofi, dettata un po’ dalla curiosità di vedere come altri (se si parla di realtà a noi estranee) se la cavano o non se la cavano in situazioni estreme. Ma ben al sicuro nel nostro angolo di mondo al riparo da piranha assassini, tornado spaventosi o megalodonti in libera uscita.
Dall’altro lo sbigottimento che ci causano notizie che preannunciano catastrofi sulle quali possiamo (come singoli) fare ben poco, ma che ci riguardano direttamente. Cambiamenti climatici, terremoti, eruzioni di proporzioni gigantesche etc.
Beh. A questo punto subentra uno strano meccanismo che, per pura salvaguardia della nostra integrità mentale e della necessità di “tirare avanti la carretta” ci fa, molto banalmente, dimenticare o letteralmente rimuovere la conoscenza di quel rischio. Una prova? Fatevi un giro in Piazza Duomo, a Catania, e chiedete in giro se sanno che proprio dove si trovano in quel momento, c’era una pila alta decine di metri di edifici massacrati dal più forte terremoto dell’intero catalogo sismico italiano, con dentro centinaia di persone intrappolate che non sarebbero mai state estratte. Correva l’anno 1693 e un sisma di magnitudo stimata intorno a 7.4 massacrò 60.000 persone in tutta la Sicilia Orientale (15.000 solo a Catania, il 65% della popolazione). Beh. I musi si gireranno e “si…lo so…ma megghiu ca non ci pinsamu” sarà l’inevitabile risposta media (oltre ad un bel gruppo di persone che letteralmente ignorano quanto accaduto).
E’ normale che sia così. Cosa dovrebbero fare? Abbandonare la città? Lasciare la famiglia e i propri beni per un terremoto che di certo si ripeterà, ma non si sa se tra cento, mille o diecimila anni? Impossibile.
Ma questo è solo una parte del problema. Poi entrano in gioco i lupi. Si. I lupi. Ricordate la favoletta del ragazzino che gridava “al lupo, al lupo!” per attirare l’attenzione e schernire chi interveniva in suo soccorso e che poi, quando il lupo di presentò davvero, fece una brutta fine perché a quel punto nessuno ci credeva più? Bene. Questo è il cosiddetto “Effetto Crywolf” (in inglese fa più fico) del quale si parla quando una sovrabbondanza di allarmi senza effetti, genera un atteggiamento di incredulità. Ed è proprio quello che succede se, in cerca di vanitosa attenzione mediatica o realmente preoccupati per un rischio che, erroneamente, ritengono imminente, gli “esperti” si lanciano in previsioni che o si rivelano un flop o si manifestano in fenomeni di magnitudo inferiore a quelli paventati.
Ma c’è un “ma”. Ed è un “ma” grosso quanto una casa. Ed è il suddetto effetto crywolf in base al quale, a furia di scaraventare notizie allarmistiche sui media e sui social più o meno a vanvera, si ottiene la funesta conseguenza di un disinteresse crescente verso i reali interventi di mitigazione dei rischi, necessari sia che si parli di vulcani, di dissesto idrogeologico, di terremoti o di altri rischi ad alto impatto.
Soluzioni a questo garbuglio complesso di psicologia, impatto mediatico, improvvisazione comunicativa da parte degli “esperti”? Magari. O meglio. Uno c’è. Ed è il buon vecchio uso della ragione come guida dell’azione. Ricetta volteriana più volte presentata alla farmacia dove si cercano cure ai mali sociali, prescritta da medici illuminati, ma spesso usata male da pazienti poco pazienti.
E oltre la ragione? Non lo so. Fare il tuttologo, sebbene mi intrighi e mi appassioni, non è il mio mestiere. Attenderò, con serena fiducia nell’intelligenza, che si avveri un mondo dove, innanzitutto, ciascuno fa il mestiere che sa fare e che si limiti solo a quello. Senza improvvisarsi comunicatore, giornalista o scienziato.
Sarebbe, intanto, un bel risultato. Non credete?
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