di Santo Scalia
Gli anni Ottanta del secolo scorso sono stati per l’Etna un periodo di grande attività.
Tra il 17 ed il 23 marzo dell’81 una colata lavica, molto fluida, minacciò seriamente il paese di Randazzo. Nel 1983 fu il versante meridionale a subire pesanti danni a causa dell’eruzione che stravolse l’area del Rifugio Sapienza; nel corso di quell’evento va ricordata la distruzione della funivia e di molte delle strutture turistiche della zona, la cancellazione della strada provinciale 92 (la Nicolosi-Rifugio Sapienza) ed il tentativo di deviazione della colata lavica con l’utilizzo di esplosivi (ilVulcanico). L’anno successivo, il 1984, fu caratterizzato principalmente dall’attività del Cratere di Sud-Est. Poi, nel marzo dell’85, ancora una eruzione sul fianco sud, quella di cui quest’anno ricorre il 35° anniversario. Nel dicembre dello stesso anno una breve eruzione, e la correlata attività sismica causarono una vittima nel crollo dell’Hotel Le Betulle a Piano Provenzana (ilVulcanico). A cavallo tra il 1986 ed il 1987, in Valle del Bove, una modesta eruzione portò alla formazione dei Monti Rittmann, ed infine, nel 1989, vari episodi eruttivi dettero vita a fontane di lava dal cratere di Sud-Est, colate laviche nella Valle del Leone e, nel versante sud, ad una frattura secca (non effusiva) che tanta apprensione causò tra gli esperti per i possibili pericoli che essa avrebbe potuto rappresentare.
Ma torniamo all’eruzione del 1985: l’area interessata fu praticamente la stessa della più devastante eruzione di due anni prima, che aveva sconvolto il versante meridionale dell’Etna dal 28 marzo al 6 agosto dell’83 (131 giorni). Fortunatamente l’eruzione dell’85, pur avendo ulteriormente apportato danni alle strutture della funivia, ebbe una portata minore, avendo emesso solo 30 milioni di metri cubi di lava, contro i 79 m3 dell’eruzione precedente.
Nella mattinata di domenica 10 marzo, emissioni di cenere furono osservate sia dal Cratere di Nord-Est sia da quello di Sud-Est; preceduta da un rapido aumento del tremore vulcanico; intorno alle 11:00, una frattura si aprì lungo la parete orientale del Cratere di Sud-Est ed un fiume di lava si riversò nella sottostante Valle del Bove, il tutto seguito alle 12:04 da un intenso sisma. Il “mini-show”, come lo definì il quotidiano La Sicilia nell’edizione del giorno 12, durò meno di 24 ore: «[…] la colata che, partendo dal cratere subterminale di sud-est, si riversava nella Valle del Bove, si è totalmente fermata. Ferma, pure, l’attività sismica e quella esplosiva.»
L’articolo, a firma del cronista che seguiva allora le vicende etnee, Pietro Nicolosi, continuava aggiungendo che «i tecnici appaiono piuttosto scettici di fronte a questa eruzione-lampo, e temono che essa possa rappresentare soltanto la prima fase di un’attività più rilevante». In effetti, osservazioni effettuate sul campo avevano messo in evidenza una frattura che si propagava in direzione della stazione della funivia, e quindi anche del Rifugio Sapienza e delle altre strutture turistiche. Ciò portò il Prefetto del capoluogo catanese ad emettere un decreto per vietare l’accesso alla zona ai non autorizzati.
La frattura radiale si aprì tra quota 2620 e 2480 m., poco più a monte di quella dell’83 (da 2450 a 2250 m.). Appena prima dell’alba del giorno 12, martedì, senza che si registrasse un significativo aumento del tremore vulcanico, a poche decine di metri dalla struttura del Piccolo Rifugio una serie di hornitos (termine di derivazione spagnola, cioè piccoli forni, pinnacoli formati dall’accumulo quasi verticale di brandelli di lava fusa) si generò in corrispondenza della parte più bassa della frattura.
Lì avveniva un moderato degassamento e poco più a valle, all’uscita di un breve ingrottamento, come fosse la bocca di un forno infernale, iniziava la fuoriuscita del flusso lavico. Il Piccolo Rifugio – che era stato già compromesso nell’eruzione precedente – fu danneggiato seriamente dalla frattura che lo passò da parte a parte, e venne lambito dalla colata lavica; anche il garage della stazione della funivia subì gravi danni. Gli hornitos dell’eruzione del 1983, che si trovavano poco più a valle, furono ricoperti. Sia il Rifugio Sapienza, sia la stazione di partenza della funivia e le capanne dei venditori di souvenirs furono sgomberati, così come era già avvenuto due anni prima: il tragico copione si ripeteva ancora una volta.
Due piloni della funivia, l’undicesimo ed il dodicesimo, furono subito distrutti. Quattro giorni dopo toccò alle funi della struttura di risalita, che vennero tranciate; si stimò il loro valore in 300 milioni di lire; infine fu la volta del decimo pilone.
A fasi alterne l’eruzione continuò per altri quattro mesi, con colate che si dirigevano ora lungo le perdici sud-occidentali – minacciando le strutture dell’Osservatorio Astrofisico di Serra La Nave e il Grande Albergo dell’Etna – ora verso sud, mettendo sotto scacco le strutture della funivia ed il Rifugio Sapienza.
L’eruzione si protrasse per 125 giorni, terminò infatti il 13 luglio. Altre strutture furono vittime dell’eruzione: il 26 maggio toccò al monumentino Cagni (un cippo eretto a quota 2100 in memoria di Giovannino Cagni, morto nel 1928 durante una tormenta di neve) che fu circondato dalle colate; il 30 dello stesso mese fu ricoperta la capanna in legno dell’Agonistica Sci-K; infine il 24 giugno fu investito, ma non abbattuto, il tredicesimo pilone. L’opera di distruzione di quest’ultimo fu completata prima che finisse il mese.
Nella Fotogallery sono raccolte alcune delle foto realizzate da me e dal Professor Jean-Claude Tanguy nel corso dell’eruzione.
Con il titolo: il teatro eruttivo e gli hornitos del 1985 (Foto S. Scalia)
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