di Santo Scalia
Cosa c’entra De Roberto con l’Etna?
Federico De Roberto, noto nel mondo letterario soprattutto per aver scritto il romanzo storico I Vicerè, era nato il 16 gennaio 1861 a Napoli, ma si trasferì a Catania, con la madre, già nel 1871.
Nel 1879, all’età di 18 anni, proprio a Catania completò gli studi superiori conseguendo il diploma (aveva scelto la sezione fisico-matematica); proprio in quel periodo scriveva per dei periodici romani e milanesi.
Qualche settimana fa un mio caro amico, Antonio Cavallaro, studioso e profondo conoscitore della storia di Linguaglossa, mi ha gentilmente inviato una copia digitalizzata di un manoscritto di Federico de Roberto, dal titolo L’Eruzione dell’Etna, da lui rinvenuto negli archivi digitali resi pubblici dal progetto di DIgitalizzazione e Fruizione del FONDO Benedettino delle Biblioteche Riunite “Civica e A. Ursino Recupero”, per l’appunto denominato DIFFONDO.
Si tratta di sette paginette, firmate dallo stesso De Roberto, nelle quali il giovane scrittore descrive gli eventi che precedettero l’eruzione etnea del 1879 e l’evoluzione della stessa.
Il resoconto redatto dallo scrittore venne pubblicato nel numero 76 de La Rassegna Settimanale di Politica, Scienze, Lettere ed arti, apparso a Roma il 15 giugno del 1879, solo otto giorni dopo la conclusione dell’eruzione.
«Non bisogna credere che l’Etna sia entrato nel periodo di attività il 26 maggio, giorno in cui si squarciarono i fianchi del monte: sono 8 mesi che le potenti forze plutoniche travagliano, con energia insolita, le sue viscere e che, per un lavorio sotterraneo immenso, si sono potute manifestare allo esterno. Non solamente, ma vedremo fra breve come bisogna spingere ancora più indietro, e di molto, la data dei prodromi della presente eruzione».
Così esordisce il reporter De Roberto, che continua poi col relazionare un’attività del Vesuvio, di poco antecedente, con la nuova manifestazione etnea; poi, ricorda varie scosse telluriche registrate nella provincia catanese, e l’attività eccezionale osservata presso la Salinella di Paternò.
Ancor prima di passare a descrivere l’eruzione in corso, De Roberto avanza un’ipotesi: «[…] Un altro carattere della presente eruzione è questo: che essa è stata preparata molto probabilmente fin dal 1874. Infatti, il 29 agosto 1874 alle 4 ant., dopo un seguito di imponenti dimostrazioni di lavorio sotterraneo, si squarciò il fianco nord-nord-est dell’Etna tra Randazzo e Castiglione e vi si formarono 35 bocche; dalle quali rigurgitò la lava per circa 7 ore […]», e cita, a conforto di quanto ipotizzato, il pensiero del Professor Silvestri: “L’Etna, con questa eruzione del 1874, che dopo un apparato imponente è rimasta abortita sul bel principio del parossismo, ha arricchito di una pagina importante la storia dei vulcani”.
Effettivamente, tra il 29 ed il 31 agosto del 1874, una frattura eruttiva si era aperta nel versante settentrionale dell’Etna: contemporaneamente ad un’intensa attività esplosiva del Cratere Centrale – allora l’Etna aveva un solo cratere sommitale – dalla frattura apertasi tra I 2450 ed i 2200 metri di quota, due colate di lava si diressero verso nord-est, ma stranamente non superarono la lunghezza di 150 l’una, e 400 metri l’altra.
In totale l’Etna emise circa 1,35 milioni di m3 di lava, una quantità esigua per i suoi standard, e ciò portò Orazio Silvestri ad ipotizzare che si fosse trattato di un’eruzione abortita.
Nel caso del 1879, l’eruzione si manifestò non solo nel versante settentrionale, ma anche in quello sud-occidentale, a monte del paese di Biancavilla; qui, intorno ai 2680 metri, si aprirono delle bocche che generarono una colata di circa due chilometri; nel versante settentrionale invece la situazione fu ben diversa, come descritto dal De Roberto: «[…] Sulla linea dello squarciamento, che misura ben 10 chilometri, erano situate le tre principali aperture: la bocca centrale dell’Etna; un grande cratere laterale, costituitosi poi, che slanciava nembi di arena e di scorie e di massi infuocati; e finalmente ad un livello più basso la voragine eruttiva, situata tra due antichi crateri: il Monte Nero e la Timpa o Monte Rosso. […]».
Dopo aver descritto minuziosamente la struttura delle bocche createsi sulla frattura, De Roberto descrive la topografia dei luoghi dell’eruzione: «Intanto la lava eruttata si immise in una specie di valle formata dale correnti laviche del 1646 e 1874, e, dopo averla colmata, proseguì nella Sciambra di Luca, colmando le Pagale dei Germanelli; attraversò poi una parte del magnifico bosco di Collebasso, distruggendo circa 5000 pini e faggi».
Poco tempo dopo «[…] La corrente entrò in seguito nell’alveo del torrente Pisciaro: la sua velocità fu da principio di 4 a 5 metri per minuto, poi diminuì fino a 2 e ad 1 metro, perché l’inclinazione del terreno andava scemando.» Poi il resoconto continua: «[…] dopo aver percorso più di 10 chilometri dalla sorgente, la lava giunse al Ponte Pisciaro, costruito sulla strada che circuisce l’Etna, e propriamente nel tratto Randazzo-Castiglione.»
Una situazione simile si ripresenterà quasi un secolo dopo – precisamente 102 anni dopo, nel 1981 – poco più ad occidente: infatti, 40 anni fa, la lava dell’Etna tornò ad interrompere la strada statale, stavolta tra Randazzo e Montelaguardia.
La descrizione di De Roberto continua ancora: «[…] La corrente intanto, tagliata così la strada, continuò il suo corso al di là di essa, dirigendosi nella valle dell’Alcantara, nel cui mezzo scorre il fiume omonimo, e distruggendo boschi di querce e nocciole, vigne, giardini, case.»
Prima di chiudere il resoconto, De Roberto scrive di un fenomeno, che oggi definiremmo diffusione di fake news, e che ci porta a considerare che dopo quasi un secolo e mezzo nulla è cambiato nel costume di certuni sempre alla ricerca della notizia sensazionale, ancorché inesatta: «[…] Anzi a questo proposito notizie esagerate, falsissime correvano pei giornali: a Roma telegrafarono addirittura che la lava s’era precipitata nell’Alcantara ed aveva distrutto Moio [paesino della Valle dell’Alcantara, posto al di là del fiume omonimo n.d.A.]. Invece, seguitando le cose nelle condizioni in cui erano, era difficilissimo che Moio fosse raggiunto dal fuoco; essendo più naturale, se la lava arrivava [sic] all’Alcantara, che essa, seguendo l’inclinazione del suolo, scendesse pel corso del fiume.»
L’eruzione del 1879 è stata un tipico esempio di eruzione bilaterale o biradiale: la lava era scaturita inizialmente nel versante sud-occidentale del volcano e poi in quello settentrionale, minacciando da vicino il villaggio di Passopisciaro ed apportando seri danni alle aree coltivate; la colata lavica interruppe i collegamenti tra la costa e l’entroterra, tagliando, come già detto, la strada statale tra i paesi di Linguaglossa e Randazzo. Infine si arrestò a breve distanza dal fiume Alcantara – avvenimento anche questo accaduto nuovamente nel 1981 – quando la lava raggiunse quota 550 m.
Pur essendo stata un’eruzione di breve durata – solo 12 giorni, dal 26 maggio al 7 giugno – fu emesso un volume di lava stimato in 23 milioni di m3, oltre a più di 30 milioni di m3 di tephra.
Al tempo dell’eruzione il sovrano d’Italia era Umberto I (regnò dal gennaio 1878 fino a fine luglio del 1900), e sua consorte fu Margherita di Savoia. In loro onore, i due crateri maggiormente attivi nel versante settentrionale furono denominati Crateri Umberto e Margherita. Per quasi un secolo, nelle carte topografiche dell’I.G.M. (Istituto Geografico Militare) questi due crateri furono indicati in una posizione che non corrispondeva effettivamente ai crateri del 1879.
In seguito alle ricerche e agli studi di archeomagnetismo svolti sul nostro vulcano dal Professor Jean-Claude Tanguy (dell’Institut du Globe de Paris – Observatoire de Saint-Maur) si è giunti a poter posizionare correttamente i due crateri, sui fianchi orientale e nordorientale del vicino Monte Pizzillo (quest’ultimo databile intorno al 970 d.C.). I crateri identificati in precedenza con i nomi dei reali sono più verosimilmente nati nel corso dell’eruzione del 1809.
De Roberto tornerà a scrivere dell’Etna: nell’aprile del 1880 su L’Esploratore, un mensile edito a Milano che si definiva “giornale di viaggi e geografia commerciale”, fu pubblicato un suo articolo nel quale veniva descritta la realizzazione, sull’Etna, dell’Osservatorio Etneo. Un articolo del nostro scrittore apparve sul periodico L’Illustrazione Italiana del 26 giugno 1886, relativo all’eruzione che proprio in quell’anno aveva minacciato da vicino i paesi di Nicolosi e Belpasso. Altri suoi scritti vennero pubblicati anche sul Giornale d’Italia (Roma, 30 marzo e 3 aprile 1910) e sul Giornale di Sicilia (3 marzo 1925).
Con il titolo: l’eruzione vista da M. Vierge (da Le Mond Illustré – 18 giugno 1879)
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