di Santo Scalia
Quella di Pietro Bembo è una delle più antiche descrizioni del vulcano siciliano, scritta in latino (come era uso tra gli ambienti colti dell’epoca) al ritorno a Venezia dopo aver soggiornato presso Costantino Lascaris a Messina dal 1492 al 1494. Lì Bembo era andato per perfezionare le sue conoscenze di greco.
Tale descrizione, dal titolo Petri Bembi De Aetna ad Angelum Chabrielem liber, fu pubblicata a Venezia nel 1496, ed è ideata sotto forma di dialogo tra l’autore ed il padre, Bernardo. Il giovane Bembo (era nato nel 1470 ed aveva quindi circa 25 anni all’epoca della stesura) dedica l’opera al suo fraterno amico e compagno di studi Angelo Gabriel, di nobili origini.
A seguito delle domande del padre, Pietro risponde di volta in volta, citando gli scrittori greci e latini che, prima di lui, avevano descritto il vulcano, e descrivendo a sua volta gli aspetti salienti della sua ascensione alla cima del monte. Riporto di seguito alcuni dei più significativi brani relativi alla descrizione dell’Etna, tratti dall’edizione pubblicata dalle “Edizioni di storia e studi sociali” del 2016, e tradotti da Salvatore Cammisuli:
«Al vertice ci sono due crateri, dei quali noi stessi abbiamo visto il secondo, che è meno profondo, stretto come la circonferenza di un pozzo […]»
«Una piana pietrosa lo circonda con uno stretto giro; appena scendemmo in esso, quasi percossi in volto da improvvise nuvole di zolfo e da fumo ardente come quello che esce da una fornace, tornammo indietro. […]»
«[…] avvenne che nel luogo che osservavamo con più attenzione, coperto di sassi appena affusi e che ancora contenevano fuoco e zolfo, attraverso una spaccatura che si era aperta si mise a sgorgare un fiume di lava, proprio sotto i nostri piedi […]»
Certamente fortunati, questi due escursionisti di mezzo millennio fa: un’unica ascensione al cratere dell’Etna e… una frattura eruttiva si offre alla loro sbalordita osservazione! E, giustamente, Bembo Padre rimprovera il giovane “incosciente” figlio: «Non sapevate che Plinio il Vecchio morì così, mentre in maniera troppo scrupolosa, per non dire sconsiderata, esaminava l’eruzione del Vesuvio?». Il giovane risponde che sì, era conscio del pericolo che correvano ma «[…] eravamo presi dal piacere di quello spettacolo straordinario e da una così grande meraviglia che già nessuno di noi si ricordava più di se stesso. […]». Quasi una sindrome di Stendhal, diremmo oggi, al cospetto di un’opera d’arte della natura.
Ma non è stata ancora raggiunta la vetta: «Da questo cratere, di cui ho detto, la montagna si eleva per un tiro di fionda con una salita durissima […] e il pendio subito ci sovrasta da tutti i lati. Questo è il sommo vertice dell’intera mole […]». Sfortunatamente, per il troppo vento, per il troppo fumo, «[…] di questa parte non ti posso dire null’altro […]». Così, ritornati a Messina, i due giovani raccolgono le informazioni dal monaco Urbano, che pochi giorni prima era stato in quei luoghi e aveva potuto osservarli con più comodità. Apprendono che «quel vertice» è occupato da uno smisurato cratere dalla circonferenza di circa quattro stadi, dalla forma conica rovesciata, e con un foro centrale dal quale, secondo quanto visto dal monaco, «[…] la montagna eruttò con gran fragore lava, fumo e pietre ardenti, che si innalzavano sopra la bocca quanto un tiro di freccia, o anche di più[…]».
Nel 1538 Bembo divenne cardinale (all’età di 68 anni); l’anno
successivo si trasferì di conseguenza a Roma, dove concluse la sua vita il 18 gennaio 1547 (a quasi 77 anni).
Dell’opera del Bembo ho diretta conoscenza di tre edizioni: la prima, della quale ho riportato la prima pagina ed il colophon (con l’indicazione del luogo, dell’editore e della data di pubblicazione: Venezia, presso Aldo Manuzio, e febbraio dell’anno MVD, cioè del 1495); la seconda pubblicata a Palermo nel 1981 dall’editore Sellerio, dal titolo De Aetna: iconografia / il testo di Pietro Bembo tradotto e presentato da Vittorio Enzo Alfieri, con note di Marcello Carapezza e Leonardo Sciascia; la terza del 2016, già indicata in precedenza e dalla quale ho tratto i brani tradotti in italiano.
Le edizioni sono chiaramente state molte di più: nel 1530 (Bembo era ancora in vita) fu ripubblicata da Giovanni Antonio Nicolini, poi a Lione, Basilea, Strasburgo, Amsterdam e nuovamente a Venezia. Dopo una sosta di circa due secoli l’opera sarà riedita nel 1969 da Madersteig a Verona, quindi da Sellerio a Palermo nell’81 ed infine nel 2016. Nel 2017 Gareth D. Williams dell’ Oxford University Press ha pubblicato l’opera di Bembo con il titolo The Ascent of a Venetian Humanist.
Con il titolo: Tiziano Vecellio, ritratto di Pietro Bembo cardinale (particolare), Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte.
Commenti recenti