di Adolfo Fantaccini
Il Mondiale di calcio del 1974 non passò alla storia solo per essere il primo del dopo-Coppa Jules Rimet, conquistata definitivamente quattro anni prima in Messico dal Brasile; non solo per avere messo in vetrina il primo modello di ‘calcio totale’, grazie agli olandesi guidati dal ‘santone’ Rinus Marinus Michels; non solo per essere stato il primo ospitato dalla Germania Ovest, ancora divisa da quella dell’Est, solo due anni dopo le drammatiche Olimpiadi a Monaco di Baviera; nemmeno per avere fatto registrare la concessione di un rigore in finale dopo appena un minuto e mezzo di gioco. Entrò nella storia del calcio per un episodio curioso e davvero singolare. Un vero e proprio caso di ambigua controversia legata al marketing. Ne fu protagonista-vittima il cosiddetto ‘Profeta del gol’, Johan Cruijff, ex figlio di una lavandaia dell’Ajax Amsterdam, poi divenuto bandiera della Nazionale olandese e del Barcellona, nonché testimonial di punta della Puma.
La bislacca ma affascinante vicenda è innescata da due fratelli tedeschi Adolf ‘Adi’ (fondatore dell’Adidas) e Rudolf (fondatore della Puma) Daessler. I due si separano dopo un litigio e il secondo fonda – a pochi km dalla celeberrima casa a ‘tre strisce’, sempre ad Herzogenaurach – l’azienda che ha per simbolo appunto un puma. Le due aziende competono da sempre per aggiudicarsi i testimonial più allettanti, con l’obiettivo di ottenere la maggiore visibilità possibile.
La finale del 7 luglio 1974, nell’Olympiastadion, a Monaco di Baviera, si sarebbe disputata fra due squadre, Olanda e Germania, sponsorizzate dallo stesso marchio: l’Adidas, appunto. La finale avrebbe dovuto sancire la vittoria, in ogni caso, di una squadra vestita a tre strisce, con la griffe cioè di Adolf Daessler. La soluzione, però, non era a portata di mano, almeno per la Puma. Il problema stava nel fatto che il capitano dell’Olanda, Johan Cruijff, era un prestigiosissimo – e remuneratissimo – testimonial della Puma, dunque bisognava impedire a ogni costo che indossasse materiale sportivo della concorrenza, peraltro davanti agli occhi di tutto il mondo. Ma come riuscirci?
L’idea geniale, secondo una leggenda che trova riscontro nelle testimonianze di chi c’era, viene proprio a Rudolf Daessler: ‘Mister Puma’, chissà come, ottiene dalla Federcalcio olandese di fare in modo che, nella maglia, nei pantaloncini e nei calzettoni indossati da Cruijff, venisse occultata una striscia (bastava scucirla dal nastro di seta con le tre piccole bande nere). Ma soprattutto che sparissero (e qui è bastato un cerotto di colore arancio, vale a dire dello stesso colore delle maglie dell’Arancia meccanica olandese) le foglie di ninfea tipiche del brand Adidas.
Il materiale viene così ritoccato e nessuno se ne accorge, tranne naturalmente Adolf Daessler, che va su tutte le furie. Ma i giochi, ormai, sono fatti. E, meno male che l’Olanda perde la finale (dopo il rigore di Johan Neeskens, segnano i tedeschi Paul Breitner – sempre su rigore – e Gerd Mueller), altrimenti il ‘Profeta del gol’ sarebbe stato chiamato ad alzare al cielo la prima Coppa Fifa della storia con una maglia ‘ritoccata’.
La Puma, nella propria storia, è riuscita a contrattualizzare i tre campioni più forti di sempre grazie a contratti faraonici: Pelè, Cruijff (appunto) e tale Maradona. Lo scontro fra i fratelli Daessler, successivamente a quel Mondiale 1974, avrebbe riservato altri colpi a sorpresa. Altro che spionaggio industriale …
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