di Rita Troiani *
L’hanno chiamata didattica a distanza, ben presto diventata DAD, giusto perché si sentiva la mancanza dell’ennesimo acronimo.
In tempi di Covid-19, la scuola viene espropriata, defraudata dei suoi spazi abituali, coi docenti costretti al lavoro dal salotto di casa, con figli, cani, gatti e coniugi che, in sottofondo, passeggiano, tentando di non farsi inquadrare dall’occhio impietoso di Skype, Times o Meet. I capelli sono in disordine, spesso la ricrescita fa capolino dalle teste chinate. Ma si sa, i parrucchieri sono chiusi e comunque non è tempo di vanità, questo.
Eppure si lavora, si lavora più che mai, con tutti i mezzi più o meno tecnologici che riusciamo a reperire. In un tempo non tanto lontano, anzi direi vicinissimo, le pastoie del GDPR (la privacy) mi avrebbero fatto insorgere contro il malcapitato docente che si fosse azzardato ad usare whatsapp per comunicare coi suoi alunni. Oggi, grazie alla straordinaria lezione che questo minuscolo organismo vivente ci sta impartendo, tutto è lecito. La privacy? Le liberatorie? Qui c’è da far partecipare alle lezioni chi a casa ha solo il telefonino, magari condiviso. Alla forma ci penseremo poi, adesso la scuola deve assolvere alla sua dimenticata funzione, ovvero la cura. Strano, o forse neanche tanto, che alla fine sempre alla cura si torna: cura dei corpi negli ospedali, cura delle anime a scuola. Già perché il piccolo esserino che ci comanda le giornate, ha fatto emergere anche altri aspetti da tempo trascurati, ovvero l’importanza di investire in istruzione e sanità. Nella prima perché il mondo social fa emergere la considerazione che c’è gente che non sa leggere oltre il titolo o che comunque ha difficoltà nel capire cosa legge. E men che meno sa scrivere: il tanto utilizzato “ C’E’ LA FAREMO” è roba da ritorno alle elementari per direttissima. Della seconda, ovvero la sanità…beh, che ne parliamo a fare?
La cura dunque, di una generazione che ha dovuto mettere a nudo la sua fragilità. Ma non i ragazzi, o meglio non solo loro. Certo, le immagini di chi non rinuncia allo spritz non sono edificanti, ma sono il riflesso di una generazione di genitori che spesso ha abdicato al proprio ruolo, delegandolo alla scuola. Si lavora, si corre, si è stanchi, si ha altro da fare per curarsi dei figli. Ora, complice il virus, i genitori devono riappropriarsi forzatamente del loro ruolo, curandosi dei loro figli, senza scuse.
Ed ecco il miracolo. La tanto bistrattata categoria dei docenti (quelli che: ce l’hanno con mio figlio- fanno tre mesi di vacanza- alla fine quanto lavorate? tre ore alla mattina?) viene finalmente vista per quello che è. I docenti si riappropriano del loro perduto ruolo, con dedizione, perdendo la vista sulle foto dei compiti, rintracciando alunni dispersi nell’etere, insomma buttando il cuore oltre l’ostacolo, come peraltro avevo chiesto loro di fare quando ancora tutta questa faccenda sembrava avere l’odore dell’esagerazione. I docenti si riappropriano del loro ruolo, si formano da soli, provano, riprovano, sperimentano. E i bambini (io dirigo un Comprensivo) cercano i docenti a tutte le ore. Fanno i compiti con entusiasmo, compresi quelli che a scuola il banco lo scaldavano.
In tutto questo il dirigente coordina, presidia, sostiene e supporta. Spegne gli incendi, placa gli ardori eccessivi, si presenta in videoconfenza in pigiama, il tutto fra un voltaren ed un muscoril, indispensabili per tenere a bada le vertebre riottose .
La chiamano didattica a distanza, dicevamo. Ma a me sembra didattica della vicinanza, quella che adesso ci manca tanto.
Ancora una volta, il maledetto ha fatto emergere la necessità di cose che abbiamo sempre dato per scontate: un abbraccio, un bacio, un caffè insieme. Forse, anche se certamente non in questo modo, certamente non piangendo tutti questi morti, ne avevamo bisogno.
*Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Paolo II” di Capo D’Orlando
Punto di vista Doc
di Cosimo Argentina *
Una preside non è una docente che ha vinto un concorso. Una preside è quella figura in piedi sul guado che ha come sponde da un lato l’umanità e la coerenza e dall’altro l’efficienza, la professionalità e una capacità manageriale. Un docente non è solo uno che è entrato nelle graduatorie di istituto, della provincia o nel ruolo. È una figura che entra in una classe con la voglia e la capacità di uscirne, dopo un’ora, lasciando qualcosa di importante e portandosi via qualcosa di altrettanto importante.
Il virus, il bastardo invisibile, ha stravolto il mondo. Morti, terapia intensiva, quarantena. Avrebbe messo in ginocchio anche la scuola se non fosse che un manipolo di docenti coordinati da presidi illuminati non si fosse rimboccato le maniche e preso alla lettera il termine docere ovvero indicare la strada. E nel totale caos di piattaforme più o meno qualificate, indicazioni non sempre corrette e connessioni ballerine sta cercando di non abbandonare i ragazzi a un destino fatto di divano e patatine fritte. L’anno è compromesso, su questo pochi dubbi, ma indicare la strada è sempre qualcosa di importante.
*Docente di diritto presso l’IIS Primo Levi di Seregno
(Gaetano Perricone). Ringrazio di vero cuore Rita Troiani, brillantissima Preside dell’Istituto Comprensivo “Giovanni Paolo II” di Capo D’Orlando, che ho avuto l’onore e il piacere di conoscere il 2 ottobre dello scorso anno, Festa dei Nonni, nell’indimenticabile incontro di presentazione del mio libro “Diversamente nonno” ospitato nella sua scuola su iniziativa della mia carissima amica Sara La Rosa, allora Assessore Comunale al Turismo. Furono un paio di ore davvero emozionanti anche per un giornalista navigato come me, con uno splendido confronto con ragazzi speciali, durante il quale ebbi modo di apprezzare la formidabile professionalità di Rita, la sua umanità, il suo carisma sui ragazzi, la sua simpatia. Abbiamo continuato a sentirci su feisbuc e ho voluto proporle una riflessione per questo blog sulla scuola in questi terribili giorni. Ha subito accettato con entusiasmo, inviandomi queste splendide e appassionanti “considerazioni in libertà di un Dirigente Scolastico, integrate dal punto di vista di un docente”, Cosimo Argentina, autore anche lui di parole di grande profindità. Sarei felice se questo suo intervento faccia da apripista ad altri, che aspetto a braccia aperte, se ne hanno tempo e voglia, dalle tante, validissime amiche (e amici, ovviamente) insegnanti.
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