(Gaetano Perricone). Dopo l’articolo di Giuseppe Riggio pubblicato tre giorni fa da questo blog (http://ilvulcanico.it/un-crocifisso-sulletna-per-lopus-dei/), che tanto interesse e clamore ha suscitato raccontando della grande Croce di ferro appoggiata sulla sabbia vulcanica alla base del cratere dedicato a Escrivà de Balaguer, il sacerdote fondatore dell’Opus Dei dichiarato santo, abbiamo chiesto al nostro caro amico e formidabile “contributor” de IlVulcanico.it Santo Scalia di raccontarci, attraverso la documentazione del suo preziosissimo archivio etneo, la storia di questi luoghi molto importanti e conosciuti del Vulcano Patrimonio dell’Umanità. Ecco la sua ricostruzione, storica e geologica, con una bellissima fotogallery, ancora una volta dettagliata e appassionante.
di Santo Scalia
Per avere un ricordo del cosiddetto Piano del Lago, sull’alto versante meridionale dell’Etna, bisogna aver frequentato la Montagna prima dell’aprile 1971. Bisogna quindi essere almeno, come si usa dire oggi, “over 50”, immaginando così di essere stati in quei luoghi nella tenera età prescolare!
Nella mia mente di “over 60” è ben vivo il ricordo del Piano, sgombro delle colate laviche che successivamente ne hanno modificato la morfologia, libero dall’ingombrante presenza dei crateri successivamente apparsi, il Cratere Escrivà (nel 2001) ed i Crateri Barbagallo (nel 2002): il primo di questi, noto a tutti gli appassionati dell’Etna come Cratere Laghetto (o La Montagnola 2, data la sua prossimità al cratere del 1765, La Montagnola, per l’appunto) è stato successivamente denominato Escrivà, in onore del fondatore dell’Opus Dei José María Julián Mariano Escrivá Albás, canonizzato nel 2002. Resta comunque, a mio avviso, l’estraneità di Escrivà rispetto ai fatti, alle vicende ed alle tradizioni etnee.
Il cratere, come scrive il vulcanologo Boris Behncke, si aprì il 19 luglio proprio nell’area dove annualmente si formava il lago dovuto allo scioglimento delle nevi; per alcuni giorni fu solo un buco dal quale venivano fuori grandi quantità di cenere («… it remained a hole in the ground, which emitted large quantities of fine ash.»). Poi, a partire dal 25 luglio, l’intensità delle esplosioni aumentò esponenzialmente e già il 28 il cratere aveva raggiunto gli 80 metri di altezza. Dopo una sola settimana toccò i 90 metri; il 6 agosto la sua attività terminò definitivamente.
Nell’autunno del 2002 si formarono i due crateri che nel 2008 furono dedicati a Vincenzo Barbagallo, figura mitica tra le guide dell’Etna Sud. Le piroclastiti emesse nel corso della loro attività furono responsabili della scomparsa del Rifugio Torre del Filosofo.
Negli anni antecedenti questi stravolgimenti morfologici, appena raggiunta la base della Montagnola, appariva la visione, alla base del Cono del Cratere Centrale, dell’Osservatorio Vulcanologico di quota 3000, della stazione di arrivo della funivia e, più a destra, del rifugio detto Torre del Filosofo. Leggendo i resoconti delle ascensioni e le descrizioni del vulcano eseguite dagli scrittori del Settecento (ma anche di alcuni del primo Ottocento) non ho trovato riscontro della denominazione Piano del Lago. Né Giovanni Andrea Massa (nel 1708), né Patrick Brydone nel 1755, né Joseph Antoine De Gourbillon nel 1819 o il Conte Henrì de Tilly nel 1834 citano il toponimo.
La prima occorrenza da me riscontrata è del 1818: l’Abate Francesco Ferrara, descrivendo le fasi iniziali dell’eruzione del 1792 e la nascita di quella che oggi è denominata la Cisternazza, così scrive: «Il giorno 25 nel piano del lago, tre miglia a scirocco del cratere si aprì una fossa di 40 piedi di diametro». [Francesco Ferrara – Descrizione dell’Etna con la storia delle eruzioni e il catalogo dei prodotti – 1818]. Quattro anni dopo, nel 1826, il Canonico Giuseppe Alessi, descrivendo anch’egli l’eruzione del 1792, parla del Piano del Lago: «Negli ultimi di maggio estuante squarciavasi fendevasi il monte nel piano del Lago […]». [Giuseppe Alessi – Storia critica delle eruzioni dell’Etna – 1826].
Per avere una spiegazione del perché così venisse denominata quella zona del vulcano, bisogna però attendere ancora qualche anno: nel 1851 Alfred Malherbe, nella sua Ascension à l’Etna così scrive: «[…] nous atteignons une plaine d’une lieue de diamètre, appelée la pianura del‘ [sic] Frumento, quoique certainement ni froment ni graine d’aucune espèce n’y ait jamais germé; ou piano del Lago, d’après una flaque d’eau qu’y formait autrefois la fonte des neiges; ou piano Arenoso, d’après les sables volcaniques qui couvrent presque toute sa surface». (“Raggiungiamo una pianura di un diametro, chiamata pianura del ‘ [sic] frumento, anche se certamente non ha germinato mai né il frumento, né il seme di alcuna specie; o piano del lago, a seguito di una pozza d’acqua che un tempo formava il disgelo; o piano Arenoso, basato sulle sabbie vulcaniche che coprono la maggior parte della sua superficie.
Anche George Farral Rodwell – nel suo Etna del 1878 spiega così il nome: «[…] at length we reach the Piano del Lago or Plain of the Lake, so called because a lake produced by the melting of the snows exists here till 1607, when it was filled up by lava» (“alla fine si raggiunge il piano del lago o pianura del lago, così chiamato perché un lago prodotto dalla fusione delle nevi esiste qui fino 1607, quando è stato ricoperto da lava».
Gli Autori successivi, dal Canonico Recupero al Professore Silvestri, da Emra a De Lorenzo, etc. utilizzeranno la denominazione “Piano del Lago” per indicare il falsopiano che si estende dalla Montagnola (a sud) al Cratere Centrale (a nord).
Prima della realizzazione della funivia per arrivare all’Osservatorio Vulcanologico e ai Crateri sommitali si percorreva l’intera estensione del Piano a piedi o a dorso di mulo. Nei primi anni ’60 fu realizzata la prima funivia, che attraverso due tronconi, permetteva di arrivare alla stazione terminale oltre quota 2900 m., a poche decine di metri dall’Osservatorio. Si poteva così superare, in pochi minuti, il dislivello di più di 400 m. di quota.
Fino al 2001, in primavera, una traccia di quel laghetto era ancora presente. Poi ceneri e lapilli emessi dal Cratere Escrivà (o Cratere Laghetto, come la comunità scientifica e altri, me compreso, lo chiama), hanno livellato il terreno e reso difficile il permanere dell’acqua derivante dallo scioglimento della coltre nevosa.
Tutti i testi citati sono stati consultati e sono presenti nella mia biblioteca cartacea e/o digitale.
Con il titolo: il cratere Laghetto in attività (Cartolina postale, collezione personale)
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