di Santo Scalia
Varie teste coronate sono in qualche modo legate all’Etna, dalla leggenda o dalla storia. Tra di esse imperatori, re e regine. Già al tempo dell’Impero Romano, Adriano ascese le pendici dell’Etna; in pieno medioevo, una leggenda ci dice che la reggia di Artù si troverebbe proprio dentro il Vulcano, luogo in cui egli vivrebbe tuttora! Nel Trecento invece ben due regine sono legate, da leggenda o storia, al vulcano. Infine, nel secolo scorso, un re d’Italia visitò più volte l’Etna.
L’Imperatore Adriano
Nel 128 d.C. Publius Aelius Traianus Hadrianus, da noi più semplicemente conosciuto come l’imperatore Adriano (76 d.C. – 138 d.C.), ritornava a Roma, provenendo dalla Grecia. Egli aveva sentito parlare di una maestosa montagna, l’Etna, e così decise di vederla di persona. Volle scalare il vulcano, ed aspettare dalla sua cima lo spettacolo dell’alba, per venerare l’ascensione del Sole.
La visita di Adriano in Sicilia ci è stata tramandata dal De Vita Hadriani dell’Historia Augusta. Quest’opera è stata tradizionalmente attribuita, tra altri cinque autori, ad Aelius Spartianus (Elio Sparziano): «Poi si recò per mare in Sicilia e là salì sull’Etna per vedere il sorgere del sole che, a quanto si dice, vi appare in una varietà di colori, come un arcobaleno.» [R. Mambella].
«Ex Achaia post in Siciliam navigavit, in qua Aetnam montem conscendit ut solis ortem vederet, arcus specie, ut dicitur varium. Inde Romam venit […]»
La scrittrice francese Marguerite Yourcenar nel suo romanzo Memorie di Adriano (il titolo originale era Mémories d’Hadrien suivi de Carnets de notes de Mémories d’Hadrien, pubblicato a Parigi, da Librairie Plon, nel 1951) così fa dire all’imperatore: “Fu uno dei momenti supremi della mia vita”.
Re Artù
Esistono diverse versioni della leggenda che lega Artù all’Etna, la più antica delle quali è quella descritta da Gervasio da Tilbury, scrittore inglese del secolo XII-XIII, nella sua opera Otia Imperialia.
Altri scrittori, dopo Gervasio, riprendono, anche se con qualche variante, la leggenda: Cesario di Heisterbach (1180-1240), monaco cistercense della badia di Heisterbach, nell’opera Dialogus magnus visionum et miraculorum, e Stefano di Bourbon (1190-1261), religioso francese, oltre che inquisitore domenicano.
Arturo Graf, nella sua famosa opera Miti, leggende e superstizioni del Medioevo, riprende la leggenda di Re Artù e del cavallo del Vescovo, commentando «per secoli fu creduto che Artù, mortalmente ferito in battaglia, non fosse mai morto, ma vivesse in un luogo incantato e recondito. […] Ed ecco farcisi innanzi una tradizione, la quale sembra abbia smarrito ogni ricordo dell’isola di Avalon, e pone la incantata dimora di Artù nell’interno dell’Etna».
Quindi riporta le parole di Gervasio da Tilbury:
«In Sicilia è il monte Etna, [ardente d’incendii sulfurei, e prossimo alla città di Catania, ove si mostra il tesoro del gloriosissimo corpo di sant’Agata Vergine e martire, preservatrice di essa.] Volgarmente quel monte dicesi Mongibello; e narran gli abitatori essere apparso ai dì nostri, fra le sue balze deserte, il grande Arturo. Avvenne un giorno che un palafreno del vescovo di Catania, colto, per essere troppo ben pasciuto, da un subitano impeto di lascivia, fuggì di mano al palafreniere che lo strigliava, e, fatto libero, sparve.
Il palafreniere, cercatolo invano per dirupi e burroni stimolato da crescente preoccupazione, si mise dentro al cavo tenebroso del monte. A che moltiplicar le parole? Per un sentiero angustissimo ma piano, giunse il garzone in una campagna assai spaziosa e gioconda, e piena d’ogni delizia; e quivi, in un palazzo di mirabil fattura, trovò Arturo adagiato sopra un letto regale. Saputa il re la ragione del suo venire, subito fece menare e restituire al garzone il suo cavallo, perché lo tornasse al vescovo, e narrò come, ferito anticamente in una battaglia da lui combattuta contro il nipote Modred e Childerico, duce dei sassoni, quivi stesse già da gran tempo, rincrudendosi tutti gli anni le sue ferite. E, secondochè dagli indigeni mi fu detto, mandò al vescovo suoi donativi, veduti da molti e ammirati per la novità favolosa del fatto.»
Eleonora d’Angiò
Eleonora d’Angiò, figlia di Carlo II d’Angiò, re di Sicilia, e di Maria d’Ungheria, nel 1303 sposò Federico III (detto anche Federico II d’Aragona), che dal 1296 era il re dell’isola di Sicilia. Negli ultimi anni della sua vita risiedette in una modesta dimora ai piedi dell’Etna e poi nel villaggio La Guardia (che sarà distrutto dalle lave etnee dell’eruzione del 1669), presso Malpasso. Da qui si recava spesso nel vicino Monastero di San Nicolò d’Arena a Nicolosi, partecipando alla vita monastica e agli esercizi di penitenza.
Eleonora, che aveva vestito gli abiti dell’ordine di Santa Chiara, morì il 10 agosto del 1341 in una piccola cella di questo monastero (dal 2005 sede dell‘Ente Parco dell’Etna), e fu sepolta nella chiesa di Santa Maria dell’Immacolata, in piazza S. Francesco, a Catania.
Giovanna d’Angiò
La Regina Giovanna di Napoli, Giovanna I d’Angiò, regnò dal 1343 al 1381, ed ebbe grande notorietà in Sicilia. Il suo legame con l’Etna, luogo dove si dice non fu mai, nasce da una leggenda, probabilmente creata per nobilitare le grandi dimensioni di un castagno, per questo chiamato Castagno dei Cento Cavalli (vedi ilVulcanico). Ci affidiamo a Jean-Pierre Houël – che nel 1770 e nel 1776 effettuò due viaggi in Sicilia ed ebbe modo di vedere e raffigurare il castagno – per farci raccontare la leggenda: «[…] Mi dissero come la regina Giovanna d’Aragona recandosi dalla Spagna a Napoli, si fermasse in Sicilia e andasse a visitare l’Etna, accompagnata da tutta la nobiltà di Catania stando a cavallo con essa, come tutto il suo seguito. Essendo sopravvenuto un temporale, essa si rifugiò sotto quest’albero, il cui vasto fogliame basto per riparare dalla pioggia questa reggina e tutti i suoi cavalieri. Questo albero sì decantato e diametro così considerevole è interamente cavo, cioè sussiste per la sua scorza, perdendo con l’invecchiare, le parti interne e non cessando perciò di incoronarsi di verdura. La sua cavità essendo immensa, alcune persone del paese costruirono una casa nella quale vi è un forno per seccarvi castagne e mandorle» [J.Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari].
Re Vittorio Emanuele III
Il 20 giugno 1923 Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia, ovvero Vittorio Emanuele III, re d’Italia, arrivava a Linguaglossa, paese minacciato dalle colate laviche dell’eruzione dell’Etna (vedi ilVulcanico del 17 giugno 2018).
Il diffusissimo settimanale La Domenica del Corriere, nella didascalia a corredo dell’immagine in copertina, opera di Achille Beltrame, scriveva «Nella zona dell’Etna sterminatore, il Re sui luoghi della sciagura, a confortare e soccorrere le misere popolazioni».
Il Re d’Italia Vittorio Emanuele III ritornò sul vulcano ancora una volta, il 21 ottobre del 1934, per inaugurare la “strada per l’Etna”, allora definita l’Autostrada dell’Etna (vedi ilVulcanico dell’1 aprile 2018).
Con il titolo: Jean Houel, il Castagno dei Cento Cavalli a cui è legata la leggenda della regina Giovanna D’Angiò con i suoi cento cavalieri
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