di Francesco Zipper
Tre Giorni dell’Etna. Così si intitolava una gara internazionale disputatasi negli anni ‘60 e ‘70, fortemente voluta da Mimmo Signorelli, un autentico pioniere dello sci agonistico, non solo in Sicilia. Furono invitati tutti i migliori campioni dell’epoca, nel tentativo, riuscito soltanto parzialmente, di inserire le gare di sci sul nostro vulcano nel calendario del Circo Bianco. Alcune edizioni furono molto combattute e nelle ultime, da poco laureato, ebbi l’onore di avere la responsabilità della gestione medica della competizione, con i relativi grandi timori per eventuali incidenti, vista la caratura degli atleti, a cominciare da Gustav Thoeni e Piero Gros. Poi l’Etna, come soltanto Idda sa fare, ricordò a tutti di essere …un vulcano attivo, subentrarono ripetute incertezze nivologiche e meteo-climatiche che, unitamente all’incedere degli anni di Mimmo Signorelli, fecero sì che la competizione non fosse più disputata. Rimane comunque una bella pagina di storia della nostra Montagna.
L’ ultimo week end per me è stato una sorta di Tre Giorni dell’Etna, ma non è dell’omonima gara che volevo parlare, bensì di un triduo, per così dire, cui ho avuto modo di partecipare a partire da venerdì, quando all’INGV di Catania vi è stata l’inaugurazione della mostra fotografica “Le foto dei montanari etnei degli anni trenta”, organizzata con la collaborazione dell’Associazione Etna Viva e del Club Alpino di Catania. Poi sabato, presentazione del volume “Cuore dell’Etna”, scritto a 6 mani da Stefano Pannucci, Santino Mirabella e Salvo Caffo. Domenica, infine, escursione sull’Etna, con moglie ed amici cari sulle balze della Schiena dell’Asino.
Alla fine della “Tre Giorni”, rimembranze, sensazioni ed emozioni che scaturiscono dallo scrigno del proprio animo, da episodi di vita narrata e vissuta, con l’intento e l’augurio di accumulare e maturare, finche ci verrà concesso, nuovi ricordi, sensazioni ed emozioni.
Durante l’escursione, alla Lapide Malerba ho sorvolato col mio sguardo l’immensità della Valle del Bove. Un mare di lava, silenzio, rotto soltanto dalle nostre voci, peraltro rispettose, discrete. Chiudendo gli occhi, ho visto il Piano del Trifoglietto e distintamente il Rifugio Menza. Vi erano diversi montanari degli anni ’30, scortati dalla guida Peppino Strano di Zafferana Etnea, col suo mulo; vi era mio nonno Franz, con i suoi severi, apparentemente teutonici, ma al tempo ironici e meridionali occhi feld-grau, mia zia Herta, sugli sci di fondo, vestita con una elegante gonna-pantalone, mio padre che disputava i Campionati Littoriali di Sci. Ho visto ciò che resta del Castello del Trifoglietto, ho pensato alle cordate che vi si arrampicavano, ancora a mio padre che con Nello Paternò scendevano in corda doppia.
Ho riflettuto sugli ancoraggi improbabili dell’epoca e sui canaponi di corda, che oggi farebbero inorridire gli inflessibili referenti delle Norme DIN e UIAA. Ma questa era l’Etna di allora e la Montagna in generale. Anni di frequentazione gioiosa, dice giustamente oggi Giovanni Condorelli, anche se all’orizzonte si addensavamo minacciose le nubi tetre del II Conflitto Mondiale. Papà di li a poco sarebbe andato via per tornare dopo sette lunghissimi anni….
Sulla Serra del Salifizio la Lapide Malerba. L’incidente drammatico dell’8 Luglio 1987 e la volontà fortissima di Nino Cristaudo di collocare una stele in memoria del suo amico Franco Malerba. L’avventura perigliosa della posa della Lapide, portata su, insieme con Nino, grazie ad un elicottero della Marina Militare, allora sempre disponibile anche in montagna, l’edificazione del cippo ad opera delle mani forti di Turi Carbonaro ed Alfio Mazzaglia, icone dell’Etna, i versi scolpiti, molto commoventi, e la loro recita a voce alta durante la Cerimonia di scopertura della Stele e la Messa in suffragio celebrata dall’Arciprete di Aci S. Antonio, con nostra intensa partecipazione.
Dalla Serra del Salifizio si intravede lo scenario dell’eruzione del 1991-1992. Ricordo le operazioni di guerra autentica condotte sul teatro eruttivo, io giovane medico a disposizione della Prefettura di Catania e degli Arditi Incursori della Marina Militare, per 50 giorni in quota con elicotteri italiani e della U.S. Navy, esplosivi, testate di siluri, il Colonnello Vassale, che si sarebbe acceso con gli esplosivi anche una sigaretta, il suo richiamo periodico, “a ridosso, tutti, attenti al brillamento”. Le razioni da combattimento K, con gallette e cordiale militare, con cui inizialmente ci alimentammo, furono gradualmente sostituite dalle torte con le mele di Santina Carbonaro, dalle salsicce di Nunzio Di Salvo, e dal pollo con patate al forno della mensa di Maristaeli, che il Comandante Leuzzi, “Falco dell’Etna” ci portava su, atterrando col suo elicottero ovunque e comunque.
Uomo generoso e di temperamento, Stefano Leuzzi, vero Comandante di Marina. Una volta, per non lasciarci di sera all’addiaccio, ci caricò tutti a bordo, sollecitandoci con le sue urla imperiose; sull’elicottero, compreso l’equipaggio, eravamo in 13. Non mi sono mai voluto informare su cosa prevedesse in termini di carico massimo il manuale di volo dell’Agusta Bell AB 212; sono certo però che non era contemplata la norma che “in discesa tutti i Santi aiutano!”. Penso comunque che nella circostanza i Santi, letto il manuale di volo, siano intervenuti…!
Mi viene in mente in definitiva l’esperienza, -mi si permetta di dire esaltante-, maturata in quel periodo, l’unità di intenti, in autentica amicizia, indipendentemente dalla valenza dei risultati. E poi, come non ricordare il mitico Saro Di Carlo, “Ruspa”, divenuto meritatamente Cavaliere, di cui in questi giorni il Comune di Biancavilla ha voluto onorare la memoria, intitolandogli una piazza.
Che tempi, si direbbe! Che ogni tanto mi piace rivivere attraverso la telecamera insinuante, discreta, sempre presente di Giovanni Tomarchio, che rese quel periodo da par suo in “Trasparenza Etna”.
Riapro gli occhi. Si odono distintamente cupi boati, l’Etna immanente ci ricorda la sua presenza, ci invita a non distrarci con i ricordi. Schiavi della tecnologia, consultiamo la APP dell’INGV, per valutare lo stato del tremore. Ma dopo poco il cannoneggiamento cessa, come se l’Etna ci dicesse giustamente, “signori miei, faccio quello che voglio, e quando voglio”. Come fece quello che volle il 17 Aprile 2001 quando ci fece omaggio, alla Torre del Filosofo, di tutta la sua potenza, con una scarica, davvero impressionante, di ogni cosa che la geologia cataloga come prodotti della sua attività esplosiva. Ci andò assai bene quella volta, l’Etna si dimostrò amica, forse alla fine lo meritavamo. Dopo alcuni giorni, il Giovedi Santo durante la cerimonia dei Sepolcri, ringraziai per lo scampato pericolo…!
E’ giunto il tempo di scendere. Sentieri, dicchi, le bocche dell’eruzione del 1792. Con i miei amici mi avventuro a spiegare la differenza tra hornito e spatter cono. Ma non sono laureato in Medicina e Chirurgia? Sabbioni, vestigia di un antico tratturo di transumanza, pulvini di spino santo in fioritura e di rosa canina, qualche coccinella. Siamo scortati dal cane husky di un amico, che nell’occasione si comporta da ….cane che conosce padrone!, a differenza di altre volte, non allontanandosi più di tanto.
Arriviamo a Piano dei Pompieri, un sorso d’acqua e via con le auto. La Tre Giorni dell’Etna si conclude, con successo.
Ricordi, sensazioni, emozioni. Da vivere, ognuno per sè, con libertà consapevole, senza condizionamenti, né interdizioni e da custodire gelosamente. Se si vuole, da tramandare.
Già, libertà cosciente di frequentare e vivere questa nostra straordinaria Montagna.
Con il titolo, una bellissima foto ricordo del 1992: operazioni di deviazione della colata, insieme con, CFRS, Soccorso Alpino Guardia di Finanza e Arditi Incursori, Turi Carbonaro, Aldo Saetta e Mimmo Granata. Per le foto pubblicate in questo articolo, si ringraziano sentitamente Riccardo Militello, Anna Paratore, i fratelli Diolosà, Nino Mazzaglia, Alfio Di Carlo.
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