di Giuseppe Riggio
C’è proprio bisogno di una grande croce in ferro da collocare sull’Etna dietro la stazione terminale della funivia, sull’itinerario percorso ogni giorno da migliaia di turisti? Il manufatto è già lì, appoggiato sulla sabbia vulcanica alla base del cratere che si è voluto dedicare a Escrivà de Balaguer, il sacerdote fondatore dell’Opus Dei dichiarato santo.
Quale messaggio intende offrire quel simbolo religioso posto sulla principale via di accesso al vulcano? Sono domande che occorre porsi in un momento storico in cui la chiesa cattolica attraversa uno dei momenti più difficili della sua storia millenaria, soprattutto in termini di credibilità in un paese come l’Italia.
Qualcuno ha deciso di imporre sull’Etna un nuovo evidente simbolo cattolico proprio mentre una popolazione sempre più laica e disinteressata ai temi morali si esalta nel dibattito su come respingere lo straniero. Quale messaggio si intende comunicare al turista chiuso nel fuoristrada che sale verso le aree sommitali? Sembra di capire che mentre la società italiana si dimostra sostanzialmente indifferente alle esortazioni che provengono dalla Chiesa e dalle gerarchie vaticane sui grandi temi della famiglia e della solidarietà, la risposta di qualche integralista sia quella di continuare ad imporre sul territorio croci in ferro.
Ben diversa è stata invece la genesi dei tantissimi altarini sparsi in giro per il nostro vulcano, che offrono la testimonianza storica di fede sentita e popolare. Venivano costruiti da chi vedeva la sua proprietà scampare alla furia dell’Etna, evento che veniva considerato una “grazia ricevuta”, la risposta dall’alto ad una preghiera sincera, in altri casi delle piccole cappelle segnavano il luogo di un pellegrinaggio o comunque di un atto religioso collettivo.
Niente a che vedere con l’idea calata dall’alto di porre un crocifisso su un cratere, come quello del 2001, che è invece la testimonianza più evidente di una natura indomita e irrefrenabile rispetto alla quale ogni credente può restare solo in rispettoso silenzio, senza bisogno di trovarsi di fronte ad un simbolo che proprio per la sua ricchezza e complessità (quella di una morte donata) non può essere imposto ed esibito in un luogo improprio.
Né tantomeno possiamo accettare l’idea che la posa della croce a Monte Escrivà vada intesa come suggello alla dedicazione di un cratere ad un santo che in realtà risulta estraneo alla cultura ed anche alla religiosità degli etnei.
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