di Giuseppe Riggio

Ufficialmente la vetta dell’Etna è ormai chiusa da un anno. Non si può andare. Vietata da varie ordinanze fotocopia che emettono i sindaci competenti sull’area sommitale. Alla base di tutto c’è sempre una specie di catena di S.Antonio che si origina dai comunicati scientifici redatti da INGV e che sostanzialmente si conclude sempre allo stesso modo: vietato salire.

Da un anno non potrebbero andare neanche le guide professioniste con i loro clienti. Usiamo il condizionale perché il Collegio delle guide siciliane, oggi guidato dall’ex presidente nazionale Cesare Cesa Bianchi dopo le accuse di “parentopoli” che sono tuttora all’esame della magistratura, sta cercando di porre nuovamente sul tavolo la questione “accesso alle quote sommitali”. Come del resto aveva già fatto anni fa lo stesso Cesa Bianchi quando  aveva manifestato solidarietà alla campagna per “Etna Libera, nella consapevolezza che la preziosa attività degli accompagnatori non può essere imposta per decreto.

Va detto che la campagna 2020 delle guide è iniziata un po’ in sordina a luglio, con la pubblicazione di un articolato intervento che riguardava sia lo Stromboli che l’Etna. Dalla lettura del documento sembrava di capire che le guide volessero rivendicare (giustamente) una sorta di autodeterminazione. In buona sostanza: a cosa serve la guida se non può decidere almeno sino alla fase di “allerta” conclamata se può salire o no con i suoi clienti ? E’ del resto il tipo di attività che comunemente svolgono gli accompagnatori su tutte le montagne dove non detta legge la Protezione Civile.

Invece sull’Etna no, questo non è possibile. Non solo quindi è ormai annullata l’autodeterminazione del montanaro che può decidere di scalare da solo il Monte Bianco, ma non l’Etna (e di certo i rischi qui sono largamente più bassi), ma anche i lavoratori del vulcano sono costretti ad attendere visti e ordinanze sindacali, frammentate tra tredici (13) spicchi di territori comunali. Una situazione veramente grottesca che il collegio delle guide sta cercando di affrontare con armi diverse: ora minacciando una sorta di indipendenza in nome della competenza professionale, ora paventando il blocco dell’attività di accompagnamento (che alcuni mezzi di comunicazione davano per certa lo scorso 7 agosto), sino a quando è arrivato un filmato dedicato dalla stessa Protezione civile regionale alle guide l’undici agosto e pubblicato su facebook che potrebbe preludere ad una momentanea pacificazione tra i due soggetti. Nel frattempo circolano tante immagini di ospiti illustri che hanno raggiunto la sommità del vulcano in compagnia delle guide.

Non sappiamo se alla fine la soluzione sarà trovata semplicemente abbassando di un punto lo stato di allerta e quindi consentendo di svolgere l’accompagnamento professionale verso la vetta in maniera pienamente legale. Oppure se le guide troveranno il modo per riproporre in maniera seria la questione fruizione di un’area “patrimonio dell’Umanità”. Del resto lo snodo centrale resta sempre lo stesso: la Protezione Civile (e non il Parco che ne avrebbe da 33 anni la titolarità per legge) si è di fatto appropriata della fruizione di un’area turisticamente così importante e di così grande rilievo simbolico per tutte le comunità che vivono sul vulcano. Di conseguenza l’approccio applicato alle visite delle zone sommitali non può che essere quello di minimizzare il rischio, massimizzando i divieti. Un pò quella che di recente Massimo Gramellini definiva “la politica della protezione del fondo schiena”, ovviamente riferendosi in primo luogo allo stesso organo decisorio.

Si arriva così a decretare l’esclusione totale della presenza umana dalla zona sommitale dell’Etna che indubbiamente è un ottimo modo per eliminare ogni pericolo, quando invece una inevitabile percentuale di rischio viene invece comunemente accettata in numerosi altri ambienti naturali (mare, ghiacciai, piste di sci, etc). Peccato che proprio l’Etna rappresenta una delle più grandi attrazioni naturali siciliane e che i dati statistici mostrino una pericolosità assolutamente contenuta.

Attenzione: alla base di queste considerazioni che stiamo cercando di esporre resta la consapevolezza che il rischio in montagna si può contenere, ma mai eliminare. Non si può mettere “in sicurezza” un vulcano. Chi sale verso un cratere deve sapere che ci sono rischi imprevedibili, che nessun strumento è in grado di rilevare, né è sufficiente l’esperienza e la competenza delle guide. Ma la consapevolezza che una certa dose di pericolo è ineliminabile non può indurre ad affidare la fruizione turistica  del nostro magnifico vulcano a chi per mandato istituzionale si occupa esclusivamente di rischi. Sono mestieri diversi. Sarebbe come affidare le visite guidate del museo degli Uffizi ai carabinieri del nucleo belle arti, lo studio di un commercialista ad un funzionario dell’agenzia delle Entrate o ancora la musica di una discoteca ai buttafuori. Una volta esautorato di fatto il Parco da parte della Protezione civile (entrambi in realtà emanazione della medesima Regione Siciliana) il risultato è che le guide non sanno più a che santo rivolgersi per poter far visitare una risorsa turistica conosciuta in tutta il mondo, ma in sostanza costantemente vietata al popolo dei montanari (ledendo un principio costituzionale) e ormai anche ai professionisti della fruizione.

Con il titolo: una immagine di una storica manifestazione del 2003 per la libera fruizione dell’Etna

 

 

 

 

Giuseppe Riggio

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