“Quivi è il monte Etna, il quale gettando continuamente fiamme di fuoco ha nondimeno in su la cima, da quella parte, ove il fuoco è maggiore, grandissime e continue nevi, le quali vi durano ancora al tempo della estate. E si vede quivi sì meravigliosamente la forza, e la gran virtù di due elementi, che la neve non può spegner il fuoco et il fuoco non può distrugger la neve” (Tommaso Fazello, De Rebus Siculis decades duae, 1558, citazione da “Sicilia Segreta”, di Emanuela Zocchi, 2017)

ECCO SANTO AGHIOS

di Santo Scalia

Tommaso Fazello, autore del De Rebus Siculis decades duae, opera, come già dal titolo, scritta in latino e consistente di due decadi (o deche), cioè raggruppamenti di dieci libri o sezioni, nacque a Sciacca nel 1498.

Ritratto di Tommaso Fazello, dall’edizione del 1830
Ritratto di Tommaso Fazello, dall’edizione del 1830

Fu Monaco Domenicano (appartenne all’Ordine dei Predicatori) del convento di Palermo (dove insegnò Teologia), apprezzato oratore ed erudito; nel 1541 effettuò una ascensione al Monte Etna, del quale diede una precisa descrizione nel secondo libro della prima decade. Morì nella sua città natale nel 1570.

Frontespizio della prima edizione del De rebus Siculis decades duae

La prima edizione del De rebus Siculis decades duae fu pubblicata a Palermo nel 1558 da «Ioannes Matthaeus Mayda et Franciscus Carrara». Successivamente, nel 1573 a Venezia, «appresso Domenico, & Gio.Battista Guerra, fratelli» fu stampata l’edizione «in lingua Toscana» con la traduzione dal Latino ad opera di Remigio, monaco anch’egli, dello stesso ordine del Fazello. Remigio Nannini, fiorentino, visse dal 1521 al 1581 ed operò col nome di Remìgio Fiorentino, o anche come Nanni. A lui va il merito di aver volgarizzato l’opera del Fazello, ma anche del Guicciardini.

Apparvero così Le due deche dell’historia di Sicilia, che furono ancora ristampate in seguito nel 1628 e poi, nel 1817 (da Giuseppe Assenzio) e nel periodo 1830-33 (presso la “Stamperia dei Soci Pedone e Muratori”) anche con il titolo Della storia di Sicilia deche due.

Per i brani riproposti si è fatto uso della “nuova edizione riveduta e corretta” del 1830.

Il capitolo IV del secondo libro della prima deca è dedicato alla descrizione dell’Etna (Del Monte Etna e de’ suoi fuochi): «Etna è un monte. Il qual volgarmente dai Siciliani è chiamato Mongibello […] vi si sale verso Catania, per la quale strada, io Autore di quest’opera v’andai l’anno 1541 a’ 27 di luglio».

MONASTERO SAN NICOLA FAZELLO

«La regione, ch’abbraccia tutto il piè del monte (e però detta piemontese) comincia da Catania […] ed arriva per fino al convento de’ frati di S. Nicolò, che son dell’ordine di S. Benedetto […]»

 

STRADE FAZELLO

«Le strade, che vi sono per esser piene di detti sassi, non son molto cavallerecce, anzi son cattive a cavalcarvi, e molte sono accomodate a rubare e assassinare».

 

SELVA FAZELLO«Entrammo poi in una selva di faggi, d’abeti e di pini, la quale era tanto folta che non solo non vi si scorgeva strada alcuna, ma non vi appariva pur un vestigio di pedata d’uomo [… e] il silenzio e la solitudine ci messe [sic] spavento».

 

 

TERZA REGIONE DEL MONTE FAZELLO

«[…] e così entrammo nella terza regione del monte, chiamata dagli abitatori discoperta ed è detta a questa foggia, perché non solamente non vi è selva alcuna, né alcun albero, ma non vi sono anche erbe verdi […]».

 

 

TORRE DEL FILOSOFO FAZELLO

«[…] ed alzando gli occhi in su vedemmo alla cima […] un antichissimo edificio rovinato, di cui non era in piedi altro ch’un pezzo d’archivolto tutto di mattoni […] e da’ paesani del monte Etna è chiamato la torre del Filosofo».

 

 

LA CRATERA FUMANTE FALZELLO

«Trovammo dopo questo monte una grandissima pianura tutta arenosa e piena di spessi buchi e fessure, fuor delle quali usciva un sottilissimo fuoco. Nel mezzo a questa pianura era una grandissima voragine, chiamata dagli antichi la cratera [sic] cioè la tazza, la quale è di giro quasi quattro miglia»

La “cratera «si và a poco a poco ristrignendo verso il fondo. Fuor di questa bocca, usciva cosi gran copia di fumo e di fuoco, che non potevano in modo alcuno riguardare a basso. […] Mancato che fu il fumo, noi immediate mettemmo gli occhi dentro, e stemmo con gli orecchi attenti e non sentimmo altro che il romore e’l suono sotterraneo […] il che ci messe tanto terrore, e tanto spavento addosso, che se come noi avessimo avuto a morire allora allora, ci levammo di quivi, e biasimando noi stessi della nostra stolta fatica, ci ritornammo per la via che eravamo venuti».

Così, tra il timore di essere derubati o peggio, assassinati, tra il silenzio che mise loro spavento, tra i rumori sotterranei terrificanti e spaventosi, stanchi per la “stolta fatica”, Fazello ed i suoi compagni d’avventura ritornarono sui loro passi. Ci rimane però un racconto di prima mano di una delle prime ascensioni all’Etna (Pietro Bembo l’ascensione l’aveva già fatta una cinquantina di anni prima, vedi www.ilvulcanico.it ).

Le fotografie a corredo del testo sono dell’Autore.

Con il titolo: la prima edizione del De Rebus Siculis decades duae del 1558.

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