INAF FOTO 2di Isabella Pagano *

ISABELLA

I sette pianeti attorno a TRAPPIST-1 sono il frutto di una ricerca europea iniziata con un piccolo telescopio simile a quelli che abbiamo qui sull’Etna, posto sulle Ande cilene presso l’osservatorio europeo dell’emisfero sud (ESO). Il telescopio (60 cm di diametro) è dedicato a cercare pianeti in orbita attorno a stelle molto più piccole e fredde del Sole che si trovano nelle vicinanze del sistema solare. La scoperta è resa possibile dal fatto che noi possiamo registrare una piccola diminuzione della luminosità della stella quando parte della sua superficie viene occultata periodicamente durante il transito dei pianeti che vi orbitano attorno. La misura di quanta luce viene a mancare ci permette di dedurre la dimensione del pianeta, mentre il tempo intercorso tra due eventi che si ripetono ci dice quanto impieghi il pianeta a fare un giro attorno alla stella, cioè la durata del suo anno.

Il telescopio belga robotico di 60 cm TRAPPIST in funzione presso l’European Souther Observatory in Cile e gestito da una sala di controllo a Liegi in Belgio (crediti E. Jehin/ESO)

Il piccolo telescopio sulle Ande ha scoperto il sistema planetario TRAPPIST-1, ma ci ha mostrato solo tre dei sette pianeti. Per trovare gli altri è stato necessario utilizzare il telescopio Spitzer della NASA, poco più grande (85 cm) ma posto nello spazio, quindi libero dagli effetti di assorbimento dovuti all’atmosfera terrestre  che rendono confusi i segnali che si intende misurare quando questi sono molto deboli.

Era l’ottobre del 1995 quando fu annunciato il prima pianeta trovato attorno ad una stella diversa dal Sole. Da allora sono stati scoperti quasi 3500 pianeti fuori dal sistema solare. Perché i sette pianeti di TRAPPIST-1 hanno allora destato tanto scalpore? Le ragioni sono almeno tre: si tratta di pianeti piccoli come la Terra;  tre dei sette pianeti si trovano nella regione abitabile;  il sistema planetario è abbastanza vicino a noi (39 anni luce). Vediamo di capire perché questi tre aspetti siano importanti.

Abbiamo detto piccoli come la Terra: e in effetti sono tutti e sette simili alla Terra per dimensione e massa. Questo implica una struttura rocciosa, la possibilità che vi siano vulcani, che l’interno sia sede di fenomeni dinamici come quelli che interessano il sottosuolo terrestre. In definitiva, ci sono gli ingredienti perché questi pianeti abbiano atmosfera.

La stella Trappist ! è piccola e fredda. La sua dimensione è poco più che il pianeta Giove (Crediti ESO Furtak)
La stella Trappist-1 è piccola e fredda. La sua dimensione è poco più che il pianeta Giove (Crediti ESO Furtak)

Tre di loro si trovano nella regione abitabile: questo significa che si trovano nella zona attorno alla stella in cui il calore ricevuto permette la presenza dell’acqua allo stato liquido sulla loro superficie. Naturalmente questo fatto da solo non ci dice che ci sia vita in questi pianeti. Prendiamo il sistema solare, in esso i pianeti Venere, Terra e Marte si trovano nella regione abitabile attorno al Sole. Eppure la vita c’è soltanto sul pianeta Terra. Sulla superficie di Marte non si trova acqua allo stato liquido; è probabile che ci sia stata in passato, quando Marte aveva un’atmosfera. L’atmosfera che possiede adesso determina una pressione al suolo troppo bassa perché l’acqua possa essere liquida. Quindi su Marte abbiamo zone, vicino ai poli,  in cui c’è  ghiaccio d’acqua, altre in cui si osservano vapori d’acqua, ma non ci sono mari e neanche fiumi. In queste condizioni la vita è difficile, e infatti, fino ad oggi, non ne è stata trovata alcuna traccia. Il pianeta Venere, al contrario, ha un’atmosfera talmente spessa che la pressione al suolo è insostenibile. Inoltre la sua composizione è incompatibile con la vita che conosciamo sulla Terra. TRAPPIST-1 e f g, quindi,  si trovano nella zona abitabile della loro stella come Terra, Venere e Marte lo sono in quella del Sole. Le possibilità che su di essi si sia sviluppata la vita dipende da molteplici fattori; dalla presenza di vulcani e di un suolo dinamico, come abbiamo detto prima, ma anche dalla radiazione emessa dalla stella, perché in presenza di un forte flusso di raggi ultravioletti e X, che sono molto ionizzanti, la vita farebbe fatica ad esistere.

Infine la vicinanza a noi: questo è un aspetto cruciale perché rende possibile utilizzare i migliori strumenti di cui disponiamo a terra e nello spazio per approfondire la conoscenza di questi pianeti. In particolare sarà possibile cercare di capire se i sette pianeti, soprattutto i tre nella regione abitabile, possiedono un’atmosfera, e studiarne la composizione. Già adesso sono in corso delle misure in questo senso con il telescopio spaziale Hubble. Altre misure saranno fatte con il telescopio spaziale JWST  che sarà operativo nel 2018, e poi con il telescopio E-ELT di 40 m di diametro che l’Europa sta costruendo e che entrerà in funzione nel 2024.

Il telescopio di Cheops nella camera termovuoto dello stabilimento di Firenze della Leonardo SrL per essere sottoposto a un test che simula le condizioni in cui si troverà ad operare nello spazio (crediti: E.Battistelli/ Leonardo SrL)
Il telescopio di Cheops nella camera termovuoto dello stabilimento di Firenze della Leonardo SrL per essere sottoposto a un test che simula le condizioni in cui si troverà ad operare nello spazio (crediti: E.Battistelli/ Leonardo SrL)

TRAPPIST-1 segna l’inizio di una storia che stiamo cominciando a vivere, quella della scoperta di nuovi mondi simili al nostro e potenzialmente abitabili. L’anno prossimo l’Europa metterà in orbita un piccolo satellite di nome Cheops, che sarà in grado di fare quello che il telescopio della NASA Spitzer ha fatto nel caso di TRAPPIST-1, in altre parole permetterà di studiare con grande accuratezza i pianeti più interessanti che i nostri  telescopi da terra stanno scoprendo nel frattempo. L’Italia con l’Agenzia Spaziale Italiana, l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Università di Padova è in prima linea nella preparazione di Cheops. Nel 2025 sarà la volta del satellite Plato, una missione  dell’agenzia spaziale europea (ESA), il cui compito è scoprire pianeti piccoli come la Terra attorno a stelle vicine e davvero simili  al Sole. Questi  pianeti sono fuori dalla portata dei telescopi terrestri e  per trovarli occorre andare nello spazio.  Plato consiste di ben 26 piccoli telescopi che osservano contemporaneamente una regione del cielo tanto grande come quella che i nostri occhi riescono a percepire con uno sguardo. Si tratta di un concetto ottico rivoluzionario che è stato concepito in Italia, dove i telescopi sono in fase di  costruzione.

Rappresentazione del satellite Plato (crediti: M. Dima/INAF)
Rappresentazione del satellite Plato (crediti: M. Dima/INAF)

L’idea che ci siano altre terre era presente anche nella filosofia greca e appena cinquecento anni fa Giordano Bruno perse la vita sul rogo anche per avere affermato che potessero esistere altri mondi. Oggi che li vediamo, c’è ancora qualcuno che chiede “A che serve? Così distanti e irraggiungibili, perché finanziare queste ricerche? Che utilità hanno?  Aumenterà forse  il PIL e il benessere nel nostro paese in seguito a questa scoperta?” E allora lasciamo perdere le considerazioni sull’importanza della conoscenza che rende l’uomo speciale tra gli esseri viventi, e concentriamoci sulle ricadute economiche che vengono da queste scoperte.

Ebbene sì, queste ricerche richiedono tecnologie sofisticate che vengono sviluppate su misura e finiscono sempre con l’essere utilizzate nella vita di tutti i giorni. Stiamo parlando, per fare alcuni esempi, di dispositivi elettronici per la rivelazione di segnali, di software per l’analisi dei dati, di miniaturizzazione di sistemi elettronici, che, sviluppati nel campo della ricerca astrofisica e spaziale, spesso hanno avuto ricadute nel campo delle telecomunicazioni, della medicina, del monitoraggio ambientale.

Due immagini del grande Telescopio Astri dell’Osservatorio INAF di Catania, a Serra La Nave sull’Etna

ASTRIETNALa scienza sta mettendo in campo il meglio della tecnologia oggi disponibile, e si sta progettando la tecnologia del futuro per rispondere a una domanda antica come l’uomo: “Siamo soli nell’universo?”. La risposta non è dietro l’angolo, ma neanche tanto lontana.

*INAF, Osservatorio Astrofisico di Catania.

Isabella Pagano, astronoma dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, lavora all’Osservatorio Astrofisico di Catania, dove si occupa di pianeti extrasolari e attività stellare. E’ responsabile scientifico e coordinatrice per l’Italia delle missioni Cheops e Plato dell’Agenzia Spaziale Europea. Fa inoltre parte del Comitato di Consulenza Scientifica del Large Binocular Telescope in Arizona, del gruppo di lavoro per le Scienze Planetarie dell’ASI  e del Comitato Scientifico di GAPS, il progetto italiano per gli esopianeti in esecuzione al Telescopio Nazionale Galileo con lo spettrografo HARPS-N. E’ membro del “Board of Reviewing Editors” della rivista Science dell’American Association for the Advancement of Science. Una studiosa di livello internazionale, che ringrazio tantissimo (insieme al suo collega e mio caro amico Giuseppe Leto, prezioso e disponibilissimo) per questo illuminante e prestigioso articolo, che con estrema chiarezza divulgativa fa comprendere ai lettori del Vulcanico gli aspetti fondamentali della straordinaria scoperta annunciata nei giorni scorsi dalla Nasa, che tanto scalpore ha ovviamente suscitato in tutto il mondo.

Nel video, l’animazione dei sette in orbita attorno a TRAPPIST-1  #ESO

 

 

 

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