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    di Santo Scalia 

    «L’eruzione scoppiò improvvisamente senza che vi fossero manifestazioni premonitrici di qualche entità alle ore 22 del 25 novembre 1950. […] Si aprirono lungo la frattura diretta da Ov. 8° S. ad E. 8° N. dapprima delle bocche esplosive in alto ed effusive in basso, poste tra i 2820 ed i 2600 m. […] In poche ore l’apparato eruttivo erasi stabilizzato ed in 3 ore la lava aveva percorso circa 3 chm.».

    Cartolina postale, collezione personale

    Così cominciava l’eruzione che, per quasi un anno, avrebbe tenuto in ansia, minacciandoli ripetutamente, paesi e borgate del versante orientale dell’Etna. Lo leggiamo in uno studio del vulcanologo professor Gustavo Cumin (L’eruzione laterale etnea del novembre 1950-dicembre 1951) pubblicato sul Bulletin volcanologique nel 1954.

    «Nei giorni successivi [è sempre il prof. Cumin che scrive, n.d.A.] ferma restando l’attività esplosiva, si accentrò nella bocca posta a quota 2500 m. intorno alla quale col proseguire di tempo andò formandosi un rilievo conico svasato verso nord e che in omaggio alla sua attività di studioso dell’Etna venne dedicato alla memoria di Gaetano Platania».

    Cratere Gaetano Platania: purtroppo questo oronimo non ebbe tanta fortuna: oltre che nella. cartina schematica realizzata da Cumin, il nome del cratere non venne più riportato nelle successive carte topografiche ufficiali
    Cartolina postale collezione personale

    I quotidiani nazionali, nel caso specifico il Corriere d’Informazione (edizione pomeridiana del quotidiano Corriere della Sera, pubblicata a Milano dal 1945 al 1981), andarono in stampa con titoli preoccupanti.

    Dal Corriere d’Informazione del 27 novembre 1950

    Nei giorni successivi i titoli continuarono ad informare sulle sorti dei paesi minacciati, mentre i catenacci aggiungevano ulteriori particolari: «Le donne depongono immagini sacre sulle ginestre e sulle rocce per arrestare la lava»; «Il vescovo di Catania sale sull’Etna a dorso di mulo. Oggi sarà recato sul fronte della lava il velo di S. Agata»; «Già iniziato l’esodo delle masserizie e delle cantine dai luoghi in pericolo”

    Il 19 dicembre la rotabile Fornazzo-Linguaglossa venne tagliata dalla lava per la prima volta: seguendo il tracciato del torrente Cacocciola la strada venne interrotta poco a sud dell’abitato di Fornazzo. Nel pomeriggio del due gennaio del 1951, alle 14:30, ancora una volta, la rotabile venne interrotta: il fiume di lava distrusse il ponte che consentiva di scavalcare il torrente Cava Grande. Ancora una volta, infatti, il fiume di fuoco – che come i fiumi di acqua è un fluido e come tale si comporta – una volta incontrato l’alveo di un corso d’acqua (un torrente, come già era accaduto nel 1928) vi si incanalò e guidato dalla gravità e dalla morfologia del terreno, ne seguì il corso.

    Dal Corriere della sera
    Donna Jana (la signora Sebastiana) al fronte lavico. Foto di Salvatore Tomarchio

    Salvatore Tomarchio, conosciutissimo ed apprezzato fotografo di Zafferana Etnea, aveva 28 anni quando scoppiò l’eruzione. Come tanti, anch’egli si recò nelle aree interessate dalle colate laviche; suo è infatti uno degli scatti fotografici più conosciuti in tutto il mondo, usato ed abusato, spesso  utilizzato erroneamente a corredo di articoli riguardanti altre eruzioni etnee: è un’immagine di grande potenza, che rappresenta la figura di una donna – nella quale i paesani di Milo riconoscono Donna Jana – che, tenendo in mano il suo libretto delle preghiere affronta il fiume di pietre infuocate, intimandogli ed implorandolo di arrestarsi. In un solo scatto, un’istantanea, sono racchiusi sentimenti di paura, orrore, desolazione e speranza.

    Due delle cartoline postali “colorate” (collezione Santo Scalia)

    Nei primi anni Cinquanta del Novecento le tecniche di stampa fotografica a colori non erano ancora molto diffuse: era uso comune realizzare le foto in bianco e nero e poi talvolta procedere alla loro colorazione. Anche sull’Etna fu applicata questa tecnica: per dare delle immagini più realistiche e drammatiche furono prodotte alcune cartoline postali con tale tecnica; eccone alcune facenti parte della mia personale collezione (nella Fotogallery l’intera serie).

    Due delle immagini a colori dell’eruzione realizzati da Salvatore Tomarchio (dalla mia collezione personale)

    Salvatore Tomarchio è stato anche il primo fotografo italiano a realizzare foto a colori di un’eruzione dell’Etna: come lui stesso raccontava, il rullino fu inviato all’estero per lo sviluppo. Dovette attendere circa un mese prima di ricevere negativi e stampe a colori. nel frattempo qualcuno si appropriò, e pubblicò su un giornale straniero, alcuni di quei meravigliosi scatti.

    «Gli abitanti delle borgate sui fianchi del vulcano assistono con trepidazione alla paurosa avanzata dei fiumi di lava che tra vampe, fumi e boati, minacciano sempre più le loro case e coltivazioni; tanto che i paesi di Rinazzo e Milo devono essere sgomberati (Disegno di G. De Gaspari)»
    «L’Etna, il vulcano tragico, è di nuovo in eruzione, causando intorno a lui disastri e disgrazie»

    Anche i settimanali illustrati del tempo, sia nazionali sia esteri, non trascurarono l’evento: a seguire, due esempi delle copertine di due rotocalchi: La Domenica del Corriere (N. 50 del 10 dicembre 1950) e Le Soir illustré (N° 963 del 7 dicembre 1950):

     Su questa lunga eruzione non ho trovato molto nella letteratura vulcanologica: a parte il già citato studio del vulcanologo Professor Gustavo Cumin del 1954 (allora solo docente di Geografia  presso l’Università di Catania ma già interessato all’Etna, tanto che dal 1955 sarà direttore dell’Istituto di Vulcanologia), e lo studio del «Professore Emerito di Vulcanologia nell’Università di Catania» Gaetano PonteSull’ eruzione etnea del 1950- 51 – ho trovato solo due pubblicazioni: una realizzata 34 anni dopo la fine dell’eruzione, e l’altra in occasione del cinquantenario:

    Milo e la stampa – L’Eruzione del 1950Antologia della stampa siciliana; volume realizzato “in proprio” a cura del Club Culturale “Prometeo” in 30 copie numerate (la mia è la  n. 20), nel novembre del 1985.

    Milo e l’eruzione del 1950, a cura di Paolo Salvatore Sessa, L’Almanacco Editore, volume pubblicato nel gennaio del 2001.

    L’eruzione terminò l’anno dopo, il 2 dicembre 1951, dopo ben 372 giorni. Nonostante le colate laviche avessero raggiunto i 9,7 chilometri di lunghezza, avessero coperto una superficie di più di 10 chilometri quadrati e si fossero spinte fino ad una quota di 625 metri sul livello del mare, nessuno dei paesi e delle borgate minacciate fu raggiunto. Milo, Fornazzo, Rinazzo, Caselle e, più lontano, Zafferana Etnea, erano ancora una volta salve, anche se (e succederà ancora nel 1971) Fornazzo fu lambito da una digitazione lavica che, in questa occasione, aveva aggirato il Monte Fontane.

    Schema delle colate in Valle del Bove (Da G. Cumin – 1954)

    Nel 1950 le uniche fonti di informazione erano i quotidiani, i settimanali e le trasmissioni della radio. Ma c’era un’altra fonte, che pochi oggi conoscono, se non quelli “datati” come me: il cinegiornale. Si, perché chi abitava nelle città ed aveva la possibilità di andare al cinematografo, prima di assistere allo spettacolo, aveva la possibilità di vedere una breve rassegna, illustrata con filmati, dei fatti salienti avvenuti nel corso della settimana precedente: era la cosiddetta Settimana INCOM.

    E’ mia intenzione di esporre immagini e commenti di questi cinegiornali relativi all’eruzione del 1950-51 in una prossima occasione, così come, successivamente, alcune foto – spero sconosciute alla maggior parte dei lettori – realizzate da un fotoreporter d’eccezione, Haroun Tazieff, allora ancora poco noto ai più e che diventerà negli anni a seguire uno dei più grandi conoscitori di vulcani. Infine cercherò di analizzare l’aspetto dell’eruzione legato alla religiosità delle popolazioni minacciate.

    Con il titolo: Donna Jana (la signora Sebastiana), particolare elaborato da foto di Salvatore Tomarchio