(Gaetano Perricone). Con questo sfizioso articolo di Enzo Ganci, che si diverte a “fare le pulci” a uno dei gol più amati della storia del calcio italiano, celebriamo anche sul Vulcanico un giorno e una notte magica, che restano dentro di noi che li abbiamo vissuti da testimoni del tempo nello scrigno delle cose più belle, emozionanti, coinvolgenti. E poi c’è il grande Marco Tardelli, con il suo memorabile tiro e l’urlo di gioia infinito e celeberrimo. Grande personaggio della storia del calcio italiano, che mi fa venire ancora oggi in mente, ogni volta che lo nomino, la meravigliosa battuta, liscia ma esilarante, di una persona a me molto cara e quanto mai ironica che ci ha lasciato qualche anno fa: “Tardelli si attardella”.
Buona lettura delle riflessioni tattiche pallonare di Enzo, che ringraziamo sempre per i suoi preziosi contributi.
di Enzo Ganci
Il gol di Marco Tardelli segnato alla Germania nella finale di Madrid del campionato del mondo l’11 luglio 1982, esattamente 37 anni fa, divenuto ormai forse il simbolo della storia del calcio italiano, per via anche di quella irrefrenabile esultanza passata alla storia, è, a parer mio, una delle più grosse incongruenze tattiche che si siano mai viste. E spiego perché.
Si sta giocando il 24’ della ripresa. L’Italia sta vincendo per 1-0 (ha segnato Paolo Rossi al 12’ del secondo tempo). Il che significa che mancano 21’ (più eventuale recupero, che allora però non era ancora stato istituzionalizzato) alla fine della partita che sta regalando il titolo mondiale agli azzurri. Logica vuole che ci si debba difendere e che, nella migliore tradizione italiana, si debba erigere quel muro difensivo nella cui costruzione siamo stati da sempre i migliori del mondo.
Mi aspetto magari l’ingresso di un incontrista come Giampiero Marini per Altobelli o per Paolo Rossi, per dare manforte al centrocampo. Mi aspetto che i difensori rimangano a presidiare la nostra area accanto al monumento Dino Zoff, disegnando una “linea gotica” che alcuni anni prima, proprio contro i tedeschi, su ben altri palcoscenici storici peraltro, era stata efficace. Ed invece, in un’azione di contropiede, altro frangente tattico nel quale siamo maestri, a partire sono due difensori: Bergomi e Scirea (quest’ultimo, essendo il libero, come si chiamava a quel tempo, era sempre l’ultimo uomo e giocava accanto al nostro portierone del quale era grande amico, oltre che compagno di stanza).
Incredibilmente due uomini che fino ad allora avevano difeso benissimo la nostra porta (Bergomi non fece toccare palla al Pallone d’Oro Rummenigge, suo futuro compagno di squadra all’Inter, Scirea non aveva uomo diretto, ma aveva chiuso magistralmente tutti gli spazi), per una ragione tattica che mi sfugge e che a distanza di 37 anni non ho ancora capito, sono i nostri due uomini più avanzati. Addirittura si permettono il lusso di dare vita ad una sorta di piccolo tiki-taka dentro l’area tedesca, duettando come se fossero due trequartisti, pure con un irridente colpo di tacco di Scirea, fino a quando quest’ultimo non vede l’accorrente Tardelli al limite dell’area e lo serve.
Il resto lo sappiamo tutti. Tardelli con una mezza spaccata scaraventa un gran sinistro verso la porta tedesca che fa secco Schumacher e segna il 2-0 per l’Italia. Al di là di quella grandissima emozione, che ancora oggi affiora tutte le volte che rivedo quel gol, chiedersi il significato tattico di quell’azione, però, è obbligatorio. Se fossimo stati in svantaggio, la presenza di due difensori nell’area della Germania avrebbe avuto una logica. Sarebbe stata la carta della disperazione, quella di rischiare il tutto per tutto, per pervenire al pareggio.
Lo avremmo capito tutti. Ed invece stavamo vincendo per 1-0 a 21’ dalla fine. Mi chiedo, pertanto: cosa ci facevano, non uno, ma due difensori nell’area avversaria? Qualunque allenatore, probabilmente, di fronte ad una situazione tattica di questo tipo sarebbe stato prossimo all’infarto ed avrebbe gridato come un pazzo, invitando i propri uomini a non correre inutili rischi. Cosa sarebbe successo se, perdendo malauguratamente la palla, la Germania, approfittando di una difesa sguarnita, avesse pareggiato? Sarebbe stato un harakiri storico che non ci saremmo mai perdonati. Prendere un gol da polli sul’1-0 per noi ci avrebbe rovinato l’esistenza (calcistica) per il resto dei nostri giorni.
Ed invece è finita come tutti sappiamo: con un gol da favola, con il presidente Pertini che stava volando giù dal parapetto, con Zoff che alza la Coppa, con l’Italia impazzita e con la partita di scopone più famosa della storia a bordo dell’aereo, tornando verso Ciampino. Una volta che lo intervistai per conto dell’Agenzia Italpress alcuni anni fa, chiesi a Tardelli il significato di quell’azione. Mi rispose: “E’ la testimonianza che il calcio di Bearzot, a dispetto di quanto potevano dire i suoi detrattori, era un calcio moderno in cui anche i difensori partecipavano concretamente all’azione offensiva”.
Non mi convinse affatto e restai delle mie idee, che oggi esterno su questa pagina. Meno male, però, che ogni tanto il calcio esce fuori dagli schemi e regala emozioni che, se invece gli schemi fossero stati rispettati, non avremmo mai vissuto.
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