di Gaetano Perricone
Il titolo della mostra è già particolarmente accattivante: “Vivere nella preistoria. La casa, il cibo, le cose”. Lo è anche il luogo che la ospiterà fino al prossimo 30 settembre, la Chiesa di San Francesco Borgia in via Crociferi a Catania, nel cuore del centro storico, dove la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, in collaborazione con la Regione Siciliana e l’Università catanese, ha molto lodevolmente pensato di esporre i reperti preistorici più significativi dell’intera provincia etnea.
In questa nota, proporrò alla vostra attenzione (grazie anche alla gallery con le splendide foto di Luciano Signorello) una parte speciale della mostra, alla quale sono affezionato in modo particolare per via dei miei trascorsi professionali : è la sezione delle “Balze Soprane” di Bronte, nella quale sono esposti i più importanti reperti portati alla luce dagli scavi archeologici effettuati tre anni fa dalla Soprintendenza ai BB CC AA di Catania, nell’ambito di una operazione di brillante ed efficace sinergia istituzionale con il Parco dell’Etna – nel cui territorio ricadono i luoghi degli scavi – e il Dipartimento per lo Sviluppo Rurale e Territoriale, Ufficio di Catania, in contrada Edera, in territorio brontese, che ha portato alla realizzazione del sentiero 751 , cosiddetto di archeotrekking, “Sciare di Santa Venera“, il percorso naturalistico-culturale che costituisce un più che fascinoso mix tra natura e archeologia alle falde della Muntagna.
Perfetta la sintesi dell’ex Soprintendente Fulvia Caffo, che in occasione della festosa e affollatissima inaugurazione del sentiero (esattamente due anni fa, il 10 aprile del 2016) ha ricordato “il prezioso impegno e la passione delle tante persone, coinvolte da tutte le istituzioni che hanno proficuamente collaborato alla realizzazione del progetto, in un luogo dove i valori culturali e storici dell’area archeologica vengono ulteriormente evidenziati da un contesto paesaggistico di grande fascino”. E mi piace, anzi mi sembra doveroso ricordare il ruolo prezioso, anzi fondamentale, per la buona riuscita di questa importante operazione di tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dei dirigenti della Soprintendenza Francesco Privitera e Maria Turco e della dirigente del Parco Agata Puglisi, mia valorosa ex collega e cara amica.
Il contesto naturalistico
Il sentiero 751 “Sciare di Santa Venera” – dal quale provengono i reperti esposti a Catania – , della lunghezza di 3900 metri, si svolge in un territorio caratterizzato da un raro fenomeno idrogeologico: il Fiume Flascio e il Torrente della Saracena, che discendono dai Monti Nebrodi, si infrangono contro le basse pendici dell’Etna in un’area pianeggiante, occupata da un forte spessore di lave antichissime, fortemente fratturate e permeabili. Emergono così qua e là, soprattutto nella stagione primaverile, ristagni d’acqua, torrentelli, piccole cascate, mentre nelle aree asciutte dominano il giallo delle ferule e il bianco degli asfodeli. Il sentiero si sviluppa in maniera da cogliere gli aspetti naturali più significativi, ma anche qualche rustico ricovero utilizzato nel tempo dei pastori. Al suo termine un anello permette di visitare dei resti archeologici di grande interesse, datati dal Vi al IX secolo d.C., riferiti cioè alla presenza dapprima bizantina, poi araba.
Gli scavi archeologici
Per spiegare nella maniera più adeguata e tecnicamente corretta l’intervento effettuato e gli scavi, a seguire lascio la parola a Luciano Signorello, che è stato il direttore dei lavori.
“Le evidenze archeologiche sono presenti sia a monte sia a valle della strada che divide in due il pianoro delle Sciare Santa Venera. Si è scelto di concentrare gli interventi principalmente nella parte meridionale, perché ritenuta quella a maggiore integrità, a maggiore potenzialità dal punto di vista della sua valorizzazione ed anche perché su proprietà demaniale. Tutto ciò anche al fine di impiegare al meglio le risorse economiche disponibili ed evitare indagini a macchia di leopardo, utili sicuramente a fini scientifici, ma non a quelli di una fruizione sostenibile.
L’intervento è consistito nel salvaguardare in primo luogo le strutture già note ed emergenti dalla superficie del terreno, cioè i recinti e le strutture abitative di contrada Edera nonché l’imponente fortificazione di contrada Santa Venera. Gli scavi archeologici, effettuati nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2015, hanno messo in luce strutture sia di età greca (VI-V secolo a.C.) che di età altomedievale (VIII-IX secolo d.C.). Sono stati interamente eseguiti a mano senza l’utilizzo di alcun tipo di mezzo meccanico, che avrebbe sicuramente danneggiato l’ambiente circostante, in cui sono peraltro insediate diverse specie comunitarie protette. Le terre risultanti dallo scavo sono state adeguatamente allontanate dai siti archeologici oggetto dei lavori e sistemate in maniera tale da evitare che potessero nuovamente coprire naturalmente le strutture scavate, ad esempio a causa di forti piogge. Si è prestata inoltre particolare attenzione allo spargimento delle terre di risulta in modo da non modificare la morfologia del territorio. Durante gli scavi sono stati individuati anche numerosi frammenti di tegole curve, riferibili al crollo del tetto degli edifici individuati.
Lo scavo archeologico, cosa non trascurabile, oltre a non aver danneggiato in alcun modo il territorio, ha prodotto indubbi effetti benefici permettendo l’eliminazione di diverse micro discariche presenti all’interno dell’area oggetto dei lavori. Infine, sono stati eseguiti dei lavori di recinzione delle strutture più significative in legno di castagno decorticato, al fine di prevenire e ridurre i pericoli di danneggiamento o deterioramento dei beni da tutelare e sono stati realizzati e messi in opera appositi cartelli illustrativi e didattici curati dagli archeologi”.
Per informazioni sulla mostra:
http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/areariservata/eventi/eventipubblicati/reportEventi.asp?cod=3692
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