di Antonella Alba
“La mamma è in cucina. Ora bisognerà vedere cosa ci sta preparando”. Sono le parole di un vecchia guida alpina incontrata sul versante Nord dell’Etna qualche giorno fa. Eh sì perché per la gente che conosce bene il Vulcano, l’Etna è femmina ed è anche mamma.
Sono giorni che da segni insoliti dalle sue viscere, eppure tutto potrebbe essere anche normale perché lei è un vulcano attivo e non ha mai smesso di esserlo, dice Boris Behncke vulcanologo tedesco, grande esperto di geologia dell’Istituto Nazionale di Geofisica e vulcanologia di Catania che mi accompagnerà in questo viaggio prezioso. Pochi giorni di ferie intorno al 1 maggio e allora scelgo di scendere in Sicilia per mostrare a mio figlio Dario il vulcano più alto d’Europa.
A muntagna per i siciliani etnei, così la chiamano, come a dire che l’Etna è la montagna per eccellenza, unica e sola. E in effetti nessuna come lei padroneggia incontrastata il paesaggio: nelle giornate limpide si può vedere anche ‘dall’Italia’, cioè dalla Calabria.
Noi intanto l’avevamo vista dall’aereo mentre dalla sua imponente sommità esibiva un pennacchio di fumo. Atterrati il 26 aprile intorno alle 14 al Fontanarossa ecco che intorno alle 18,30 da un primo segnale: rilascia uno sbuffo di cenere ‘bello grosso’. Lungo la strada per salire seguo il consiglio di Boris e invece di percorrere l’autostrada fino a Fiumefreddo seguo la strada dei paesi etnei. Diretta al rifugio Ragabo dovrò salire fino a 1500 metri passando per piccoli, ma bellissimi centri abitati come Fleri, Zafferana, Milo, Fornazzo. E’ una giornata limpida con un sole caldo, fanno almeno 24 gradi e l’ultima neve che è su si scioglie in pochi minuti. E proprio qui seguendo la strada Mareneve che, verso le 16, mamma Etna ci fa trovare dell’acqua fresca e cristallina da bere al torrente Sciambro. Il giorno dopo ripassandoci l’acqua non c’era già più. E’ molto rara da trovare, dice Boris.
Arrivati al rifugio Ragabo, a farci compagnia un festoso gruppo Cai di Treviso. Dopo una bella passeggiata nella foresta omonima e un’ottima cena ci addormentiamo di sasso esausti dal viaggio. E’ notte fonda quando a un tratto il letto si muove scuotendomi nel sonno. Cavolo non è il letto, sono scosse di terremoto! In un baleno insieme al resto degli ospiti del rifugio ci ritroviamo tutti in pigiama nell’atrio in mezzo alla pineta. Sono le 2 e 34 del mattino. Chiamo Boris sul cellulare: il rifugio si trova proprio sopra la faglia Pernicana, nulla di anomalo, è un terremoto superficiale, ed è chiaro che gli unici a tremare siamo stati solo noi e che lo abbiamo anche svegliato.
Il terremoto registrato dall’Ingv segna 3.3 di magnitudo a una profondità di appena 1 km su Linguaglossa. Ecco che la scossa di assestamento non tarda ad arrivare mentre siamo ancora fuori. Dopo una manciata di chiacchiere emotive scambiate sull’accaduto torniamo tutti a letto, a cercare di dormire. Ma faccio appena in tempo a ritrovarmi tra le braccia di Morfeo che trema tutto di nuovo scuotendo il rifugio e tutto ciò che contiene. Sono le 6. Ma questa volta è diverso, trema in modo sussultorio come a dare colpi da sotto terra e a dire: ehi tu! dormi ? io sono qui eh, sveglia! Bum, bum, bum!
Scendiamo tutti, ancora in pigiama. Poi Antonella, la proprietaria del rifugio, ci prepara una buona colazione e dopo esserci consultati ci salutiamo: non dormiremo al rifugio, mamma Etna è nervosa e ha l’insonnia e rischierebbe di svegliarci ancora. Scopriamo che il sisma ha perfino spaccato un lembo di terra fuori il rifugio, allora andremo a dormire sul versante Sud a Nicolosi, detta la porta dell’Etna, dove nessuno ha sentito niente.
Niente di grave, dice Boris, il vulcano vive e respira normalmente perché è viva e vive insieme a noi. E’ solo che Mamma Etna ha voluto darci il suo benvenuto, dico io. Tutto qui. C’è gente che pagherebbe per provare la stessa esperienza in così poco tempo. E’ che, solitamente, ci vuole tempo per ‘sentire’ il vulcano. Boris lo ripete continuamente anche a tutti quelli che lo chiamano per le interviste. E capisco che i tempi televisivi sono incompatibili con quelli della muntagna mentre parla con un’inviata della BBC al telefono.
Dopo la simpatica levataccia, usciamo in escursione. Non un’escursione classica, inserita nel percorso ‘ufficiale’ del Rifugio Sapienza a Sud dove ci sono i pullman dei turisti, la funivia e un biglietto da pagare, ma dalla parte opposta, quella a Nord su Piano Provenzana, un versante fino a qualche anno fa molto frequentato dai turisti-escursionisti, fino a quando il magma non gli ha dato scampo e ha distrutto tutto e ora si arriva senza file o biglietti e si impara a guardare cosa la lava ha distrutto durante la sua lenta e inesorabile discesa. Nel 1985 la lava scese nella foresta di betulle meravigliose (si perché sull’Etna si trovano le betulle tipiche del nordeuropa ), ne bruciò una gran parte e un terremoto distrusse l’hotel Le Betulle. Lì a farci le spese fu un uomo che sarebbe ancora vivo se non fosse rientrato nel rifugio per prendere la macchina fotografica. Si vede che mamma Etna non gradì la coraggiosa ricostruzione pochi metri più in làm perché nel 2002 lasciò che una colata ancor più feroce lo distruggesse esattamente come aveva distrutto quello precedente. Nessuno ha più avuto il coraggio di investire lassù, tanto meno Ignazio, imprenditore tra i primi a investire su Piano Provenzana, recentemente scomparso, figlio anche lui di questa terra di Sicilia che crea e distrugge.
Benchè l’esistenza dei quattro crateri sommitali costituiscano l’essenza del vulcano, mamma Etna nel 2011 ha dato alla luce un altro più piccolo ma importante cratere ed è segnata da 300 bocche laterali sparse qua e là, alcune delle quali disegnano bene il suo profilo da lontano. Nate e poi morte negli anni, esse sono la prova della continua trasformazione morfologica della muntagna.
Tutt’intorno è evidente che le scosse e la lava hanno in parte distrutto e messo a dura prova questo territorio e i suoi abitanti, eppure c’è qualcosa che ispira vita e fermento, un’energia che viene da dentro la terra o da chissà. Eccoli lì i piccoli germogli di pini verdissimi che nascono vicini ai loro simili più grandi in mezzo al nero cupo della terra lavica e dicono quanto sia inaspettatamente fertile e ricca di minerali questa terra, quanto sia capace di rigenerarsi dopo un evento distruttivo.
Cominciamo a scendere per i tornanti della muntagna verso i paesi etnei come Fleri, Zafferana, Milo, Fornazzo e giù fino a Mascali, dove sopra la pesante lava millenaria più dura e imponente c’é quella giovane dei zampilli leggeri. Grazie all’occhio esperto di Boris seguiamo la traccia della discesa del magma del 1928 quando invece di inghiottire le case si fermò e gli abitanti costruirono la chiesetta di Magazzeni, urlando al miracolo. Lì vicino nasce la Romice, una pianta selvatica dalle foglie commestibili al gusto di limone. Allora si pregava per fermare la lenta inesorabile discesa del ribollente magma, per evitare che inghiottisse tutto e, quando la potenza delle preghiere riusciva a fermare la distruzione nascevano delle piccole cappelle votive, ben visibili agli incroci per le strade tra Zafferana Milo e Fornazzo. Lava che non risparmiò, invece, la cittadina di Mascali, nata ai tempi del fascismo, completamente distrutta dall’eruzione del 1928.
Nessuno può sapere cosa mamma Etna stia preparando in cucina, neanche i più sofisticati macchinari dell’Ingv e la passione di Boris potranno mai prevedere un’eruzione o un terremoto, ma guardando seppur per pochi giorni questo fenomeno della natura unico nel suo genere in chilometri e chilometri di terra europea, ammirandolo nel nero delle sue vette e nel verde lussureggiante di questa strana primavera, col profumo sulfureo misto a quello di zagara tutt’intorno, e il rumore che arriva a farsi sentire nella pancia quando scuote la terra, capisco quale sia la forza che muove e riesce a vincere il senso di rischio e d’incertezza che gli abitanti si trovano a vivere in una terra così. Loro non possono o non osano odiarla, è una questione di rispetto che vince su tutto. A muntagna in sé racchiude tutto il senso della meraviglia della natura a volte benevola, a volte crudele, montagna da scalare e vulcano da scoprire, due qualità diverse che la rendono estremamente affascinante, uno spettacolo irripetibile, ogni volta diverso.
(Gaetano Perricone). Solo due parole per ringraziare, di vero cuore, la valorosa collega giornalista di Rai News 24 Antonella Alba per la estrema gentilezza, disponibilità, direi entusiasmo con cui ha accettato la nostra proposta di raccontare il suo incontro con l’Etna, rivelatosi più movimentato e avventuroso del previsto, con tanto di scosse e sveglia notturna. La Muntagna, oltre per la sua infinita bellezza, si contraddistingue per la sua capacità di sorprenderci sempre, offrendoci grandi emozioni. Lo stesso ha fatto con Antonella, che come tutti gli altri visitatori che riescono ad apprezzarla nell’affascinante varietà e complessità dei suoi aspetti ha avuto con “Idda” un fantastico impatto. Regalandoci (e onorandoci) poi con le splendide parole di questa testimonianza. Grazie ancora, Antonella Alba, speriamo di rivederti presto sull’Etna.
Con il titolo: Antonella Alba e il figlio Dario a Piano Provenzana. All’interno dell’articolo e nella fotogallery, alcuni luoghi e momenti dell’escursione sull’Etna, guidata dal grande vulcanologo Boris Behncke.
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